Joseph Kosuth

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Personaggio

Joseph Kosuth è uno dei pionieri dell’arte concettuale e installativa, che dagli anni ’60 si dedica a opere basate su questi linguaggi e a strategia d’appropriazione. Il suo lavoro ha esplorato in modo approfondito la produzione e il ruolo del linguaggio e del suo significato all’interno dell’arte.

Biografia:

Joseph Kosuth è nato il 31 gennaio del 1945 negli Stati Uniti, nella città di Toledo (Ohio).

Tra il 1963 e il 1964 ha frequentato l’Istituto d’arte di Cliveland, dal 65 al 67 la Scuola d’arte visuale di New York e tra il 71 e il 72, sempre nella “grande mela”, la Nuova scuola per la ricerca sociale, seguendo i corsi di antropologia e filosofia. È stato professore alla Hochschule für Bildende Künste (“Scuola superiore di arti visive” N.d.T.) di Amburgo dal 1988 al 1990 e alla Staatliche Akademie der Bildende Künste (Accademia civica di arti visive N.d.T.) di Stoccarda tra il 1991 e il 1997. Attualmente insegna alla Kunstakademie (Accademia d’arte N.d.T.) di Monaco di Baviera e all’Istituto universitario di Architettura di Venezia. Per quasi trent’anni è stato ospitato come docente e relatore da numerose università e istituzioni di tutto il mondo tra cui ricordiamo: Yale University, Cornell University, New York University, Duke University, UCLA, Cal Arts, Cooper Union, Pratt Institute, The Museum of Modern Art, New York, Art Institute of Chicago, Royal Academy, Copenhagen, Ashmoleon Museum, Oxford University, Università di Roma, Berlin Kunstakademie, Royal College of Art, London, Glasgow School of Art, The Hayward Gallery, London, The Sorbonne, Paris, The Sigmund Freud Museum, Vienna.

Vive tra New York e Roma.

Sito web

Poetica

Joseph Kosuth è una figura chiave molto importante nel concetto di ridefinizione dell'oggetto artistico avvenuta negli anni sessanta e settanta con la formulazione dell'arte concettuale, che indaga e mette in questione le forme e pratiche tradizionali dell'arte nonché le teorie connesse. In questo Kosuth è stato uno dei primi ad impiegare strategie di appropriazione, testi, fotografie e installazioni nonché a ricorrere all'uso dei media pubblici,dove l'arte stessa è essenzialmente un processo di messa in questione. Ne consegue che sono stati riconsiderati tutti gli aspetti dell'attività artistica, dalla funzione degli oggetti al ruolo dell'esposizione stessa. Il contesto dell'arte – come essa produce significato e al contempo viene a sua volta influenzata dal mondo – viene rappresentato in 'Thirteen Locations of Meaning', l'installazione di Kosuth esposta al Torrione Passari. Questo suo lavoro si interroga sulla presentazione e ricezione dell'arte affrontando proprio le categorie che definiscono che cos'è l'arte.

Per Kosuth il “visivo” non è altro che una parte di una struttura complessa che produce significato all'interno dell'arte, ma non la sua base. A partire dagli anni sessanta gli elementi della sua opera sono stati tutti mutuati da altri contesti: filosofia, letteratura, libri di riferimento, cultura popolare, teoria scientifica e così via. Egli utilizza i significati tramandatici per generare un proprio nuovo significato.

Come Joseph Kosuth ha spiegato in merito all'opera esposta a Molfetta, “Un lavoro come questo ha un interno ed un esterno e quando questi vengono concepiti congiuntamente l'opera risulta completa. Il soggetto di questo lavoro è infatti ciò che viene messo in luce: esso mostra le differenze culturali e linguistiche quali vero soggetto della questione del “significato” resa visibile nella presentazione della diversità del soggetto nominale costante per ogni elemento. 'Thirteen Locations of Meaning' risale ad un'esposizione a Castel Sant'Angelo originariamente intitolata 'God' (realizzata con il sostegno dell'Arcidiocesi di Roma e del Rabbino Capo di Roma) e per tale motivo il colore scelto per l'opera era il blu di Giotto, il primo colore che gli esseri umani possono distinguere da bambini. Tale “differenza” come soggetto era il mio modo ellittico di trattare la differenza religiosa – essendo “God” il termine più problematico in assoluto – e l'impatto di questa differenza sul mondo nel corso della storia e, specialmente, al giorno d'oggi. In seguito, quando l'opera fu esibita in altri contesti culturali e linguistici, venne aggiunta la parola “significato” nei singoli contesti, inclusi gli Emirati Arabi e Sarajevo. I tre elementi aggiunti a Molfetta erano la parola “significato” in dialetto molfettese, ebraico e turco, giacché queste tre lingue costituiscono una parte importante della storia culturale e linguistica della torre.”

Quando non molto tempo fa venne interrogato sulla relazione della sua opera con l'architettura di questo luogo, Kosuth rispose: “Io cerco di evitare il cubismo che probabilmente significa modernismo, nel senso che non è una composizione che crea il proprio spazio. Lo spazio che occupa è nel mondo, non fittizio. Cerco altresì di evitare, in modo sistematico, cose che sono semplicemente decorative o l'idea del “bello” che potrebbe essere suscitata in qualcuno. Il gusto dovrebbe essere usato, qualora necessario, ma non celebrato. Io cerco di utilizzare l'architettura come una forma naturale e culturale prestabilita. Cerco di lavorare con l'architettura prestabilita in modo da evitare ogni imposizione, così la mia opera diventa un tutt'uno con essa. Inoltre cerco sempre di intervenire laddove mi sembra più adeguato. La mia opera per esempio è sempre priva di colore a meno che non vi sia un motivo importante per usarlo. Deve essere chiaro che la mia opera è una costruzione della sua stessa idea, benché, come sappiamo, ogni cosa può avere un effetto decorativo anche se non era questa l'intenzione. Vedere l'opera come decorazione significa generalmente che si perde un livello più profondo.”

Joseph Kosuth ha dichiarato quanto segue sul suo uso del neon: “Ho iniziato ad usare il neon a metà degli anni sessanta. Mi piaceva l'idea di utilizzare un materiale usato per la segnaletica, che in un certo senso lo altera per l'arte. Al tempo stesso volevo preservare una sottile relazione con l'idea di pubblicità della cultura di massa. Qualcuno ha detto che l'arte concettuale era la via di mezzo tra pop art e minimal art; io trovo questa tesi alquanto divertente. Quando lavoro con il neon uso caratteri che non si trovano nella pubblicità, così la gente ha soltanto una traccia dell'elemento pubblicitario, ma non lo percepisce come la pubblicità per una birra, per esempio. A metà degli anni sessanta il neon aveva per me innumerevoli potenziali perché stavo creando tautologie ed avevo bisogno di un modo di presentare un testo che potesse avere delle qualità (neon, materiale elettrico, vetro, etc.). Non si tratta in realtà di un materiale artistico. Si possono contare su una mano gli artisti che hanno usato il neon coerentemente negli ultimi trentacinque anni. Non è come la pittura o altri materiali artistici che hanno una convenzionalità, una tradizione. Il neon ha una fragilità che lo rende più simile alla scrittura. Non è permanente. Ha una diversa dimensione della permanenza. Poiché il neon tende ad adattarsi bene ai progetti pubblici, che attirano più attenzione, la gente associa la mia opera ad esso. Ho iniziato ad usarlo a metà degli anni sessanta. Ma rappresenta soltanto uno dei modi in cui lavoro.”

Bibliografia

Webliografia