Fotografia

Tratto da EduEDA
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Un’altra grande rivoluzione che rende l’opera d’arte ancor più immateriale è l’invenzione della fotografia. Anche in questo caso è proprio il testo di Benjamin a fornirci una descrizione di quelli che furono gli atteggiamenti nei confronti del medium fotografia, con teorici dell’arte che si dividono tra reazionari ed entusiasti. Questi ultimi sostennero che la fotografia liberava la pittura dai suoi vincoli illustrativi e rappresentativi della realtà. Gli stessi pittori, (gli impressionisti furono i primi ad amarla), ne fecero un uso importante in quanto potevano fotografare i loro soggetti creando dei veri e propri set, e poi riprodurli nelle loro tele. E’ comunque con l’avvento e l’uso dei rullini fotografici che la fotografia può essere considerata la prima forma d’arte di massa.

Note storiche sulla fotografia

L'invenzione della fotografia, risalente alla prima metà del XIX secolo, rivoluzionò la riproduzione della realtà. Infatti, prima di questo avvenimento, non si potevano riprodurre oggettivamente sembianze di persone, cose o paesaggi.

L’invenzione nacque dalla complementarietà dei risultati acquisiti i sia nel campo dell'ottica, con lo studio della camera oscura, sia in quello della chimica, con gli effetti delle sostanze fotosensibili. La prima camera oscura fu concretizzata molto prima che si trovassero delle tecniche per realizzare con mezzi chimici l'immagine da essa prodotta; le prime sperimentazioni per la fotografia si ebbero con Niepce, a cui se ne attribuisce l'invenzione.

Nel 1813 egli perfezionò le tecniche litografiche e da ricerche si interessò per la registrazione diretta di immagini sulla lastra litografica, trascurando il ricorso all’incisore.

In collaborazione con il fratello Claude, Niepce studiò la sensibilità alla luce del cloruro d'argento e nel 1816 ottenne la sua prima immagine fotografica (riproducente un angolo della stanza di lavoro) utilizzando un foglio di carta sensibilizzato, probabilmente, con cloruro d'argento.

L'immagine, tuttavia, non si fissò completamente, per cui Niepce fu costretto a provare la sensibilità alla luce di numerose altre sostanze, prendendo in considerazione anche il bitume di Giudea che possiede la proprietà di divenire insolubile in olio di lavanda, in seguito a esposizione alla luce.

J.N.Niépce: Vista della camera a Le Gras, 1826. Il tempo d'esposizione di 8 ore causa l'impressione che gli edifici siano illuminati dal sole sia da destra sia da sinistra. Il primo successo con la nuova sostanza fotosensibile risale al 1822, con la riproduzione su vetro di un'incisione che raffigurava papa Pio VII. La riproduzione andò però distrutta qualche tempo dopo e la più antica immagine oggi esistente è una di quelle che Niepce ottenne nel 1824, utilizzando una camera oscura nella quale l'obiettivo era una lente biconvessa, dotata di diaframma e di un rudimentale sistema di messa a fuoco. Alle immagini così ottenute Niepce diede il nome di eliografie.

Nel 1829 egli fondò con Louis Daguerre, già noto per il suo diorama, una società per lo sviluppo delle tecniche fotografiche. Nel 1839 il fisico Domenico Francesco Arago presentò all' Accademia delle Scienze di Parigi un procedimento messo a punto da Daguerre, che venne chiamato dagherrotipia; la notizia suscitò l'interesse di William Fox Talbot, che dal 1835 sperimentava un procedimento fotografico denominato calotipia, e di J. F. Herschel, il quale sperimentava un procedimento su carta sensibilizzata con sali d'argento, utilizzando un fissaggio a base di tiosolfato sodico.

In questo stesso periodo, a Parigi, H. Bayard ideò un procedimento originale che faceva uso di un negativo su carta sensibilizzata con ioduro d'argento, dal quale si otteneva successivamente una copia positiva. Bayard fu però invitato, per evitare una concorrenza diretta con Daguerre, a desistere dalla continuazione degli esperimenti.

Lo sviluppo della dagherrotipia fu favorito anche dalla costruzione di apparecchi speciali muniti di un obiettivo a menisco acromatico messo a punto