Intervista a Roberto Faenza

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italic textAutore: Faenza Roberto

Tratto da: Benedetti Barbara,"Videoattivismo: dagli anni Settanta ad oggi", tesi di laurea, Accademia di Belle Arti di Carrara, Corso di Teoria e Metodo dei Mass Media, prof.Tommaso Tozzi, Anno Accademico 2005/2006

Titolo Originale: Intervista a Roberto Faenza

Intervista di: Benedetti Barbara

Anno: 2006


Testo dell'articolo

L’invito che fece dalle pagine del suo testo di impadronirsi del videotape e "andare nelle strade, nelle case nelle fabbriche e nelle scuole per afferrare e documentare la realtà in cui viviamo" fu accolto in quegli anni in Italia? Se sì, da chi? E soprattutto, dov'è finito il materiale prodotto?

Il libro in questione, un vero e proprio manuale, ebbe una notevole diffusione. Credo che vendette allora circa 50.000 copie e venne adottato da tantissimi giovani interessati ai mass media. Senza chiedere permesso costituiva altresì una dura critica al prepotere del monopolio radiotelevisivo e contribuì non poco a preparare il terreno per le sentenze della Corte costituzionale, che di lì a poco ne avrebbe sancito la incostituzionalità. Un’altra mia esperienza dell’anno successivo alla pubblicazione del libro, per l’esattezza dicembre 1974, fu quella della prima radio libera (Radio Bologna per l’Accesso Pubblico), che diede il via al fronte delle radio libere in Italia, decretando l’illegittimità del monopolio delle frequenze da parte della Rai-tv.

Collegata alla domanda precedente: che ruolo ha avuto allora "Senza chiedere permesso"? Mi spiego... mi è sembrato strano non trovare riferimenti al suo lavoro in un testo come "Definizione zero" di Simonetta Fadda sull'origine della videoarte tra politica e comunicazione, dove sono invece citate le esperienze di Grifi, del collettivo Videobase, etc. Cosa ne pensa? Condivideva queste esperienze oppure c'era diversità di obiettivi e di considerazioni sul mezzo?

Rispetto alle esperienze delle manifestazioni artistiche dell’epoca, Senza chiedere permesso si poneva in una posizione piuttosto diversa, in quanto mentre le prime avevano una finalità essenzialmente di tipo artistico, il senso delle nostre esperienze era innanzitutto politico. Queste miravano a fare da apripista per la rottura di un monopolio dell’informazione divenuto insopportabile e che infatti presto si sarebbe dissolto.

Sulla tv via cavo: allora affermava che era la più grossa battaglia e un affare gigantesco. Perché secondo lei in Italia non ha funzionato?

La tv via cavo in Italia non si è affermata come ad esempio in America per il semplice motivo che la proliferazione di decine di emittenti televisive la rendevano superflua. Oggi però si sta in un certo senso riaffermando, con i piani di cablatura del paese per far viaggiare l’intero sistema informativo, dalla telefonia alle telecomunicazioni, attraverso un'unica rete

Cosa pensa delle tv di strada? Potrebbero diventare quello che non è diventata la tv via cavo?

Le tv di strada, di quartiere, di caseggiato rappresentano l’affermazione di un diritto dei cittadini di riappropriarsi della comunicazione, sottratta loro da un sistema mediatico che è di fatto la negazione della comunicazione stessa, in quanto asservito a una struttura di potere politico o economico lontana mille miglia da quella che nel mio libro definivo la “comunicazione orizzontale”, che è l’opposto della comunicazione verticistica da cui siamo dominati.

Le riporto un'affermazione da "Il gergo inquieto: nuovi aspetti del cinema sperimentale europeo" a cura di Ester De Miro. "Basta che esca un libro che ci informa di quello che fanno in America, perché si diffonda immediatamente la speranza e il mito di una televisione aperta a tutti [...]. C'è il libro di Faenza in cui viene indicato il videotape come lo strumento di per se stesso capace di rovesciare chiusure, ostacoli, condizionamenti. Ma cosa accade in realtà? Come per il super 8 c'è un momento di grande esplosione, interviene la stampa assicurando che è disponibile un mezzo in grado di farci tutti creatori e poi [...] ci si accorge di quanto falsa sia questa informazione. La televisione in mano al passante, allo studente, all'operaio rischia di essere uno slogan pubblicitario anziché un processo politico". Guardando al passato, condivide questa lettura dei fatti? Il video negli anni 70 è stata solo una moda o ha rappresentato concretamente qualcosa di più?

Credo che abbia rappresentato qualcosa di più profondo, ne è la riprova che moltissimi dei giovani di allora sono poi diventati tra i migliori e più affidabili giornalisti, documentaristi, registi, operatori dell’informazione.

Ieri il videotape era fondamentalmente un mezzo collettivo. Oggi le videocamere sono alla portata di tutti; come valuta il fatto che adesso ognuno può davvero farsi il suo video?

Gli strumenti di videoregistrazione, inclusi i cellulari, stanno rivoluzionando il nostro modo di essere e di comunicare. Penso ad esempio all’uso, anche a sproposito, che ne stanno facendo le generazioni più giovani. Internet poi sta diventando un oceano sterminato, destinato a modificare sostanzialmente ogni azione dal lavoro al tempo libero. È molto difficile immaginare cosa sarà la rete domani, ma è certo che non sarà quella di oggi, essendo il suo potenziale di sviluppo praticamente sterminato. Direi che internet rappresenta il più grande sovvertimento sin dai tempi della prima rivoluzione industriale.

Lei che parola userebbe per definire la sua attività di allora?

“Sovvertitore” del sistema informativo. L’ho poi pagata amaramente con venti anni di esilio sia per quelle esperienze video e radio, che mi hanno reso inviso al “sistema”, sia poi soprattutto con il mio film del ’78 Forza Italia!, che era un po’ il derivato cinematografico di quelle esperienze, censurato e tolto dalle sale, tornato in circolazione sotto forma di dvd solo di recente.

Oggi il termine usato è "videoattivista". Cosa pensa di queste figure in cosa eguagliano e/o differiscono dai loro predecessori degli anni ’70?

Il mio impegno di allora era soprattutto di indirizzo teorico e dimostrativo, per cui il termine attivista poco si addice a quelle esperienze.

Che opinione si è fatto della copertura video che può essere fatta da parte dei videoattivisti in occasione di eventi come il G8?

Penso che senza di loro non avremmo mai potuto sapere di certi risvolti a dir poco raccapriccianti (basti riflettere sui fatti di Genova), che i media tradizionali, per quanto omni presenti durante i vari G8 , hanno oscurato o minimizzato, spesso più che per volontà censoria per incapacità di trovarsi “dentro” gli avvenimenti, anziché restarne fuori, ovvero estranei agli avvenimenti stessi.

In "Tempi di informazione" pg.84 parla di mezzi e canali di trasmissione dei messaggi ad alto e a basso grado di intensità comunicazionale. Dove pone il video?

Il video è certamente un mezzo ad alta intensità comunicazionale. Ma oggi, come accennato poco sopra, tutto è destinato a mutare così in fretta che forse dovremo parlare non più di video, di televisione, di radio, di cinema, ma di internettizzazione dell’universo percettivo.