Astrattismo a Firenze

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Se le premesse del rinnovamento dell’arte italiana sono da ricondurre agli anni trenta tra Milano e Como, tra la Galleria del Milione e gli architetti razionalisti è certo che, per quanto riguarda il nostro argomento è essenziale il gennaio 1945 quando la galleria Bergamini presenta “Arte astratta geometrica”, mostra nella quale con Bruno Munari espongono anche i vecchi astrattisti del Milione: Reggiani, Soldati, Veronesi, Radice e Rho. Questo è un segnale preciso perché in Italia ricompaia in tutta la sua pregnanza la ricerca astratta. Siamo nell’immediato dopoguerra e tra Milano e Roma il dibattito si fa serrato e controverso, all’Astrattismo si contrappone il Neorealismo. Un gruppo di artisti romani che si professano “formalisti e marxisti” danno vita all’esperienza di “FORMA 1” (manifesto sottoscritto da Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo, Turcato), subiscono incomprensioni e critiche da parte dei quadri dirigenti del Partito Comunista Italiano, fino a veri scontro ideologici ( vedi quelli di Antonello Trombadori e di Palmiro Togliatti) al proposito del Fronte Nuovo delle Arti 1948-50. Il Movimento Arte Concreta “Mac” ( con Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Bruno Munari, Mario Soldati, tra gli iniziatori) nasce dall’esigenza di un fronte comune, ma ben presto si avranno diversificazioni ideologiche ed estetiche non trascurabili. Del resto il gruppo milanese è per un’astrazione in senso formalista, il gruppo prima “Arte d’oggi”, più tardi “Astrattismo Classico” ed in fondo anche FORMA 1 nascono da un sottofondo socio-culturale diverso, ebbe a dire in un’intervista Gualtiero Nativi: <<Il termine concretismo era dei Milanesi, a noi non andava bene, la nostra era pittura astratta, ma conservava i prodromi di un “racconto”, di una “figurazione”, racconto di un nostro tempo ove convergono personaggi, idee…>> Agli astrattisti classici interessava non l’oggetto ma l’equivalente geometrico da esso derivato. A Firenze dunque con le tre mostre di “Arte d’oggi” nel maggio 1945, marzo 1948 e giugno 1949, gli astrattisti fiorentini presentarono alla Galleria Vigna Nuova con vivaci polemiche la loro esperienza artistica, il “Manifesto dell’Astrattismo classico”. Verrà più tardi, nel 1950, firmato da Vinicio Berti, Bruno Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi, Mario Nuti; compilato dal filosofo Bruno Migliorini, molto corposo e ricco di riferimenti socio-culturali e filosofici. Ma l’”astrattismo classico” rimane, per la critica ufficiale, solo la tesi fiorentina del Mac, e non gli è stato riconosciuto ancora una sua valida autonomia di pensiero e di struttura. Di seguito alcuni stralci del manifesto dell’Astrattismo Classico, Firenze 1950:

1) L’arte non è teoria, almeno alla sua origine, per l’artista operante, ma pratica; e dal punto di vista del lettore, dello spettatore, non è rappresentazione, ma fatto. L’artista interviene nella realtà, la sua parola rivolta agli uomini tende a modificare quella realtà: di questa sua parola, di questo suo intervento egli è responsabile.

2) Invitiamo gli artisti a prendere coscienza della loro posizione nella società, a domandarsi per chi essi lavorano, quale uomo sia quello che le loro opere esprimono, di quali relazioni sia esso capace, quale sia insomma la loro intuizione. Li invitiamo a confessarsi, a lasciare gli studi, a scendere tra gli uomini vivi, fra quelli di cui è l’avvenire. Tutti i misteri che sviano l’arte verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nell’attività pratica umana e nella concezione di questa attività pratica.

3) I movimenti artistici validi degli ultimi 100 anni (e validi non solo in una storia sociologica dell’arte) si sono presentati sempre con un programma attivistico, di intervento, dagli impressionisti che assunsero come strumento di conoscenza “la percezione d’urto cieco, immediato e violento contro l’oggetto”, ai cubisti che distrussero l’oggetto cercando di esaurirne la conoscenza in un paradosso trascendentale

4) Bisogna notare tuttavia che se l’intuizione deve affondare le sue radici sul solido terreno dell’attività pratica, in una concreta realtà, l’espressione, il linguaggio, non possono essere casuali, ma impongono un lavoro centuplicato ed un’acuta coscienza storica: l’esigenza morale e politica vale solo se trasportata sul piano concreto di una raggiunta espressione.

5) La logica conseguenza stilistica, maturatasi in una più chiara coscienza morale, dei movimenti interventistici dell’arte moderna è l’Astrattismo classico. In esso si può cogliere la fine della volontà di distruzione dell’oggetto e l’inizio di un intervento attivo e costruttivo di una integrazione del reale […]


Il “ Segno Rosso”

“Astrattismo classico” aveva avuto molte difficoltà ad affermarsi sia a Firenze che in Italia ( ad esempio dal 1947 al 1970 nessuno spazio fu riservato agli artisti del gruppo alla Biennale di Venezia) In Italia del resto il Neorealismo di Guttuso sorretto in pieno dal P.C.I. stava allontanando dalla scena la ricerca astratta. A Firenze si ebbe un rigurgito di Rosaismo e qualche risposta in chiave provinciale al Realismo Socialista. In questa stagnante situazione alcuni artisti sentirono la necessità di raggrupparsi con l’intento di fare chiarezza e ritrovare le motivazioni per riaprire il discorso sull’astrattismo fiorentino. Nacque così il “Segno Rosso” i cui fondatori furono: Vinicio Berti, Nadia Benelli con Gianpiero Avanzini, Bruno Pecchioli, Liberia Pini, Alberto Gallingani, Natale Filannino, ai quali si aggiunsero in seguito Mauro Bini, Franco Mosell e Franco Rosselli. Ripartendo dai concetti che l’”Astrazione Classica” significava nuova classicità, nuova realtà in una città estremamente solitaria come Firenze ma ricca di humus vitale sotterraneo che la legava come un segno continuatore ad Alberto Magnelli, creatore nel 1915 del primo quadro astratto italiano, gli artisti del Segno Rosso diedero vita ad una singolare produzione purtroppo rimasta quasi tutta inedita, ma condizione indispensabile per aprire una dialettica e ritrovare il nesso tra produzione artistica e società al di fuori dei canoni mercantili, tema ideologico che apriva le premesse per quanto poi sviluppato dallo studio d’arte “ Il Moro”.


Lo Studio D’Arte “Il Moro”

Apre nel1970 lo “Studio D’arte il Moro”( fondatori Mauro Bini e Bruno Pecchioli) spazio auto gestito, uno dei primi in Italia. Negli anni ’70 infatti in molte realtà italiane nacquero gruppi auto gestiti al fine di dar voce agli artisti di ricerca “Underground”, soprattutto al di fuori ed in contrapposizione al mercato. Lo studio d’Arte Il Moro iniziò un’interessante attività espositiva con artisti di tutta Italia ed in seguito censì addirittura i gruppi autogestiti ( I° e II° Rassegna di gruppi autogestiti in Italia Firenze 1980 – 1982 Ed. “ Studio D’Arte Il Moro”). Accanto a questa attività espositiva alcuni artisti fiorentini, molti dei quali avevano fatto parte del “ Segno Rosso” diedero vita in seno al Moro, ad un gruppo di ricerca di matrice Neocostruttivista a Mauro Bini e Bruno Pecchioli si affiancarono Gianpiero Avanzini, Nadia Benelli, Mario Daniele, Paolo Favi, Natale Filannino , Alberto Gallingani, Fabrizio Gori, Leonardo Papasogli e Franco Rosselli. Dopo una serie di verifiche sulle affinità ideologiche e culturali che li univa, questi artisti formarono nel 1972 un gruppo operativo comparabile all’Arte Programmata (per esempio “il gruppo N di Padova” con Missironi, Biasi, Chiggio, etc.. o “ il gruppo T di Milano” Anceschi, Getulio, Alviani etc..) anche se filtrata dalle congeniali caratteristiche fiorentine. Pubblicarono nel 1972 un documento “Nascita di una morfologia costruttiva” redatto da Ugo Barlozzetti che, da prima accompagnò una cartella di serigrafie, presentata alla mostra , Art.3/ 72 di Basilea, e poi in concomitanza della mostra alla “Strozzina” ( Palazzo Strozzi Firenze) dal titolo “Nascita di una morfologia costruttiva”ne divenne il manifesto ufficiale del gruppo.


Nascita di una Morfologia Costruttiva

Riportiamo integralmente il manifesto degli artisti dello “Studio d’Arte il Moro” di cui sopra, redatto dal critico Ugo Barlozzetti:

Dopo lunghi anni di attività, dopo varie e diversificanti esperienze vissute, dieci pittori hanno deciso di verificare insieme come l’arte sia strumento di liberazione e come formare sia un impegno morale di partecipazione alla realtà. Il problema del rapporto tra la verità esistenziale filtrata attraverso una condizione di individualismo e la realtà effettuale della comunicazione dell’uomo sociale non risulta però centrale, giacchè piuttosto la motivazione del collettivo sta nella funzionalità dialettica della verifica d’insieme nell’ambito della premessa comune che vuole affrontare il significato delle tecniche della comunicazione visiva in una società a capitalismo avanzato. La coscienza del rischio dell’atteggiamento velleitario è netta come il rifiuto di ogni forma sentimentale ed autobiografica Il superamento delle problematiche della pura esistenzialità, della gestualità, della signicità della matericità nasce dal rifiuto dell’ambiguità morfologica per riferirsi alla totale esperienza dell’uomo contemporaneo e – specificatamente quindi – all’obiettivazione nell’ambito del fenomeno. Così si tende all’identificazione della condizione fruitiva dello spettatore con quella dello stesso artefice determinandola proprio attraverso il tempo inteso come continuità, ossia come divenire di cui lo spazio è una designazione con tutti i caratteri della parzialità e della provvisorietà. La consapevolezza della contraddittorietà dell’esperienza tra ideale e reale, emozione e memoria vita profonda e dato sensorio, dimensione psichica ed impatto fisico è implicita e per questo appunto le poetiche fondate esclusivamente su tale problematica sono considerate dal collettivo come cortine fumogene del flusso intimista mascheranti il deliberata rifiuto dell’acquisizione delle scelte politiche. Al tempo stesso sono bandite le illusioni che si trovi una vera realtà “Artistica” ove il tessuto organico dell’esperienza si chiarisca come procedere storico reale e totale, perciò appunto l’intenzionalità puramente estetica data all’arte che da una forma istintuale – biologica conduca alla consapevolezza delle relazioni tra l’uomo e il mondo non può essere accettata. E’ evidente che in tale contesto venga negato anche il gesto, la testimonianza sul modo di essere culminante nell’autolesionismo dell’atto che si consuma senza lasciare traccia. Determinante diviene allora impostare correttamente il rapporto tra tecniche della comunicazione visiva e metodologie razionali, muovendo dalla presa di coscienza della contraddizione fondamentale in cui vive l’uomo sociale contemporaneo: il modo di produzione capitalistico. Cioè si riconosce la logica su cui si basa la società attuale è quella disumana della massificazione del profitto, della divisione borghese del lavoro, della riduzione di ogni valore a merce. Da ciò discendono immediatamente da una parte la necessità di assoluto rigore formale come rivendicazione prioritaria di chiarezza razionale dall’altra il superamento della tematica figurativa connessa alla denuncia sia per il rifiuto della riduzione della forza sociale dell’arte ad illustrazione dogmatica di un modello, sia per la consapevolezza acquisita delle capacità di recupero del sistema emozionale dell’immagine. Centrale diviene il problema della spazialità fenomenica che non può essere più il mondo della semplice connessione con la superficie concreta sperimentata e vissuta dall’artista” allo stesso modo” del flusso medesimo della sua esistenza con tutti gli imprevisti, i disturbi e soprattutto l’angoscia – giacchè sarebbe o pura passività o necessità – ma, essendo sotteso ad una risoluta rivendicazione della partecipazione all’esperienza storica, consiste nella continua verifica del presente avendo ben chiaro che l’unica libertà possibile è la presa di coscienza della contraddizione in cui viviamo… Dalla constatazione che lo sviluppo dell’odierno uomo sociale nel sistema capitalistico si attua per mezzo della sua alienazione si riconosce che proprio in questo processo storico sociale di creazione dell’umano per opera dell’uomo mostra il suo carattere contraddittorio. E poiché l’umano non si crea e non si afferma che attraverso una lotta continua contro l’alienazione, il Collettivo ritiene di poter riscattare l’alienazione ricostruendo la compiutezza e la dignità dell’esperienza al di là di ogni disgregazione artistica, ossia nel fare come scelta consapevole e strumento morale, come volontà di distinguere, determinare e giudicare la struttura oggettiva delle cose e non l’immagine di esse. Va quindi affondato il processo psicologico oggettivo e organizzato secondo i modi della mente a formare selezionare e strutturare l’esperienza unitariamente. Il fare artistico deve intervenire nel fare scientifico e tecnologico per controllare e modificare le strutture dando ad esse la coscienza del valore e la finalità teorica. Da tutto ciò non può non nascere, assieme ad un impegno culturale non occasionale, una metodologia di gruppo proprio per il rapporto tra operazione artistica e ricerca. Il problema della spazialità fenomenica si traduce dunque in morfologia costruttiva ove l’oggetto si fa forma e la forma si fa oggetto e appare questione essenziale la pertinenza di quella forma particolare a quel particolare oggetto, pertinenza raggiunta attraverso un processo tecnico e comunicante al termine del quale sta la logica del rapporto tra forma e processo formante. Nasce così un nuovo tipo di spazialità fenomenica, la cui rigorosa visualizzazione è impostata su una ricerca il sui “rovello” non si traduce mai nell’assurdo paradosso dell’originalità pura. Lo spazio si apre come il fenomeno, all’incidenza del tempo, si origina con il tempo. Una tale operazione significa pertanto non solo visualizzare un percorso razionale, ma soprattutto controllarlo nel tempo e nello spazio. Si tratta dunque di affrontare la situazione senza cedere all’indistinta spazio – temporalità del fenomeno, ma inserendosi in essa, non predeterminare una soluzione,chiarire invece tutte le tappe e le modalità del suo percorso. Così si rende evidente il modo di percepire la spazialità e la coincidenza nella durata dello spazio e della percezione. Attraverso queste tre coordinate di tempo, spazio e percezione si giunge a tessere il percorso stesso dell’esperienza e i fruitori diventano compagni di strada di quel percorso, partecipando razionalmente al divenire nella concreta esperienza operativa che ogni qual volta si osservi, ripropone il suo itinerario. Il concetto di ricerca diviene lo strumento determinante e lo stesso ricercatore ne fa parte come presenza vivente, al tempo stesso l’indagine strutturale non può arrestarsi a nessuna ipotesi considerandola definitiva. Il Collettivo punta dunque ad un rovesciamento proprio nell’ambito di quelle tecniche di comunicazione visiva che tendono a essere utilizzate dal sistema come condizionamento dei comportamenti attraverso le immagini proposte, annullandone meccanismi di formazione e giustificazione e pur non intervenendo nel processo di accumulazione del plus valore, il fare artistico diviene una contraddizione delle contraddizione.


Ugo Barlozzetti, Firenze, 1972


Il Moro-Archivio arti visive-Firenze/Ricerca

Nel maggio 1995 lo “Studio d’Arte Il Moro” chiude il suo spazio espositivo e Mauro Bini con Nadia Benelli,Pier Paolo Castellucci e Federico Napoli, danno vita a “Il Moro Archivio Arti Visive” che costituirà una raccolta di documenti originali ( cataloghi, giornali, riviste ecc.) relativi ad artisti particolarmente significativi nella ricerca sull’arte contemporanea a Firenze.

Viene pubblicato un bollettino trimestrale dal titolo: “Firenze /Ricerca –Arti Visive- documenti ed esperienze dal dopoguerra ad oggi”che contiene anche biografie (tre per numero) accurate ed aggiornate di artisti fiorentini.

Aderiscono all’Archivio circa settanta artisti scelti tra quelli che si sono distinti per il loro rapporto tra produzione artistica ,vissuto e impegno civile ,offrendo una preziosa quanto rara lezione di attualità nella ricerca dei valori artistici contemporanei nel difficile ,scettico,ambiente fiorentino , sono tra gli altri : Vinicio Berti, Gualtiero Nativi, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci, Luciano Ori, Giuseppe Chiari, Walter Fusi, Liberia Pini, Alberto Gallingani, Paolo Masi, Riccardo Guarneri, Vittorio Tolu, Piero Viti, Ivano Vitali, oltre ai nomi già citati in altre parti dei presenti appunti.

L’Archivio inoltre promuove anche manifestazioni ed organizza mostra come : la mostra rievocativa “Nascita di una Morfologia Costruttiva-Firenze 1973-Storia e Presenze”, presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ,febbraio-marzo 1999 .

La Mostra “Documenti d’oggi dell’Astrattismo a Firenze” Castello di Poppiano (Montespertoli) ,aprile 2000 Nei primi mesi del 2000 l’Archivio , diretto ora da Mauro Bini coadiuvato da Nadia Benelli raggruppa tredici artisti astratti fiorentini: Nadia Benelli, Mauro Bini, Franco Bulletti, Emilio Carvelli, Desireau, Paolo Favi, Natale Filannino,Piero Gensini, Fabrizio Gori, Marcello Guasti,Bruno Pecchioli, Gabriele Perugini, Franco Rosselli. Il critico Giorgio di Genova è interessato a questo raggruppamento tanto che scriverà un saggio approfondito sull’operato di questi artisti che l’autore intitola : “Per una Classicità Moderna – l’altra faccia del Rinascimento”, titolo che diviene anche quello della mostra, organizzata nel dicembre del 2002, presso il “Museo delle Generazioni italiane del ‘900” a Pieve di Cento (Bologna)

Nel febbraio 2007 viene allestita presso “le Antiche Stanze di S.Caterina” su invito dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Prato ,la mostra aggiornata : “Per una Classicità moderna –l’altra faccia del Rinascimento”,nella quale espongono gli stessi artisti della mostra di Pieve di Cento. Il Bollettino di Informazione dell’Archivio “Il Moro” è attualmente pubblicato in due numeri unici on line prodotto dalla Rete Civica Comunale di Firenze.