Klein Naomi: differenze tra le versioni

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==Biografia==
 
==Biografia==
  
Naomi Klein è nata nel [[1970]] a Montreal, da una regista femminista e da un medico militante di sinistra, entrambi oppositori della guerra in Vietnam, fuggiti in Canada per la loro attività politica. Naomi ha trascorso la sua infanzia e adolescenza a contestare i genitori per "i marchi" che loro le imponevano mentre lei mai avrebbe partecipato all'«economia del logo», preferendo diventare, così come hanno fatto molti ricercatori scientifici, docenti universitari, un semplice «nodo», al pari di altri, di una rete sociale di attivisti, condividendo così il loro sapere con gli altri, senza per questo rivendicare nessuno «status» particolare per sé. Naomi ha sofferto per la costrizione del marchio fino agli anni dell'università. "Ne sono uscita con un atto di forza - racconta - come un tossicodipendente che si libera dalla droga". Interrotti gli studi si è gettata a capofitto nella contestazione, dedicandosi alla realizzazione del progetto "[[No Logo]]". Giornalista e scrittrice, scrive per il quotidiano canadese Globe and Mail e collabora con The Guardian (Gran Bretagna) e Internazionale. È divenuta famosa in tutto il mondo con il libro ''No logo'', dedicato al pensiero e ai [[Anti-globalizzazione|movimenti no-global]]. E’ sposata con il  regista  Avi Lewis, con il quale condivide impegno politico e attività lavorativa.
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Naomi Klein è nata nel [[1970]] a Montreal, da una regista femminista e da un medico militante di sinistra, entrambi oppositori della guerra in Vietnam, fuggiti in Canada per la loro attività politica. Naomi ha trascorso la sua infanzia e adolescenza a contestare i genitori per "i marchi" che loro le imponevano mentre lei mai avrebbe partecipato all'«economia del logo», preferendo diventare, così come hanno fatto molti ricercatori scientifici, docenti universitari, un semplice «nodo», al pari di altri, di una rete sociale di attivisti, condividendo così il loro sapere con gli altri, senza per questo rivendicare nessuno «status» particolare per sé. Naomi ha sofferto per la costrizione del marchio fino agli anni dell'università. "Ne sono uscita con un atto di forza - racconta - come un tossicodipendente che si libera dalla droga". Interrotti gli studi si è gettata a capofitto nella contestazione, dedicandosi alla realizzazione del progetto "[[No Logo]]". Giornalista e scrittrice, scrive per il quotidiano canadese Globe and Mail e collabora con The Guardian (Gran Bretagna) e Internazionale. È divenuta famosa in tutto il mondo con il libro ''No logo'', dedicato al pensiero e ai [[Anti-globalizzazione|movimenti no-global]]. E’ sposata con il  regista  Avi Lewis, con il quale condivide impegno politico e attività lavorativa.
  
 
==Le opere==
 
==Le opere==
  
L'immagine è tutto. Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni, passati a inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza: la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza. Anche perché, dietro l'industria dei ''marchi'' e delle ''firme'', si cela una società occidentale che non esita ad applicare, nei confronti del Terzo mondo, politiche di sfruttamento economico e individuale degne di un capitalismo orientato più all'Ottocento che al terzo millennio. Bill Gates, la perfetta icona della new economy, si è trasformato in un orfanello della globalizzazione, il baffo della Nike (il più grande successo di marketing degli anni Novanta) è diventato simbolo di sfruttamento della manodopera: alcuni dei più celebrati marchi del mondo vengono oltraggiati e sono diventati l'obiettivo preferito degli hacker e delle campagne anti-industriali, quindi cosa significa tutto questo per il mercato delle multinazionali e le loro relazioni planetarie, qual è il futuro delle nostre comunità e del mondo in cui viviamo? Con una buona miscela di analisi socio-culturale, cronaca giornalistica e “lavoro sporco", Naomi Klein affronta in  '''No Logo'''  le tematiche sopra descritte: Naomi Klein ci porta all'interno delle fabbriche sfruttatrici in Indonesia e nelle Filippine; ci accompagna nei centri commerciali del Nord America con il loro life-style pronto da indossare; ci presenta un gran numero di attivisti che combattono la società dei marchi, i "sabotatori" di cartelloni pubblicitari, i manifestanti che hanno sfidato la Shell sul delta del Niger, gli attivisti dietro al processo McLibel di Londra, gli [[Hacker|hacker]] che hanno dichiarato guerra ai sistemi informatici delle multinazionali che violano i diritti umani in Asia. Naomi Klein spiega e analizza le ragioni della nuova contestazione, fornendo allo stesso tempo una denuncia dettagliata delle contraddizioni della nuova economia globale.
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L'immagine è tutto. Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni, passati a inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza: la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza. Anche perché, dietro l'industria dei ''marchi'' e delle ''firme'', si cela una società occidentale che non esita ad applicare, nei confronti del Terzo mondo, politiche di sfruttamento economico e individuale degne di un capitalismo orientato più all'Ottocento che al terzo millennio. Bill Gates, la perfetta icona della new economy, si è trasformato in un orfanello della globalizzazione, il baffo della Nike (il più grande successo di marketing degli anni Novanta) è diventato simbolo di sfruttamento della manodopera: alcuni dei più celebrati marchi del mondo vengono oltraggiati e sono diventati l'obiettivo preferito degli hacker e delle campagne anti-industriali, quindi cosa significa tutto questo per il mercato delle multinazionali e le loro relazioni planetarie, qual è il futuro delle nostre comunità e del mondo in cui viviamo? Con una buona miscela di analisi socio-culturale, cronaca giornalistica e “lavoro sporco", Naomi Klein affronta in  '''No Logo'''  le tematiche sopra descritte: Naomi Klein ci porta all'interno delle fabbriche sfruttatrici in Indonesia e nelle Filippine; ci accompagna nei centri commerciali del Nord America con il loro life-style pronto da indossare; ci presenta un gran numero di attivisti che combattono la società dei marchi, i "sabotatori" di cartelloni pubblicitari, i manifestanti che hanno sfidato la Shell sul delta del Niger, gli attivisti dietro al processo McLibel di Londra, gli [[Hacker|hacker]] che hanno dichiarato guerra ai sistemi informatici delle multinazionali che violano i diritti umani in Asia. Naomi Klein spiega e analizza le ragioni della nuova contestazione, fornendo allo stesso tempo una denuncia dettagliata delle contraddizioni della nuova economia globale.
  
 
http://www.portalinus.it/redazione/nologo/nologo_capitoli2.asp   
 
http://www.portalinus.it/redazione/nologo/nologo_capitoli2.asp   
  
  
Nel successivo libro  '''[[Recinti e finestre]]'', Naomi Klein  raccoglie molti degli articoli, reportage e saggi scritti dalla giornalista canadese tra il 1999 e il 2002. Il libro si apre con il racconto della «rivolta di Seattle», infatti in una mattina di dicembre 1999, gruppi di persone cominciarono a bloccare gli incroci di  Seattle,  città nota soprattutto perché aveva dato i natali alla musica grunge (i Nirvana di Kurt Cobain venivano da lì) e perché sede della più importante società di software del mondo, la Microsoft di Bill Gates. In quel giorno, cinque, seimila persone riunite per gruppi di affinità, chi mascherato da tartaruga marina, chi indossando una felpa nera con il logo di una università, chi calzando un cappello da baseball con la sigla di un sindacato, riuscirono in quello che sembrava impossibile fino al giorno prima: fecero fallire la riunione dell'Organizzazione mondiale del commercio. Questo è un volume che non ha «ambizioni» teoriche, come invece aveva il precedente No Logo; è una storia in tempo reale del movimento no global o, come ama definirlo la stessa autrice, del «movimento dei movimenti». Il fatto che sia composto di brevi testi nulla toglie però alla passione con cui sono stati scritti. Leggerli uno dopo l'altro, sebbene siano divisi in cinque aree tematiche (finestre del dissenso, recintare la democrazia, recintare il movimento, capitalizzare il terrore, finestre per la democrazia) è come veder nuovamente proiettato sullo schermo un film avvincente di cui si conosce l'inizio, i protagonisti principali, ma di cui non si intravede la fine. L'inizio coincide con la rivolta di Seattle e uno dei protagonisti è “il movimento", una realtà così piena di potere attrattivo che spinge la stessa autrice a catapultarsi fuori dalla sua sonnacchiosa città, Montreal, per compiere la sua educazione sentimentale alla politica nelle vie di piccole e grandi città, dall'opulenta Washington alla inquinatissima Città del Messico, dal deserto australiano alla pianura argentina, dalla periferia romana alle favelas brasiliane. Finestre e recinti si chiude con un'aspra critica della politica estera statunitense. L'autrice di No Logo scrive che la «guerra contro il terrorismo» degli Usa iniziata in Afghanistan può essere considerata come il fallimento del «branding» della politica estera americana; può vincere con le armi, ma non riesce a raccogliere consenso, cosa che invece riesce meglio al «movimento dei movimenti»,  bloccando o almeno inceppando la macchina della guerra.
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Nel successivo libro  '''[[Recinti e finestre]]'', Naomi Klein  raccoglie molti degli articoli, reportage e saggi scritti dalla giornalista canadese tra il 1999 e il 2002. Il libro si apre con il racconto della «rivolta di Seattle», infatti in una mattina di dicembre 1999, gruppi di persone cominciarono a bloccare gli incroci di  Seattle,  città nota soprattutto perché aveva dato i natali alla musica grunge (i Nirvana di Kurt Cobain venivano da lì) e perché sede della più importante società di software del mondo, la Microsoft di Bill Gates. In quel giorno, cinque, seimila persone riunite per gruppi di affinità, chi mascherato da tartaruga marina, chi indossando una felpa nera con il logo di una università, chi calzando un cappello da baseball con la sigla di un sindacato, riuscirono in quello che sembrava impossibile fino al giorno prima: fecero fallire la riunione dell'Organizzazione mondiale del commercio. Questo è un volume che non ha «ambizioni» teoriche, come invece aveva il precedente No Logo; è una storia in tempo reale del movimento no global o, come ama definirlo la stessa autrice, del «movimento dei movimenti». Il fatto che sia composto di brevi testi nulla toglie però alla passione con cui sono stati scritti. Leggerli uno dopo l'altro, sebbene siano divisi in cinque aree tematiche (finestre del dissenso, recintare la democrazia, recintare il movimento, capitalizzare il terrore, finestre per la democrazia) è come veder nuovamente proiettato sullo schermo un film avvincente di cui si conosce l'inizio, i protagonisti principali, ma di cui non si intravede la fine. L'inizio coincide con la rivolta di Seattle e uno dei protagonisti è “il movimento", una realtà così piena di potere attrattivo che spinge la stessa autrice a catapultarsi fuori dalla sua sonnacchiosa città, Montreal, per compiere la sua educazione sentimentale alla politica nelle vie di piccole e grandi città, dall'opulenta Washington alla inquinatissima Città del Messico, dal deserto australiano alla pianura argentina, dalla periferia romana alle favelas brasiliane. Finestre e recinti si chiude con un'aspra critica della politica estera statunitense. L'autrice di No Logo scrive che la «guerra contro il terrorismo» degli Usa iniziata in Afghanistan può essere considerata come il fallimento del «branding» della politica estera americana; può vincere con le armi, ma non riesce a raccogliere consenso, cosa che invece riesce meglio al «movimento dei movimenti»,  bloccando o almeno inceppando la macchina della guerra.
  
 
http://www.axiaonline.it/2003/libri/axialibri_Ottobre.htm
 
http://www.axiaonline.it/2003/libri/axialibri_Ottobre.htm
  
Il documentario di Naomi Klein [[The take]], esperienza cinematografica condivisa con il marito, il  regista  Avi Lewis, racconta  le storie di padri di famiglia, giovani che avevano ormai perso ogni speranza, anziani operai, irriducibili mogli, alle prese con curatori fallimentari, decisioni di tribunali, frustranti ostacoli burocratici, la minaccia concreta della repressione violenta da parte della polizia, con un solo grande obiettivo: continuare a vivere del loro lavoro, di quello che sanno e vogliono fare, senza l'aiuto dei padroni. Nel film, alla periferia di Buenos Aires, trenta operai disoccupati entrano nella loro fabbrica e non vogliono più abbandonarla. Chiedono solo di far ripartire le macchine ferme. Alla vigilia della drammatica crisi economica del 2001, la più ricca borghesia dell’America latina si ritrova in una città fantasma con fabbriche abbandonate e un’enorme disoccupazione. Freddy, il presidente della nuova cooperativa degli operai, e Lalo, il politico del Movimento delle società recuperate, sanno che il successo non è assicurato. Devono affrontare tribunali, polizia e politici che possono dar loro protezione legale o sbatterli fuori dalla fabbrica con violenza. La storia della lotta degli operai ha sullo sfondo la cruciale elezione presidenziale dove l’architetto del collasso, Carlos Menem, è il favorito. Armati solo di fionde e di una fede duratura nella democrazia della base operaia, i lavoratori affrontano i loro capi, i banchieri e un intero sistema che vede le loro amate fabbriche solo come rottami da vendere. Si organizzano, si autotassano, si assicurano l'appoggio della popolazione locale, intrecciano rapporti con altre aziende che stanno vivendo la loro stessa situazione intessendo una rete di reciproco sostegno. Una ricetta rivoluzionaria fatta di piccoli passi, che rifugge dalle seduzioni utopistiche delle ideologie e liquida la politica come un fatto secondario, estraneo alle loro reali necessità.
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Il documentario di Naomi Klein [[The take]], esperienza cinematografica condivisa con il marito, il  regista  Avi Lewis, racconta  le storie di padri di famiglia, giovani che avevano ormai perso ogni speranza, anziani operai, irriducibili mogli, alle prese con curatori fallimentari, decisioni di tribunali, frustranti ostacoli burocratici, la minaccia concreta della repressione violenta da parte della polizia, con un solo grande obiettivo: continuare a vivere del loro lavoro, di quello che sanno e vogliono fare, senza l'aiuto dei padroni. Nel film, alla periferia di Buenos Aires, trenta operai disoccupati entrano nella loro fabbrica e non vogliono più abbandonarla. Chiedono solo di far ripartire le macchine ferme. Alla vigilia della drammatica crisi economica del 2001, la più ricca borghesia dell’America latina si ritrova in una città fantasma con fabbriche abbandonate e un’enorme disoccupazione. Freddy, il presidente della nuova cooperativa degli operai, e Lalo, il politico del Movimento delle società recuperate, sanno che il successo non è assicurato. Devono affrontare tribunali, polizia e politici che possono dar loro protezione legale o sbatterli fuori dalla fabbrica con violenza. La storia della lotta degli operai ha sullo sfondo la cruciale elezione presidenziale dove l’architetto del collasso, Carlos Menem, è il favorito. Armati solo di fionde e di una fede duratura nella democrazia della base operaia, i lavoratori affrontano i loro capi, i banchieri e un intero sistema che vede le loro amate fabbriche solo come rottami da vendere. Si organizzano, si autotassano, si assicurano l'appoggio della popolazione locale, intrecciano rapporti con altre aziende che stanno vivendo la loro stessa situazione intessendo una rete di reciproco sostegno. Una ricetta rivoluzionaria fatta di piccoli passi, che rifugge dalle seduzioni utopistiche delle ideologie e liquida la politica come un fatto secondario, estraneo alle loro reali necessità.
  
 
http://www.cinematografo.it/pls/cinematografo/consultazione.mostra_paginat?id_pagina=2467   
 
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In occasione della presentazione milanese di “The Take", il 21 marzo 2005, Naomi Klein incontra e saluta Cantieri, San Precario e Casas de Plastica, un gruppo di immigrati sudamericani. E la saggista ricorda: nel secondo anniversario dell'invasione dell'Iraq, ribadiamo il nostro impegno contro le occupazioni di morte e pro altre occupazioni: quelle per il diritto all'acqua e al cibo, al lavoro, alla salute, all'istruzione. Incontro registrato presso la Libreria Feltrinelli di Milano.  Nel filmato successivo, Naomi Klein e Avi Lewis sono intervistati da Miriam Giovenzana, direttrice di Altraeconomia, e Carlo Giorgi, direttore di Terre di Mezzo, nell'ambito dell'iniziativa Fa' la cosa giusta (Milano, 20 marzo).
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In occasione della presentazione milanese di “The Take", il 21 marzo 2005, Naomi Klein incontra e saluta Cantieri, San Precario e Casas de Plastica, un gruppo di immigrati sudamericani. E la saggista ricorda: nel secondo anniversario dell'invasione dell'Iraq, ribadiamo il nostro impegno contro le occupazioni di morte e pro altre occupazioni: quelle per il diritto all'acqua e al cibo, al lavoro, alla salute, all'istruzione. Incontro registrato presso la Libreria Feltrinelli di Milano.  Nel filmato successivo, Naomi Klein e Avi Lewis sono intervistati da Miriam Giovenzana, direttrice di Altraeconomia, e Carlo Giorgi, direttore di Terre di Mezzo, nell'ambito dell'iniziativa Fa' la cosa giusta (Milano, 20 marzo).
  
 
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=2391     
 
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==La poetica==
 
==La poetica==
  
A soli 30 anni, Naomi Klein è una dei guru del “movimento antimondializzazione", un ampio gruppo transnazionale relativamente organizzato che protesta contro il potere, crescente e totalizzante, dell'economia multinazionale nel mondo. E’ una giornalista e certamente non una teorica e il suo non è mai un atteggiamento antintellettuale. Si potrebbe dire che il suo lavoro rappresenta molto bene l'attuale rapporto tra intellettuali e movimenti sociali. Lei stessa asserisce: “La mia speranza è che l'attivismo, rappresenti una consapevolezza sempre maggiore rispetto al fatto che stiamo perdendo il controllo delle nostre società, che dobbiamo condurre le companies ad un più elevato standard etico, che siamo qualcosa di più di semplici relazioni economiche". Il “movimento dei movimenti", come lei lo definisce, segna la fine del “grande freddo" che va dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta, il ventennio della stagione cosiddetta “post-ideologica" che ha interpretato il tramonto delle ideologie come necessario e ineluttabile adattamento alla politica delle procedure liberali, dei vincoli determinati, dell'economia di mercato senza frontiere. Nel movimento c'è una ripresa dei grandi temi dell'universalismo e della liberazione che avevano segnato gli anni Sessanta, un decennio di soggettività cosmopolite e di grande ricambio generazionale in cui non a caso sono stati inventati i grandi linguaggi innovativi che tuttora “ritmano" - alla lettera, a cominciare dalla musica - molti comportamenti sociali dell'ultima generazione e i rapporti fra le generazioni. Definisce la globalizzazione non come omologazione e nemmeno scontro delle civiltà, piuttosto come un transito, un passaggio, di tutte le aree del pianeta attraverso gli stili occidentali. Infatti, personalmente arriva a conclusioni opposte a quelle che diagnosticano il trionfo del [[pensiero unico]] occidentale, perché nella globalizzazione l'occidentalizzazione va di pari passo con la de-occidentalizzazione: quando l'occidente diventa mondo, i suoi “pilastri fondamentali" si rompono.
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A soli 30 anni, Naomi Klein è una dei guru del “movimento antimondializzazione", un ampio gruppo transnazionale relativamente organizzato che protesta contro il potere, crescente e totalizzante, dell'economia multinazionale nel mondo. E’ una giornalista e certamente non una teorica e il suo non è mai un atteggiamento antintellettuale. Si potrebbe dire che il suo lavoro rappresenta molto bene l'attuale rapporto tra intellettuali e movimenti sociali. Lei stessa asserisce: “La mia speranza è che l'attivismo, rappresenti una consapevolezza sempre maggiore rispetto al fatto che stiamo perdendo il controllo delle nostre società, che dobbiamo condurre le companies ad un più elevato standard etico, che siamo qualcosa di più di semplici relazioni economiche". Il “movimento dei movimenti", come lei lo definisce, segna la fine del “grande freddo" che va dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta, il ventennio della stagione cosiddetta “post-ideologica" che ha interpretato il tramonto delle ideologie come necessario e ineluttabile adattamento alla politica delle procedure liberali, dei vincoli determinati, dell'economia di mercato senza frontiere. Nel movimento c'è una ripresa dei grandi temi dell'universalismo e della liberazione che avevano segnato gli anni Sessanta, un decennio di soggettività cosmopolite e di grande ricambio generazionale in cui non a caso sono stati inventati i grandi linguaggi innovativi che tuttora “ritmano" - alla lettera, a cominciare dalla musica - molti comportamenti sociali dell'ultima generazione e i rapporti fra le generazioni. Definisce la globalizzazione non come omologazione e nemmeno scontro delle civiltà, piuttosto come un transito, un passaggio, di tutte le aree del pianeta attraverso gli stili occidentali. Infatti, personalmente arriva a conclusioni opposte a quelle che diagnosticano il trionfo del [[pensiero unico]] occidentale, perché nella globalizzazione l'occidentalizzazione va di pari passo con la de-occidentalizzazione: quando l'occidente diventa mondo, i suoi “pilastri fondamentali" si rompono.
  
 
==Bibiliografia==
 
==Bibiliografia==

Revisione 17:42, 10 Gen 2009

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Naomi Klein
Naomi Klein

Biografia

Naomi Klein è nata nel 1970 a Montreal, da una regista femminista e da un medico militante di sinistra, entrambi oppositori della guerra in Vietnam, fuggiti in Canada per la loro attività politica. Naomi ha trascorso la sua infanzia e adolescenza a contestare i genitori per "i marchi" che loro le imponevano mentre lei mai avrebbe partecipato all'«economia del logo», preferendo diventare, così come hanno fatto molti ricercatori scientifici, docenti universitari, un semplice «nodo», al pari di altri, di una rete sociale di attivisti, condividendo così il loro sapere con gli altri, senza per questo rivendicare nessuno «status» particolare per sé. Naomi ha sofferto per la costrizione del marchio fino agli anni dell'università. "Ne sono uscita con un atto di forza - racconta - come un tossicodipendente che si libera dalla droga". Interrotti gli studi si è gettata a capofitto nella contestazione, dedicandosi alla realizzazione del progetto "No Logo". Giornalista e scrittrice, scrive per il quotidiano canadese Globe and Mail e collabora con The Guardian (Gran Bretagna) e Internazionale. È divenuta famosa in tutto il mondo con il libro No logo, dedicato al pensiero e ai movimenti no-global. E’ sposata con il regista Avi Lewis, con il quale condivide impegno politico e attività lavorativa.

Le opere

L'immagine è tutto. Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni, passati a inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza: la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza. Anche perché, dietro l'industria dei marchi e delle firme, si cela una società occidentale che non esita ad applicare, nei confronti del Terzo mondo, politiche di sfruttamento economico e individuale degne di un capitalismo orientato più all'Ottocento che al terzo millennio. Bill Gates, la perfetta icona della new economy, si è trasformato in un orfanello della globalizzazione, il baffo della Nike (il più grande successo di marketing degli anni Novanta) è diventato simbolo di sfruttamento della manodopera: alcuni dei più celebrati marchi del mondo vengono oltraggiati e sono diventati l'obiettivo preferito degli hacker e delle campagne anti-industriali, quindi cosa significa tutto questo per il mercato delle multinazionali e le loro relazioni planetarie, qual è il futuro delle nostre comunità e del mondo in cui viviamo? Con una buona miscela di analisi socio-culturale, cronaca giornalistica e “lavoro sporco", Naomi Klein affronta in No Logo le tematiche sopra descritte: Naomi Klein ci porta all'interno delle fabbriche sfruttatrici in Indonesia e nelle Filippine; ci accompagna nei centri commerciali del Nord America con il loro life-style pronto da indossare; ci presenta un gran numero di attivisti che combattono la società dei marchi, i "sabotatori" di cartelloni pubblicitari, i manifestanti che hanno sfidato la Shell sul delta del Niger, gli attivisti dietro al processo McLibel di Londra, gli hacker che hanno dichiarato guerra ai sistemi informatici delle multinazionali che violano i diritti umani in Asia. Naomi Klein spiega e analizza le ragioni della nuova contestazione, fornendo allo stesso tempo una denuncia dettagliata delle contraddizioni della nuova economia globale.

http://www.portalinus.it/redazione/nologo/nologo_capitoli2.asp


Nel successivo libro 'Recinti e finestre, Naomi Klein raccoglie molti degli articoli, reportage e saggi scritti dalla giornalista canadese tra il 1999 e il 2002. Il libro si apre con il racconto della «rivolta di Seattle», infatti in una mattina di dicembre 1999, gruppi di persone cominciarono a bloccare gli incroci di Seattle, città nota soprattutto perché aveva dato i natali alla musica grunge (i Nirvana di Kurt Cobain venivano da lì) e perché sede della più importante società di software del mondo, la Microsoft di Bill Gates. In quel giorno, cinque, seimila persone riunite per gruppi di affinità, chi mascherato da tartaruga marina, chi indossando una felpa nera con il logo di una università, chi calzando un cappello da baseball con la sigla di un sindacato, riuscirono in quello che sembrava impossibile fino al giorno prima: fecero fallire la riunione dell'Organizzazione mondiale del commercio. Questo è un volume che non ha «ambizioni» teoriche, come invece aveva il precedente No Logo; è una storia in tempo reale del movimento no global o, come ama definirlo la stessa autrice, del «movimento dei movimenti». Il fatto che sia composto di brevi testi nulla toglie però alla passione con cui sono stati scritti. Leggerli uno dopo l'altro, sebbene siano divisi in cinque aree tematiche (finestre del dissenso, recintare la democrazia, recintare il movimento, capitalizzare il terrore, finestre per la democrazia) è come veder nuovamente proiettato sullo schermo un film avvincente di cui si conosce l'inizio, i protagonisti principali, ma di cui non si intravede la fine. L'inizio coincide con la rivolta di Seattle e uno dei protagonisti è “il movimento", una realtà così piena di potere attrattivo che spinge la stessa autrice a catapultarsi fuori dalla sua sonnacchiosa città, Montreal, per compiere la sua educazione sentimentale alla politica nelle vie di piccole e grandi città, dall'opulenta Washington alla inquinatissima Città del Messico, dal deserto australiano alla pianura argentina, dalla periferia romana alle favelas brasiliane. Finestre e recinti si chiude con un'aspra critica della politica estera statunitense. L'autrice di No Logo scrive che la «guerra contro il terrorismo» degli Usa iniziata in Afghanistan può essere considerata come il fallimento del «branding» della politica estera americana; può vincere con le armi, ma non riesce a raccogliere consenso, cosa che invece riesce meglio al «movimento dei movimenti», bloccando o almeno inceppando la macchina della guerra.

http://www.axiaonline.it/2003/libri/axialibri_Ottobre.htm

Il documentario di Naomi Klein The take, esperienza cinematografica condivisa con il marito, il regista Avi Lewis, racconta le storie di padri di famiglia, giovani che avevano ormai perso ogni speranza, anziani operai, irriducibili mogli, alle prese con curatori fallimentari, decisioni di tribunali, frustranti ostacoli burocratici, la minaccia concreta della repressione violenta da parte della polizia, con un solo grande obiettivo: continuare a vivere del loro lavoro, di quello che sanno e vogliono fare, senza l'aiuto dei padroni. Nel film, alla periferia di Buenos Aires, trenta operai disoccupati entrano nella loro fabbrica e non vogliono più abbandonarla. Chiedono solo di far ripartire le macchine ferme. Alla vigilia della drammatica crisi economica del 2001, la più ricca borghesia dell’America latina si ritrova in una città fantasma con fabbriche abbandonate e un’enorme disoccupazione. Freddy, il presidente della nuova cooperativa degli operai, e Lalo, il politico del Movimento delle società recuperate, sanno che il successo non è assicurato. Devono affrontare tribunali, polizia e politici che possono dar loro protezione legale o sbatterli fuori dalla fabbrica con violenza. La storia della lotta degli operai ha sullo sfondo la cruciale elezione presidenziale dove l’architetto del collasso, Carlos Menem, è il favorito. Armati solo di fionde e di una fede duratura nella democrazia della base operaia, i lavoratori affrontano i loro capi, i banchieri e un intero sistema che vede le loro amate fabbriche solo come rottami da vendere. Si organizzano, si autotassano, si assicurano l'appoggio della popolazione locale, intrecciano rapporti con altre aziende che stanno vivendo la loro stessa situazione intessendo una rete di reciproco sostegno. Una ricetta rivoluzionaria fatta di piccoli passi, che rifugge dalle seduzioni utopistiche delle ideologie e liquida la politica come un fatto secondario, estraneo alle loro reali necessità.

http://www.cinematografo.it/pls/cinematografo/consultazione.mostra_paginat?id_pagina=2467


In occasione della presentazione milanese di “The Take", il 21 marzo 2005, Naomi Klein incontra e saluta Cantieri, San Precario e Casas de Plastica, un gruppo di immigrati sudamericani. E la saggista ricorda: nel secondo anniversario dell'invasione dell'Iraq, ribadiamo il nostro impegno contro le occupazioni di morte e pro altre occupazioni: quelle per il diritto all'acqua e al cibo, al lavoro, alla salute, all'istruzione. Incontro registrato presso la Libreria Feltrinelli di Milano. Nel filmato successivo, Naomi Klein e Avi Lewis sono intervistati da Miriam Giovenzana, direttrice di Altraeconomia, e Carlo Giorgi, direttore di Terre di Mezzo, nell'ambito dell'iniziativa Fa' la cosa giusta (Milano, 20 marzo).

http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=2391

http://movies2.arcoiris.tv/movies/00_03_2005/intervista_klein_e_lewis_big.ram


La poetica

A soli 30 anni, Naomi Klein è una dei guru del “movimento antimondializzazione", un ampio gruppo transnazionale relativamente organizzato che protesta contro il potere, crescente e totalizzante, dell'economia multinazionale nel mondo. E’ una giornalista e certamente non una teorica e il suo non è mai un atteggiamento antintellettuale. Si potrebbe dire che il suo lavoro rappresenta molto bene l'attuale rapporto tra intellettuali e movimenti sociali. Lei stessa asserisce: “La mia speranza è che l'attivismo, rappresenti una consapevolezza sempre maggiore rispetto al fatto che stiamo perdendo il controllo delle nostre società, che dobbiamo condurre le companies ad un più elevato standard etico, che siamo qualcosa di più di semplici relazioni economiche". Il “movimento dei movimenti", come lei lo definisce, segna la fine del “grande freddo" che va dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta, il ventennio della stagione cosiddetta “post-ideologica" che ha interpretato il tramonto delle ideologie come necessario e ineluttabile adattamento alla politica delle procedure liberali, dei vincoli determinati, dell'economia di mercato senza frontiere. Nel movimento c'è una ripresa dei grandi temi dell'universalismo e della liberazione che avevano segnato gli anni Sessanta, un decennio di soggettività cosmopolite e di grande ricambio generazionale in cui non a caso sono stati inventati i grandi linguaggi innovativi che tuttora “ritmano" - alla lettera, a cominciare dalla musica - molti comportamenti sociali dell'ultima generazione e i rapporti fra le generazioni. Definisce la globalizzazione non come omologazione e nemmeno scontro delle civiltà, piuttosto come un transito, un passaggio, di tutte le aree del pianeta attraverso gli stili occidentali. Infatti, personalmente arriva a conclusioni opposte a quelle che diagnosticano il trionfo del pensiero unico occidentale, perché nella globalizzazione l'occidentalizzazione va di pari passo con la de-occidentalizzazione: quando l'occidente diventa mondo, i suoi “pilastri fondamentali" si rompono.

Bibiliografia

  • Klein Naomi, No logo: economia globale e nuova contestazione, Baldini e Castoldi, Milano, 2001 e 2002
  • Klein Naomi, Recinti e finestre. Dispacci dalle prime linee del dibattito sulla globalizzazione, Baldini Castoldi Dalai, 2003
  • Klein Naomi, D'Eramo Marco, Della Sala Vitaliano, Global magazine Democrazie in quarantena [vol 3] Manifestolibri, 2003

Sito Web

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Webliografia