Interaction, Participation, Networking. Art and telecommunication: differenze tra le versioni

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Negli anni 60, questa interazione fra il pubblico, l’opera e l'artista divenne l'elemento principale di un’estetica situata al di fuori dai generi, dalle categorie e dalle istituzioni, generalmente definita col termine "intermedia."
 
Negli anni 60, questa interazione fra il pubblico, l’opera e l'artista divenne l'elemento principale di un’estetica situata al di fuori dai generi, dalle categorie e dalle istituzioni, generalmente definita col termine "intermedia."
  
Con il festival " Esposizione di Music-Electronic Television “ organizzato nella città tedesca di Wuppertal nel 1963, [[Paik June Nam|Nam June Paik]]  realizzò un primo modello per l’interazione dello spettatore con l'immagine elettronica della televisione. Utilizzando dispositivi come un microfono o un magnete, le diverse versioni di " ''Partecipation TV'' " (1963-¬1966), che fu il primo ad essere presentato al festival, e il successivo “ ''Magnet TV'' " (1965) consentivano allo spettatore di produrre dei modelli oscillanti su uno schermo TV elettronicamente modificato. Tipica di questa prima fase  "la riutilizzazione interattiva," la deviazione, dei mezzi di radiodiffusione come la TV e radio. La richiesta implicita di un cambiamento nelle strutture unidirezionali dei mass-media si sommava a una massiccia critica alla passività di fruizione degli stessi indotta negli spettatori.
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Con il festival " Esposizione di Music-Electronic Television “ organizzato nella città tedesca di Wuppertal nel 1963, [[Paik Nam June|Nam June Paik]]  realizzò un primo modello per l’interazione dello spettatore con l'immagine elettronica della televisione. Utilizzando dispositivi come un microfono o un magnete, le diverse versioni di " ''Partecipation TV'' " (1963-¬1966), che fu il primo ad essere presentato al festival, e il successivo “ ''Magnet TV'' " (1965) consentivano allo spettatore di produrre dei modelli oscillanti su uno schermo TV elettronicamente modificato. Tipica di questa prima fase  "la riutilizzazione interattiva," la deviazione, dei mezzi di radiodiffusione come la TV e radio. La richiesta implicita di un cambiamento nelle strutture unidirezionali dei mass-media si sommava a una massiccia critica alla passività di fruizione degli stessi indotta negli spettatori.
 
Negli anni 70 altri concetti di interattività vennero introdotti in coincidenza col passaggio dall’happening  alla performance.  
 
Negli anni 70 altri concetti di interattività vennero introdotti in coincidenza col passaggio dall’happening  alla performance.  
 
Artisti come [[Graham Dan|Dan Graham]], [[Campus Peter|Peter Campus]] e Peter Weilben utilizzarono installazioni a circuito chiuso per far confrontare lo spettatore con la sua stessa immagine mediata, mentre nel “''Live-taped Video Corridor''‿ (1970) di [[Nauman Bruce|Bruce Nauman]] gli spettatori si trovano ad essere radicalmente condizionati.
 
Artisti come [[Graham Dan|Dan Graham]], [[Campus Peter|Peter Campus]] e Peter Weilben utilizzarono installazioni a circuito chiuso per far confrontare lo spettatore con la sua stessa immagine mediata, mentre nel “''Live-taped Video Corridor''‿ (1970) di [[Nauman Bruce|Bruce Nauman]] gli spettatori si trovano ad essere radicalmente condizionati.

Revisione 13:27, 14 Feb 2009

Autore: Arns Inke

Tratto da: http://www.medienkunstnetz.de/themes/overview_of_media_art/communication/1/

Titolo Originale: Interaction, Participation, Networking - Art and telecommunication

Traduzione di:Emanuela Ester Zedda

Anno:

Interazione, Partecipazione, Arte di rete e telecomunicazione

L'idea che la ricezione di un'opera d'arte richieda la partecipazione dell’osservatore, non è esclusiva del ventesimo secolo, ma è stata anticipata verso la fine del diciannovesimo secolo dal concetto del Mallarmé di arte come processo che comprende elementi mutevoli e aleatori, che, col nome di "opera aperta",divenne programmatico per il movimento d’avanguardia circa cinquant’anni più tardi. Seguendo linee simili, nel 1957 Marcel Duchamp ha asserito che ogni esperienza estetica assegna un ruolo essenziale allo spettatore, che nel corso dell'osservazione "aggiunge il suo contributo all'atto creativo". In un'altra occasione, Duchamp ha persino sostenuto che "un lavoro è fatto interamente da coloro che lo guardano o lo leggono, che lo fanno sopravvivere con il loro consenso e persino con la loro censura".

Le nozioni ed i concetti di interazione, di partecipazione e di comunicazione sono elementi focali nell'arte del ventesimo secolo e interessano in egual misura l’opera, il destinatario e l’artista. Parlando in generale, questi termini indicano un passaggio dall'opera d'arte chiusa all’opera d’arte “aperta‿, dall'oggetto statico al processo dinamico, dalla fruizione contemplativa alla partecipazione attiva. Si tratta di un cambiamento lontano dal concetto di "autore" e che porta, oltre all’idea di "autore come produttore" e a quella di “morte dell'autore", verso l’idea di paternità distribuita o collettiva dell’opera. Con l’approssimarsi del ventunesimo secolo, l’artista-genio del diciannovesimo secolo si era evoluto in un iniziatore di processi di scambio comunicativi, e spesso anche sociali e politici. In tutti questi "movimenti di apertura" il concetto di interazione svolge un ruolo importante. Tuttavia, il significato del termine "interazione" ha subito una trasformazione continua durante gli anni tra l’avvenimento partecipativo e le azioni di Fluxus degli anni 50 e dell'inizio degli anni 60, e l'arte interattiva dei media degli anni 80 e degli anni 90. Il mutamento di significato è dovuto probabilmente all’ampio spettro di interpretazione a cui il termine si presta: Interazione indica infatti sia l’azione sociale correlata, sia la categoria di comunicazione, sia la fondamentale categoria di comunicazione uomo-macchina comunemente definita “interattività‿. Dagli anni 60 agli anni 90 la nozione sociale di interazione è stata rimpiazzata dalla definizione di interattività (interazione uomo-macchina) con maggiore impronta tecnologica e mediali. Dieter Daniels spiega questo spostamento di paradigma con la seguente teoria: mentre negli anni 60 i media erano ancora visti come uno dei mezzi utilizzabili per raggiungere l’utopia socio-culturale di una società , una svolta a riguardo si ebbe negli anni 90, un periodo in cui la tecnologia dei media è stata vista spesso come "il leitmotiv‿ da cui derivavano tutte le trasformazioni sociali, culturali ed economiche". Dopo che nei primi anni 90 la nozione di interazione sociale fu sostituita da quella di un'interattività soprattutto tecnologica, dalla metà di quello stesso decenniolo sviluppo di Internet stava restituendo importanza sociale ai concetti associati di interazione/interattività, che in maniera sempre maggiore rappresentano lo scambio umano assistito dal media e quindi collegato agli ideali dell'arte intermediale degli anni 60 così come ai primi esperimenti di telecomunicazioni degli anni 70 e degli anni 80.

La seguente descrizione si concilia meno con la concezione più tecnica di interattività e col suo orientamento mediale rispetto a quanto non faccia con quei progetti condotti dagli anni 60 in poi, che svilupparono l'idea di interazione come sociale e gregaria. Dopo una breve analisi dei vari modelli dell'interattività nell'arte dei media, quindi, il mio saggio si focalizzerà sui progetti e sui processi di comunicazione nel corso dei quali si sono sviluppate particolari forme di interazione e concetti di interattività. Tutti i progetti si occupano di interazione uomo-uomo attraverso i media o il computer, mirante all’interconnessione e alla cooperazione di partecipanti separati da grandi distanze fisiche. Oggi, le forme di arte ed interazione presentate, che vanno dal lavoro a circuito chiuso alle installazioni interattive di arte mediale, esistono come possibilità parallele.


Dal "lavoro aperto" di Happening e di Fluxus (anni 60) allo spettatore condizionato (anni 70)

I primi passi verso partecipazione ed interazione attive sono stati fatti da John Cage, Allan Kaprow, George Brecht ed altri appartenenti ai movimenti di Fluxus e di Happening negli anni 50 e negli anni 60. Le famose composizioni di John Cage 4' 33 (1952) o immaginary Landscape n°4 (1951) possono essere citate come esemplificazione di "lavoro aperto". Il pezzo "4’ 33" consiste di quattro minuti e trentatre secondi di silenzio, il cui protagonista dipende naturalmente dalle condizioni della sua performance pubblica (rumore fatto dal pubblico e dall'esecutore, rumore di sottofondo, e così via). "nel paesaggio immaginario n°4" come strumenti musicali sono impiegate dodici radio, da notare che ogni prestazione è unica e irripetibile per il fatto che la scelta delle frequenze varia secondo la data e la località dell'esecuzione. Con i suoi requisiti minimi, Cage intende iniziare un processo creativo individuale e sociale che successivamente si stacca dalle intenzioni del relativo autore." Mentre il silenzio 4'33 intensifica la creatività potenziale della ricezione del pubblico (ma non fa ancora partecipare attivamente gli ascoltatori al processo artistico)," il paesaggio immaginario No.4 "dà risalto al ruolo non-definito degli esecutori (che, tuttavia, rimangono esecutori). Dai tardi anni 50 in poi, la forma d’ arte di Happening stabilita da Allan Kaprow fece qualche passo ulteriore rendendo gli spettatori stessi partecipanti, esecutori e interpreti del processo artistico ( si veda " 18 happenings in 6 parti ," 1959). Negli anni 60, questa interazione fra il pubblico, l’opera e l'artista divenne l'elemento principale di un’estetica situata al di fuori dai generi, dalle categorie e dalle istituzioni, generalmente definita col termine "intermedia."

Con il festival " Esposizione di Music-Electronic Television “ organizzato nella città tedesca di Wuppertal nel 1963, Nam June Paik realizzò un primo modello per l’interazione dello spettatore con l'immagine elettronica della televisione. Utilizzando dispositivi come un microfono o un magnete, le diverse versioni di " Partecipation TV " (1963-¬1966), che fu il primo ad essere presentato al festival, e il successivo “ Magnet TV " (1965) consentivano allo spettatore di produrre dei modelli oscillanti su uno schermo TV elettronicamente modificato. Tipica di questa prima fase "la riutilizzazione interattiva," la deviazione, dei mezzi di radiodiffusione come la TV e radio. La richiesta implicita di un cambiamento nelle strutture unidirezionali dei mass-media si sommava a una massiccia critica alla passività di fruizione degli stessi indotta negli spettatori. Negli anni 70 altri concetti di interattività vennero introdotti in coincidenza col passaggio dall’happening alla performance. Artisti come Dan Graham, Peter Campus e Peter Weilben utilizzarono installazioni a circuito chiuso per far confrontare lo spettatore con la sua stessa immagine mediata, mentre nel “Live-taped Video Corridor‿ (1970) di Bruce Nauman gli spettatori si trovano ad essere radicalmente condizionati. Queste installazioni interattive furono le prime ad incontrare il successo nel mondo dell’arte e furono i prodotti di una fondamentale diffidenza verso gli ideali di apertura e partecipazione a cui si anelava negli anni 60: " Io non credo nella partecipazione del pubblico" è una dichiarazione documentata di Nauman. Le installazioni a circuito chiuso prodotte nel decennio successivo non rappresentarono tanto progetti partecipativi, quanto situazioni che riflettono sul rapporto fra lo spettatore ed il mezzo." Il celebre “Tap and Touch Cinema“ (1968) di Valie Export, che rese l'interattività afferrabile come un'esperienza sensoriale e tattile diretta, si pose in netto contrasto con questa auto-riflessione media-estetica. Per la sua azione di strada, la Export si legò al petto una scatola aperta nella parte anteriore ed in quella posteriore, così da consentire ai passanti di far passare le mani sul davanti attraverso una tenda e di toccarle i seni. Questa "installazione mobile" condizionò lo spettatore più drasticamente di quanto non fece il corridoio del Nauman ", ed allo stesso tempo mise profondamente in discussione il confine fra pubblico e privato.

Negli anni 70, un artista come Douglas Davis rappresentò l'opposto dell’esplicito rifiuto di Nauman per la partecipazione del pubblico. I progetti d’arte di Davis miravano a creare delle situazioni di comunicazione esplicitamente dialogiche attraverso i nuovi mezzi di telecomunicazione (si veda la sezione sui "progetti satellite", sotto). Tuttavia i progetti di Davis, con i loro risultati di vasta partecipazione di pubblico, rappresentarono un’eccezione alla regola: i principali progetti di telecomunicazione degli anni 70 e degli anni 80 prevedevano la partecipazione degli artisti che li avevano realizzati, ma non di un vasto pubblico. La situazione cominciò a cambiare soltanto negli anni 90, quando molte più persone ottennero l’accesso ad Internet.


MediaArt interattiva negli anni 80 e 90

Sebbene la tecnologia computerizzata, digitale e multimediale sviluppata e vastamente usata dagli anni 80 in poi contemplasse l’interazione dell’utente col dispositivo, questa interazione era prettamente orientata verso il mezzo e di portata tecnica. E’ quindi possibile ravvisare nella visione di Dieter Daniel, una variazione dei paradigmi ideologici che si allontanano dalle idee socio-estetiche senza frontiere degli anni 60 verso il concetto di interattività tecnologica degli anni 90. Approcci emancipazionisti si ritrovano scarsamente nelle forme di interazione uomo-macchina tipiche di quel decennio e gli approcci “media-critici‿ sono altrettanto rari. Negli anni 80-90 si possono distinguere diverse forme di interazione assistite dai media: interazione con una video storia (televisione e cinema interattivo), come in “Deep Contact‿ di Lynn Hershman (1989-1990); interazione tra corpo e mondo dei dati (statico e dinamico) come in “The Legible City‿ (1988) di Jeffry Shaw, in “Die Wand del Vorhang (Grenze, die) fachsprachlic auch: Lascaux‿ (1993) di Peter Weibel, in “A Volve‿ (1993-1994) di Christa Sommerei e Laurent Mignonneau o in “Breath‿ (1992-1993) di Ulrike Gabriel; interazione come dialogo, ad esempio in “Telematic Dreaming‿ (1992) di Paul Sermon, o in “Between the Words‿ (1995) di Agnes Hegedüs. In queste realizzazioni lo spettatore non è più soltanto ricevente, ma contemporaneamente diventa agente. Tuttavia, questo “spettatore esemplare‿ tendeva ad essere anche solitario, in quanto queste installazioni interattive non potevano essere utilizzate da più di due persone per volta. Inoltre, una volta all’interno del mondo virtuale, il visitatore solitario raramente incontrava altri esploratori: questi ambienti non erano progettati per le comunicazioni interpersonali. Le strutture a paternità collettiva e/o distribuita realizzate su internet dalla metà degli anni 90 in combinazione con la mancanza di una stabile collocazione fisica, impedivano a ogni nuova collettività nello spazio virtuale, di stabilire collegamenti connettivi col mondo reale o col contesto artistico (e, in definitiva con la storia dell’arte). L’ascesa di Internet negli anni 90, fece tornare alla ribalta il concetto di interattività caratteristico dell’arte intermediale degli anni 60.


Telematica e Telepresenza

Le nozioni di telematica e telepresenza hanno iniziato a guadagnare importanza per l’arte interattiva dei media verso la fine degli anni 80. La telepresenza consente all’osservatore di fare esperienze in parallelo in tre spazi differenti: 1.nello spazio “reale‿ in cui il suo corpo è situato fisicamente; 2.per tele-percezione nello “spazio virtuale simulato che riproduce una sfera visiva remota, realmente esistente o di pura fantasia‿; 3.per tele-azione nella postazione fisica di elaborazione dati o anche grazie a un robot gestibile coi propri movimenti o equipaggiato con un apparato sensore che riproduce chi lo utilizza. Fino a un certo periodo questo concetto, e ancor prima quello di agire o influenzare a distanza è anche riflesso nell’arte mediale interattiva. Kit Galloway e Sherrie Rabinowitz, che dal 1977 hanno lavorato col nome di Mobile Image, sono indubbiamente pioniere in questo campo. Il loro progetto pionieristico “Hole in Space‿ (1980) mette in risalto più o meno tutte le caratteristiche della telepresenza, con una eccezione: Gli osservatori/utenti non vengono rappresentati nella realtà virtuale, in ogni caso percepiscono lo spazio remoto (tele-percezione) e interagiscono con esso (tele-azione) o, a seconda dei casi, con le persone che stanno agli altri terminali di “Hole in Space‿. L’installazione venne utilizzata in un esperimento di tre giorni nel novembre del 1980, che utilizzò un collegamento via satellite per connettere in tempo reale una postazione situata a Los Angeles con una situata a New York. I passanti potevano utilizzare “Hole in Space‿ per stabilire contatti visivi e acustici con persone che si trovavano dall’altro capo degli Stati Uniti.

Le sculture telematiche di Richard Kriesche sono un ottimo esempio di progetto telematico. Dopo aver esaminato l’importanza del rumore di sottofondo nelle comunicazioni tecniche o via satellite in diverse rappresentazioni come “Radio Time‿ (1988) e “Artsat‿ (1991), Kriesche collaborò con Peter Gerwin Hoffmann nella realizzazionr di “Telesculpture III‿ (1993). Questa scultura consisteva di una sezione di binario ferroviario lunga ventiquattro metri che veniva trasportata lungo lo spazio d’esibizione da un nastro trasportatore lungo venti metri. Il movimento, lento ma costante, del binario verso la parete veniva innescato dalle telefonate ricevute all’interno di un progetto di Fred Forest. Il contenuto delle informazioni ed il numero delle chiamate determinava lo spostamento o meno del binario contro la parete e l’urto del monitor attaccato alla sua estremità alla fine del processo. Le telefonate determinavano dunque un movimento diretto verso un altro mezzo. Questo collegamento con la rete telefonica dava luogo a una complessa interazione. Come prima rete di comunicazioni e informazioni del mondo, la linea telefonica internazionale ha fornito a “Telesculpture III‿ gli impulsi di controllo e ha oltrepassato i confini spaziali della scultura.

Nel Padiglione Austriaco, alla Biennale di Venezia del 1995, Kriesche estese il suo concetto per creare “Telematic Sculpture IV‿ (T.S.4.), in cui un binario ferroviario veniva mosso continuamente dal flusso di dati proveniente da Internet. Ogni volta che qualcuno aveva accesso a “T.S.4.‿, la scultura si fermava temporaneamente. L’intero volume del flusso di dati e con essi il movimento della scultura attraverso il padiglione, venivano mostrati su un monitor.

Dal lato opposto si trovano i lavori di Paul Sermon che mirano chiaramente a una comunicazione interpersonale spesso quasi intima, collegati concettualmente al progetto di Galloway e Rabinowitz. Il primo progetto di Sermon, in una serie di installazioni telematiche che collegavano in videoconferenza due postazioni remote attraverso tecnologia blue-box e ISDN, fu “Telematic Dreaming‿ (1992). L’interfaccia di “Telematic Dreaming‿ consisteva in un letto matrimoniale allestito in maniera particolare, che consentiva ai suoi occupanti di comunicare con gesti e movimenti con gli occupanti di un letto identico allestito in una postazione remota. L’utilizzo di videoconferenze blue-box e ISDN facevano sembrare che gli occupanti, lontani tra loro, giacessero insieme in un unico letto matrimoniale virtuale. La metafora del letto fa dell’installazione di Sermon il più intimo dei lavori telematici.

Spazio elettronico come “scultura delle comunicazioni‿

Gli artisti che iniziarono a intervenire in rete nei tardi anni 70 lo fecero inizialmente come sfida all’industria dell’arte. “Secondo noi‿, dissero Hank Bull e Patrick Ready “l’arte non sarebbe dovuta passare attraverso il business, ma avrebbe dovuto raggiungere gli ascoltatori direttamente dall’artista, dal produttore‿. Come i più recenti Net artisti degli anni 90, intendevano occupare e sfruttare degli spazi al di fuori del discorso dell’arte istituzionalizzata. Come scrisse Roy Ascott nel 1984, si trattava di “creare una comunità discorsiva planetaria al di fuori della gestione istituzionalizzata, o comunque capace di eluderla‿. I progetti artistici che entrarono nella rete delle telecomunicazioni dai tardi anni 70 in avanti, si allontanavano dai concetti tradizionali orientati verso l’oggetto, e aderivano maggiormente alla nozione di “scultura sociale‿ di Joseph Beuys, alla natura del non-oggetto dell’arte concettuale, alla centralità dell’evento, tipica dell’arte della performance, o alla nozione politica di Situazionista. Verso le telecomunicazioni, si proietta, dai tardi anni 70 in avanti, Robert Adrian X con particolare attenzione agli E.A.T. (Esperimenti in Arte e Tecnologia) e alla mail-art: “fu la mail-art, con la sua nozione di spazio postale, inteso come un susseguirsi vorticoso di immagini, avvalendosi dei servizi postali integrati, il globo, che rese possibile l’idea di lavoro artistico nel regno elettronico.‿ Immaterialità, processo e partecipazione furono forse le tre idee fondamentali e più strettamente collegate nel contesto di arte elettronica. Robert Adrian X, riferendosi al suo progetto di telecomunicazione “The world in 24 hours‿ (1982), che fu commissionato per il festival di Arte Elettronica, fece notare che la dimensione artistica non consisteva tanto nel creare oggetti speciali, quanto nello stabilire eventi comunicativi tra i partecipanti. Per quello che è considerato uno dei primi progetti di scrittura collaborativi nel regno elettronico, furono interconnessi artisti in sedici città di tre continenti diversi. In questo periodo, loro stilarono una sorta di mappa telematica del mondo, un “gesamt-datawork‿ generato col telefono, così come con apparecchi allora ancora piuttosto esotici come il telefacsimile (telefax) e la televisione slow-scan (un tipo di primordiale video telefono). Il progetto tentò di lavorare al di fuori dal prevalente utilizzo commerciale della rete di comunicazioni allo scopo di “creare un accesso individuale ai mezzi di telecomunicazione e di sviluppare strategie per il loro decollo artistico‿. La dimensione artistica del progetto nel suo complesso non sta propriamente nel creare oggetti speciali, “opere d’arte‿ come potrebbe essere un fax, ma nello stabilire relazioni dialogiche di interscambio, il che significa speciali relazioni tra i partecipanti che producono eventi comunicativi.‿ Il lavoro artistico coi computer e le reti elettroniche porta a un estremo tecnologico che Lucy Lippard enfatizza come fondamentale concetto di arte: la “smaterializzazione dell’oggetto‿. Infine tutti i processi che avvengono nel mondo elettronico sono basati su informazioni immateriali. Questi “immateriali‿, sono basati su processi naturali, molto simili a una performance, che non lasciano dietro di sé né tracce ne oggetti di valore (e tanto meno manufatti unici): “I prodotti o gli oggetti che hanno origine nei progetti di telecomunicazione sono pure reliquie che documentano un’attività che ha avuto luogo nel mondo elettronico‿. Inoltre, in accordo con Ascott le persone che vi partecipavano e dividevano lo spazio elettronico non potevano più essere divisi in “artisti‿ e “spettatori‿, “produttori‿ e “consumatori‿: “Uno non può star oltre la finestra e vedere la scena composta da qualcun altro; piuttosto è invitato a passare attraverso la porta di un mondo nel quale l’interazione è tutto‿. Dunque, dati i bassi livelli di penetrazione delle nuove tecnologie, la nozione di partecipazione deve essere qualificata in relazione a questi primi progetti di telecomunicazione in cui la partecipazione era riservata a una piccola manciata di artisti. Il ruolo del pubblico era principalmente limitato a leggere e al guardare senza la possibilità di un intervento attivo‿.

Progetti con il satellite

La consapevolezza del potenziale offerto dalle comunicazioni universali in tempo reale e dalle varie tecnologie di comunicazione (telefono, telex, fax, reti informatiche, sistemi di teleconferenza, tecnologia satellitare) fu per molti versi fonte di ispirazione per gli artisti. Fin dal 1961-1962, Nam June Paik concepì un concerto di pianoforte a svolgimento simultaneo a san Francisco e a Shangai, con la parte della mano destra che veniva eseguita negli stati uniti, e la parte della mano sinistra in Cina. La sua idea potrebbe essere stata piuttosto prematura riguardo la facilità di attuazione, ma ci mostra quanto fosse bene informato. La prima trasmissione tra America ed Europa ebbe luogo su Telstar 2 nel luglio del 1962. Tuttavia, sarebbero passati quindici anni prima che gli artisti allestissero il primo collegamento via satellite a due vie: il nome della prima trasmissione a due vie, dal vivo, tra New York e San Francisco, nel settembre del 1977 fu “Two Way-Demo‿. Liza Bear, Keith Sonnier e Willoughby Sharp, i promotori di questa prima conferenza transcontinentale televisiva via satellite, furono autorizzati a usare il satellite CTS della NASA, che era entrato in orbita nel 1976. Altri artisti che parteciparono furono Andy Horowitz (tra gli organizzatori nella Costa Est) e Carl Loeffler e Terry Fox sulla Costa Ovest. La trasmissione consisteva in una discussione, un dibattito, delle letture e in una sequenza video preregistrata. Il millenovecentosettantasette fu anche l’anno in cui Joseph Beuys, Douglas Davis, Charlotte Moorman e Nam June Paik realizzarono degli spettacoli nella trasmissione via satellite che celebrava l’apertura del “Documenta 6‿ a Kassel. Durante il festival le registrazioni furono mostrate in televisione, e tre spettacoli (rispettivamente quelli di Beuys, di Paik e Moorman e di Davis) furono trasmessi dal vivo tramite satellite ( quantunque senza un canale di risposta che consentisse l’interazione dello spettatore). La trasmissione terminò con lo spettacolo “The Last Nine Minutes‿, nel quale Douglas Davis tentò simbolicamente di irrompere attraverso lo schermo televisivo e di stabilire una comunicazione diretta col suo pubblico. Da allora la trasmissione venne ripetuta dal vivo in più di altri trenta paesi, raggiunse probabilmente il maggior numero di spettatori che avessero mai preso parte ad un evento artistico.

Negli anni 60 e 70, Douglas Davis fu uno dei primi artisti a sfruttare le nuove tecnologie di telecomunicazione per creare delle situazioni di comunicazione e dialogo. Nel 1972, in “Talk Out!‿, che fu trasmessa dal vivo dalla WCNY-TV, si mise a conversare col suo pubblico attraverso un telefono e una stampante. Nel lavoro prodotto fino ad allora, Davis aveva ripetutamente tentato di “de-massificare‿ i mass-media come la televisione, riproponendoli come mezzi capaci di determinare un dialogo privato ed intimo col suo pubblico. Fin dal 1976, Davis realizzò il primo progetto satellitare mondiale, “Seven Thoughts‿, nell’Astrodome di Houston, che a quel tempo era lo stadio coperto più grande del mondo. Nel corso di una trasmissione di dieci minuti, che potenzialmente poteva essere ricevuta in ogni stazione radiotelevisiva del mondo che ricevesse Comsat, Davis rivelò ai microfoni, e allo stadio completamente deserto, sette dei suoi pensieri più personali. Egli enfatizzò l’importanza dell’intimità di questa trasmissione e il suo desiderio di entrare in contatto personale col suo pubblico. Questo concetto centrale e ugualmente evidente nell’ “Austrian Tapes‿ (1974) sempre di Davis. Il primo gennaio dell’orwelliano 1984, col suo “Good Morning, mr. Orwell‿, Name June Paik inaugurò il suo primo spettacolo satellitare su un canale interattivo, sotto forma di una trasmissione televisiva che poteva essere ricevuta in tutto il mondo.


Rete sociale, la partecipazione

Sebbene le telecomunicazioni e i progetti satellitari degli anni 70 fossero improntati verso l’apertura e la partecipazione, la partecipazione attiva si limitò a un piccolo gruppo di artisti. Kit Galloway e Sherrie Rabinowitz mancarono della presenza di un elemento sociale ed emancipatore, che offrisse una potenziale alternativa all’utilizzo mass-mediale dei mezzi di comunicazione. Nessun artista si interessò a progetti di telecomunicazione come eventi d’arte d’elite, né si enfatizzò l’impegno socio-politico che stava dietro al loro lavoro: “Noi vediamo il sistema di comunicazione e di informazione come l’ambiente entro il quale le persone vivono‿ disse Rabinowitz. “Così noi guardiamo al lato estetico dell’ambiente, a com’è modellato lo spazio. Dal modo in cui tu modelli uno spazio dipende ciò che può accadere all’informazione all’interno di esso.‿ A oltre vent’anni di distanza, questa affermazione non ha perso attualità. Al contrario: più la gente sposta le sue attività nel mondo dei dati (per esempio su Internet) più diventa importante la presa di coscienza degli attributi, che agevolano, o eventualmente ostacolano questo processo, del codice su cui questi mondi virtuali sono basati . Nel 1977 (l’anno del Documenta 6), Kit Galloway e Sherrie Rabinowitz realizzarolo il “Satellite Art Project‿ nel quale due gruppi di ballerini interagivano da due differenti postazioni. Le immagini vennero messe sullo schermo in modo tale che sembrasse che persone che si trovavano a tremila chilometri di distanza stessero ballando insieme. Nel 1980 seguì il progetto satellite di Galloway e Rabinowitz “Hole in Space‿. Basato su un concetto più aperto e partecipativo rispetto a “Satellite Art Project‿ avrebbe aperto la strada a numerosi progetti successivi. In “Electronic Cafè‿, ideato per i giochi olimpici di Los angeles del 1984, Galloway e Rabinowitz crearono il prototipo dell’Internet-cafè , che avrebbe avuto uno strepitoso successo negli anni successivi. In funzione per alcune settimane, il loro cafè era un computer multimediale e una rete video che metteva in comunicazione, in tempo reale, cinque diversi distretti di Los Angeles popolati da diversi gruppi etnici. Lo scopo era quello di permettere la comunicazione. Il prototipo di “Electronic Cafè‿, evidentemente orientato socialmente alla rete, è rimasto attualissimo: “ogni utente ha accesso incondizionato ai database e ogni volta che lo desiderano possono inviare messaggi, creare files, leggere altre comunicazioni, sottoporre commenti e suggerimenti su terminali pubblici situati in biblioteche, luoghi pubblici, caffè e centri di aggregazione. Uno strumento per la riflessione, la pianificazione, l’organizzazione e la decisione collettiva‿. In quel senso l’ “Electronic Cafè‿ fu il diretto predecessore dell’ACEN (Art Com Electronic Network), fondata nel 1986, così come di quei sistemi caratteristici degli anni 90 basati sul contesto, come The Thing (New York ed altri postazioni), De Digitale Stad (Amsterdam) e International City Federation (Berlino).


Sistemi basati sul contesto, piattaforme di comunicazione e città digitali

La Rete Elettronica di Arte Com (ACEN), messa a punto da Carl Loeffler e Fred Truck nel 1986, consisteva in una cassetta per le lettere all’interno della struttura di “Whole Earth Letronic Link‿ (WELL), il leggendario sistema fondato da Steward Brand a San Francisco nel 1985. ACEN era uno spazio di esibizione elettronico, dedicato all’arte contemporanea basata sulle nuove tecnologie. Allo stesso tempo ACEN offriva ai suoi utenti l’accesso a pubblicazioni elettroniche, un sistema di posta e, ben 10 anni prima che il commercio elettronico facesse la sua comparsa nella rete, una via dello shopping elettronica (virtuale) con negozi relativi all’arte. Il successivo progetto concettualmente orientato verso l’arte che apparve nel nuovo spazio di comunicazione, distribuzione e produzione, offerto dai data-network, fu The Thing.

Avviato dall’artista Tedesco-Americano Wolfgang Staehle, The Thing fu lanciato come sistema di caselle di posta accessibili tramite la rete telefonica di New York nel 1991. Un secondo nodo, The Thing Colonia, fu aggiunto nel 1992, seguito da The Thing Vienna nel novembre dello stesso anno. Seguirono presto nuovi nodi a Berlino e in molti altri luoghi. L’area più (inter)attiva e anche la più importante di The Thing consisteva in diverse bacheche, che offrivano luoghi di incontro per discutere di teorie sull’arte, notizie e chiacchiere, dibattiti in corso e consentivano l’accesso a una grande quantità di informazioni e la consultazione alcune versioni di riviste d’arte on-line. Accanto ai forum di discussione, The Thing offriva, sotto forma di grafici scaricabili dal computer di casa, opere d’arte , per esempio quelle di Peter Halley. Staehle individuò la radice teoretica di The Thing proprio negli anni 60, e portò come esempio Joseph Beuys : “Beuys si impegnò nella scultura sociale, col prodotto artistico fatto insieme da un gruppo o da una comunità. The Thing è una scultura di quel tipo. Implementa l’idea beuysiana di democrazia diretta, di comunità politica come struttura sociale. Allo stesso tempo rappresenta un’estensione del concetto di arte.‿ Da allora sul World Wide Web, con una nuova interfaccia per l’utente dal 1995, The Thing ha continuato a funzionare come piattaforma per l’arte e per discorsi ad essa correlati.

Nel 1994 e 1995, numerose comunità virtuali, simili a città spuntarono come funghi sul giovane World Wide Web (WWW). Dati gli elevati costi di utilizzo di Internet e delle sue risorse nella prima metà degli anni 90, tutti questi progetti si unirono nella richiesta comune di prezzi d’accesso ragionevoli che consentissero l’accesso a tutti. La città virtuale forse più nota era De Digitale Stad (DDS) ad Amsterdam, che fu messa on line nel gennaio del 1994. DDS divenne ben presto il “freenet‿ europeo col più vasto pubblico. Alla fine del 1994 la International City Federation (ICF) fu fondata a Berlino sul modello di DDS. Probabilmente il più grande progetto di rete in Germania nel periodo 1995-1996, il suo scopo, in qualità di internet-provider indipendente, era quello di facilitare la presenza su Internet ai progetti culturali. La IS offriva il suo sevizio di accesso Internet e spazio su disco a basso costo a oltre tremila “abitanti‿, un servizio da non sottovalutare in un periodo in cui l’accesso privato a Internet era molto più alto di quanto si possa immaginare.

Il Public Netbase, un istituto per nuove tecnologie culturali fondato a Vienna nel 1995, perseguì inizialmente obiettivi simili alla IS. Dopo aver preso una direzione diversa sia da DDS che da IS, Public Netbase si caratterizzò sempre più come sviluppatore di contenuti, e più di recente ha realizzato il progetto “world-information.org‿, in funzione a Bruxel, Vienna, Amsterdam, Belgrado e Novi Sad dal 2000.


Creazione collettiva e collaborativa nei progetti di telecomunicazione

Gli artisti stavano sperimentando la creazione collaborativa con complicate strutture di comunicazione e di rete e con processi su sistemi basati sul testo, ben prima del boom di Internet degli anni 90. Con le origini storiche legate al Surrealismo e i loro esperimenti “cadavre exquis‿, i progetti di scrittura collettiva mettevano radicalmente in discussione il rapporto autore-lettore e si accordavano con la nozione decostruttivista di testo come tessuto (Jacques Derrida), teorie dell’intertestualità (Julia Kristeva), e la postmoderna “morte dell’autore‿ (Roland Barthes). La conferenza “L’Uso della Telecomunicazione negli Artisti‿, tenuta nel Museo d’Arte Moderna di San Francisco nel 1980, riunì un certo numero di artisti che avrebbero preso parte ad importanti progetti artistici basati sulle telecomunicazioni negli anni seguenti. Artisti che si trovavano fuori degli Stati Uniti furono collegati alla conferenza tramite satellite e tramite un sistema di computer creato da I.P. Sharp (IPSN). L’organizzatore, Bill Bartlett, fu raggiunto da ospiti come Gene Youngblood, Hank Bull (Vancouver), Douglas Davis and Willoughby Sharp (new York), Norman White (Toronto) e Robert Adrian X (Vienna). La serie risultante di progetti di creazione collaborativa fu condotta nei primi anni successivi, sulla rete di time-sharing della I.P. Sharp Associates. Ispirato e supportato da Robert Adrian X, nel 1980 l’ufficio viennese della I.P. Sharp sviluppò un semplice programma di scambio di arte elettronica, interattiva e intercontinentale, creato per gli artisti e per chiunque fosse interessato alle possibilità d’uso alternative delle nuove tecnologie. ARTEX (Artist’s Electronic Excange Network), così fu chiamato il software, veniva “deliberatamente tenuto semplice cosicché anche gli utenti inesperti e non specializzati potessero lavorarci e i costi fossero ridotti al minimo‿. La rete di caselle di posta elettronica ARTEX esistette dal 1980 al 1981, e fu usata da trentacinque artisti di tutto il mondo. In quel periodo, la stessa Internet (così come rispettivamente Arpanet e Usenet) era ancora prerogativa degli accademici. I sistemi locali di caselle di posta BBS, nei quali gli utenti potevano accedere con chiamate locali, iniziarono a proliferare nei primi anni ’80. La rete ARTEX, comunque, apportò una vera rivoluzione e, nel corso degli anni ’80, un gran numero di eventi internazionali di telecomunicazione organizzati dai membri della comunità ARTEX fecero presagire gli sviluppi del decennio successivo. Accanto a ‿The World in 24 hours‿ (1982) di Robert Adrian X, i primi processi di creazione di rete collegati all’arte furono tentati nel “La Plissure du Texte‿ (1983) di Roy Ascott, nel “Hearsay‿ (1984) di Norman White, nel progetto di collaborazione di scrittura de Minitel organizzato per la mostra " Les Immatériaux "(1985), nel “The First Meeting of the Satie Society“ (1986) di John Cage, nella “Planetary Network" realizzata da Roy Ascott e messa in mostra alla Biennale di Venezia del 1986, o nel il progetto ipertestuale “Pool Processing‿ (dal 1988 in poi) di Heiko Idensen e Matthias Krohn in Germania. Roy Ascott realizzò il suo progetto di scrittura collaborativa " La plissure du texte " nel 1983 in occasione della mostra “Electra 1983" al Museo d’Arte Moderna della Città di Parigi. Organizzata da Frank Popper, l'esposizione era uno studio sull'uso dell’elettricità nell'arte. Per "La plissure du texte," gli artisti di undici città in Australia, in America del Nord ed in Europa scrissero insieme una fiaba su diversi piani narrativi. Il titolo era un’allusione al libro di Roland Barthe “Le plaisir du Texte‿. Dal dicembre del 1983 il progetto fu on-line ventiquattr’ore su ventiquattro. Un altro progetto di scrittura collaborativa assistita da computer ebbe luogo durante la mostra “Les Immateriaux‿ curata da Jean-Francois Lyotard al Centro Georges Pompidou di Parigi, nel 1985. Jacques Derrida, Michel Butor, Daniel Buren e un’altra ventina di intellettuali francesi furono equipaggiati con una linea Minitel privata (Minitel era la fortunata versione francese del sistema tedesco Btx). Gli ospiti della mostra potevano seguire la discussione on-line in tempo reale. Grazie soprattutto all’incremento nell’uso delle mailing-list e di MOO e MUD, quando di Internet divenne più accessibile, gli anni 90 vedono l’inizio di una fase completamente nuova di “progetti di creazione‿ collettivi e in rete.


Dai “grossi‿ media analogici dei tardi anni 80, ai “piccoli‿ media digitali degli anni 90: interconnessioni spaziali e di rete

Secondo Robert Adrian X, la “ Rete Planetaria‿ progettatata da Roy Ascott per la Biennale di Venezia del 1986 chiudeva la prima fase dei progetti di telecomunicazione artistica. Gli anni successivi alla metà degli anni 90 e l’avvento dell’accesso diffuso ad Internet furono la fase intermedia segnata da correnti opposte. Un’istantanea delle posizioni differenti è offerta dal volume 103 della rivista Kunstforum International, che segnò il Festival di Arte Elettronica del 1989 con un articolo dedicato al tema “Nella Rete dei Sistemi‿. L’articolo di Peter Weibel poneva l’accento sulla nozione di “arte interattiva‿ i contributi dell’artista si possono suddividere in lavori che operano col (vecchio) mezzo della radio e in quelli che già accennano ad una nuova identità artistica in linea con le tecnologie telematiche. Gli articoli di Roy Ascott, Robert Adrian X e Carl Loeffler ricadevano nella seconda categoria. Mentre Ascott sostenne quasi ininterrottamente la “metafisica dei dati e delle interfacce‿ (Ries), e fino a questo punto aderì alle sopraccitate ambizioni (pseudo)metafisiche del lavoro di Douglas Davis, un articolo disilluso di Adrian X sul suo primo “The Worlds in 24 Hours‿ (1982) dichiarò il progetto “storicamente obsoleto‿. Portò come motivazione la mancanza, non solo di una rivoluzione tecnica (stava scrivendo circa cinque anni prima che Internet fosse largamente accessibile), ma anche, e principalmente, di una rivoluzione nelle comunicazioni interpersonali: “I costi elevati dell’hardware sono solo una parte dei problemi, molto più consistenti sono la stagnazione e la persistenza di duecento anni di cultura industriale il suo conseguente consumismo. Nessuno nella nostra cultura, inclusi gli artisti, è educato o incoraggiato a far partecipare gli altri alla sua attività creativa. Tuttavia questa capacità di condividere l’attività creativa è un prerequisito dell’utilizzo interattivo della tecnologia delle comunicazioni‿. Un tono del tutto differente fu quello di Carl Loeffler, co-fondatore (con Fred Truck) dell’ACEN nel 1986, i cui contributi presentavano un carattere tale da “mettere d’accordo tutte le utopie dei primi progetti di rete e allo stesso tempo assottigliare i confini tra l’arte e altre aree sociali (soprattutto l’economia)‿. Con ciò ACEN prefigurò concettualmente i progetti Internet degli anni 90 e i loro “piccoli‿ mezzi digitali. Altresì tipici di questa fase intermedia furono i progetti artistici che utilizzavano “grossi‿ mezzi analogici come la radio e la TV, spesso sotto forma di viaggi finemente organizzati. Visti col senno di poi, gruppi o progetti come Minus Delta t, Radio Subcom, Ponton/Van Gogh TV e la nave spaziale artistica MS Stubnitz , sembrano aver fatto le valige e trasferito tutti i loro laboratori ben equipaggiati su autobus, container, camion e navi a causa della mancanza di reti digitali. Tuttavia, dietro alla loro mobilità fisica si trovava fondamentalmente la loro idea di rete comunicativa e interpersonale. Il gruppo Ponton/Van Gogh TV rappresenta la provvisorietà dello spazio tra i concetti di intermedia e di media elettronico. Alcuni membri importanti, inclusi Karel Dudesk, Benjamin Heiderberger, Gerard Couty e Mike Hentz sono integrati nel gruppo Minus Delta t, che fu fondato nel 1978 e si fece notare col progetto “Bangkok‿. Lanciato nel 1980, questo progetto si basava sul trasporto di un blocco di granito di sei tonnellate con un camion che durante tutto il processo era accompagnato da eventi e rappresentazioni di ogni genere d’arte, tenuti nelle città che si incontravano lungo il suo percorso attraverso l’Europa fino all’Asia. Una parte essenziale dell’insieme fu l’impiego di tutti i media per documentare gli eventi. Con la presentazione di un container-città chiamato “Ponton Project‿, al festival dell’Arte Elettronica del 1986, i media elettronici si misero in primo piano nel gruppo di lavoro. Non erano più mezzi marginali, ma sempre più l’elemento portante del messaggio reale. Attraverso parecchie tappe intermedie, questo sviluppo culminò nella “Piazza Virtuale‿ creata per il “Documenta 9‿ (1992) dal gruppo Van Gogh Tv che adesso ha cambiato nome. Per cento giorni, il potenziale della televisione come mezzo di comunicazione di massa interattivo fu provato per la prima volta, con gli spettatori che potevano intervenire per telefono in una programma televisivo che era stata trasformato in uno schermo multimediale. Nel 1992 la Van Gogh TV dette luogo con uno sforzo straordinario a una trasmissione aperta, sforzo che ancora era richiesto per un’impresa che presto sarebbe stata fortemente agevolata da Internet e dalle nuove tecnologie digitali. L’apertura di Internet nella metà degli anni 90 significò che potenzialmente ogni utente, anche quando si trovava in viaggio, poteva diventare un trasmettitore senza necessitare di particolari equipaggiamenti tecnologici (senza tuttavia ottenere pubblico vasto come quello della televisione.). Uno dei primi progetti tedeschi di comunicazione che includeva Internet (prima del WWW) fu il gruppo Handshake fondato da Barbara Aselmeier, Joachim Blank, Armin Haase e Karl Heinz Jeron nel 1993. Tra i prodotti realizzati successivamente da Handshake c’è anche “International City Federation‿. Implementata come un’istallazione interattiva, Handshake agiva da interfaccia tra la rete elettronica e il mondo reale. Esperimenti di percezione e comunicazione (come il test di Rorschach) preparati su basi testuali, visive e sonore, evidenziavano le peculiarità culturali e i punti in comune dei partecipanti. Il potenziale partecipativo e collaborativo offerto da Internet fu di particolare importanza , anche nella “Net Art‿, che si occupava delle interfacce grafiche di rete, che vennero valorizzate dalla metà degli anni 90 in poi. Gherard Rühm nel 1975 scrisse: “Buttate un tono brillante dalla finestra e mandatelo intorno al mondo. Aspettate finché non ritorna indietro dalla porta, arricchito da tutti gli altri toni che ha incontrato sulla sua strada. Quindi levatevelo dai piedi‿. Parole sue, lette come una descrizione poetica degli esperimenti sonori cooperativi eseguiti su Internet, così come quelli condotti dalla rete “Xchange‿ iniziati alla fine de 1977 dalla E-Lab (adesso Re-Lab). I gruppi partecipanti a Londra, Lubiana, Sydney, Berlino e molte altre città, utilizzarono la rete per distribuire globalmente i loro materiali sonori da vari server su emittenti radio dal vivo e mescolarono le varie emissioni sonore in diretta. Xchange vede la rete come un “paesaggio sonoro‿ che possiede “specifiche caratteristiche del trasferimento dati, feed-back e modelli di cooperazione aperta e distribuita.‿ Questo porta alla realizzazione di opere di arte sonora cooperative, diffuse globalmente, senza luogo, che possono essere udite soltanto su Internet.


Sorgente aperta, testo aperto, teoria aperta: progetti di coo-scrittura aperta e partecipativa sul WWW

E’ proprio Douglas Davis, il pioniere della televisione interattiva e l’iniziatore dei primi progetti telematici, che ha lanciato uno dei primi progetti di Net-art sull’ancor giovane WWW nei primi anni 90. “The World First Collaborative Sentence‿ (1994) è una frase singola senza fine, che i lettori hanno la possibilità di allungare sin dal 1994. Davis vede il suo progetto di rete come il seguito del suo tentativo iniziato negli anni 70, di “rompere il rigido paradigma trasmettitore-ricevente caratteristico dei mezzi di comunicazione di massa.‿ Per Davis, Internet è dunque il mezzo ideale in quanto consente la partecipazione attiva. Su internet, dunque, nella seconda metà degli anni 90 si svilupparono forme diverse di partecipazione e di cooperazione, che furono in gran parte il prodotto dei principi dell’economia del dono e dello scambio gratuito, le cui radici affondavano nei principi della rete, ma che adesso, grazie all’Open-Source, alla Teoria Aperta o Legge Aperta, si realizzavano in una dinamica propria. Queste nuove forme erano annotazioni collaborative e sistemi di redazione, spesso implementati come “weblogs‿, che consentivano la realizzazione collaborativa, spesso a grande distanza, di progetti (software, enciclopedie, leggi). Il costruire attraverso il dibattito, le culture della conversazione e cooperazione dei forum di discussione, i newsgroup, i Mud e le mailing-list, le nuove possibilità ipertestuali e di rete offerte dal WWW stanno diventando adesso anche paradigmi di produzione per testi di rete artistici. Questo sviluppo è illustrato in “Association Blaster‿ (dal 1999) creata da Alvar C.H. Freude e Dragan Espenschied, che descrivono il loro progetto come una “ Rete di testi interattivi. Chiunque, incluso tu che stai leggendo, ha la possibilità di contribuire al database dei testi, e tutti i testi contenuti nel database sono collegati automaticamente in tempo reale.‿ Lettori-autori, quindi, che lavorano su una vasta rete di testo in cui le parole individuali sono automaticamente collegate con parole chiave pre-esistenti, che finiscono in un tessuto testuale che è, come scriverebbero i promotori del progetto, “ciò che molte persone pensano che i WWW già fosse‿. I contributi inseriti nella rete non possono essere letti in sequenza “lineare‿; piuttosto gli utenti saltano da un testo al successivo sulla base delle loro interconnessioni. Data l’infinita catena di associazioni che ne risulta, la “Association Blaster‿ è collegata a un altro progetto che incoraggia i suoi utenti a sognare ad occhi aperti: “Musers’ Service‿ (1994) di Daniela Alina, che iniziò come installazione interattiva off-line prima di andare on-line. Il progetto “Opus‿ (dal 2001) della Raqs Media Collective a Nuova Delhi, offre ai visitatori una piattaforma Internet sulla quale possono vedere, scambiare, scaricare, manipolare e ri-inviare oggetti digitali ( sequenze video, immagini, suoni, testi) e renderle di dominio pubblico. L’obiettivo è quello di creare delle “comuni‿ digitali e creative, in accordo con la regola del “copyleft‿, per una cultura del software cooperativa. In questo modo “Opus‿ esplicita il principio di realizzazione come creazione fondamentalmente collettiva e comune.


Partecipazione ed Interazione in una cultura telematica

Si dice spesso che la Net-art prodotta negli anni 90 sia andata avanti laddove i primi progetti di telecomunicazione dei due decenni precedenti avevano ormai abbandonato. La partecipazione nei primi progetti di telecomunicazione era riservata a una ristretta cerchia di utenti; il pubblico restava nel suo ruolo tradizionalmente passivo (di osservatore o di lettore). Con l’avvento dell’accesso diffuso ad Internet negli anni 90, al contrario, l’esigenza di Allan Kaprow di abolire gli “spettatori‿, ha potuto essere soddisfatta, in qualche modo, per la prima volta. Su Internet le possibilità di partecipazione sono molto maggiori di quanto non fossero al tempo in cui presero piede i primi progetti di telecomunicazione. Negli anni 90, la struttura aperta della Rete, così come l’incremento della possibilità di accedere a Internet e soprattutto il calo dei prezzi dei computer e di altri “piccoli media‿, rese possibile la partecipazione in misura che non ha precedenti. Questo non significa che i progetti di arte di rete fossero degli avvenimenti, al contrario, c’era un vasto assortimento di diversi metodi e forme di interazione ma dimostra perché molti processi partecipativi di Rete e molte piattaforme (come la “International City Federation‿, “Association Blaster‿ o “Opus‿) furono per la maggior parte avviati da artisti ma non sono visti esplicitamente come progetti d’arte. Rispetto alle nuove forme di interazione, due modelli sembrano essere interessanti e orientati al futuro da un punto di vista generale (e non solo dalla prospettiva della Rete). Un modello sta mostrando di essere il proseguimento logico del concetto di “lavoro aperto‿ di Eco, vale a dire sistemi evolutivi veramente capaci di apprendere e di progredire ogni volta che vengono utilizzati. Peter Dittmer presentò un sistema simile nella sua installazione “The Nurse‿ (dal 1992). La sua “infermiera‿ è fatta con un computer completo di monitor e tastiera sul quale si può comunicare con un apparentemente auto-ironico programma per computer. L’installazione inoltre include un tavolo con un bicchiere di latte sopra, se il programma del computer si arrabbia durante la conversazione con la controparte umana, una contrazione meccanica gli fa rovesciare il bicchiere di latte. Il secondo modello di interazione consiste nell’intreccio dello spazio virtuale distribuito con lo spazio urbano reale. “Vectorian Elevation‿ (2000) di Rafael Lozano Hemmer, e “Blinkenlights‿ (2001-2002) e “Arcade‿ (2002) del Chaos Computer Club, sono progetti di ibridazione che collegano lo spazio virtuale alle postazioni reali attraverso interfacce realizzate su misura. Tutti e tre i progetti consentono agli utenti collegati ad Internet di interferire con un’installazione con una ubicazione fisica fissa, o, se possibile, di controllare o contribuire a questa. “Vectorial Elevation‿ era fatta di una dozzina di grossi riflettori, che, puntando verso il cielo, erano installati sulla piazza principale di Città del Messico. Gli utenti di Internet potevano fare in modo che creassero dei precisi disegni. “Blinkenlights‿ consisteva nella vasta facciata di un edificio sulla Alexanderplatz di Berlino, che fu trasformato in uno schermo con il più semplice dei mezzi. Ad ognuna delle centoquarantaquattro finestre (l’edificio possiede otto file di diciotto finestre ciascuna) che si affacciano sulla piazza fu assegnato lo stato di 1 pixel, e ogni pixel era gestibile separatamente (luce accesa/spenta). Con un numero di telefono apposito, i passanti o gli spettatori che affluivano alla piazza potevano giocare a Pong su questa rudimentale facciata-mediale, o, attraverso un’interfaccia di rete opportunamente ingegnata, programmare brevi sequenze di animazione che venivano proiettate sull’edificio. Il progetto si concluse con una gara internazionale nel 2002. Mentre gli architetti contemporanei si cimentano anche a sperimentare facciate-mediali (si veda ad esempio l’edificio della VEAG a Berlino o l’edificio di Renzo Piano realizzato per la Compagnia Olandese di Telecomunicazioni a Rotterdam), Blinkenlights non si preoccupa dell’aspetto dell’architettura dinamica, ma pone in massima evidenza lo slancio partecipativo nello spazio urbano. In altre parole si interessa all’idea enfatica di ciò che il pubblico rappresenta.