Cheap, Fast and Out of Control

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Autore : Timothy Druckrey

Tratto da: http://adaweb.walkerart.org/context/reflex/

Titolo Originale: Cheap, Fast and Out of Control

Anno: 1988


A buon mercato, veloce e fuori controllo

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Lewis Mumford



“Non c'è mai stato un progetto per delegittimare la pratica culturale che non si fosse tramutato subito, o poco dopo, in uno strumento di legittimazione. La consapevolezza ampiamente disseminata di questa legittimità illimitata ha eroso l'astuzia dell'opposizione. La morte dell'avanguardia potrebbe quindi essere il sintomo più visibile di un certo malessere della dialettica, una delegittimazione generale della delegittimazione. Si potrebbe chiamarla una crisi se non fosse per il fatto che annuncia una fine delle teorie di crisi dell'arte. L'urgenza della crisi dell'avanguardia si è ripetuta così spesso, con tale intensità e così poco nel senso del vero e proprio cataclisma, che ha consumato se stessa. Adesso siamo abituati alla retorica e all'esposizione delle crisi.

Anche se gli anni 70 80 e 90 hanno dimostrato in modo persuasivo che il commodfication, il deconstruction e l’ingegneria del dissenso non sono dissociate dal mercato delle idee, la persistenza di un inutile e forse complice neo-avant-garde ci suggerisce che le lezioni della teoria e dell’economia del mondo artistico non sono state realmente imparate, ugualmente si rovesciano come un onda anomala attraverso i mezzi elettronici. Infatti, la politica della sovversione come intervento e l'estetica della promozione sono divisi da un confine poco delineato che viene ad essere attraversato più frequentemente di quanto si dica. Infatti, si potrebbe suggerire che un'estetica della sovversione abbia oscurato il fascino senza speranza della modernità con avanguardismo e ora si è convertito in un gioco di realizzazione dell'ego giocato sulla scena delle identità inventate, illusorie, rubate o "cibernizzate", una sorta di trionf del "Data Dandy", il dandy dei dati, la cui presenza è stata espressa chiaramente nel saggio Adilkno: "Il dandy dei dati emerge nello spazio vuoto della politica che è stato lasciato dopo che la cultura opposizionale si è neutralizzata in una sintesi dialettica con il sistema. Lì, lui si rivela come amorevole così come faso opponente, contro la grande collera dei politici che considerano il loro giovane pragmatico "dandyismo" come uno strumento di pubblicità e non necessariamente come obiettivo personale. Danno sfogo alla loro rabbia sui giornalisti, esperti e personalità che costruiscono l'occasione gettata sul pavimento dello studio, dove chi controlla la direzione è l'unico argomento di conversazione... Il dandy misura la bellezza della sua apparenza virtuale con l'indignazione morale e la risata dei civili collegati all'apparecchio. É un carattere naturale dell'aristocratico da salotto godere dello shock dell'artificiale." Argomenti correlati sono emersi dagli scritti di "The Critical Art Ensemble", l'Insieme dell'Arte Critica (in particolare "The Electronic Disturbance", il Disordine Elettronico). Scardinando le finzioni dell'autorità, essi scrivono in modo convincente a proposito di rompere la "dottrina essenzialista" del testo mentre i loro interventi (alcuni potrebbero parlare di esibizioni) nei sacrosanti territori dell'autorità rappresentano una provocazione diretta sia alle tradizioni consumate della politica culturale della sfera pubblica che al dover affrontare le implicazioni acceleranti delle tecnologie per una generazione inebriata di virtualizzazione. A proposito delle tendenze reazionarie o regressive loro scrivono: "I lavoratori culturali recentemente stanno diventando sempre più attratti dalla tecnologia come un mezzo per esaminare l'ordine simbolico... Non è semplicemente perchè molto del lavoro tende ad avere un elemento "gee whiz" in esso, riducendolo ad una dimostrazione di prodotto offrendo tecnologia come un termine in se stesso; neppure perchè la tecnologia è spesso utilizzata principalmente come un accessorio di design per la moda postmoderna per questi usi che ci si aspetta... Piuttosto, un assenza si sente in modo più acuto quando la tecnologia viene utilizzata per uno scopo intelligente. La tecnologia elettronica non ha attratto i lavoratori culturali resistenti di altri fusi orari, situazioni o persino bunker usati per esprimere le stesse narrative e domande solitamente esaminate nell'arte attivista". Le sfere dell'attivismo non sono guidate da ingenuità insidiosa, ma da opposizone chiaramente delineata. Non sono neppure sostenute da ego incogniti mascherati dietro intenzionalità imperiosa e ambigua. In breve, l'attivismo riguarda la visibilità e non il sotterfugio. Questa lezione sembra essere difficilmente compresa dai aspiranti hackers la cui traccia potrebbe rivelarsi non rintracciabile ma che, comunque (e in completa non-curanza dell'integrità dell'hacker) lasciano prove contraffatte per certificare o pubblicizzare le loro intrusioni. Meno politica che narcisismo pieno di soddisfazione maligna, questo comportamento sembra troppo sintomatico del furfantesco (è questo di moda?) fascino della criminalità dissoluta in Natural Born Killers, Trainspotting, Gangsta Rap, o forse i più recenti imperativi patetici rivelati in Fast, Cheap and Out of Control. È anche difficile ignorare la presa di posizione noiosa, ma in questo caso utile, di Peter Sloterdijk nella "Critique of Cynical Reason"/Critica della Ragione Cinica. Nell'introduzione Andreas Huyssen pone una serie di domande che emergono dal lavoro di rimeditazione di Sloterdijk: "Che forze abbiamo a disposizione contro il potere della ragione strumentale e contro il ragionare cinico del potere istituzionale?... Come possiamo ricollocare i problemi della critica dell'ideologia e soggettività, senza cascare nè nell'ego corazzato del soggetto epistemologico di Kant, nè nella schizo-soggettività senza identità, il flusso libero delle energie libidiche proposte da Deleuze e Guattari? Come può la memoria storica aiutarci a resistere alla diffusione dell'amnesia cinica che genera il simulacro della cultura postmoderna?..." Ma la discussione di Sloterdijk è molto più pertinente: "Il cinismo è coscienza falsa illuminata. È quella coscienza modernizzata, infelice, sulla quale l'illuminismo ha operato sia con successo che senza successo. Ha imparato le sue lezioni nell'illuminismo, ma non lo ha messo in pratica, e probabilmente non era in grado di farlo. Benestante e miserabile al tempo stesso, questa coscienza non si sente più toccata da nessuna critica di ideologia; la sua falsità è già tamponata." "Il cinismo," egli dice nel capitolo intitolato "Alla Ricerca della Sfacciataggine Perduta" , "punge sotto la monotonia". Mentre invoca un'etica illuminista, la peana di Sloterdijk sulle moralità e la tradizione tuttavia si pone come una forma di diagnosi del discorso scomodo delle prese di posizione moderne e postmoderne. Teorizzate in così tanti modi, le questioni che sembrano più pertinenti nella continua (e ora forse datata) opposizione si occupano per lo più di un soggetto radicalmente alterato – uno non puramente alla fine della recezione dell'autorità. Ma la gerarchia invertita del soggetto/autorità è erronea. E con l'intervento dei media elettronici (con, tra le molte altre cose, la sua riconcettualizzazione sia della soggettività che dell'identità), l'argomento è spesso venuto meno nelle sociologie virtualizzate delle nozioni tristemente presunte dell'auto-trasgredito dalla "vita sullo schermo". Questa, per usare il termine di Huyssen "schizo-soggettività", viene meno nelle categorie ri-essenzializzate non riuscendo a capire la differenza tra identità e soggettività, non meno tra il sè e il suo altro aneddotico. Questa dissociazione sorprendente conduce alla possibilità di un'etica digitale effimera la cui ingenuità sprezzante sembra più noncurante che sovversiva, più pessimista che produttiva. Ma le oscillazioni tra il sè e l'altro suggeriscono anche il rifiuto delle questioni psicologiche conseguenti, profondamente influenzate dallo sviluppo della tecnologia elettronica e della sua storia. È qui che la distinzione tra schizofrenia e "schizosoggettività" può essere considerata in termini di comportamento. Mentre ci sono pochi dubbi che la nozione unificata di soggettività è crollata nelle gerarchie della modernità. Ciò che è emerso sono identità frammentate non salvate nel nazionalismo politico, alterità torbida basata sul testo, o nell'abbandono della soggettività e l'accetazione delle nozioni dubbie sull'azione e la sua relazione con gli avatar. Questa sorta di rifiuto torpido (forse sublimazione), ben articolato nei recenti scritti di Slavoj Zizek (e in particolare nel capitolo "Ciberspazio, o, l'Insopportablie Chiusura dell'Essere", nel testo appena pubblicato La Piaga delle Fantasie e in Divertiti con il Tuo Sintomo), è articolato in strategie fraudolenti, ingannevoli, o preventive che servono solo come ulteriore discredito della politica della sovversione. "Insistere su una falsa maschera," egli scrive "ci porta più vicino ad una posizione soggettiva vera, autentica rispetto al gettare la maschera e mostrare la nostra 'vera faccia'... una maschera non è mai semplicemente 'solo una maschera' poichè determina il posto effettivo che noi occupiamo nel network simbolico intersoggettivo. Indossare una maschera effettivamente ci rende ciò che fingiamo di essere... la sola autenticità a nostra disposizione è quella della personificazione, del 'prendere il nostro atto (atteggiamento) seriamente." Questa posizione fondamentale non può essere resa banale da percezioni fasulle o estetica fuorilegge. Esteso alla sfera pubblica, non c'è nulla di peggio o più rilevante nella cybercultura, che un ipocrita rivoluzionario la cui relazione anche con opposizione deve essere inventata. Brecht scrisse molto sul "rifunzionamento", trasferendo l'autorità del materiale ancora esistente per esporre le sue ideologie. Sicuramente questa mimica politica, unita all'estetica leggermente ambigua e irrimediabilmente liberatoria di Benjamin, ben si inserisce nella traiettoria dell'arte – da Dada alla Pop, alla Post-moderna – razionalizzando varie forme di riproducibilità, ripetizione e appropriazione come approcci legittimi che erano sia riflessivi che creativi. Ma queste strategie si radicavano in una forma di consumo 'critico' che maldestramente persiste nella cultura elettronica. Non ci sono dubbi che queste strategie si sono mutate in tecniche taglia-incolla (non meno di identità taglia-incolla) di fin troppi artisti coinvolti nei media. Molte poche di queste tecniche sono confronti il cui intento parodico o satirico distanzia o demolisce le sue fonti. Lo scopo della parodia non è rimozione? Ma la debolezza, e il triste pervadere di una posizione altezzosa fa poco per suggerire che il cambiamento nelle fragili tecnologie della comunicazione digitale aumentano la posta molto più che nozioni consunte di creatività che si renderanno perpetue evolvendo il loro stesso sviluppo. Niente può essere meno interessante in un epoca di sistemi operanti monolitici, estetica di algoritmi, e di politica della virtualizzazione che un collocarsi inconcludente, vuoto, e alla fine egoista da parte dell'artista come sovversivo sfortunato o, peggio, del sovversivo come artista sfortunato. In effetti, il collegamento tra anonimità di culto e presenza sovversiva mi colpisce come tentativo commiserabile di sostenere nozioni vagamente modernistiche della soggettività dietro il velo elettronico dell'identità decostruita – o meglio destabilizzata - o forse, più pateticamente, di celebrità auto-nominate.