Discussione:Fei Carlo

Tratto da EduEDA
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Contributo nel volume BLACK LIGHT edito da Silvana Editore di Carlo Fei*

Lo sguardo sul paesaggio e la 'natura' di tale sguardo, inteso come meta-rivelazione dell'essenza recondita della fotografia, ottenuta tramite l'unione degli elementi dialettici della luce e dell'oscurità, del positivo e del negativo, costituiscono la base del nuovo progetto fotografico di Carlo Fei. Già nel titolo, Val di Luce assume il senso di una 'epifania', di una guida per rendere manifesto quanto anticipato da Roland Barthes, secondo cui "qualunque cosa essa dia a vedere e quale che essa sia la sua maniera, una foto è sempre invisibile: ciò che noi vediamo non è lei". Non si tratta di vedere e tanto meno di giudicare un soggetto particolare, quale l'ambiente appenninico della Val di Luce che effettivamente è stato ripreso da Fei, quanto piuttosto di prendere coscienza della 'materia' fotografica che ne risulta ovvero il passaggio, per usare ancora le parole di Barthes, "dalla descrizione alla riflessione". Il soggetto è un "pretesto", come afferma Fei, per intraprendere un'indagine sull'idea che sottende all'immagine: un attraversamento, shining, di cui il bagliore sfolgorante della luce diventa metafora significativa; un'immersione nella totalità avvolgente dell'oscurità che sottrae il discorso sulla fotografia alla sua stessa presenza. La scelta di lavorare en-plein-air sembra voler riportare la fotografia a una dimesione originaria, a un di-segno di luce ovvero a una 'scrittura' che riluce; non per caso Fei rievoca gli albori della storia della fotografia (Fox Talbot, Nadar). Tuttavia è l'intervento di postproduzione al computer, con la sovrapposizione di negativo e positivo e la traduzione nello spettro cromatico digitale, a determinarne l'esito finale che rimanda a una visione romantica (William Turner) e al concetto di 'sublime'. In questo modo la ricerca di Fei abbandona definitivamente ogni riferimento a una narrazione che, in serie precedenti, egli trasferiva su biglie, batterie, amuleti, numeri rigorosamente 'rappresentati' su fondo nero, per sprofondare nell'abisso linguistico-strutturale dilagante nel nero, e approdare simultaneamente al terreno incerto e inaspettato di un sapere che si fa intuizione, apparizione abbagliante nel bianco. Le forme del paesaggio (boschi, ruscelli, montagne, nuvole, ecc.) sono sottoposte a una pratica di destrutturazione fisica e di ribaltamento cognitivo nella sfera del simbolico, evidenziato dall'innaturalità o dall'assenza. Se, come ha scritto Barthes, "la fotografia è stata, ed è ancora, assillata dal fantasma della pittura (Mapplethorpe)", quella di Fei si avvicina alle conclusioni 'suprematiste' di Malevic, secondo il quale "le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo la sensibilità è essenziale". O anche alla creazione di uno 'spazio spirituale' sperimentata da Rothko nel tentativo estremo di dare espressione al male di vivere.

Stefano Pezzato


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Volume pubblicato in parte con il contributo del Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato