Esordi del videoattivismo

Tratto da EduEDA
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==Argomento:== Esordi del videoattivismo nel Nord America

==Descrizione:== La nascita del videoattivismo così come lo conosciamo oggi, può essere fatta coincidere con l’arrivo sul mercato statunitense, nel 1965, del portpack della Sony, cioè l’insieme videoregistratore e telecamera portatile; è innegabile che i primi ad impadronirsene furono quegli artisti che già lavoravano sulla televisione ed i suoi meccanismi, ma nel giro di pochi anni il video diventò un oggetto popolare, acquistato da scuole, industrie, comunità e che vide anche una corsa dei singoli individui (militanti, donne, studenti, organizzatori sociali, artisti e cittadini) ad impadronirsi dei modi di comunicare. Oltre alla presenza del videotape sul mercato, sembra di poter attribuire lo sviluppo del fenomeno anche ad altri fattori: in primis, il dilagare delle nuove tecnologie accresceva la domanda di teoria attorno ai mass media e alla comunicazione, sia sul piano tecnologico (Simposio Internazionale di comunicazione di massa su I mass media e la comprensione internazionale) che su quello sociale (Simposio di Uppsala su Mass media e mutamento sociale); l’elaborazione teorica si accompagnava inoltre alla sperimentazione sul mezzo, che, a differenza dell’Italia, era spesso incoraggiata e finanziata dallo stato e dalle grandi emittenti televisive, nonché dalle università, che fornivano spazi, hardware e risorse. Un altro aspetto rilevante era la vivace e fitta presenza di movimenti pacifisti e per i diritti umani, che vide nel portapack lo strumento per potersi esprimere liberamente, grazie anche alla presenza della tv cavo, e per organizzarsi politicamente; a questo proposito in Senza chiedere permesso, Roberto Faenza riporta la videotestimonianza di Kathleen Cleaver: il suo movimento, i Panthers, usava il video come ponte comunicativo tra i membri militanti in America e quelli rifugiati in Algeria per sfuggire alla repressione. I gruppi e le esperienze che nascono in quegli anni sono davvero numerosi e legati a particolari realtà: tra i tanti il Revolutionary People’s Communication Network, gruppo di riferimento per la comunità dei neri, usava il videotape come tam-tam tecnologico tra prigionieri, esiliati e comunità dei ghetti, denunciando gli abusi della polizia o la droga come strumento di sterminio; l’United Farm Workers era legata all’organizzazione della lotta e degli scioperi degli operai della California; Elettra, collettivo femminile, usava il video come strumento di liberazione della donna; Media Access Center, lavorava con gli studenti delle scuole per far loro apprendere l’uso del video nella produzione di una loro informazione; il Community Video Center si poneva come gruppo di assistenza alla realtà che non avevano né i mezzi né le conoscenze per usare il video; il People’s Video Theater lavorava soprattutto per strada, coniugando tecniche teatrali e video per distribuire informazioni utili su salute, inquinamento, casa, cibo, etc…; Videofreex, definiti da Faenza i pionieri della tv alternativa; ma l’elenco potrebbe continuare con i gruppi Art That Hurts, Global Village, Environmental Communications, Ant Farm, Santa Cruz Community Service Televisions, etc… Le esperienze citate si trovavano spesso a collaborare, lavorando alle stesse problematiche, e a scambiarsi materiale e competenze , creando una rete di relazioni e contaminazioni talmente fitta da rendere difficile tracciare un confine tra quella che Simonetta Fadda in Definizione zero definisce arte “alta” e arte “di movimento”; si sottolinea però che il video era inscindibilmente legato alle esigenze di comunicazione, organizzazione e visibilità dei vari gruppi.


==Bibliografia:== R. Faenza (a cura di), Senza chiedere permesso. Come rivoluzionare l’informazione, Milano, Feltrinelli, 1973

Fadda Simonetta (1999), Definizione zero. Origini della videoarte fra politica e comunicazione, Genova, Costa & Nolan.

==Webliografia:== http://www.radicalsoftware.org