Dogville

Tratto da EduEDA
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Anno:

2003

Luogo:

Danimarca

Autore:

Von Trier Lars

Descrizione:

Dogville rappresenta, come ormai tutte le opere di Lars von trier, un'enorme novità, un'opera anomala. Ispiratosi alla canzone sulla vendetta Jenny dei pirati di Bertold Brecht e Kurt Weill tratta da L'opera da tre soldi, costruisce il primo episodio di un nuovo ciclo, facendoci sentire ancora vivo il suo desiderio di entrare in "laboratorio" e sperimentare.

Ben lontano dalle leggi dettate dal manifesto Dogma 95, il nuovo film ne stravolge addirittura alcuni punti contrapponendo ai luoghi autentici e reali, a luci e set naturali e attori spesso alle prime esperienze, Dogville e i suoi personaggi. Il regista, prendendo ispirazione dall'amato Barry Lyndon di Kubrick e dai libri per bambini, decide di utilizzare come struttura narrativa quella della divisione in capitoli preceduti da un prologo introduttivo, come già aveva fatto in Le onde del destino.

Ad accompagnarci nelle vicende della protagonista è una voce narrante onnisciente che con stile romanzesco e con tono oserei dire quasi sarcastico, commenta in modo "criminosamente imparziale" ciò che il regista ci mostra. Dogville è il nome della cittadina americana situata sulle Montagne Rocciose negli anni della Grande Depressione (anni '30), periodo storico in cui è ambientata l'intera vicenda. L' America di Dogville è stata ricostruita interamente negli interni di un capannone a Trollhattan, in Svezia, niente strade, finestre e pareti ma una serie di perimetro disegnati con del gesso, delimitano lo spazio dentro cui gli attori teatranti si muovono. Il cielo perde la sua astrazione per diventare uno squallido telone da cui un sole irreale con la sua luce tenue illumina lo svolgersi del dramma.

Un'immagnine dall'alto di Dogville


Seppur la forzatura artificiosa del set e la teatralità dell'azione sottolineata da dialoghi brechtiani, la macchina rigorosamente a spalla guidata da Lars von Trier in persona, riesce a trascinarci nel dramma e farci sentire parte di esso. Quell'occhio incuriosito che si muove sul set ci mostra un atroce delitto di cui pur non vedendone scorrere il sangue diventa però impossibile non percepirne l'odore acre. E' proprio a Dogville che arriva Grace (interpretata da Nicole Kidman) una giovane donna bionda che, per sfuggire da un gruppo di gangster, giunge casualmente ai piedi delle Montagne Rocciose. Impaurita ed esausta, Grace ha la fortuna di imbattersi in Tom, il giovane filosofo del villaggio che si impegna ad avere cura di lei ed ad aiutarla. Gli abitanti della cittadina sperduta offrono rifugio alla donna, concedendole due settimane per farsi accettare dall'intera comunità; durante questo lasso di tempo dovrà rendersi utile e aiutare gli abitanti nelle loro faccende quotidiane. Nonostante Tom si mostri molto disponibile e protettivo nei confronti della giovane donna, cercando di convincere i cittadini ad accertarla all'interno del gruppo, ad un tratto la notizia della fuga di Grace trapela. La terribile scoperta che la donna è ricercata da inizio al dramma: tutti, compreso Tom, cominciano a pretendere da Grace sempre di più delle banali mansioni quotidiane e non solo, ma le ripetute visite della polizia, non fanno altro che incattivire la cittadina e i suoi abitanti. Accusata di aver portato solo guai e dolore nella sperduta Dogville, Grace viene ripetutamente umiliata e stuprata ed addirittura legata alla catena come un cane. Tom, l'uomo apparentemente innamorato di lei, la denuncia ai gangster che vengono a prendere la fuggiasca. Il ragazzo, che non poteva assolutamente immaginare che il capo della banda fosse proprio il padre di Grace, consegna Dogville e il suo destino nelle mani dei gangster. Grazie a questo colpa di scena la donna può finalmente compiere la propria vendetta e capovolgere il ruolo, sino a quel momento rivestito, della vittima sacrificale, per diventare un crudele carnefice senza scrupoli. Segnata dalle profonde violenze ed umiliazioni subite Grace decide di distruggere Dogville per il bene dell'umanità, affinché nessun individuo debba mai subire le umiliazioni e le violenze da lei subite. Tutti gli abitanti vengono uccisi, rimarrà un solo superstite a vegliare sul quel paesaggio di devastazione: il cane.

Grace apparentemente è presentata come vittima di una società crudele esattamente come le eroine della precedente trilogia; spinta da un forte bisogno di fare del bene accetta ogni compromesso, ma in realtà al nono capitolo c'è un cambio di direzione improvviso: Grace non è destinata a soccombere, ma può compiere la propria vendetta.


A Dogville non c'è posto per le eroine sacrificali della “trilogia del cuore d'oro”, non c'è posto per Bess, colei che ha donato la propria vita per l'amato Jan combattendo ogni giorno contro la violenza della comunità bigotta che ha tentato in ogni modo di sopraffarla e isolarla, e nemmeno per Selma, che ha sacrificato se stessa per lasciare viva la speranza che il piccolo Gene, un giorno, potesse "vedere" un mondo migliore. Dogville è un film dichiaratamente politico in cui si portano avanti le accuse intraprese nei film precedenti nei confronti della malvagità dell'animo umano e del suo timore del diverso, puntando esplicitamente , questa volta il dito contro gli Stati Uniti.

Dogville, nel suo piccolo, rappresenta quel meccanismo di sottomissione con cui le grandi potenze mondiali prepotentemente sovrastano i più deboli sottomettendoli al proprio dominio. Quando la vendetta di Grace sembra essere ormai compiuta, Lars von Trier lancia un ulteriore provocazione mostrando nel finale una serie di fotografie in bianco e nero raffiguranti personaggi dell'America degli anni Trenta che si susseguono sullo schermo sovrapponendosi ai titoli di coda e alternandosi con altre immagini che ritraggono l'attuale povertà in cui alcuni americani ancora oggi vivono. Sicuramente un finale che non lascia indifferenti ma che a mio avviso risulta una caduta di tono. Ancora una volta l'intento del regista non è quello di illudere lo spettatore offrendo nel finale una soluzione liberatoria che metta in pace il loro animo. Von Trier con il suo cinema tenta di stimolare la mente umana ed offrire degli spunti di riflessione che vadano oltre alla visione stessa del film. Nella sperduta Dogville non esistono eroi, non esistono figure completamente positive o negative.

Gli abitanti della cittadina tra le montagne non possiedono niente, nessuna rendita o possibilità di arricchimento, ma all'improvviso il destino presenta loro un'occasione molto appetitosa: la possibilità di sottomettere al proprio volere un essere umano. La situazione, inizialmente sotto controllo, sfugge però di mano ai cittadini, il potere è tanto grande quanto incontrollabile, tanto che finisce per ritorcersi contro la cittadina stessa che, accecata dalla sete di potere, ha perso la percezione della realtà finendo per esercitare sull'individuo succube della prepotenza, ogni forma di crudeltà psico-fisica. Dogville smaschera, in modo provocatorio, come l'esercizio di ogni forma di supremazia su un altro individuo possa diventare pericolosa e in grado di corrompere anche colui che inizialmente è mosso da buoni propositi. Lars von trier crede molto nel lavoro di gruppo e nel suo affiatamento pertanto, esattamente come durante le riprese di Idioti, ritiene di fondamentale importanza che attori e troupe condividano ogni istante dell'intera giornata, prima sul set e poi in albergo.

Non staccare mai dall'ambiente lavorativo e dai colleghi è tuttavia un motivo di stress e di eccessivo accumulo di tensioni emotive, come rimedio pertanto vengono fatti allestire due piccoli confessionali, all'esterno del set e dell'albergo, all'interno dei quali vengono collocate delle telecamere, dove gli attori si possono ritirare per parlare di sé, sfogare le proprie perplessità ed esternare le proprie riflessioni. Von Trier dimostra più volte di seguire un metodo di lavoro che non ha niente a che fare con la prassi seguita dalle produzioni tradizionali; in Dogville ripete l'esperienza di girare le scene seguendo cronologicamente la sceneggiatura, una scelta che si muove a favore di una presa di coscienza sia da parte degli attori che del regista della reale evoluzione dei personaggi e della storia. Il rapporto tra von Trier e gli attori diventa via via più intimo, il regista partecipa direttamente e con coinvolgimento alla realizzazione del film spingendosi con la sua telecamera, ormai diventata il diretto prolungamento del proprio corpo, molto vicino agli interpreti, in alcuni casi così tanto da stringere con la sua mano quella della Kidman, per confortarla ed incoraggiarla nei momenti difficili. La presenza costante del regista così in prossimità dell'attore contribuisce a dare alla scene una tensione, spingendo gli attori verso una recitazione dettata dall'istinto e dalla condizione psicologica del personaggio. Nessun dialogo imparato a memoria ma improvvisazione e personalizzazione di ogni ripresa. Quello di Dogville diventa un set sfruttabile a 360 gradi, dove ogni spazio della scenografia ed ogni attore è sempre sotto l'occhio delle telecamere, oltre infatti a quella manovrata da Lars von Trier, vengono utilizzate altre sedici macchine posizionate, per coprire una serie di angolazione di ripresa, sul soffitto del capannone. Gli attori hanno la possibilità di muoversi in totale libertà sul set, nessuna indicazione sul pavimento per le traiettorie da seguire durante gli spostamenti, nessun gesto o sguardo deve mai essere uguale a quello della scena precedente. Il regista con la pesantissima imbracatura della Sony HDW-F900 CineAlta della Sony si butta tra gli attori in una sorta di corpo a corpo, punta il suo occhio su ciò che accade, abolendo la regola tradizionale del campo e controcampo, proprio come avviene nella vita reale. Niente più monitor attraverso cui dirigere e controllare la scena ma mettersi in gioco in prima persona e diventare parte del dramma diventa la parola d'ordine di Lars von Trier.

Oltre alle sei settimane dedicate alle riprese sul set con gli attori, von Trier e collaboratori dedicano un ulteriore settimana per realizzare con tredici telecamere Sony DSR-PD150 DVCam, posizionate sul soffitto, le riprese dall'alto che andranno ad integrare il resto del girato catturato dalla macchina mobile guidata dallo stesso regista. Von Trier decide di utilizzare il video non come alternativa più economica alla costosissima pellicola, ma per le potenzialità che questo nuovo mezzo offre, scelta coraggiosa gli permette di realizzare un "cinema fusionale", come lui stesso lo chiama, che vede unirsi in una miscela suggestiva cinema, teatro e letteratura. Per supportare un allestimento scenografico ridotto all'essenziale, il regista progetta un impianto elaboratissimo sia a livello d'illuminazione che sonoro. Per quello che riguarda le luci von Trier propone la collaborazione sul set tra Anthony Dod Mantle esperto direttore della fotografia e la light designer specializzata in illuminazione teatrale, Asa Frankenberg. Insieme i due professionisti progettano un impianto luci molto complesso che prevede una fitta copertura del soffitto con migliaia di punti luce. L'intera installazione è direttamente manovrabile da un mixer che offre la possibilità d'intervenire sulla regolazione dei toni e della loro intensità anche durante qualsiasi momento delle riprese. Laddove la scenografia è risultata inesistente o minimalista la luce assume un ruolo di fondamentale importanza diventando l'unico modo attraverso il quale creare atmosfere particolari e sottolineare il passaggio dal giorno alla notte è.

Esattamente per lo stesso motivo viene studiato un sofisticato impianto sonoro elaborato in fase di postproduzione che prevede la realizzazione di suoni che siano il più possibile vicini alla realtà, saranno proprio questi a permetterci di determinare la limitazione spaziale assente e i materiali e le superfici di Dogville. Lars von Trier ci costringe a rivalutare e ripensare a tutti quei dogmi che da sempre hanno reso possibile l'immagine e la loro organizzazione all'interno dell'inquadratura. I criteri di continuità e omogeneità spaziale e temporale vengono completamente scardinati, per prediligere il missaggio e l'assemblaggio di immagini e di una stratificazione delle stesse. Stampato su 35mm/cinemascope Dogville viene presentato con grandissime aspettative al festival di Cannes del 2003 ma i risultati vanno a tradire i pronostici ed addirittura in alcuni paesi il film viene fatto uscire nelle sale cinematografiche in una versione ridotta di due ore a dispetto di quella integrale di tre.