Homework as hierarchy: towards the demise of Institutional

Tratto da EduEDA
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Autore: Peter Weibel

Titolo tradotto: Lavoro domiciliare (compito a casa) come gerarchia: verso la fine dei controlli e dei circuiti istituzionali

Data: 21 Dicembre 1997

http://calarts.edu/~bookchin/weibel.html

Da quando Turing nel 1937 ha sollevato il problema di cosa sia l’intelligenza, la produzione di conoscenza come traslato meccanicistico a fronte di una facciata in rovina della gerarchia istituzionale cade a pezzi e noi siamo lasciati in una situazione in cui una notazione programmatica verticistica ha bisogno di essere messa radicalmente in dubbio. La trasformazione dell’arte e la rappresentazione della determinazione in una società post moderna sono simili nella finalità e nell’aspetto alle rovine lasciate dal periodo immediatamente successivo alla devastazione della seconda guerra mondiale. Per definire l’’intelligenza e il lavoro assegnato inizia un discorso dequalificato nelle grandi e formalizzate istituzioni dell’educazione superiore nate nel sedicesimo secolo con lo scontro fra monarchi e contadini e si estende dalle grandi università europee alle accademie di arte classica che nascono a Parigi nel diciannovesimo secolo e dopo in Germania dove assunsero caratteristiche diverse con l’uso di un linguaggio fondamentalmente nuovo,rivoluzionando interazioni e vecchie gerarchie fra studenti e insegnanti, padroni e schiavi, donne e animali.

Tutto ciò non è diverso dalla prima proposta di Turing degli anni trenta o anche di Charles Babage e la sua “difference machine‿ di un centinaio di anni prima nello stesso secolo e dalla espansione simbiotica delle idee poco sviluppate della sua amica e sostenitrice la grande matematica Lady Ada. A novembre di quest’anno Alexei Shulgin ha invitato su Internet gli artisti a partecipare ad un compito a casa a seguito di un percorso di interventi Modernisti fatti nel XX secolo in Accademia dai Futuristi, Dadaisti, Surrealisti, Fluxus e Situazionisti, “spezzando i binari‿ dell’Accadmia e dei Musei, arte e non arte, il codice e il codificato, zero e uno, uomini e barbari e rivelando ancora una volta che non c’è nessun circuito autonomo, nessun terreno inviolato e come i grandi Zar nella Russia pre rivoluzionaria numerosi seguaci hanno risposto e si sono uniti a lui nella ricerca .

Nel suo invito telepresent attraverso paesi, frontiere, continenti oceani, computer e istituzioni, un atto che da solo ha annullato il telefono, il fax, la televisione via cavo, il cavallo il carro, il modem e il sistema digitale ecc. i segni simbolici di Shuglin hanno viaggiato attraverso lo spazio e il tempo e artisti in rete di numerosi paesi: Slovenia, Gran Bretagna, USA, Canada, Brasile, Francia, Russia e Germania si sono affrettati a seguire Shulglin lungo il sentiero prestabilito nel rivedere i requisiti sia dell’accademia che dell’arte, la stessa cosa è stata fatta in un corso universitario a San Diego California, dal pubblico da membri universitari produttori professori e codici.

L’interrogativo che ci chiede di rivedere le nostre convinzioni, ridefinendo i concetti fondamentali che ci poniamo alla fine del XX secolo alla vigilia del millennio, è esplosivo e troppo spesso confinato nelle pagine dei libri di testo e che continuamente fa riemergere la domanda di che cosa sia l’arte e il compito a casa.(homework). Abbiamo individuato un giovane professore dell’università californiana di San Diego, Harold Cohen (1962) che insieme a Turino una volta chiese che cosa significasse per la pittura essere creata artificialmente, per la creatività essere codificata, per la vita naturale essere scientificamente predeterminata e confinata in una tela a olio,al fine di produrre una sintesi fra un credo modernista in un modello dalle forme originali e una logica Boleiana di una rigenerazione digitale di forme con l’aggiunta delle teorie di Shannon di rumore e segnale. Natalie Bookchin, una giovane insegnante, ha posto questa domanda ai suoi studenti in un compito e qui ella ha istituzionalizzato teorie incisive, formalizzate non intenzionalmente, alla vigilia del nuovo secolo. Era un quesito che Joseph Beuys non era stato in grado di formulare all’individualismo borghese dopo aver pilotato aerei nella seconda guerra mondiale ed aver applicato il metodo terapeutico ad un paese che a malapena aveva bisogno di ridefinire la sua identità metafisica e la relazione soggettiva, così come non erano state ascoltate le sue esternazioni prima dei grandi disastri seguiti all’invenzione della Lanterna Magica e della pistola fotografica di Marey. Con il progetto Bookchin Homework (Shulgin 1997) emerge fra le rovine del credo utopico del XX secolo un progetto distopico (distopian) sempre presente formulato in modo tale a cui Freud si sarebbe potuto riferire come il ritorno del rimosso, il rimosso che è un modello falsamente confortante di pratiche simboliche isolate entro il cubo bianco dei grandi musei e delle grandi università del nostro tempo.

Il problema del homework viene proposto con un invito diretto e spontaneo, dove l’osservatore diventa una parte del sistema dell’osservato evitando rappresentazioni falliche astratte o solo autorappresentazioni. Così entriamo in una nuova fase della storia. Come potevano.Shulgin, Cosic, Bunting, o anche Rachel Baker e Keiko Suziki ignorare una proposta così forte di Bukchin di istituzionalizzare e formalizzare le loro strategie. Non potevano, e nel novembre del 1997 ci sono stati interventi esplosivi di una moltitudine umana (di uomini e donne) che rievocavano i vecchi sogni rivoluzionari di far crollare i musei (i Situazionisti) e la vita (la Comune di Parigi) e persino Manet con la sua rivoluzione dello spazio tridimensionale in una mera superficie come il monitor del computer oggi.

Quando un’azione strategica così brillante fallisce essa frantuma i sistemi di equilibrio e gli sviluppi solidamente articolati negli anni 60 (John Cage) e la sua inettitudine mette a nudo una somiglianza evidente con il sillabo su cui il compito si basava. Il progetto, l’assegnazione del compito, è un esempio grave di fallimento nella tradizione dei grandi fallimenti del Modernismo che vanno dall’Espressionismo Astratto come camuffamento dei segreti della Guerra Fredda all’invito di Nam June Paik di riscrivere la televisione (1960), alla nascita della pittura americana in larga scala che riflette un’oscura ambivalenza post cinematografica e post moderna. Questa teoria sostiene movimenti modernisti classici quali il Supremeticismo (Supremeticism) e il Costruttivismo e De Stijl. Da Picasso a Braque a Shuglin a Cosic a Jodi a Bunting noi troviamo opere il cui tentativo è di rivolgersi attentamente ad un ventre protuberante ed enormemente grande come l’aria calda del pallone o alla conversazione in gergo americano o alla contemplazione dell’ombelico. Il solo progetto fra i venti bizzarri che evitano di rendere vana la contemplazione è l’opera dell’artista e poeta brasiliano Joäo da Silva. Non ci sorprende che il suo lavoro di una soggettività da Terzo Mondo trascende i più triti e banali fra gli altri progetti sviluppati con tale forza e determinazione tanto da ricordare la pittura astratta degli anni 50 quando la cultura visiva (segni immagni messaggi) fu di importanza paramilitare per lo sviluppo della ricerca psico fisiologica. Le leggi della metafisica e della sessualità e confronto sono riscritte nel compito a casa di Joao da Silva e sulla base di questo progetto io indirizzerei i miei lettori al sito:

http://www.easylife.org/homework

Peter Weibel< Peter.Weibel@vis-med.ac.at>





Peter Weibel è nato nel 1945 ed ha studiato alla Film Accademy a Parigi, in seguito ha studiato medicina, matematica e filosofia a Vienna. Da 1975 espone le sue opere da solo o in gruppo. Ha lavorato presso le Università di Vienna, Kassel, Halifax e Buffalo come professore ospite. Dal 1986 al 1995 ha lavorato come direttore dei programmi alla Ars Electronica a Linz, Austria. Dal 1989 lavora come direttore dell’istituto dei New Media presso la Stadel Schule a Francoforte /Main.