Hacktivism e l'arte delle reti

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Hacktivism ed arte delle reti di Tommaso Tozzi


Premessa.

Lo sviluppo della società interconnessa (networked society) è l’attuale punto di arrivo di un processo secolare in cui il piano artistico e culturale è a sua volta ineludibilmente interrelato, tra gli altri, con quello economico, politico, sociale e scientifico. L’ordine strutturale dell’attuale sviluppo e uso dei media della comunicazione riflette non solamente l’ordine naturale delle cose, ma anche, e soprattutto, sia l’interesse di alcuni soggetti economici e politici, che la loro visione del mondo. Senza voler entrare nelle questioni specifiche della politica o dell’economia, questo intervento vuole invece provare a delineare quali siano state le principali linee di azione e di pensiero di quei movimenti artistici del Novecento che attraverso il loro agire e le loro teorie hanno provato a intervenire nei processi sociali e culturali per aprirli a soluzioni che riflettessero gli interessi della collettività e di ogni singolo individuo.

Alcuni percorsi nell’arte del Novecento.

Una delle principali forme artistiche del secolo scorso può essere definita l’arte della conoscenza. All’interno di tale definizione possono essere incluse tutte quelle pratiche e teorie critiche che hanno cercato di indagare sui limiti dei modelli tradizionali di organizzazione della conoscenza. Tra queste possono posizionarsi, ad esempio, l’estetica del segno negativo e la sua critica alle forme classiche della rappresentazione, per aprirsi all’infinità delle rappresentazioni possibili. La critica, ad esempio, delle avanguardie alle gabbie della prospettiva rinascimentale e al relativo punto di vista centrale sul mondo. La riflessione per cui si ha conoscenza non in istanti congelati e spazi circoscritti, ma attraverso una complessità di esperienze dilatate nel tempo e nello spazio, invoca implicitamente la necessità di una nuova forma di organizzazione della conoscenza in cui allo spazio della rappresentazione si sostituisca lo spazio dell’esperienza. Le critiche che propongono una differente idea di spazio e di tempo che vedono nel ciberspazio un punto di arrivo di una possibile nuova dimensione in cui non esiste più uno spazio separato geograficamente ed in cui le narrazioni possono svolgersi in una dimensione temporale non lineare.

Un’altra direzione storica che si affianca alla precedente nel Novecento, proseguendo il suo sviluppo millenario, è l’arte dello scetticismo. Di tale ambito, che storicamente pone la critica ad un’idea di verità unica ed immutabile, è interessante ad esempio sottolineare l’idea di trasformazione e di flusso espressa nelle proposte di opera in divenire (vedi ad esempio il movimento fluxus) così come di temporaneità e transitorietà nelle proposte ad esempio di Hakim Bey. Le caratteristiche di variabilità e trasformazione del senso, sono state alla base di molte pratiche, tra cui i readymades di Duchamp, i detournment situazionisti, le opere plagiariste, introducendo riflessioni sulle possibilità di ricombinazione all’interno di sistemi reticolari. La rivendicazione di un principio di indeterminazione, che dalla fisica si è spostato nel sistema culturale, ha autorizzato e legittimato il dubbio verso gli schemi culturali dominanti, aprendo la strada a opere casuali, alla rivendicazione dell’errore e del non-funzionale come elemento costitutivo dell’opera.

L’arte concettuale, così come gli happening ed altre forme artistiche, contrapponendo all’arte oggettuale l’arte come idea e investigazione sul linguaggio stesso dell’arte, hanno rafforzato l’autorizzazione di un sistema di mediazione della realtà basato sull’immateriale quale sarà poi quello delle realtà virtuali. Uno degli aspetti possibili di tale sistema della comunicazione è la costruzione di un sistema di segni senza referente. Un mondo i cui oggetti non sono materiali ma produzioni del codice stesso. Riflessioni già implicite nelle mostre Telephone Art del 1969 e Software Information Technology: its New Meaning for Art del 1970, tale aspetto era uno dei temi della mostra Les Immateriaux del 1985, così come uno tra i tanti temi della software art degli anni Novanta.

I principi di indeterminazione e flusso diventano le basi attraverso cui pensare la vita come un tutto indissolubile, in cui ogni parte in modo con-fuso influisce e modifica le altre. L’arte della con-fusione rivolge le sue critiche all’idea di opera d’arte unica ed originale, allo status autonomo dell’arte, al totalitarismo, e ai principi di organizzazione dei saperi di tipo tassonomici. La concezione olistica tipica di molte filosofie orientali, la ritroviamo negli studi del 1960 sul rapporto di simbiosi uomo-macchina di Licklider (che sarà tra i creatori del progetto Arpanet), nell’idea di rete come organismo, negli studi del paradigma connessionista, così come delle reti neurali e della vita artificiale. Queste riflessioni, che mettono in evidenza il tema dell’ibridazione tra corpo umano e macchina, si estendono o sono figlie di riflessioni più generali sull’ibridazione tra generi culturali o ambiti disciplinari. L’arte degli anni Sessanta promuoverà fortemente il tema dell’interdisciplinareità attraverso proposte di arte trasversale ai generi tradizionali, così come attraverso gli assunti alla base del Bauhaus o altre iniziative come ad esempio quella della collaborazione tra scienziati e artisti nella fondazione Experiment in Art and Technology del 1966. Un percorso che da una parte si muove dai presupposti di una sintesi delle arti e di un’opera d’arte totale già annunciata nell’Ottocento, mentre dall’altra seguirà un filone di critica dell’estetica dominante tipica delle correnti scettiche come Dada che nei suoi manifesti non si limita a mettere in discussione l’arte tradizionale ma muove una critica anche alle stesse affermazioni Dada. L’idea di con-fusione si risolverà nel computer nella caratteristica di sinestesia e di convergenza di più media e più linguaggi all’interno dello stesso strumento e attraverso un medesimo codice.

Chi promuoverà, o trarrà vantaggi da tali processi culturali e scientifici, saranno i fautori dell’arte della cooperazione. Frutto almeno del pensiero socialista e comunitario dell’Ottocento, ma allo stesso tempo intrecciate con i processi di globalizzazione necessari alla classe borghese per affermare i propri interessi individuali e sviluppando le premesse implicite nella preannunciata morte dell’autore da Baudelaire e Benjamin, le utopie della cybercultura e dell’intelligenza collettiva di Levy o dell’intelligenza connettiva di De Kerchkove hanno avuto le più diverse sfaccettature nel corso del Novecento. Tra queste, ad esempio, le visioni della Noosfera di De Chardin, del villaggio globale di Mc Luhan, del cervello globale di Peter Russell, dell’intellettuale collettivo di Gramsci. Più o meno in modo volontario e diretto, le tensioni verso la cooperazione, la partecipazione e l’interazione nel Novecento hanno spinto da più parti nella direzione di un’arte collettiva, che criticava l’idea di autore unico, di genio individuale e di spettatore passivo, come già Brecht nel 1932 sottolinea riferendosi al mezzo radiofonico. Tensioni che vanno a toccare anche alcuni tra i cardini dell’economia capitalista: il concetto di copyright e di proprietà privata, contro cui muovono critiche esplicite l’area del situazionismo. Il software libero e la premiazione di Linux come opera d’arte sono la consacrazione e il riconoscimento ufficiale, in ambito informatico oltre che artistico, di un nuovo paradigma sociale possibile.


In qualche modo vicino a tale idea, l’arte del fare network è quella in cui non esiste un singolo che progetta il network, ma l’evolversi del network è un evento collaborativo e partecipato da parte di una collettività che congiuntamente riconosce e coglie come significativo qualcosa che si ripete spontaneamente durante i propri scambi e negoziazioni quotidiane in rete.

Dietro a molte delle forme artistiche del Novecento soggiace una tensione verso l’arte del rispetto. Un connubio tra arte e etica, in cui all’alienazione tipica delle forme sociali del capitalismo sono opposti la richiesta di uguaglianza, fratellanza, e del rispetto dei valori umani. Quelle formule che dovrebbero essere i capisaldi della cosiddetta democrazia elettronica.

Paradossalmente, ma significativamente, l’arte del fare network è inscindibile dall’arte dell’autodeterminazione. Il costruire sistemi di relazione con altri è plausibile solo quando questo avviene nel rispetto dei diritti e dell’identità di ogni singolo individuo. Il sistema di rete distribuita alla base del progetto Arpanet del 1969 è un sistema decentrato in cui ad ogni nodo dovrebbe essere riconosciuta autonomia. Tale sistema dovrebbe garantire il pluralismo, l’esistenza nella rete di punti di vista individuali e locali tale da poter parlare di rete translocale come relazione tra realtà locali autodeterminate. In questa logica, la difesa della privacy, dell’anonimato e dell’autodeterminazione dell’identità individuale diventa un fattore fondamentale.

Essendo l’economia capitalista fondata su presupposti che spesso collidono con quelli delle varie forme artistiche fino ad ora enunciate, il Novecento, come in tempi più remoti, ha visto emergere con forza al suo interno un’arte della critica. Un’arte che fonda i suoi presupposti sulla critica del controllo e del condizionamento sociale e culturale messo in atto dal sistema culturale dominante. Tale arte ha promosso una critica dell’influenza dei media. Ciò è avvenuto, ad esempio, fin dagli anni Cinquanta in quelle esperienze di videoarte, che criticavano l’uso verticale ed alienante della televisione. Un esempio in tal senso sono le opere di Vostell, di Davis, Paik e molti altri. Gli anni Novanta hanno visto lo spostarsi nella rete di molte di tali attitudini critiche da parte di singoli così come di gruppi artistici. Le forme di protesta in rete, trasversali agli ambiti artistici, hanno preso i connotati più svariati. Dalla creazione di forum di discussione quali la mailing list Nettime, alla rivendicazione di una funzione sindacale di difesa dei diritti individuali e collettivi che singole realtà possono assumere se connesse in rete tra di loro, quale è stata l’ipotesi alla base della nascita del gruppo Syndicate, al corteo in rete, da me inventato e definito Netstrike nel 1995, alle pratiche di disturbo elettronico delle jamming culture quali ad esempio i digital hijacking degli etoy o i fake del gruppo ®™ark ed in seguito The Yesman, o alle teorizzazioni di disobbedienza civile elettronica del gruppo Critical Art Ensemble. Tali forme artistiche si sono spesso anche interrogate su quali siano le forme di costruzione del desiderio implicite nell’ordine sociale dominante e di come e quando tali forme fossero finalizzate a garantire gli interessi del mercato, anziché riflettere le pulsioni del singolo individuo.

All’antagonismo dell’arte critica si sono sempre affiancate le proposte alternative emergenti in quella che può essere definita l’arte dell’utopia. Talvolta tali proposte sono più provocazioni tese a minare le certezze del sistema dominante e a farne emergere le contraddizioni, che non la pretesa di costruire dei linguaggi migliori di quelli verso cui si scagliano. Spesso tali forme pretendono più di svelare l’arbitrarietà del codice dominante, nel tentativo di restituire coscienza e consapevolezza a coloro che lo usano, che non prentendere di essere delle vere e proprie ipotesi linguistiche alternative. È questo il caso, ad esempio, del ben noto duo Jodi, o del software Auto-Illustrator di Adrian Ward, o del browser Web Stalker del gruppo I/O/D, come di molti altri ancora. Può essere considerata arte dell’utopia gli sforzi di buona parte delle culture hacker dagli anni Sessanta in poi, e spesso ciò collima con ciò che si è già definito come arte del fare network. Infine, secondi altri ancora, seguendo il pensiero di De Certau, l’arte dell’utopia emerge spontaneamente e individualmente in pratiche effimere e improvvisate della vita quotidiana che non appartengono ad alcuna ideologia.

Per concludere, la storia dell’umanità ha ragione di esistere per il fatto che da sempre