Braque Georges

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Georges Braque

Georges Braque,pittore e scultore francese, è stato uno degli artisti più importanti e influenti della storia dell'arte dall'inizio del '900 fino al 1950. Nei primi anni di attività, Braque si caratterizza per il grande entusiasmo e la contemporanea voglia di sperimentare che lo porteranno, ben presto, a cimentarsi con le tendenze più all'avanguardia, come accade, ad esempio, con la pittura fauve. Successivamente, il legame di amicizia e la comunanza di interessi con Picasso costituiranno la base per un importante e reciproco rapporto di collaborazione, dal cui sodalizio artistico (1908-09), scaturisce il cubismo, uno dei movimenti cruciali del '900. Eppure le due personalità sono molto differenti e le loro opere, anche quelle che più si imparentano reciprocamente, lo dimostrano: istintivo, irruente Picasso, quanto Braque è riflessivo, calmo, moderato quasi contrapponendo le due diverse ascendenze etniche, spagnola, anzi andalusa (quindi profondamente meridionale) l’una, francese l’altra.


Biografia

Georges Braque (Argenteuil, 13 maggio 1882 – Parigi, 31 agosto 1963), passa l'infanzia e la prima giovinezza a Le Havre, dove segue con attenzione il lavoro di decoratore del padre, dal quale apprende l’importanza di quella tecnica che sarà sempre presente nella sua attività artistica. Dal 1897 al 1899 frequenta i corsi serali alla Scuola di Belle Arti; quindi si reca a Parigi, dove è apprendista presso un maestro decoratore ed ottiene l'abilitazione nel 1901. I suoi primi anni di attività artistica sono caratterizzati dalla frequenza dell’Academie Humbert, dove incontra personalità di spicco come Marie Laurencin e Francis Picabia. A partire dal 1904 Braque si dedica esclusivamente alla pittura: fortemente interessato, soprattutto, alle opere di Corot, Renoir, Monet, Van Gogh, Seurat e in misura maggior, di Cézanne, suo principale punto di riferimento, riceve nel 1905 una forte impressione dalla sala “fauve” al Salone D’Autunno. La sua formazione avviene all’ École des Beaux-Arts di Parigi (inverno del 1905-1906) periodo in cui, in seguito all'influenza dell'opera di Henri Matisse, nelle sue opere diviene evidente il superamento dell'impressionismo per una decisa adesione al movimento dei fauves, ricorrendo all'uso di colori brillanti e sfruttando la libertà della composizione: appartengono a questo periodo opere quali Paysage à l'Estaque (1906, Museo dell'Annonciade, Saint-Tropez). Ma in realtà Braque non è un fauves. Si giustifica facilmente perciò la brevità del suo fauvismo e la necessità di trovare qualcosa di più razionalmente organico nella solida costruttività di Cézanne.Il 1907 fu un anno decisivo nella formazione dell'artista che visitò, appunto, la retrospettiva su Paul Cézanne, presentata in occasione del Salon d'Automne e venne in contatto con Picasso impegnato nella realizzazione di Les Demoiselles d'Avignon:un primo incontro dal quale Braque esce turbato, sconcertato, respinto. Da questo momento cominciò a nutrire un considerevole interesse per l'arte primitiva: attraverso il ricorso a volumi geometrici, da un lato, e mediante la riduzione della tavolozza alle uniche tonalità del verde e del bruno, dall’altro, Braque cercò di dare forma e di costruire lo spazio esistente tra i volumi della composizione, rinunciando all'ausilio di artifici quali la prospettiva e il chiaroscuro. Esempio classico di ciò, può essere visto nell’opera Grand Nu (1908, collezione privata, Parigi), nella quale l’artista costruisce l'anatomia con ampie e brevi pennellate che suggeriscono i volumi chiusi in una spessa e nera linea di contorno. Questa particolare tecnica di costruzione geometrica sarà una costante in Braque, dal momento che verrà applicata sia ai paesaggi sia alle nature morte. La sua amicizia-collaborazione con Picasso si fa più stretta e insistente e prende avvio una lunga stagione di lavoro in comune: è la cosiddetta fase del cubismo analitico. A partire dal 1912 inizia, invece, la fase del cubismo sintetico: comincia a recarsi con insistenza a Sorgues, soprattutto con la moglie Marcelle Laprè, sposata in quel anno, ed è proprio a Sorgues che è colto dalla dichiarazione di guerra del 1914; questa circostanza provoca l’interruzione dell’ormai consolidato sodalizio con Picasso, così stretto negli anni precedenti. Braque parte per la guerra dove nel 1915 rimane gravemente ferito (subisce tra l’altro la trapanazione del cranio) e solo nel 1917 potrà riprendere a dipingere. Oramai Braque ha definitivamente ultimato la sua maturazione e la sua personalità si afferma in maniera decisa. I particolari della sua vita dopo gli incontri con Laurens e Gris, hanno importanza trascurabile. Durante l’occupazione nazista della Francia resta costantemente a Parigi, eccezion fatta per un breve periodo passato ne 1940 a Limousin e nei Pirenei. Nel 1945 viene colpito da una grave malattia che lo costringe all’inattività per diversi mesi. Finalmente nel giugno del 1947 ha luogo la prima esposizione presso Maeght, suo nuovo mercante. E’ un periodo cruciale nella sua carriera artistica: l’anno successivo gli viene infatti attribuito il grande premio della Biennale di Venezia; tra il 1952-53 realizza la decorazione del soffitto al Louvre ma proprio in questi anni di grande splendore cade nuovamente malato. Nel 1958 ha luogo un ampia personale alla Biennale di Venezia e un'altra esposizione nel Palazzo Barberini a Roma. Georges Braque muore il 31 Agosto 1963 a Parigi quando era già unanimemente considerato uno dei maggiori protagonisti dell’arte del nostro secolo.


Poetica

Una nuova poetica che svela l’inesauribile molteplicità del reale come appare nella trama del tempo interiore

Quando nel 1914 la mobilitazione generale in Francia lo sottrae temporaneamente all’attività artistica, Braque ha da poco passato i trent’anni: gode già di stimata rinomanza; è sul punto di superare con contributi anche più personali le proposte della concorrenza cubista, alla cui formazione aveva collaborato mediante apporti consapevoli e qualificati.

La sua storia, fino a questo momento, non è stata una vicenda di effimere e slegate sperimentazioni, bensì ha proprio registrato una progressiva conquista dello stile attraverso prove sempre peculiari in cui si affrontava, di volta in volta, un problema diverso ma collegato, comunque proliferante. E’ vero, intorno al 1911, durante il periodo di più stretta comunione con Picasso, quando si vedevano regolarmente ogni sera per confrontare e discutere i quadri eseguiti nella giornata, privi di alcune pretensione o vanità personali, tanto che li firmavano sul retro, Braque ammette che il loro lavoro era una sorta di laboratorio di ricerca. Ciò durò, tuttavia, ben poco ed assai presto ognuno seguì per conto proprio la strada che gli era segnata. Ed è anche vero che tra il ’22 e il ’27 esegue alcune figure monumentali -le Canefore- di pretto carattere classicheggiante, non diversamente da Picasso che, press’a poco nella medesima epoca, impiegò tuttavia con minore solennità, uno schema antropomorfo analogo. Eppure, in effetti, Braque non ha mai rotto con ciò che egli aveva appreso attraverso l’esperienza cubista, e quel senso grave, misurato, cadenzato, rigoroso nel controllare così la partitura della composizione come la componente emozionale, in modo che tra esse vi fosse un equilibrio sostanziale ma dinamico ovvero in tensione, si perpetuerà nel corso degli anni con la identica spontanea intensità. E tale tensione non sorpasserà mai i limiti di un impulso attentamente vagliato e coordinato nelle sue proiezioni interne al complesso dell’immagine. Non si dice nulla di nuovo se si osserva che rispetto all’austerità di Braque, Picasso si distingue per un procedimento di natura espressionista e che tra l’uno e l’altro vi ha una profonda differenza di intenzionalità e, quindi, di soluzione linguistica. Ciò va tenuto presente soprattutto perché, considerati ambedue quali promotori del cubismo, non si confonda la loro particolarità creativa e di metodo anche se apparentemente i loro dipinti non sembrano differenziarsi. Il che significa che Braque, nell’evolvere della sua esperienza, ha sempre introdotto un accento personale: se ne può accettare il peso anche nel breve momento di adesione al fauvismo, quando non eccedette affatto nell’esaltazione cromatica, ma questa in ogni caso seppe governare entro precise misure di sintassi costruttiva. Trovatosi a vivere in un’epoca nella quale si vanno sviluppando grandi rivolgimenti e quasi tutte le credenze vigenti vengono man mano rimesse in causa, Braque non rimase indifferente alle istanze innovatrici e tanto meno ne schivò la partecipazione attiva, soltanto ogni movente sottopose alla verifica del suo spirito razionale e al confronto di un suo fare spontaneo che non era in grado di accettare subordinazioni a formule di qualsivoglia estrazione. Per lui essere un pittore è un fatto naturale, potremmo dire professionale. “Non ho mai avuto l’idea di diventare pittore, -ha confessato- non più di quella di respirare. Di tutta la mia vita non serbo ricordo di alcun atto volontario. Mi piaceva dipingere e lavoravo molto…Se una intenzione ho avuto, essa è stata di soddisfarmi giorno per giorno. E soddisfacendomi è avvenuto che ciò che facevo somigliava ad un quadro: avuta fortuna, ho continuato, ecco tutto.” Anche se vi ha nella sua opera in rigore intellettuale, anche se ha riflettuto sull’arte che faceva, ciò è fatto susseguente mai precedente alla creazione. Di qui la sua grandezza, nella quale si coordina schiettezza immediata e vigile controllo, rispetto del mestiere ed uso perspicace della materia. La sua educazione artigiana non è stata, difficile smentirlo, priva di profitti proprio nel senso che lo ha reso attento e scrupoloso nella tecnica, ed anche nel senso che gli ha fornito stimolazioni particolari, quali quella di mescolare sabbia al colore o di inserire imitazioni illusionistiche di legno e marmo. Ogni sua novità ha sempre però una precisa funzione stilistica, perché viene adottata solo dopo essere stata verificata nella sua rispondenza interna. Ciò resta comprovato, per esempio, dal riscontro della sua adesione alla tecnica “fauve” con i risultati che ne ha ricavato, e che appunto, si differenziano dai moduli più diffusi di quella per una minore carica espressionista, per un più sorvegliato impiego nelle accensioni cromatiche. Si sa, la grande battaglia ingaggiata dall’arte moderna nel secolo presente si pone come meta la soppressione di qualsiasi tonalismo, di qualsiasi pittoricismo naturalistico, di qualsiasi sensibilismo atmosferico, ma ciò ha luogo per gradi, e la conquista dello spazio puro è adempiuta in seguito a vittorie parziali e successive. Per diverso tempo l’evoluzione trova ancora le sue radici nella rappresentazione dello spazio oggettivo, pur con tutte le implicazioni di una visione multipla. Lo spazio-ambiente dei pittori impressionisti, è noto, viene superato da Seurat e poi dai fauves, ma la stessa poetica cubista, che imprime una svolta quanto mai acuta a questo ordine di ricerca, si limita, in definitiva, ad un’analisi dei rapporti intercorrenti fra oggetto e spazio circostante, che saranno presentati pure nel momento del così detto “cubismo sintetico”, dove si ha, senz’altro, una minore designazione realistica. Dapprima intervengono i punti di vista moltiplicati e connessi; quindi essi, da una formulazione ancora volumetrica e, in certo modo, illusionistica, sono rimessi sul piano per sagomature attentamente profilate, così da essere conformi alla bidimensionalità della tela e da creare una spazialità già astratta. L’intervento del colore, poi, che nella prima fase era ancora, nonostante tutto, più che umiliato nella sua disponibilità, articolato su fondamenti tonali, diviene adesso più efficiente, investimento di un ruolo che già i fauves avevano mostrato potergli competere con decisiva pertinenza. Ecco: quando Braque ricorda che il “pittore pensa in forme e colori” afferma una verità indiscutibile, alla quale si è attenuto giorno per giorno. Braque si muove nel clima di cultura promosso da simili concetti, ne condivide le istanze, ne partecipa come collaboratore attivo, ma tutto con riservatezza, senza impegni radicalmente programmatici o rivoluzionari. E’ superfluo ricordare l’influenza di Cézanne sulla poetica cubista, ma giova fare presente che pochi come Braque hanno sviluppato la sua lezione in maniera tanto indipendente e consapevole, proprio riprendendone i motivi dall’interno e istituendo una compagnia strutturata, che si fonda su una dinamica spaziale in quei motivi implicita più di quanto non ne manifestassero gli aspetti concorrenti. Picasso si era proposto di “dipingere le cose come si conoscono, piuttosto che come si vedono”. Braque constata: “le cose in sé non esistono affatto. Esistono esclusivamente per nostro tramite…non si deve solo voler riprodurre le cose. Si deve penetrare in esse, diventare noi la stessa cosa”. Perciò le cose vanno non tanto viste, quanto afferrate. Ed è sotto questo riguardo che si deciderà il rifiuto della prospettiva volgare, dato che, partendo da un unico punto di vista non si ha mai il pieno possesso della cosa. Di qui la penetrazione spaziale, il suo formularsi su base temporale mediante il ritmo e su base sintattica mediante i rilievi volumetrici segnati dalla luce. Per simile ragione vi ha una sorta di monocromia –sottilissime variazioni dall’ocra al grigio- che pervade tutto il quadro appunto come una luce che rivela lo stare delle cose. Quando, poi, nel 1911, inserirà nel contesto del dipinto le lettere, Braque osserverà che esse sono forme nelle quali non c’è nulla da cambiare e le quali, poiché piatte, stanno fuori dello spazio, mentre per effetto della loro presenza gli oggetti che stanno dentro lo spazio possono distinguersi da quelli che ne sono fuori. Tuttavia simile premura posta al problema di una rappresentazione spaziale per via di relazioni plastiche cederà in breve il posto all’interesse per una condotta in cui prevale un tracciato piano, non più una struttura a rilievo e chiaroscuro, ma di forme e colori. La progressione ritmica si sviluppa, adesso, per incastri e sovrapposizioni di sagome. Braque sa benissimo, e l’ha scritto, che il colore, pur essendo indipendente dalla forma e non avendo quindi nulla a che fare con essa, agisce contemporaneamente alla forma stessa. Di già il colore timbrico della pittura fauve riduceva i piani cromatici ad equivalenti spaziali ed ora, fra il ’12 e il ’17, con il così detto “cubismo sintetico”, ogni elemento corporeo perde spessore e diventa una specie di sigla piatta. Di più: laddove prima lo spazio era una sorta di vuoto che conteneva gli oggetti, adesso agisce quale campo di relazioni e di tensioni. Il discorso sulla funzione delle lettere appare così superato e Braque si accinge ad emanciparsi con qualità proprie ed inconfondibili. Fino ad ora egli ha lasciato opere di sicuro prestigio e certe nature morte del 1913-14 sono da annoverarsi fra le più notevoli dell’epoca. Ma è intorno al 1918 che la sua personalità emerge con caratteristiche incomparabili, non trasmissibili o adattabili. Non vi può essere dubbio che le prove e le teorie della visione cubista hanno impresso un profondo mutamento all’arte del secolo e che, fatti consapevoli dell’inadempienza dei concetti allora vigenti rispetto alla realtà effettiva della situazione, si rendeva indispensabile predisporre un modo nuovo per entrare in rapporto con questa realtà, tale che ne penetrasse la sostanza e non solo si desse a interpretarla. Simile atteggiamento mentale e creativo forma tutta una corrente di cultura ed in essa spuntano alcune rare figure che di questo indirizzo sono i veri assertori ed i veri poeti. Braque ne è uno dei massimi. Riferire, ora, in tutti i dettagli, la stragrande ricchezza di soluzioni e di proposte che Braque ha svolto nel corso della sua esperienza richiederebbe discorso assai più lungo di quanto non sia qui consentito. Importante è per altro far notare prima di tutto che, mentre altri furono teorizzatori piuttosto che pittori, Braque, pur riflettendo sul suo lavoro e testimoniando spesso dei suoi pensieri, non restò che un artista nel significato più puro e semplice del termine. Persino il suo infallibile razionalismo finisce incorporato in un fervore emotivo, che, per quanto controllato e quasi schivato, aggiunge non di meno tensione al contesto compositivo. Lo spazio, questa sua costante dimensione in cui realizzarsi assieme agli oggetti che lo abitano, diventa sempre più vibrante per l’accresciuta frequenza delle cadenze. Se prima la composizione si radunava al centro del quadro, e da qui irradiava segmenti spaziali, lasciando non poco margine libero nelle parti laterali, in breve essa si dispone ad occupare tutta la superficie della tela e si istituisce come struttura continua. La leggibilità dei pretesti desunti dalla realtà normale è sempre rispettata, ma chi vi si affidi per comprendere l’altra realtà che emana dal quadro, si impedirà qualsiasi possibilità di rendersi conto dello spirito che ha dato vita a questi ineguagliabili complessi. Da quando, nel 1918, ha dato inizio alla serie di nature morte su tavolo rotondo –tema proseguito fino al 1940- al 1931 quando ultimerà la serie di caminetti cominciata nel 1922, con la parentesi delle figure monumentali chiusa nel 1927, dal 1929 che inaugura la serie della spiagge e dal 1939 che apre quella degli studi, terminata nel 1956, giù giù fino al 1944 che dà principio a quella del biliardo e fino ad oltre il 1956 con gli uccelli a volo spiegato, non vi ha che un ininterrotto planare sugli spartiti spaziali alla ricerca di un equilibrio armonioso, ma labile quel tanto che basta per dare un senso di tensione sospesa e fluttuante, lì per lì per spezzare qualsiasi resistenza. Piani, colori, linee, arabeschi, sequenze, tutto coesiste in una densità di ritmi e di scambi, in una concentrazione di alternanze che rivela la misura umana cui gli oggetti appartengono, pur senza dimissionare la loro destinazione ad un cosmo che si estende dall’idea alla poesia. L’intuizione mentale di Braque inquadra tutta la superficie della tela e gli oggetti si attraggono l’un l’altro fino ad incastrarsi nel gioco dei profili arabescati come in una rete che li lascia definiti in tutte le loro implicanze e pur ben saldati da una unità sincronica. Il ritmo ondulato del suo grafismo può anche librarsi con effetti imperativi, ma non è mai edonistico, decorativo, fortuito; promana bensì dalla stimolazione esercitata dagli oggetti stessi, di cui l’artista usa i motivi plastici e pittorici. L’energia cattivante delle sue opere scaturisce così proprio dalla trasformazione organica subita dai prestiti esterni –e si dice non solo delle cose, ma anche delle materie- in un ordine favoloso. Sia nei dipinti che nelle sculture e nelle incisioni, si riscontra sempre qualcosa di lucido, di fermo, di esatto, qualcosa che è inerente alla sostanza della realtà immersa in uno spazio riflettente dove il sentimento creativo decide dei momenti atti a rinnovare la scoperta del mondo in cui siamo. Per lui, secondo le parole di Paulhan, l’arte è, alla base, allusione misteriosa e cosa mentale. Fosse soltanto quest’ultima, le sue opere sarebbero esplicazioni teoriche, come avvenne nel caso di molti cubisti. Fosse soltanto allusione misteriosa, i risultati difficilmente perderebbero un loro carattere equivoco, arbitrario, magari estemporaneo. Ogni quadro di Braque si presenta invece come qualcosa di assolutamente compiuto, di impeccabile e immodificabile, dove lo stato di quiete è uno stato di necessità che tutto avvolge. La grandezza di Braque, quale si esterna attraverso i suoi cicli creativi a continuo scambio produttivo, va fissata così nella dimensione di uno spirito che si è realizzato guardando l’arte alla stessa stregua che si guarda la natura ovvero per penetrarla, per viverci dentro, per salire con essa a livello di coscienza, e non certo per imitarla o farsene un modello. La sua importanza culturale è rilevantissima per ciò che concerne la conquista di una nuova spazialità, per ciò che ha insegnato con il suo esempio –si ricordino qui anche icollages-, per la scossa che ha inferto ai concetti tradizionali smantellando tante vane abitudini, per la sapienza del suo mestiere. Ben maggiore è per altro la sua autorità nell’aver saputo storicizzare talune indilazionabili istanze mediante la forza spontanea e conciliante della fantasia. Egli ha in verità allargato i confini dello sguardo umano ed ha rinnovato la visione del mondo facendone percepire l’inesauribile molteplicità dei momenti costitutivi nella trama del tempo interiore.