Cornelia Sollfrank interviewed by Florian Cramer

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Cornelia Sollfrank

Autore:

Cornelia Sollfrank

Tratto da:

Titolo Originale:

Hacking the art operating system

Traduzione di:

Giovanni Torrese

Anno:

2006

Cornelia Sollfrank intervistata da Florian Cramer, 28 dicembre 2001, durante il congresso annuale del Chaos Computer Club (German Hacker's Club) a Berlino.


FC: Ho delle domande su varie tematiche abbastanza complesse che nel tuo lavoro sembrano continuamente rimandarsi l'una un l'altra: hacking and art, computer generated, o più specificamente, generative art, cyberfeminism [il cyberfemminismo] o su interrogativi sollevati dal tuo nuovo lavoro intitolato “Improvised Tele-vision”. E naturalmente il tema complesso del plagio e dell’appropriazione – così come pure quello che può essere visto come appendice a questa ovvero, art and code, code art e code aesthetics.

CS: Certamente code art e code aesthetics sono temi più tuoi che miei. Credo che in tal caso dovrei essere io a farti delle domande. (Risata)

FC: … no, mi riferisco specificamente alle dichiarazione che tu hai rilasciato, per esempio nella intervista per Telepolis a 0100101110111001.org, che ho giudicato eccellente per i toni pacati ed un certo scetticismo. Se quelli sono comunque realmente i miei temi, allora troveremo un modo per trattarli fuori dall'intervista.

CS: No, no. Non intendevo dire questo. Anzi il contrario. Tuttavia è proprio questo che rende interessante e difficile le relazioni tra questi temi complessi di cui mi capita spesso di discutere. Molte cose sembrano procedere in parallelo, o meglio, uno si concentra su uno specifico argomento per un certo periodo di tempo, poi ritorna indietro a qualche cos’altro. Mantenere l’attenzione su come queste varie attività si collegano fra di loro non è facile.

FC: Quando osservo il tuo lavoro, noto che da una parte sei un’importante artista delle rete dall’altra – cosa che tuttavia sembra collegata strettamente a questa - è che lavori come giornalista critico per altri, tra cui Telepolis, e scrivi frequentemente a proposito della cultura degli hacker: per esempio, hai scritto del congresso italiano degli hacker ed intervistato il portavoce del Chaos-Computer-Club Andy Müller-Maguhn a proposito della Cybercrime Convention. E’ corretto che io pensi che quando scrivi dell’hacking, mantieni sempre un interesse estetico per la net art, e viceversa, quando tu scrivi della net art, tu cerchi di scoprire in che misura si sta uniformando al computer hacking?

CS: Io mi sento prima di tutto un’artista, e quello è il mio punto di partenza per tutto; essere un’artista mi dà la motivazione per assumere altri ruoli. Essere una giornalista non è importante in sé per sé quanto piuttosto per raggiungere uno scopo, perché come giornalista posso ottenere informazioni che come artista non otterrei. Vuol dire questo, io strumentalizzo questo ruolo, come ho fatto all’ars electronica 2001. Là il tema era “Takeover” e io fui invitata a partecipare al panel Female Takeover. Feci per Telepolis un'intervista con il maggior rappresentante dell’ ars electronica, Gerfried Stocker, che mi aiutò a capire che cosa ne pensava in proposito - e come questo vago concetto avesse avuto origine. Ecco perché il giornalismo e l’indagine accurata sono gli strumenti di base della mia arte. Il mio prodotto, non so se dovrei definirlo cosi, è in ultima analisi artistico, o se preferisci, estetico.

FC: Tu scrivi nella conclusione della tua recensione su ars electronica: "forse l'arte non ha nemmeno bisogno dell’ars electronica". Devo aggiungere che mi sono infervorato per quella osservazione. (Risata)

CS: Ma forse è così! "Forse" è ciò che è scritto e che voleva significare.(Risata)

FC: Il motto dell'evento non suggerisce che l'arte desidera appropriarsi della tecnologia, piuttosto il contrario, che i tecnici desiderano controllare l'arte e rendere gli artisti superflui.

CS: Io ho visto, in quella occasione, un altro “Takeover”. Stocker definì “Takeover” l’operare da parte dell’uomo nel libero mercato come atto di appropriazione virtuale dell’arte. Per questo motivo egli è più creativo dell’artista. Il suo concetto d’arte gira intorno al significato di creatività; se non c’è creatività non c’è arte, null’altro può definirla in alternativa a questa. (Citando qui il nostro buon collega Merz, la creatività si trasforma in qualcosa per i parrucchieri!) Sicuramente, la tesi di Stocker è una provocazione per agli artisti – osservando per una volta noi stessi, ché mazzo di merde noiose siamo in confronto ai calmi e rilassati ed eccellenti ragazzini che nelle aziende producono delle cose incredibili. Ma persino questo può essere interpretato in vari modi. Si potrebbe considerare un’ampia gamma di “Takeovers”, come quando abbiamo discusso e ci siamo impegnati sul tema “Female Takeover”. A proposito, un risultato del nostro gruppo è stato che il futuro dell’ ars electronica potrebbe essere “women only” ars electronica.

FC : Ritornando al tema della definizione dei contesti, quali arte e non arte, arte e hacking, mi sono imbattuto nella questione leggendo il tuo articolo sulla hacker conference tenutasi in Italia dove il dominio dell’arte è distinto da quello dell’hacking. Anche se in Italia questa distinzione sta divenendo sempre meno rigorosa. Questo sembra essere il risultato di una osservazione sociologica e non il risultato di una tesi che si voglia supportare o concretizzare. Pertanto ritieni che l’hacking sia una forma d’arte o in qualche modo che abbia a che fare con quest’ultima ?

CS: Entrambe. Per quanto le teorie sociologiche sull’arte e l’hacking continuino a proliferare, sono giunta ad una convinzione negli ultimi quattro, cinque anni del mio coinvolgimento nell’hacking, che l’hacking possiede una connotazione nazionale… (Risata). Per questo motivo è interessante visitare altri paesi e in particolare l’Italia dove il sottile timore del contatto tra artisti attivisti e filosofi sembra non sussistere. Essi coesistono naturalmente, dialogando e creando un codice linguistico comune (Risata), cosa atipica se si considera la mia esperienza in Germania. Come membro donna del Chaos Computer Club, ho sperimentato i peggiori preconcetti, accuse, e abusi verbali della mia vita (sfortunatamente).

FC: Riferendosi all’espressione “artista donna” del Chaos Computer Club, che cosa intendi enfatizzare l’essere “artista” o l’essere “donna”?

CS: Entrambe. In riferimento alla questione di genere c’e una franchezza di base. Quando ci si occupa degli stessi temi nello stesso modo e si parla lo stesso linguaggio, la distinzione di genere costituisce un ostacolo in meno da superare (Risata). Dal momento che ciò avviene sempre più raramente allora diventa un caso. Il più grande problema è in ogni modo il concetto di arte. Ed è questo che mi lascia attonita. Stavo conversando piacevolmente con un membro del Chaos Computer Club e mi chiese cosa facessi. Quando replicai “sono un’artista” ne sortì una rauca replica: “Odio gli artisti”, e ciò mi fece pensare, oh, .che peccato! Di solito questa espressione mette immediatamente fine a qualsiasi conversazione. Di fatti ebbi una certa difficoltà a trovare argomenti di conversazione alternativi, o trovare un ragione valida per continuare la conversazione e fare altre domande. Questo episodio ha senza dubbi chiarito il fatto che gli hackers si giudicano degli artisti – per di più i soli artisti genuini - mentre tutti gli altri sono degli idioti perché ritenuti non in possesso della chiave di accesso (Risata). Ciononostante una connessione con l’arte è venuta fuori dai giorni formativi al Chaos Computer Club. Per esempio ad Biesfield, dove padeluun e Rena Tangens si proposero come artisti e galleristi attivi - sebbene essi fossero ugualmente amati solo a metà furono coccolati dai membri del CCC.

FC: Felix Von Leiter, per esempio uno degli esperti di computer più dotati del CCC, si divertiva a colpire padeluun…

CS: Nel CCC Tedesco questo ha molto a che vedere con la persona di padeluun – che molti non sopportano. Egli incarna il consumato e comune concetto dell’arte che senza dubbio è destinato a scomparire.

FC: Non si tratta di un problema forse di definizione dell’arte? Poiché a partire dalla metà del XVIII secolo, e al tardo romanticismo, appartengono la definizione dell’arte intesa come concreta capacità produttiva = “ars” piuttosto che come genialità e visione estetica. Se si considera l’hacking come una forma d’arte ciò significa che si pensa all’arte riconducendola al vecchia definizione dell’ “ars”.

CS: Ciò è determinato dal fatto che tale è la definizione dell’arte nel pensiero collettivo. Per me l’arte ha poco a che vedere con il concetto di abilità, perché attualmente una sola persona non ha le capacità di realizzare un’opera rilevante, piuttosto ciò può essere il risultato dell’operare di più menti. L’operato dell’hacker è proprio il prodotto di un lavoro di team. Comunque à davvero difficile entrare a far parte del German hacker culture avendo bene in mente questa idea. Tu forse non conosci il lavoro che io ho svolto con le donne hackers?

FC: Conosco l’intervista che hai fatto con un esponente femminile del Chaos Computer Congress del 1999.

CS: … Clara SOpht

FC:… giusto. E state lavorando a una ricca documentazione video su questo tema!

CS: Sto realizzando una serie in cinque parti. Grazie alla mia esperienza come membro del CCC ho limitato la mia ricerca e cercato donne che si giudicassero delle hackers. Basandomi su numerose mailing lists e newsgroups, ho fatto domande ad un considerevole numero di esperti. Bruce Sterling, per esempio, scrittore di un testo erudito quale "Hacker Cracker", considerato un esperto in America, o il cacciatore americano di hackers Gail Thackeray uno dei fondatori dell’unità “Computer Crime” in America. Essi sono dei veri specialisti e conoscono la situazione molto bene e tutti confermano che donne esperte in questo ambito non ce ne sono. Questo è stato per me davvero deprimente. Nelle mie fantasie, immaginavo l’esistenza di donne coraggiose, completamente folli, esotiche, anarchiche e pericolose, coraggiose abbastanza da volere oltrepassare il limite ed infrangere le convenzioni, psicopatiche con tendenze criminali, politicamente attive, e artisticamente ancor di più: ma era solo un prodotto della mia fantasia. Quando il mio modus operandi divenne da giornalistico ad artistico promisi a me stessa di tentare di ridisegnare la piatta realtà. Per tale motivo intervistai Clara SOpht per esempio, personaggio che in realtà non esiste (Risata). Inventai il prototipo di hacker donna.

FC: Ora capisco! (Risata) Grandioso!

CS: I video che sono scaturiti da questo processo li ho mostrati in art scene, dove “affondarono”[dove catturarono molta attenzione] veramente bene, sono stati oggetto di obiezione per la loro dubbia riconduzione alla forma artistica. Per tal motivo ho poi rivelato che il prototipo di donna hacker delineato non esisteva o per lo meno non esisteva ANCORA. Ciononostante avevo preferito delinearlo in ambito hacker. In occasione della CCC presentai l’intervista a Clara Sopht. L’intervista fu un discreto successo, anche per un considerevole gruppo di uomini, i quali dopo avervi partecipato accuratamente mi attaccarono per aver insufficientemente tutelato la privacy di Clara Sopht, perché l’intervistata non aveva mancato di sottolineare la necessità di mantenere un certo riserbo sui particolari personali confidati. Al termine dell’evento rivelai casualmente che la donna descritta non esisteva e che era stato il frutto della mia immaginazione. La gente ne fu esterrefatta. Inconsapevolmente avevano “esperienzato” l’arte, un’arte che li aveva raggiunti, presentandosi al loro congresso e parlato nella loro lingua. Lo trovai divertente. Le piccole dosi di “pedagogia” sortite possono contribuire senza dubbio allo sviluppo del progetto della CCC.

FC: Così sei divenuta tu stessa un hacker, ma in modo differente partendo dai codici informatici. Hai fatto “hacking sociale”.

CS: Esattamente - la mia opera preferita riguarda il sito dell’Hacker Club, the “Lost and Found” Page, che amo analizzare dopo ogni congresso. Trovai avvincente il discorso sulle conquiste e le mancanze degli hacker. E poi cambiai idea. Mentre stavo lavorando al tema delle “donne hackers”, lasciai deliberatamente il soggetto cosicché da poter apparire sulla “Lost and Found” Page e produrre commozione e sconvolgimento. Dopo di ciò, intesi di voler lasciare le cose come solo le donne possono fare. Uno degli oggetti principali fu un dispositivo elettronico che tramite un display e due piccole luci consentiva alle donne di poter calcolare il loro ciclo fertile. Ne trattai l’argomento sulla “Lost and Found” e aggiunsi che ne avevo trovato uno nei bagni delle donne. Cinque Hackers si misero insieme per studiarlo (Risata) e scoprirne l’utilizzo. Questo strano dispositivo divenne il centro delle più animate discussioni fino ad occupare la pagina del “Lost and Found” con una grande foto. Questo è la testimonianza della mia opera come hacker per la CCC, ma ritorniamo alla questione di lasciare le chiavi d’accesso all’hacker donna e al tema dell’inesistenza di questa figura.

FC: Nei primi anni 90 il critico d’arte Thomas Wulffen ha coniato l’espressione “art operating system”. Il tuo operare può essere messo in relazione con questo? O lo trovi problematico? Il tuo hacking artistico può avere un coinvolgimento diretto con “l'art operating system”!

CS: Prevalentemente può essere senz’altro connesso a questo, dato che il mio interesse maggiore è scoprire il modo di operare dell’arte, i parametri che la definiscono, come possono essere modificati, e in che misura i nuovi media contribuiscono a questo cambiamento. Ciò che inoltre appartiene al modo di operare è il concetto stesso di artista, la nozione di un programma artistico, il corpo dell’opera dell’artista e ultima, ma non meno importante, le interfacce - per chi e che cosa si produce e chi ne usufruisce. Questo è l’aspetto che più mi interessa nell’arte. Intervenire e essere in grado di giocare con questo comprendendone il funzionamento.

FC: Pertanto non è complicato essere un artista della rete allora? Della mia idea di artista della rete quello che mi sorprende di più, e che influenza di più anche te, è quanto borghese, reazionaria e profondamente priva di senso ironico sia lo scenario dell’arte contemporanea - sebbene qualcuno la ritenga esteticamente libera. Nell’esempio della “net art”, si può intravedere come nella fase produttiva nessun reale oggetto sia propriamente prodotto quanto piuttosto sia lasciato disvelarsi e per questo la “net art” ha perso la sua posizione e non ha un reale riconoscimento nell’ambito artistico. Trovo ancora sorprendente il fatto che la “net art” debba combattere contro questo preconcetto per essere presa in seria considerazione dall’art operating system. E’ quindi difficile per te, come artista, cercare di aggredire l’art operating system e farlo da artista della rete?

CS: Prima di tutto mi considero non solo un’artista della rete quanto piuttosto come una sorta di artista concettuale. Io considero il concetto di artista della rete molto interessante e essere attivi in tale ambito significa adempiere a molti dei miei desideri, ma dall’altra parte io lavoro inoltre anche con video, testi, spettacoli e tutto ciò può essere necessario ad un particolare progetto. La “net art” non è riconosciuta nel mondo artistico e il problema principale è che, secondo me, non ci sono oggetti /pezzi che possono essere scambiati da un possessore ad un altro in modo significativo. Un’arte che non è compatibile con il mercato dell’arte è di difficile interesse, poiché in ultima analisi il mercato governa le forze nell’art operating system. Un’altra difficoltà è la impossibilità ad essere esibita. Che cosa può dimostrare che la “net art” può essere rappresentata da “White Cube”?

A questo punto tutti coloro che si occupano di “net art” dovrebbero domandarsi: per quale motivo dovremmo esibire la “net art” nel nostro museo? Alcuni artisti della rete si sono resi presto conto che non potevano andare lontano; la difficoltà di rappresentare nel mercato dell’arte ciò che si basa e si diffonde su un lavoro di installazione. Ciò nonostante la rappresentazione della “net art” ha funzionato con la video art. Non è un fenomeno nuovo quello che sta riguardando l’arte della rete. Prima di esso, c’era anche l’arte effimera, flussi e testimonianze artistiche o forme d’arte tecnicamente e perfettamente riproducibili come i video e la fotografia. Tutte queste forme artistiche hanno avuto molti problemi all’inizio, ma le opportunità emerse nel mercato e certi intermediatori le hanno supportate riuscendo a garantirle uno spazio. E quando questo diventa troppo, una nuova decade della “new painting” si manifesta in modo tale da consentire al mercato di recuperare.

Ciononostante penso che ci sia un certo interesse per la “net art” nel mondo artistico. A lungo è stata esageratamente pubblicizzata, ma al momento noto un certo consolidamento. Ultimamente ci sono alcune importanti istituzioni come il Guggenheim, la Tate Gallery e il Walzer Center che hanno commissionato nuovi lavori. Ciò che non va nella “net art” è che gli artisti - sto facendo riferimento per lo più al gruppo net.art - che in questo scenario non hanno sviluppato delle strategie collettive e un’unica tecnica di comportamento della gestione del sistema dell’arte - che era una delle grandi forze del Fluxus artists. C’è una mancanza di consapevolezza ad accettare il problema come prioritario.

Per questo motivo il risultato può essere solo disastroso quando i due mondi entrano in collisione. Atteggiamenti come: “Mostrerò il mio lavoro a documenta o al Whitney Museo, tuttavia questo non significa niente” non porta a nulla. Questo atteggiamento è apolitico e indebolisce la posizione di ogni singolo artista

Vuc Cosic si è comportato così alla Biennale di Venezia del 2001. Lasciando da parte le strane circostanze che lo hanno spinto a concludere il suo percorso nel padiglione Sloveno, è stato un successo per la “net art” e per lui personalmente poiché si trattava di un padiglione interessante. Invece di festeggiare questo evento – cosa che sarebbe stata giusta e onesta – il suo operato mirò a comunicare che tutto era triviale e privo di senso. Parte del pubblico ha giudicato tale comportamento davvero spiacevole e là ha preso origine in modo completamente spontaneo l’idea di interpretare quello che stava accadendo. Il risultato è stato l’azione controversa della “azione floreale”. In nome di Old Boys' Network tre cyberfemministe gli hanno regalato un bouquet di fiori all’apertura del padiglione per congratularsi con lui e in qualche modo ripagare i risultati da lui raggiunti nell’ambito della “net art”.

Amo questo modo di operare poiché lavora su differenti livelli . La stampa slovena era fiera dei suoi artisti e i partecipanti ricordano molto bene il gesto di Vuk – nel corso dell’evento di apertura della “net art” allo zkm – che distese per terra il mazzo di fiori per simboleggiare la morte della “net art” nel momento della sua istituzionalizzazione. Un importante punto di riferimento, io penso. Credo che per lui sia stato anche un po’ doloroso.

Come dicevo, la mancanza di una strategia collettiva per gli artisti della net art è stata e resta ancora un grande problema. Nel 1997 un’ulteriore prova di ciò si è avuta nel corso della prima competizione museale della “net art”: EXTENSION di Hamburger Kunsthalle. Come per l’introduzione della “net art” al “documenta x”, gli artisti furono molto incerti e non sapevano come avrebbero dovuto gestire le idiote ed incomprensibili condizioni. La loro stessa esitazione fu un contributo. Quello sarebbe stato il momento giusto per scardinare più facilmente “the art operating system”. E’ stata un’occasione perduta definitivamente.

FC: Tu giudichi te stessa un’artista concettuale, nella tua homepage c’e uno slogan che può essere letto come una analogia: “Un’artista intelligente fa in modo che la macchina compia il lavoro”. Questa tua dichiarazione presuppone forse che l’arte concettuale attualmente non esiste come arte concettuale se non a partire dal processo delle macchine?

CS: No, non avrei mai formulata un frase in maniera cosi radicale e univoca (Risata). In fondo si potrebbe assumere degli schiavi piuttosto che delle macchine per produrre arte (Risata).

FC: Alla maniera di Andy Warhol...

CS: Si, qualcosa di simile. O semplici artisti uomini e donne, o studenti con la passione per l’arte che implementano l’idea del loro capo.

FC: ...Jeff Koons...

CS: Si Jeff Koons è un buon esempio. Non credo che abbiamo bisogno di una macchina per comprendere l’idea dell’arte. Se il programma estetico si è sviluppato con ciò con cui l’artista lavora allora non importa chi produce i singoli pezzi. E l’artista diventa una pura figura rappresentativa… Lui o lei hanno il compito di incarnare al meglio l’immagine dell’artista che si innalza a parametro del sistema.

FC: Vorrei aggiungere qualcosa. Ieri ho letto sulla Mailing List “eu- gene” della generative art - tra cui figurava anche Andrian Ward – ho colto un’illuminante definizione della generative art. La si deve a Philip Galanter, un professore dell’Università di New York, ed è simile a ciò che tu hai già definito:

“La generative art definisce l’opera dell’artista nel momento in cui egli crea un processo, un insieme di istruzioni in linguaggio naturale, un programma di computer, una macchina, o un’altro meccanismo in grado di operare autonomamente entro certi limiti contribuendo o risultando esso stesso un’opera d’arte.” Trovo tale definizione interessante, perché profila un orizzonte più ampio non esclusivamente ricondotta alla computer art.

CS: Si, lo penso anch’io. E’ una buona definizione.

FC: Vorresti dunque dire che la tua è generative art?

CS: Non tutto quello che faccio. Tuttavia sicuramente lo è il lavoro che ho fatto con i promotori della ‘net art’. Sebbene l’insieme di regole a cui si riferisce applicate al mio lavoro….Avrei voluto pensarci di più. Ciò sembra sostenere quest’idea sebbene il mio punto di partenza non è il mio essere creativa, nel senso di creare delle nuove immagini e una nuova estetica. Piuttosto lavoro con del materiale che è già disponibile. Tale materiale è poi ridisegnato nel rispetto di certe condizioni strutturali o semplicemente rielaborato. Ma non posso dare un NOME a questo programma. (Risata)

FC: Mi domando, ad ogni modo, se per la 'Female Extension' - nel corso della quale hai sottoposto al giudizio centinaia di siti web creati da diversi esponenti femminili della net art che partecipavano alla competizione EXTENSION, i quali erano di fatto prodotti da un programma computerizzato – la produzione è semplicemente un veicolo, uno strumento ed un fine. La 'Female Extension' era anche un social hack, un cyberfeminist hack all’interno della competizione della net art. Come i tuoi generatori fossero programmati è una cosa abbastanza irrilevante!?

CS: Teoricamente, sì. (Risata) In ogni caso dopo la 'Female Extension' ho continuato a sviluppare il concetto dei net art generators.

FC: Mi viene in mente ora uno dei tuoi net art generator, tu hai usato il “Meccanismo Dada” [Dada-Engine] di Andrew Bulhak che costituisce la base del suo umoristico 'Postmodern Thesis Generator'...

CS: E’ vero. Sfortunatamente è anche uno dei generatori più complicati e spesso causa problemi.

FC: Cosicché i net art generators non furono ispirarti da 'Postmodern Thesis Generator'?

CS: No, era diverso: Mentre la competizione alla Hamburger Kunsthalle nel 1997 stava avendo luogo, mi fu chiaro che uno dei punti cruciali era che il museo intendeva inglobare la net art. Io intervenni e chiarificai le cose: per gli artisti in genere e per quelli della rete. Ritenevo che dovessimo stare attenti su come gestire le situazioni, affinché il potenziale della net art – che era stato acquisito usando una strada sovversiva - non fosse gettato via, sprecato, dall’altra parte il museo ci stava dando una lezione. Questo era il modo in cui la 'Female Extension' si di-svelava.

Inizialmente intendevo realizzare i siti web manualmente, usando il “copia” ed “incolla”, poiché non ero capace di programmarli. Invece la programmazione avvenne quasi per caso attraverso un artista mio amico. Fui davvero entusiasta del risultato. Le pagine generatesi automaticamente apparivano fortemente artistiche. La giuria ne fu praticamente rapita sebbene nessuno degli artisti donna fu premiato. Attraverso la 'Female Extension' e il social hack fui colta dall’idea di concettualizzare i generatori in maniera più dettagliata. Tre versioni sono attualmente in circolazione: una che lavora sulle immagini, un’altra che alterna immagini e testo l’uno sull’altro e un’altra che è una variazione del Meccanismo Dada. Quest’ultima si è specializzata sui testi e inventa strabilianti combinazioni di parole, talvolta adoperando elementi di lingue diverse. Altre due versioni sono in sviluppo per particolari applicazioni.

FC: C’e una corrispondente simultaneità che può essere percepita in diversi processi estetici nel tuo nuovo lavoro “Improvised Tele-vision”. Ti riferisci all’opera di Schöneberg “Verklärte Nacht”. E’ stata riproposta da Nam June Paik, in una versione in cui il disco girava ad un quarto della sua normale velocità, poi ripresa da Dieter Roth che ha recuperato il tempo originale della versione di Schöneberg velocizzando quella di Paik. Poi la tua versione, una piattaforma per “ultimate intervention”, sulla quale l’utilizzatore può decidere quale tempo utilizzare. Questo mi ha immediatamente fatto ricordare la teoria di Harold Bloom, la cosiddetta teoria dell’influenza, secondo la quale la storia della letteratura è il risultato dell’opera degli scrittori famosi che inizialmente utilizzano i loro predecessori uomini o donne come un super ego edipico. (Risata) ...e poi tentano di liberare se stessi dal quest’ ultimi.

CS: Oh veramente? Il sottotitolo di “Improvised Tele-vision” inizialmente era “apparente fissazione edipica”che poi successivamente scartai (Risata) ed era il termine “apparente” che era importante per me.

FC: Questo è ciò che presumevo. Ci sono –secondo me – questi artisti tremendi come Schönberg, Paik and Roth, che a turno si tirano giù da un piedistallo per mettersi su un piedistallo più alto.

CS: Esattamente (Risata). D’altronde ho sentito di una simile teoria in storia dell’arte di Isabelle Graw, che nel corso di una conferenza su Cosima von Bonin la utilizzò per parlare degli artisti donna in generale.

FC:… e chiaramente tale teoria ricorre anche nella tua opera ma in tono giocoso. Tu provocatoriamente hai scritto che avresti fatto si che il pezzo potesse essere suonato alla velocità desiderata.

CS: Si, con la sola eccezione della velocità del testo originale che non può essere riprodotto su questa piattaforma.

FC:… con la sola eccezione della velocità del testo originale. Ciò nonostante scrivi: “La decisione spetta a chi ne usufruisce/all’ascoltatore e non al compositore o all’artista che vi interviene dall’esterno”. Tuttavia imposti dei limiti ben precisi, per esempio non consentendo la registrazione /duplicazione di ciò che si ascolta.

CS: Chiunque volesse ascoltare la versione originale può ottenerne una senza problemi. Per me ciò che è interessante è il fatto che i tre artisti che hanno lavorato sul pezzo prima di me volevano determinare un unico tempo possibile. Questo è quanto io ho by-passato offrendo uno strumento che consente di suonare il pezzo alla velocità desiderata.

FC: La contestualizzazione di Schönberg, Paik, Roth è già una caratteristica importante? La decisione di riportare tutti e tre gli interventi in un unico ambiente, così come hai fatto per il caso dell’istallazione, compone la seconda parte del lavoro?

CS: Si naturalmente. La mia retorica riguardo il mio ultimo intervento che è stata resa possibile attraverso internet, come partecipazione, interattività e autodefinizione ecc. è realmente un capolavoro d’ironia. (Risata)

FC: Sì, quell'era precisamente la mia domanda. Che tu la ritenga seria o meno!? O semplicemente una percezione ingenua della interattività.

CS: Non è un’ingenuità, ma io mi sto prendendo gioco di questo piuttosto. Prendendo in considerazione le mie presupposizioni attraverso un’istallazione che giunge fino all’assurdo. Sui quattro muri che definiscono lo spazio sono raffigurati i nostri quattro. Essi creano l’impressione di essere stati dipinti su tela- ma in realtà non sono altro che il risultato di manipolazioni di foto effettuate con Photoshop - poi successivamente riportati su tela e incorniciati. Accanto ad ognuno di questi ritratti c’è un testo che si riferisce a “Verklärte Nacht”.

Il suono che si sente nell’istallazione è un pezzo che ho composto mettendo insieme quattro tracce: il pezzo originale di Schönberg, la versione rallentata di Paik e quella velocizzata di Roth, che è praticamente l’originale, ma non esattamente, a causa di scricchiolii riprodotti dal vinile e dal fatto che la velocità non è proprio esattamente la stessa, ovvero non è sincrona, e può solo essere molto vicina all’originale. Sulla quarta tracce ho riportato la versione di Roth al contrario. Questo è solo un richiamo a Schönberg e alla sua ultima teoria di composizione con la sua musica dai dodici toni, in cui i motivi melodici sono suonati con passaggi avanti e indietro. Fui sorpresa su come la versione all’indietro fosse calzante con quella di “Verklärte Nacht”. Questa musica non aveva niente a che fare con il progetto web, l’ultimo intervento era piuttosto una variazione suppletiva della composizione. Inoltre ho riscontrato importante la trasformazione visuale dei ritratti, cosa che rendeva di nuovo chiaro dove posizionare e iscrivere me stessa nella genealogia. In quanto donna e essenzialmente giovane donna li accuso di catalogare le cose, mentre io lascio spazio alle aperture, lamento il fatto che essi vogliono portarsi su un piedistallo e facendo ciò metto me stessa sullo stesso piedistallo.

FC: Precisamente: Ma non è forse la tragedia di ogni intervento antiedipico che automaticamente - si voglia o meno - diventa inscritto nella logica edipica nuovamente? Questo è quello che ho visto nel pezzo!

CS: Se questo è il caso, ciò sarebbe irrimediabilmente tragico. Probabilmente questo è il motivo per il quale mi sono addentrata in questo tema. Ho trovato la reazione del pubblico divertente e in parte aggressiva. Ho ricevuto accuse quali: “Non sei molto diversa da loro”. (Risata) La verità è che, ad ogni modo, nel dimostrare la dinamica dei processi coinvolti, non ci si può estraniare da questi, se voglio essere parte del sistema, è una cosa logica. Questa è una decisione che ho preso. Ciò nonostante voglio indagare e riflettere sulle condizioni, in altre parole, io voglio costruire precisamente il mio tema di indagine. Se ciò dovesse risultare intollerabile posso sempre tirarmi indietro. Tuttavia non credo in una alternativa possibile. Finché mi occuperò di questo tema, così come me ne sto occupando in questo momento, allora lo trovo accettabile. Un modo di essere simultaneamente dentro e fuori il processo.

Un altro esempio di ciò che ancora una volta ci riconduce alla compatibilità del mercato con la net art, è l’invito di un albergo a cinque stelle per un parziale decoro degli interni. In realtà ero abbastanza sicura che fossi uno degli ultimi artisti che potesse essere invitato ad adempiere questo compito. Questo progetto mi interessò fortemente e mi impegnai nella sperimentazione. Avevo fortunatamente gli art generetors che producevano senza sosta per me, ciò significava che dovevo solo trovare un modo per materializzare i “prodotti” una volta creati. Ecco come creai una serie, una serie d’immagini e fu sorprendente ciò che ne risultò. E’ proprio armonizzando quello che io maneggio che racconto storie, che rappresenta sicuramente una potente manipolazione. In questo modo ho trovato interessante l’arte della ri-materializzazione della net art - riportandola in un formato accessibile e successivamente verificandone il risultato. Iniziai però a convincermi che questo non fosse in quel momento possibile. Mi interrogai sull’intero episodio. In ogni caso, approfondii tale idea nel corso della mia mostra a Malmö in Svezia e fu irresistibile vedere le immagini come si allineavano al testo e come esse fluivano dall’inconscio della rete e si portavano in superficie.

FC: E’ ancora arte concettuale?

CS: Sì, naturalmente. O quanto meno lo è per me. Ho proposto all’albergo di realizzare delle serie per loro. Ho insistito sul fatto che le immagini fossero disposte in fila lungo i corridoi (posizione notoriamente poco interessante per un artista). E naturalmente spero di fare un buon affare, dato che la proposta economica è interessante. Ma soprattutto questo sarà nella storia della net art la prima vendita degna di essere menzionata! [Risata].

FC: Questo mi fa venire in mente Manzoni e la sua strategia negli anni ’50 di vendere aria in latta….

CS: Si, ma in che modo, io non vendo aria quanto piuttosto immagini reali (Risata). Ciò che è interessante è che non esiste nessuna tecnologia di stampa che assicuri che le immagini rimangano intatte. Esse posso sbiancarsi nel tempo. Le vendo come prodotto sebbene tra qualche anno possano sbiancarsi fino diventare dei fogli bianchi, idea questa che trovo interessante.

FC: E con ciò ancora una volta c’è un riferimento edipico a Dieter Roth, che acquistò notorietà negli anni ‘60 con gli oggetti di cioccolata ora conservati da ristoratori specializzati.

CS: Si, o i lavori con l’immondizia e la muffa. L’effimero è un aspetto molto importante. E l’esempio dell’hotel è un colpo magistrale di successo per due ragioni. Primo perché sono stata remunerata, aspetto questo sempre importante, e secondo perché ho dato un esempio ai miei colleghi i quali vendono o affittano i propri siti web a cifre risibili.

FC: Vorrei tentare di passare ad un altro argomento quello del cyberfemminismo e ciò non è facile… cominciamo dalla parola chiave “strategia”…

CS: Posso dirti cosa significa per me il termine “Cyberfemminismo” o come lavoro con esso e forse in questo modo possiamo creare un collegamento.

FC: Forse dovrei cominciare così: quello che mi ha sempre preoccupato del termine “Cyberfemminismo” non è tanto la parola “femminismo” quanto piuttosto il prefisso “cyber”. Che cosa sarebbe?

CS: [Risata] E’ sorprendente! Se è il tema del femminismo che ti preoccupava mi sarei potuta collegare a questo. (Risata) Ma sembra essere…….(Risata). Il tema del “cyber”: questo è “quello che conta”. Ho sentito parlare per la prima volta di Cyberfemminismo da Geert Lovink, e gli ho detto: che tipo di nonsenso è mai questo? Dal momento che tutto è divenuto Cyber “Cybermoney “Cyberbody” ecc.

FC: Si, questo è il punto

CS: Archiviai la mia domanda con tutto il resto e la trattai come se fosse stato un profondo nonsenso. Ma il termine prese posto in un angolo della mente senza che io sapessi cosa fosse. Successivamente quando lo compresi chiesi a Geert che cosa significasse e se poteva fornirmi del materiale sull’argomento.

FC: [Risata.]

CS: Ma non c’era molto nel 1995/96. Ebbi un sicuro riferimento in Sadie Plant e VNS Matrix – e 'Innen', che erano un gruppo di artiste di cui entrai a far parte anch’io. Questo gruppo mi spedì all’indietro al mio contesto di origine . Questa fu un una vera piccola sorpresa. Quello che aveva fatto non era certo una coincidenza. Così ho pensato a me stessa, OK, suppongo che fosse consapevole [Risata] di quello che mi aveva dato. Io continuavo a rimuginare nella mia mente. Poi ci fu l’invito a “Hybrid Workshop” al documenta x. Una volta ancora Geert era coinvolto. Voleva che mi dedicassi non al Cyiberfemminismo, ma piuttosto ad altri argomenti riguardo donne/femminismo. E tale invito fu catalizzante per me da cominciare a lavorare sul “Cyberfemminismo”. A partire da quel momento ne fui piacevolmente trascinata e scoprii che c’era un enorme potenziale coinvolto su cui né Sadie Plant né VNS Matrix si erano soffermate. Esse se ne erano occupate solo parzialmente.

L’aspetto interessante del Cyberfemminismo è che il termine ha un diretto riferimento al femminismo, pertanto ha una chiara connotazione politica. Dall’altra parte, sebbene a causa dei disastrosi prefissi, che costituiscono un vero fardello spesso fortemente appesantito, dimostrano che c’è qualcos’altro, una nuova dimensione. Ciò che la parola “cyber” sia non significa molto a parte gli eccessi che il termine richiama, cosa questa che funziona sapientemente. Il fatto che il prefisso utilizzato è il risultato di una buona dose di apologia, sempre più spesso utilizzato e ricondotto a qualcos’altro, le dà un nuovo potere. In particolar modo quando (ad eccezione di te) lamentano: Oh mio Dio- il femminismo! Era questo potenziale senza considerare ancora una volta come linea di partenza il femminismo, che costituisce un nuovo inizio – così come la motivazione a spingere la gente ad occuparsi di nuovo del termine. Teoricamente il nostro potrebbe essere un tentativo di ridefinizione del femminismo. Tuttavia la storia che esso richiama ha una notevole rilevanza e la componente negativa un peso influente.

FC: La difficoltà che ho riscontrato è senza dubbio dipendente dal punto di vista accademico. Noi siamo nel mezzo di un dibattito sulla net culture che include le mailing lists come Nettime e altri forum, nel corso dei quali non si discute più sull’assurdità della parola “cyber”. Questo è già stato fatto. Da questo scaturisce qualcosa da non prendere del tutto sul serio. Tuttavia quando metto piede nei circoli accademici sono fortemente criticato. Cosi come lo fui alla Annual German Studies Convention- per portare alla giusta proporzione i termini “cyber'/'hyper'/'virtuel” che sono ancora utilizzati come coordinate discorsive. Questi termini hanno riunito il loro dinamismo, utilizzati e canonizzati per almeno i prossimi 10 anni. Ed è proprio il termine di “cyberfemminismo”che si adegua a questa situazione, non suonando più così sperimentale e ironico quando lo si usa in un contesto come quello dei Cultural Studies.

CS: Ma che cosa intendi? E’ davvero un problema?

FC: Bene, il problema non è quello di chi in conseguenza di ciò crea una dissertazione che in accademia può acquistare una sua propria forza e non più……?

CS: …in tal caso, sì. Sostengo pienamente la tua tesi.

FC: Un altro problema: quello che è molto appariscente nel contesto del femminismo quando si riesamina la sua storia dalle Sufraggetes alla Beauvoir al differente femminismo degli anni ‘70 fino agli studi di genere è che il “Femminismo” come tale non esiste davvero.

CS: No, questo è ovvio.

FC: C’è un’antologia della teoria del femminismo americano che saggiamente usa il termine “Feminisms” nella forma plurale. Potremmo parlare altrettanto di “Cyberfemminismi”?

CS: Il termine è usato spesso. Per esempio nell’editoriale del secondo OBN (Old Boys Network) reader in cui ci si riferisce al “nuovo Cyberfemminismo” e poi ai “Cyberfemminismi”. O in una definizione di Yvonne Volkart: “Il Ciberfemminismo è un mito e in un mito la verità risiede nella differenza tra le singole descrizioni.” Questa seconda me è una delle migliori definizioni del Cyberfemminismo.

FC: L’allenza cyberfemminista è cominciata con '”Old Boys Network” il cui dominio internet e registrato a tuo nome. Per merito dell’OBN il “Cyberfemminismo Internazionale” ha avuto il suo primo incontro al documenta x. Ho avuto l’impressione, correggimi se sbaglio, che il gruppo o il discorso fosse prevalentemente rappresentato da donne attive nell’ambito della net art culture?

CS: No, questo non è vero. Non abbiamo avuto il nostro primo incontro al documenta x, ma specialmente questo incontro, ovvero lo spazio di lavoro ibrido dove eravamo collocati, portò a differenti contesti messi insieme. Non solo il mondo artistico, ma anche i media e la parte attivista per esempio.

Con gli “'Old Boys Network”abbiamo sempre sperimentato diverse forme organizzative. La forma ideale non esiste. Uno deve in qualche modo organizzare una rete, perché non esiste da sola. Tuttavia non c’era nessuna forma che funzionasse veramente bene e questo significa che ogni volta dovevamo concepire delle forme nuove. Per un po’ ci assicurammo ciò che avremmo potuto identificare come “l’anima del gruppo” composto da quattro cinque nomi. Di questi meno della metà erano artisti. C’è sempre stata una predominanza di teorici, da esperti letterari a storici dell’arte...

FC: I teorici che si collocano nel contesto dell’arte in realtà si sono da sempre collocati nella net art.

CS: Ritengo personalmente che questo sia corretto. Ma ci sono molti esponenti dell’OBN che si rifiuterebbero di ritenersi in questo modo. Il nostro obiettivo è molteplice. La nostra idea principale non era quella di formulare un contenuto con un concreto obiettivo politico. Piuttosto considerammo la nostra struttura organizzativa come un’espressione politica. Per essere una cyberfemminista si pretende da noi di lavorare a livello delle strutture e non dipendere dalle conferenze o tenere un seminario. Al contrario significa tendere alla materia finanziaria o realizzare un sito web, una pubblicazione, o creare un evento. Da questo prendere parte in strutture impegnate nello sviluppo. Il termine “Politica del dissenso” è importante. Questo significa mettere gli svariati approcci uno accanto all’altro e trovare una forma in modo tale che essi possano coesistere ed agire come un campo di forza per far sì che qualcosa si muova. Ecco perché tentammo di incorporare donne appartenenti al gruppo CCC – hackers- cosi come pure donne esperte di computer. Quattordici giorni fa al terzo “Cyberfeminist International”, per la prima volta hanno preso parte molte donne asiatiche cosi come pure molte donne dell’“Indymedia” [il network delle news contro la globalizzazione]. E molto importante continuare ad allargare le connessioni.

FC: Trovo veramente interessante il fatto che ti concentri sulle strutture quando parli di Cyberfemminismo. E’ quindi una nuova piattaforma, un altro sistema che tu hai programmato in modo generativo come in un esperimento per vedere cosa succede?

CS: Potremmo dire di si se si volesse estremizzare. Quando mi è stato chiesto di definire il Cyberfemminismo, quello che più mi interessava erano le strutture su cui si basava e come Old Boy Network poteva diffondere l’idea attraverso strategie di mercato.

FC: Nel 1997 Josephine Bosma ti chiese in una intervista “Pensi che le donne on line abbiano raggiunto risultati specifici?- e tu rispondesti : “No, non credo”.

CS: [Risata.] Lo credo ancora.

FC: Si? - Questa era la mia domanda.

CS: Dopo quattro anni e mezzo di esperienza Cyberfemminista e di impegno in contesti quale “Women and New Media”, e una serie di conferenze e di eventi, sono giunta ad una conclusione che è possibile dividere questo argomento dalla altre due aree. Una è l’area dell’”accesso”, significa, se le donne hanno accesso alla conoscenza e alla tecnologia, il quale è un problema sociale. La seconda area è se l’accesso esiste, e le competenze ci sono, ma che succede con la rete o con questo medium? Quali fattori determinano COSA è realizzato? A tale proposito c’è davvero poco di convincente. E’ un mucchio di arida cattiveria, che si può definire essentialist crap, con la quale non intendo avere a che fare perché riaffermano le già esistenti e sfavorevoli condizioni piuttosto che azionare qualcosa di nuovo. Le teorie sui media femministi che vanno definitivamente oltre questo limite è desiderabile.

FC: Riguardo alla frase “'essentialist crap”: una mia ipotesi è che tu stia concentrando la tua attenzione sui sistemi e le regulationg structure come dei luoghi sperimentali – che sia Cyberfemminismo o net art generators – può essere vista essenzialmente come una strategia anti- essenzialista [anti-essentialist], che include le tue appropriazione, il plagio e l’uso di altri materiali gia esistenti?

CS: Non ci sono molte artiste donne il cui approccio è sviluppare la propria estetica in maniera tale da contrattaccare l’ordine dominante. Ma ho sempre avuto problemi con questo. e non sapevo che cosa sarebbe stato se non mi fossi predicata in ruoli ben definiti e definizioni. Questo è il problema con l’essenzialismo. La discussa differenza può essere facilmente rivolta contro le donne - anche quando definiscono loro stesse attraverso questa differenza. Questo non ti porta da nessuna parte ed è solo un’altra trappola. Sebbene una delle miserie dell’identità politica sia stata l’identità di certe comunità e gruppi sviluppatesi sulla stessa linea e poi incorporati, per esempio dalla pubblicità, questo significa un completo rinnegamento delle reali intenzioni.

FC: Questo è il caso dell’arte a cui si fa riferimento nel seconda volume Suhrkamp Anthology “Women in Art” di Gislind Nabakowski, Helke Sander and Peter Gorsen

CS: Non la conosco [Risata]...

FC:….o l’arte di Kiki Smith, che ritengo sia in antitesi con il tuo lavoro.

CS: Forse. Al momento questo tema non è il mio problema, il Cyberfemminismo mi ha condotto per certi aspetti nel cosiddetto “angolo delle donne”. Cosa che potrebbe essere una definizione ampia e potrebbe includere una nozione più ampia della mia arte difficilmente presa in considerazione. Questo è il motivo del perché sono determinata a considerare altri temi. Il lavoro su Schönberg era il primo passo all’espansione di questo ambito- sebbene da sempre amo attorniarmi di altri grandi esponenti donne. [Risata]...

FC: Quando dico che vuoi distaccarti dall’angolo Cyberfemminista, devo chiedermi - come per l’istallazione di Schönberg – la tua strategia anti-essenzialista di costruzione e produzione dei sistemi e situazioni come per il plagio, ha nonostante tutto una componente femminista?

CS: Una componente femminista c’è sempre, poiché fondamentalmente io ho coscienza femminista. Cosicché tutto il mio coinvolgimento con il sistema dell’arte include questo aspetto, noncurante di ciò che faccio. Questo è il caso in “Female Extension” e… questo aspetto è sempre implicito.

FC: Ciò che ho notato è che le donne sono ampiamente rappresentate nella code-experimental area e nella net art

CS: Veramente?

FC: Da quello che ho visto, sì. Jodi per esempio è una coppia maschile –femminile, lo stesso vale per 0100101110111001.org. Poi saltano alla mente mez/Mary Anne Breeze or antiorp/Netochka Nezvanova, che ora conosciamo essere una donna proveniente della Nuova Zelanda riconosciuta come figura rappresentativa.

CS: No!!!

FC: Sì!

CS: Sei sicuro di questo?

FC: Sì!

CS: Sto attualmente lavorando ad un’intervista a Netochka Nezvanova...

FC: Grandioso!

CS: Si, dimmi tutto! Che cosa ne pensa del mondo - e soprattutto del mondo dell’arte? [Risata]

FC: E’ un personaggio che affascina anche te?

CS: La trovo estremamente interessante quasi un fenomeno, e chieder“le” delle cose tipo…..quanto del suo successo dipende dal fatto di essere donna …. Nonostante il fatto che molte persone sono coinvolte per formare un’unica figura.

FC: Ma l’anima è una donna.

CS: Stupefacente! Un nuovo concetto di N.N. Ho chiesto di lei a tanta gente ed ognuno mi ha fornito informazioni discordanti. L’ultima teoria che ho sentito mi conduce a un teorico dei media Lev Manovich come l’anima di N.N.

FC: [Risata] E’ una buona idea. Un altro attacco sociale e un sistema che aziona….E qualcosa che smaterializza.

CS: Ecco perché sto lavorando sulla finalizzazione del concetto. Voglio eliminar“la” facendo un’intervista in cui rivela tutte le sue strategie – qualcosa che non avrebbe mai fatto. Ecco, la mia idea…

FC: Nella tua intervista con 0100101110111001.org sei stata piuttosto dura con loro – tra parentesi pendo che sia stato positivo - discutendo il virus del computer “biennale.py”. Tu hai descritto dal di fuori che un codice di comportamento estetico sarebbe emerso non propriamente progressista, poiché nessuno sa leggere il codice. Ciò nonostante potresti ammettere che questo intervento è stato una forma di “social hacking”?

CS: Naturalmente. Questo viene prima di tutto. Il modo in cui il codice è stato estetizzato è secondario, quello che è accaduto è stato per lo più un errore perché gli artisti probabilmente non si erano soffermati sulle trappole del sistema prima d’ora. Il virus era chiaramente un social hack. E sarebbe gia stato sufficiente chiamarlo”virus”. Anche se il codice non avesse funzionato o sarebbe stato un nonsenso esso non avrebbe danneggiato il progetto.

FC. E’ quindi necessario usare delle etichette come “net art”per tutti quando il medium non è così rilevante?

CS: Penso che abbia un senso utilizzarle all’inizio, quando un nuovo medium viene introdotto, e reali cambiamenti sopraggiungono con esso, nella fase in cui il medium viene esplorato come Jodi fece per esempio con il web/net, o Nam Juen Paik con il video.

Li puoi comparare alla video art - che in tal caso è un predecessore della net art Non credo che sia utile parlare ancora di “video art”. I modi in cui il video è utilizzato oggi sono prestabiliti e questo si carica di più significato in riferimento a certi contenuti. Questo è, oramai, il problema di un ambito più ampio chiamato “media art”- troppo media e poca arte….

FC: Osservando la tua arte, non è il caso che i progetti quali il net art generator sviluppino i loro concetti, i loro sistemi di “social hacks” a partire dai media?

CS: E’ vero in questo caso. Ma non necessariamente nel modo in cui lavoro. Il termine “net art” funziona anche come strumento di marketing. E funziona fino al momento in cui ha guadagnato il successo che si era prefisso. Successivamente è crollato tutto. [Risata]

FC: Sarebbe possibile per te lavorare in qualsiasi contesto? Noi ci incontriamo alla conferenza annuale del Chaos Computer Club. Ma sarebbe possibile incontrarci al congresso annuale dei collezionisti di francobolli, e questo sarebbe il sistema sociale sul quale interverresti?

CS: Teoreticamente, sì. [Risata] Credo che tutti riuscirebbero ad andare d’accordo con gli hackers, la cultura hacker non si tira indietro da qualsiasi cosa - ne tanto meno i collezionisti di francobolli e di ganci da giardino.

FC: ……o di corridoi d’albergo.

CS: No, teoreticamente molto è possibile, ma non in pratica. Il mio interesse non è soltanto formale e non soltanto diretto verso l’operating system. E’ un aspetto importante, ma quando gli argomenti e la persone all’interno del sistema non sono d’interesse per me, posso difficilmente immaginare di lavorare con loro.

FC: Questo potrebbe significare che alla convenzione degli hackers la tua convinzione potrebbe essere che qui la gente gioca con i sistemi , e li interpreta criticamente?

CS: Ciò che è interessante per me è il fatto che gli hackers sono esperti indipendenti, programmatori, che lavorano per il piacere di programmare e non sono al servizio dell’economia o della politica. Questo è per me il punto cruciale. E questo è anche il motivo per il quale gli hackers costituiscono una importante fonte di informazione per me.

FC: Tuttavia ciò ci riporta al classico concetto di artista autonomo coniato nel XVIII secolo, il genio freelance. Non è impiegato, e su di lui non ci sono commissioni, ma è indipendente e non deve seguire delle regole predeterminate.

CS: Forse hai ragione, infatti la mia immagine di hacker ha parecchio in comune con queta immagine dell’artista. Ma riflettendo sul ruolo dell’arte nella società in generale, preferirei considerare l’arte come autonoma e considerare l’artista individuale come autonomo- ammettendo che il concetto di autonomia è in se per se problematico. L’idea di arte come osservazione, posizionamento di se stessi, produzione di osservazioni, cercando di fornire nuove prospettive su ciò che ci succede intorno è ciò che preferisco. E questo è esattamente cosa è il rischio. La cosa contraddittoria sulla autonomia è che qualcuno ha una protezione finanziaria. E’ tanto più comodo quando i governi fanno ciò, come è stato negli ultimi decenni in Germania. Credo che questo assicuri molta più liberta: esempi che illustrano la mia teoria sono la Pop Art and New Music; negli anni ‘60 e ‘70 gli artisti giunsero da tutto il mondo in Germania perché qui vi erano fondi pubblici, e facilitazioni che non si trovavano da nessuna altra parte. Lo considero come uno dei compiti di un governo provvedere a fornire fondi per la cultura. E lo sviluppo che stiamo affrontando è al momento disastroso.

Poco tempo fa qualcuno mi ha chiesto come immaginavo l’arte del futuro, dopo averci pensato su qualche istante ho avuto l’immagine di un ufficio come luogo aperto, che raccoglieva artisti di ogni genere, tutti con lo stesso obiettivo e pagati da una qualsiasi società per azioni, l’immagine di un’arte completamente sovrastata e sottomessa alla logica dell’economia Questo non significa che rifiuterei ogni forma di sponsorizzazione, ma non dovrebbe essere cosi influente.

FC: I nuovi artisti dei media fissano il passo per gli altri, perché sono estremamente dipendenti dalla tecnologia?

CS: Assolutamente, e penso sia uno dai problemi maggiori. Essi fissano il passo per gli altri…….

FC: ....ma in senso puramente negativo.

CS: Fondamentalmente si. E’ un difficile campo d’azione. Alcuni artisti stanno pensando ad un lavoro itinerante, come lavoro a basso valore tecnologico, apprezzerei molto se l’ars elettronica, che naturalmente risente di una mancanza di idee e inspirazione, scegliesse il tema del Free Software. Gli artisti possono operare anche senza degli sponsor che li supportino, e solo essi possono dar valore alle opere d’arte prodotte dall’uso del Free Software. Sarebbe davvero interessante vedere ciò che sei capace di fare in proposito.

FC: Tuttavia non dimenticare che il Free Software è anche dipendente dagli sponsor. E’ difficile trovare un progetto di Free Software che non sia sponsorizzato da una grande società di cui in maniera diretta o indiretta non se ne risenta l’influenza.

CS: Al più tardi con la distribuzione…

FC: Sì, si cominci proprio con la distribuzione. La GNU C- Compiler per esempio appartiene alla Red Hat, IBM investe miliardi nello sviluppo di Linux e questi sono non a caso investimenti strategici. Pressoché ogni sviluppatore indipendente riceve un assegno salariale dalle singole società che lo sostengono.

CS: Mi stai dicendo che il Free Software non è altro che un’Utopia?

FC: No, non dovrei dire che è un’utopia che non diventa vera. Il codice rimane libero, benché ci sia una recessione, gli sviluppatori sono capaci scegliere il loro lavoro. Tuttavia non credo che questi equivalgono agli artisti autonomi.

CS: Stiamo affrontando troppi argomenti tutti insieme. Hackerdom non è una professione ad esempio. Un hacker può essere impiegato in una società, ma questo non ha niente in comune con l’essere un hacker. E’ qui è possibile un paragone con l’arte. E a proposito dell’essere un artista. E’ una professione o no? Sarei ancora un’artista se io guadagnassi dei soldi svolgendo un lavoro diverso?

Io faccio parte del sindacato tedesco dei dipendenti impiegati nel settore dei media, sezione artisti, e mi occupo di come in generale gli interessi degli artisti vengono rappresentati. Essere un’artista dovrebbe significare ricoprire un ruolo comunemente riconosciuto, un’attività stabile e tutelata dall’Assicurazione Sociale degli artisti, così come accade in Germania. Tuttavia questo punto è in conflitto con l’idea di autonomia. Io non sono molto sicura su come questi due elementi possono andare d’accordo. Ciononostante insisto su miei diritti professionali che spesso sembrano contraddire lo status di autonomia. Molto spesso si abusa di questa incertezza degli artisti, gli artisti sono trattati in modo poco professionale, e sfruttati vergognosamente.

FC: Non molto tempo fa dicesti di aver contraddetto Gerfried Stocker quando egli equiparò l’arte alla creatività. Essere un’artista per te è una professione, pertanto un sottosistema della società definibile e distinguibile. Questa è una antitesi al concetto di 'expanded art' ['erweiterten Kunstbegriff'] alla Fluxus – e all’idea di Joseph Beuys per il quale "Tutti sono artisti". [Jeder Mensch ist ein Künstler.]

FC: Vorrei semplicemente aggiungere un “potenziale” . Credo che non ci dovrebbero essere dei meccanismi o criteri che includono i soggetti per se stessi, ma certamente non tutti gli uomini sono degli artisti sebbene ognuno possa diventarlo. Tuttavia gran parte della gente non nutre il desiderio di esserlo.

[A questo punto spegnemmo il registratore e continuammo a conversare a proposito della necessità di azione su un versante, ed invece di abbandonare l’argomento dall’altra . Durante la conversazione venne affrontato anche il tema del Neoism e delle sue diatribe interne]

CS: Tali dibattiti possono diventare molto esistenziali, molto estenuanti e stancanti. Le cose tendono a diventare incredibilmente autentiche – qualcosa che io cerco altrimenti di evitare.

FC: Ma questo è importante. Quando ascolto le solite accuse, riguardo al coinvolgimento dei sistemi, sistemi che disgregano attraverso il plagio, le contraffazioni e la manipolazione dei segni, noioso materiale postmoderno, che manca di densità esistenziale, la mia sola risposta è che le persone che dicono questo, di conseguenza non sono mai state tentate di praticarlo. Specialmente, sul piano personale, può essere mortale. Tu prima hai citato il gruppo “Innen”, un gruppo del quale hai fatto parte nei primi anni ’90, prima dei giorni della net art…

CS: Si, cosi era negli anni ‘93-96.

FC: E, se ho ragione, c’era anche un concetto di identità multipla.

CS: Si, e nonostante avessimo affrontato l’argomento in maniera giocosa e ironica, è diventato così minaccioso che abbiamo dovuto abbandonarlo. Noi abbiamo sperimentato “il divenire una sola persona” assomigliando esattamente l’una all’altra e anche il nostro linguaggio si era standardizzato. E poi avemmo voglia di scappare via da tutti, e non incontrare mai più nessuno altro.

FC: E a questo punto che l’arte potenzialmente diventa religione o setta?

CS: Forse, se non abbandoni.

FC: … se non abbandoni. Sto pensando alla comune di Otto Muehl…

CS: Questo è esattamente il punto in cui devi lasciare e andare verso l’ignoto, lasciare il settore definito, e re-inventare se stessi, la qual cosa non è semplice. Per fare questo insieme, o in gruppo è quasi impossibile. Ci sono probabilmente alcuni matrimoni che realizzano questa situazione, per re-inventare se stessi e la loro relazione permanentemente, per mantenerla viva . Ma con più di due persone questa cosa è difficile da realizzare.

FC: I tuoi progetti sono simili ai matrimoni per te, o alle sette o ai gruppi.?

CS: Sì, hanno molto in comune. E’ sorprendente! Si comincia con l’affidabilità che ci deve essere. Poiché nulla funziona, se non c’è un certo grado di affidabilità, anche a proposito delle dinamiche, come i ruoli vengono assegnati o come le persone li scelgono.

FC: Progettare tali sistemi significa anche avere a che fare con il controllo o la perdita del controllo, giusto? All’inizio sei colui che progetta, tu definisci le regole, ma poi ne rimani coinvolto e diventi parte del gioco tu stesso, e il tempo è passato.

CS: Beh, certamente io ho le mie idee e i miei concetti, ma gli altri possono averne di differenti. Alla fine l’intero progetto viene meno quando gli argomenti e i dibattiti non sono più produttivi. Con gli “Old Boys Network” stiamo attualmente sperimentando l’idea di produrre un’etichetta. Riflettere su quello che vuol dire un processo doloroso. Tu pensi: “Oh mio Dio, forse qualcuno se ne abuserà, farà qualcosa di davvero brutto e stupido. Merda”. Ma bisogna essere realisti e convivere con esso. Quando il momento arriva devi imparare a modificare il tuo atteggiamento nei confronti del sistema in cui tu stesso sei coinvolto, e questo è difficile.

FC: E’ stato questo il caso di “Improved Tele-vision”, in cui il sistema era già stato organizzato? Per quanto io posso vedere, questo lavoro è stato il primo dove non hai progettato il sistema per te stessa, ma hai preso parte ad un processo già esistente.

CS: Sì, ecco perché è stato così semplice per me. [Risata] Non ho dovuto lavorare molto su questo. [Risata]

FC: Pensi di abbandonare coscientemente la “Old Boys Network”?

CS: Oh si – tra breve!

FC: … e ignorandolo per tre anni. – o di più - e dopo questo periodo tentare di impegnarsi nuovamente, ma con un approccio artistico che sia di osservazione, come in “Improved Tele-vision”...

CS: Suona come una buona idea, ma temo che non funzioni. Ho la presunzione di affermare che, dopo tre anni dall’essere andata via, l’OBN potrebbe non esistere a lungo.

FC: Allo stesso tempo è un nome generico. “Old Boys Networks” ha continuato a circolare; di solito, essi non sono propriamente femministi. [Risata]

CS: Una grande trappola per noi era quello che chiamavamo “network”, sebbene esso funzionasse in realtà come gruppo. Ci rifiutammo di considerarlo tale a lungo. Va bene, c’è una rete associativa composta da centinaia di componenti, ma l’anima è il gruppo.

FC: Ma questa sembra essere una popolare auto-delusione all’interno delle cosiddette net cultures. Dico anche che “nettime” e la net culture era formalmente rappresentata da un gruppo, quanto meno fino al 1998.

CS: Questo è l’unico modo in cui funziona. Non c’è alternativa al modo in cui un network può manifestarsi [Il lavoro dell’arte si manifesta solo in questo modo]. Ad un certo punto ci sono fusioni, e consegne. E i “networks” non richiedono molto impegno.

FC: Cosi, secondo te in che relazione si trovano un network e un sistema?

CS: Io credo che un sistema sia strutturato e definito in maniera più chiara, ed ha regole ovvie ed esecutori. Un network tende ad essere più aperto, più dispersivo.

FC: Mi farebbe piacere sapere ora, se dal tuo punto di vista i sistemi così come pure i networks hanno necessariamente una componente sociale. Si potrebbe discutere dell’esistenza di tecnici puri dei networks come dei tecnici puri dei sistemi. Il tuo lavoro interviene alternativamente sull’aspetto sociale e tecnico dei networks. Tuttavia, alla fine, il tuo intervento si trasforma in un intervento sociale. Riferendoti alla definizione che hai appena dato, riesci a immaginare dei networks o dei sistemi senza partecipazione sociale?

CS: No, affatto. Perché le regole e le strutture regolanti sono sempre determinate da qualcuno. Come accade per i programmi informatici spesso ritenuti erroneamente neutri. “Microsoft Word” per esempio. L’immaginario collettivo non è in grado di considerare una versione diversa da questa. Quando in realtà potrebbe esserlo.

FC: ….. come analizzato da Matthew Fuller nel suo testo “It looks like you're writing a letter: Microsoft Word" in ogni dettaglio…

CS: Sì, ci sono svariate decisioni individuali coinvolte -decisioni del programmatore, di colui che ha ideato il programma, e di chi decide come e dove guidare l’utente, manipolare l’utente, facendogli/le fare determinate cose.

FC: Ci sono degli esperimenti recenti in ambito artistico su come progettare sistemi auto- regolanti. Haans Haacke ha realizzato negli anni ’60 il suo “Condensation Cube”, costruito in vetro. Quando sulle pareti laterali del cubo l’acqua condensa ogni traccia corrisponde a un persona che si trova nella stessa stanza. Non lo trovi interessante?

CS: No, non credo. E’ tipico per gran parte dell’arte generativa che un sistema venga trasformato in un altro. Lo trovo tremendamente noioso. Per me è importante che l’intervento inneschi un impulso che determini un cambiamento o almeno miri a questo.

  1. Questa intervista di Cornelia Sollfrank e Florian Cramer fu commissionata per la nuova serie di libri sulla Contemporary Visual Culture pubblicata dalla Manchester University in associazione con School of Fine Art, Duncan of Jordanstone College of Art and Design, University of Dundee. Una versione ridotta di questa intervista sarà pubblicata nel II volume di “Communication, Interface, Località”, edito da Simon Yuill e Kerstin Mey, il prossimo autunnodel 2002.