L'ipertesto e la teoria critica

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Autore:

George Landow

Tratto da:

Ipertesto: la Convergenza della Teoria Critica Contemporanea e la Tecnologia (Baltimora e Londra: Johns Hopkins University Press, 1991), pp.2-12.

Titolo Originale:

Hypertext and Critical Theory

Traduzione di:

Federica Toci

Anno:

1991


L'ipertesto e la teoria critica


George Landow è professore di Inglese e Storia dell’Arte presso la Brown University. Questo saggio tratto dal suo più importante libro Ipertesto: La Convergenza della Teoria Critica Contemporanea e la Tecnologica (Johns Hopkins University Press, 1991) traccia lo sviluppo dei sistemi basati sui calcolatori per l’organizzazione di testi, collegando l’architettura decentrata della rete ipertestuale ai filosofi post-strutturalisti come Jacques Derrida.

Il problema della causalità. Non è sempre semplice determinare cosa ha causato un preciso cambiamento in una scienza. Cosa rende possibile una scoperta? Perché compare questo nuovo concetto? Da dove questa o quella teoria traggono origine? Questioni come queste sono spesso molto imbarazzanti perché non sono definite da principi metodologici sui quali basarle come, ad esempio, una analisi. L’imbarazzo è molto sentito nel caso di quei cambiamenti generali che alterano una scienza nel suo insieme. E’ ancora maggiore nel caso dei cambiamenti corrispondenti. Ma probabilmente raggiunge il suo punto più alto nel caso delle scienze empiriche: per il ruolo degli strumenti, delle tecniche, delle istituzioni, degli eventi, delle ideologie e degli interessi l’imbarazzo è molto evidente; ma non si può sapere come una articolazione così complessa e così diversa operi attualmente nella composizione di testi. Michel Foucault L’ordine delle cose


Derrida ipertestuale, Nelson Post-strutturalista?

Quando i designer del software per computer esaminano le pagine di Glas o Of Grammatology, incontrano un Derrida digitalizzato, ipertestuale; e quando i teorici letterari esaminano Literary Machines, essi incontrano un Nelson decostruzionista o post-strutturalista. Questi turbamenti di riconoscimento possono presentarsi perché, rispetto al passato, diverse teorie letterarie decennali e l’ipertesto del computer, apparentemente non connesso con le aree inquisite, si stanno avvicinando sempre di più. Affermazioni di teorici circa la letteratura, come quelle dei teorici circa la computazione, dimostrano una significativa convergenza. Lavorando spesso, ma non sempre, nell’ ignoranza degli altri, gli scrittori in queste aree offrono evidenze che ci forniscono una via all’interno della conoscenza scientifica contemporanea, nel mezzo dei maggiori cambiamenti. Un cambiamento del paradigma, penso, ha iniziato a prendere spazio negli scritti di Jacques Derrida e Theodor Nelson, di Roland Barthes e di Andries van Damm. Mi aspetto che un nome in ogni coppia sarà sconosciuto alla maggior parte dei miei lettori. Coloro che lavorano nel campo dell’informatica conosceranno bene le idee di Nelson e van Damm; coloro che lavorano nel campo delle teorie letterarie e culturali conosceranno altrettanto bene le idee di Derrida e Barthes. Tutti e quattro, come molti altri che scrivono circa l’ipertesto o le teorie letterarie, sostengono che dobbiamo abbandonare i sistemi concettuali fondati sulle idee di centro, margini, gerarchia e linearità per sostituirli con quelli di multilinearità, nodi, collegamenti e reti. Quasi tutti coloro che prendono parte a questo cambiamento del paradigma, che segna una rivoluzione nel pensiero umano, vedono la scrittura elettronica come una diretta risposta alle forze e alle debolezze del libro stampato. Questa risposta ha profonde implicazioni per la letteratura, l’educazione e la politica. Alcuni collegamenti tra l’ipertesto e le teorie critiche hanno dei punti di interesse, il più importante dei quali, forse, sta nel fatto che le teorie critiche promettono di una teorizzazione dell’ipertesto e l’ipertesto promette di includere e quindi testare gli aspetti della teoria, in particolar modo quelli concernenti la testualità, la narrativa e i ruoli o le funzioni del lettore e dello scrittore. Usando l’ipertesto i critici avranno, o già hanno, un nuovo laboratorio, in aggiunta alla libreria convenzionale di testi stampati, nel quale sperimentare le loro idee. Più importante di queste sperimentazioni, forse, è l’esperienza di lettura di ipertesto o con un ipertesto, che precisa alcune delle più significative idee delle teorie critiche. Come J. David Bolter fa notare nel corso della spiegazione che l’ipertestualità include le concezioni post-strutturaliste del testo aperto, “cosa è innaturale nella stampa diventa naturale nei media elettronici e tra non molto dovremmo dirlo a tutti, perché possa essere mostrato.”

La definizione di ipertesto e la sua storia come concetto

In S/Z, Roland Barthes descrive un’ideale testualità che corrisponde precisamente a quello che viene chiamato ipertesto – testo composto da blocchi di parole (o immagini) collegati elettronicamente da molteplici percorsi, catene o tracce in una testualità sempre aperta, descritta dai termini ‘collegamento, nodo, rete, web e percorso’: “In questo testo ideale”, dice Barthes, “le reti sono molte e interattive, nessuna delle quali capace di sopraffare le altre, questo testo è una galassia di significanti, non una struttura di significati; non ha inizio, è reversibile, vi si accede da diverse entrate, nessuna delle quali può essere dichiarata autorevolmente la principale; le combinazioni che ne possono derivare sono così numerose da non poter essere determinate, esse sono indeterminabili...; i sistemi di significati possono assumere il controllo di questo testo assolutamente aperto, ma il loro numero è illimitato, in quanto basati sull’infinità del linguaggio” (originalmente enfatizzato). Come Barthes, Michel Foucault concepisce il testo in termini di rete e link. In L’archeologia del sapere Foucault fa notare che “i confini di un libro non sono mai ben definiti” perché “esso è collocato in un sistema di riferimenti ad altri libri, altri testi, altre frasi: è un nodo all’interno di una rete…[una] rete di riferimenti.” Come quasi tutti gli strutturalisti e post-strutturalisti, Barthes e Foucault descrivono il testo, il mondo delle lettere e la potenza e le relazioni di stato che essi implicano in termini comuni con il campo dell’ipertesto. Ipertesto, un termine coniato da Theodor H. Nelson negli anni 60’, si riferisce anche ad una forma di testo elettronico, una tecnologia di informazione radicalmente nuova e un modo di pubblicazione. “Per ‘ipertesto,’ ” Nelson spiega, “intendo scrittura non sequenziale - testo che si ramifica e permette al lettore di scegliere, la migliore lettura ad uno schermo interattivo. Come generalmente conosciuto, questo è una serie di blocchi di testo connessi da collegamenti che offrono al lettore differenti vie di lettura.” L’ipertesto, come il termine sarà inteso nelle prossime pagine, denota un testo composto da blocchi – quelli che Barthes chiama lexia – e link elettronici che li collegano. Ipermedia semplicemente estende la nozione di testo in ipertesto includendo le informazioni visuali, i suoni, le animazioni e altre forme di dati. Dato che l’ipertesto, il quale lega il passaggio da un discorso verbale a immagini, mappe, diagrammi e suoni facilmente come ad altri passaggi verbali, espande la nozione di testo al di fuori del solo ambito verbale, io non distinguo tra ipertesto e ipermedia. L’Ipertesto denota un mezzo di informazione che relaziona informazione verbale e non. Nelle prossime pagine userò i termini ipermedia e ipertesto interscambiabilmente. I link elettronici connettono i lexia “esterni” al lavoro – sostengo, commentato da un altro autore in accordo o meno con il mio testo – nonché dentro ad esso e così creano un testo che è percepito come non lineare, o più propriamente come multilineare o multisequenziale. Sebbene ogni lexia sia letto in maniera convenzionale, una volta lasciati i limiti confusi di ogni unità di testo, si applicano nuove regole e nuove esperienze. Le pubblicazioni nel campo delle scienze umanistiche o fisiche incorporano perfettamente le nozioni già sottolineate di ipertesto come lettura di testo multisequenziale. Per esempio, nella lettura di un articolo su, diciamo, l’Ulisse di James Joyce, una persona legge attraverso quello che è normalmente conosciuto come il testo principale, incontrando un numero o un simbolo che indica la presenza di una nota a piè di pagina, e lo abbandona per leggere quella nota, che può contenere una citazione di passaggi dell’Ulisse che presumibilmente supporta l’argomento in questione o le informazioni circa l’indebitamento dell’autore erudito verso gli altri autori, in disaccordo con loro e così via. La nota può inoltre dare indicazioni sulle fonti, le influenze e i paralleli in altri testi letterari. In ogni caso il lettore può seguire il link all’altro testo indicato dalla nota e così muoversi interamente fuori dall’articolo stesso. Una volta letta completamente la nota o deciso che questa al momento non giustifica un’attenta lettura, il lettore ritorna al testo principale e continua la lettura fino a che non incontra un’altra nota, a quel punto lascia di nuovo il testo principale. Questo tipo di lettura costituisce l’esperienza di base e il punto di partenza dell’ipertesto. Supponiamo ora che una persona possa semplicemente toccare la pagina dove appare il simbolo di una nota, di un riferimento o di una annotazione, e così all’istante possa vedere il materiale contenuto in una nota o addirittura l’intero altro testo – nel nostro esempio tutto l’Ulisse – al quale quella nota si riferisce. Gli articoli scientifici si situano all’interno di un campo di relazioni, la maggior parte delle quali sono nascoste dalla stampa e relativamente difficili da seguire, perché nella tecnologia di stampa il materiale riferito (o linkato) si trova distante dal suo riferimento. L’ipertesto elettronico, diversamente, è costituito da riferimenti individuali facili da seguire e l’intero campo di interconnessioni è intuitivo e facile da navigare. Cambiando la facilità con la quale una persona si può orientare in un contesto di questo tipo e perseguire i propri riferimenti, cambia radicalmente sia l’esperienza di lettura che, alla fine, la natura di quello si legge. Per esempio, se una persona possedeva un sistema ipertestuale nel quale l’articolo del nostro Joyce era linkato a tutti gli altri materiali citati in esso, poteva esistere come parte di un sistema più grande, nel quale la totalità avrebbe potuto contare di più che il documento singolo; l’articolo potrebbe ora essere intrecciato più strettamente al suo contesto rispetto a quanto accadrebbe con la controparte stampata. Come suggerisce questo scenario l’ipertesto confonde i confini tra il lettore e lo scrittore e perciò esemplifica un’altra qualità del testo ideale di Barthes. Dal punto di vista del cambiamento corrente nella tecnologia delle informazioni, la distinzione di Barthes tra testi leggibili e scrivibili sembra essere essenzialmente una distinzione tra un testo basato sulla tecnologia di stampa e un ipertesto elettronico, poiché l’ipertesto esaudisce

il desiderio del lavoro letterale (o della letteratura come lavoro) [il quale] rende il lettore non più un consumatore, ma un produttore di testo. La nostra letteratura è caratterizzata da una spietata separazione che l’istituzione letterale mantiene tra il produttore di testo e il fruitore, tra ciò che è suo e il suo cliente, tra il suo autore e il suo lettore. Questo lettore tuttavia si adagia in una sorta di ozio – è intransitivo; è, in breve, serio: invece di far funzionare se stesso, invece di guadagnarsi l’accesso alla magia del significato, al piacere della scrittura, egli è lasciato con niente se non con la povera libertà di accettare o rifiutare il testo: la lettura non è niente di più che un referendum. Opposto al testo scritto, allora, c’è il suo controvalore, il suo valore negativo e reattivo: ciò che può essere letto, ma non scritto: il leggibile. Tutti noi possiamo definire leggibile un testo classico. (S/Z, 4)

Comparando le due modalità, i designer dell’Intermedia, uno dei più avanzati sistemi ipertestuali sviluppato molto tempo fa , descrivono il lettore attivo che l’ipertestualità richiede e crea:

Sia uno strumento dell’autore che un mezzo del lettore, un sistema di scrittura ipertestuale permette agli autori o ai gruppi di autori di collegare insieme varie informazioni, creare strade attraverso un corpus di relazioni materiali, commentare testi esistenti e creare note che portano i lettori ad altre informazioni bibliografiche o ad una parte del testo referenziato... I lettori possono navigare attraverso collegamenti, riferimenti incrociati, testi annotati in un modo ordinato ma non sequenziale.

Per dare un idea di come l’ipertesto produca il lettore di Barthes, esaminiamo come te, lettore di questo libro, potresti leggerlo in una versione ipertestuale. Per cominciare, invece di imbatterti in una copia cartacea, inizieresti a leggerlo sullo schermo di un computer. Contemporaneamente gli schermi, che non hanno alcuna portabilità e nemmeno la tattilità dei libri stampati, rendono l’atto della lettura alcune volte più difficoltoso. Per gente come me che dà molto spazio alla lettura sdraiato su un letto o su un divano, gli schermi appaiono meno adatti. Allo stesso tempo, leggendo su un Intermedia, il sistema ipertestuale al quale io lavoro offre importanti vantaggi che vanno a compensare gli svantaggi. Leggendo una versione Intermedia di questo libro, per esempio, potresti cambiare grandezza e tipo di carattere per facilitare la lettura. Anche se non potresti fare questi cambiamenti in modo permanente nel testo visto dagli altri, potresti effettuarli ogni volta che desideri. Più importante, dal momento che potresti leggere questo libro ipertestuale su un grande monitor a due pagine, è il fatto che tu avresti l’opportunità di posizionare diversi testi l’uno accanto all’altro. Così, cercando la prima nota nel testo principale, che segue il passaggio appena citato da S/Z, potresti attivare l’equivalente ipertestuale di un segno di rimando (un bottone, indice di un collegamento), e questo porterebbe una nota finale in vista. Per prima cosa esso collega direttamente al simbolo di riferimento e non si trova in nessuna lista sequenzialmente numerata dietro al testo principale. In secondo luogo, una volta aperto e sovrapposto al testo principale o posizionato lungo il suo fianco, esso appare, se collegato, come un documento indipendente e non come una sorta di testo sussidiario, di supporto, possibilmente parassitario. La nota in questione contiene la seguente informazione: “Roland Barthes, S/Z, trad. Richard Miller (New York: Hill and Wang, 1974), 5-6.” Un lexia ipertestuale equivalente a questa nota potrebbe includere le stesse informazioni, o molto probabilmente prendere la forma del passaggio citato, una lunga sezione o un capitolo o l’intero lavoro di Barthes. Per di più, quel passaggio potrebbe a turno collegarsi ad altre affermazioni di Barthes o simili frasi riportate, commenti degli studenti di Barthes e passaggi di Derrida e Foucault, i quali riguardano allo stesso modo questa nozione di testo di rete. Come lettore dovresti decidere se tornare al mio argomento, inseguendo alcune delle connessioni che io ho suggerito attraverso i link o, usando altre capacità del sistema, cercare connessioni che io non ho suggerito. La molteplicità dell’ipertesto, che bene si mostra in link multipli ai blocchi di testo individuali, richiama un lettore attivo. In aggiunta, un sistema pienamente ipertestuale, non come un libro o come una delle prime approssimazioni di ipertesto correntemente disponibili (HyperCard, Guide), offre al lettore e allo scrittore lo stesso ambiente. Quindi, aprendo un programma di elaborazione di testi, o un editor, come sono conosciuti, puoi prendere note o criticare le mie interpretazioni, il mio testo. Sebbene non puoi cambiarlo, puoi scrivere una replica e quindi collegarla al mio documento. Così hai letto il testo leggibile in due modi, cosa non possibile con un libro. Hai scelto la tua strada di lettura – e al momento in cui tu, come tutti i lettori, avrai scelto la tua strada individuale, la versione ipertestuale di questo libro potrebbe prendere una forma differente nella tua lettura, forse suggerendo l’importanza di strade alternative e probabilmente dedicando meno spazio al testo principale per citare il passaggio. Potresti anche aver iniziato a prendere note o a produrre risposte al testo come tu lo leggi, alcune delle quali potrebbero supportare o contraddire le interpretazioni proposte nel mio testo.

Altre convergenze. Intertestualità, Multivocalità e De-centramento

Come Barthes, Foucault e Mikhail Bakhtin, Jacques Derrida usa continuamente i termini link (liason), web (toile), rete (réseau) e intreccio (s’y tissent), e chiede a gran voce l’ipertestualità; ma in contrasto con Barthes, che enfatizza la leggibilità del testo e la sua non linearità, Derrida enfatizza la trasparenza testuale, l’intertestualità e l’irrilevanza delle distinzioni tra dentro e fuori un testo particolare. Queste enfasi appaiono con particolare chiarezza quando Derrida dichiara che “come ogni testo, il testo di ‘Platone’ potrebbe non essere coinvolto, almeno in un modo virtuale, dinamico, laterale, con tutte le parole che compongono il sistema della lingua greca” (129). Qui Derrida infatti descrive i sistemi ipertestuali ancora esistenti nei quali il lettore attivo nel processo di esplorazione del testo, esaminandolo, può mettere in discussione l’uso dei dizionari con analisi morfologiche che connettono parole singole ai loro sinonimi, derivati e contrari. Qui di nuovo qualcosa che Derrida e altri teorici critici descrivono come parte di una apparentemente stravagante affermazione circa il linguaggio che descrive precisamente la nuova economia di lettura e scrittura con le forme virtuali piuttosto che fisiche. Derrida correttamente riconosce (in anticipo, si direbbe) che una nuova, più libera, più ricca forma di testo, una più vera per le nostre potenziali esperienze, forse per quelle attuali ma non riconosciute, dipende da distinte unità di lettura. Come egli spiega, in quello che Gregory Ulmer chiama “la fondamentale generalizzazione della sua scrittura,” esiste anche “la possibilità di separazione e di inserimento di una citazione che deriva dalla struttura di ogni segno, parlato e scritto, e che costituisce ogni segno nella scrittura prima e fuori da ogni orizzonte di comunicazione semio-linguistica... Ogni segno, linguistico e non, parlato o scritto... può essere citato, messo tra virgolette.” L’implicazione di questa citabilità e separabilità appare, nei fatti, cruciale per l’ipertesto che, come Derrida aggiunge “ così facendo può rompere con ogni contesto dato, generando una infinità di nuovi contesti in modo assolutamente illimitabile.” Come Barthes, Derrida concepisce il testo costituito da distinte unità di lettura. La concezione del testo di Derrida è collegata alla sua “metodologia di decomposizione” che potrebbe trasgredire i limiti della filosofia. “L’organo di questa nuova filosofia,” come Gregory Ulmer fa notare, “è la bocca, la bocca che morde, mastica, assapora... Il primo passo della decomposizione è il morso” (57). Derrida, che descrive il testo come qualcosa di chiuso ai lexia di Barthes, spiega in Glas che “l’oggetto del presente lavoro, e anche il suo stile, è il ‘morceau’ ” che Ulmer traduce in “morso, pezzo, frammento; composizione musicale, spuntino, boccone.” Questo morceau, aggiunge Derrida, “è sempre staccato, come il suo nome suggerisce così tu non puoi dimenticartene, con in denti,” e questi denti, spiega Ulmer, si riferiscono a “virgolette e parentesi: quando il linguaggio è citato (messo tra virgolette), l’effetto è quello di lasciare la presa o mantenere il controllo del contesto” (58). La ricerca di Derrida di una via per mettere in primo piano la sua ricognizione circa il modo in cui un testo opera nella stampa tradizionale – egli è, dopo tutto, il feroce avvocato della scrittura contro l’oralità – mostra la posizione, possibilmente il dilemma, del pensatore che lavora con la stampa che vede i suoi difetti ma a causa della sua grandiosità non riesce ad andare oltre al suo modo di pensare. Derrida, come mostra l’esperienza dell’ipertesto, cerca un nuovo tipo di testo: lo descrive, lo elogia, ma può presentarlo solo in termini di strumenti – qui quelli della punteggiatura – associati con un particolare tipo di scrittura. Come il Marxismo ci ricorda, il pensiero deriva dalle forze e dai modi di produzione, sebbene, come possiamo vedere, alcuni Marxisti e Marxiani spesso affrontano direttamente il più importante modo di produzione letteraria – quello dipendente dalla tecnica di scrivere e stampare. Da questa Derridiana enfasi sulla discontinuità viene fuori la concezione dell’ipertesto come un grande assemblaggio, quello che io ho chiamato altrove metatesto e quello che Nelson chiama il “docuverso.” Derrida infatti usa la parola assemblaggio per il cinema, che lui interpreta come un rivale, un’alternativa alla stampa. Ulmer fa notare che “il grammo o la traccia tengono conto dei collage/montaggi ‘linguistici’ ” (267), e cita l’uso di Derrida di assemblaggio in Speech and Phenomena: “La parola ‘assemblaggio’ sembra più adatta per suggerire quel tipo di portare-insieme proposto qui come la struttura di un allacciamento, una tessitura, o una rete, che permetterebbe ai diversi fili e alle differenti linee di senso o di forza di separarsi di nuovo, oltre a essere pronti per altri legami.” Per portare avanti l’istintiva teorizzazione di Derrida sull’ipertesto, si potrebbe anche puntare alla sua ricognizione che segna la testualità come un montaggio o mette in primo piano il processo di scrittura e pertanto rifiuta una trasparenza ingannevole.

Ipertesto e intertestualità

L’ipertesto, fondamentalmente un sistema intertestuale, ha la capacità di enfatizzare l’intertestualità in un modo che il testo rilegato dei libri non può. Come abbiamo già osservato, gli articoli e i libri degli studiosi offrono un ovvio esempio di ipertestualità esplicita in forma non elettronica. Viceversa, nessun lavoro di letteratura – che per il bene del ragionamento e per fare economia vorrei limitare ad un modo più arbitrario di considerare la letteratura “alta” del tipo che leggiamo e insegniamo nelle università – offre un esempio di implicito ipertesto in forma non elettronica. Di nuovo, prendiamo l’Ulisse di Joyce come esempio. Se uno guarda, dico, alla pagina di Nausicaa, nella quale Bloom guarda Gerty McDowell sulla spiaggia, si vede che il testo di Joyce qui “allude” o “si riferisce” (i termini che di solito usiamo) a tutti gli altri testi o fenomeni che uno può trattare come testi, includendo la pagina di Nausicaa dell’Odissea, gli annunci e gli articoli nelle riviste per donne che diffondono e informano i pensieri di Gerty, i fatti della Dublino contemporanea e la Chiesa Cattolica, e il materiale che collega ad altri passaggi all’interno del romanzo. Di nuovo, una presentazione ipertestuale del romanzo collega questa sezione non solo ai tipi di materiali menzionati ma anche ad altri lavori della carriera di Joyce, commenti critici e varianti testuali. L’ipertesto qui permette di rendere esplicito, sebbene non necessariamente intrusivo, il materiale linkato che un lettore istruito percepisce intorno ad esso. Thaїs Morgan suggerisce che quella intertestualità, “come un’analisi strutturale dei testi in relazione al più grande sistema di pratiche di significato o usi dei segni nella cultura,” sposta l’attenzione dalla triade autore/lavoro/tradizione alla triade testo/discorso/cultura. Facendo questo “l’intertestualità sostituisce il modello evoluzionistico della storia letteraria con un modello strutturale o sincronico della letteratura come un sistema di segni. L’effetto più saliente di questo strategico cambiamento è quello di liberare il testo letterario dai determinismi psicologici, sociologici e storici, aprendo la strada ad un apparentemente infinito gioco di relazioni.” Morgan descrive bene una maggiore implicazione dell’intertestualità dell’ipertesto (e dell’ipermedia): ovviamente si verifica tale apertura, tale libertà di creare e percepire le interconnessioni. Ciononostante, anche se potrebbe sembrare che l’intertestualità dell’ipertesto svaluti ogni riduzionismo storico o di altro genere, esso in nessun modo impedisce a coloro i quali sono interessati alla lettura tradizionale come autori, di fare così. Esperimenti molto lontani con l’Ipermedia, l’IperCard e altri sistemi ipertestuali suggeriscono che l’ipertesto non necessariamente pone l’attenzione lontana da questi approcci. Cosa forse è più interessante circa l’ipertesto, tuttavia, non sono quelle richieste del criticismo strutturalista e post-strutturalista che esso può certamente soddisfare ma il fatto che esso fornisce tanti strumenti per analizzarle.


Ipertesto e multivocalità

Nel tentativo di immaginare l’esperienza di lettura e scrittura con (o in) questa nuova forma di testo, uno potrebbe far bene a prestare attentamente ascolto a quello che Mikhail Bakhtin ha scritto circa il romanzo dialogico, polifonico, multivocale che egli dichiara “essere costruito non come un tutto di una singola conoscenza che assorbe altre conoscenze come oggetti in sé stessi, ma come un tutto formato dall’interazione di diverse conoscenze, nessuna delle quali diventa interamente un oggetto per le altre.” La descrizione di Bakhtin della forma letteraria polifonica presenta il romanzo di Dostoevski come una novella ipertestuale nella quale le voci individuali prendono la forma di lexia. Se Derrida presenta l’ipertestualità dal punto di vista del “morso” o “pezzetto”, Bakhtin la presenta dal punto di vista della su stessa vita e della sua stessa forza – la sua incarnazione o la sua istanziazione di una voce, di un punto di vista, di una Rortyana conversazione. Così, secondo Bakhtin, “nel romanzo stesso, le ‘terze persone’ non partecipanti non sono rappresentate in alcun modo. Non c’è spazio per esse, nella composizione o nel più grande senso del lavoro” (Problems, 18). In termini di ipertestualità egli punta il dito verso un’importante qualità di questo mezzo di informazione: l’ipertesto non permette una voce tirannica, univoca. Piuttosto la voce è sempre quella distillata dall’esperienza combinata del focus del momento, del lexia che una persona al momento legge e della narrativa in continua formazione nel percorso di lettura di una persona.

Ipertesto e decentramento

Come i lettori si muovono attraverso una rete di testi, essi si spostano continuamente dal centro – e quindi dal focus o principio di organizzazione – delle loro investigazioni e esperienze. L’ipertesto, in altre parole, fornisce un sistema infinitamente ricentrabile il cui focus provvisorio dipende dal lettore, che diventa un vero lettore attivo in ancora un altro senso. Una delle fondamentali caratteristiche dell’ipertesto è che esso è composto da parti di testi collegate che non hanno un’asse principale di organizzazione. In altre parole, il metatesto o “document set” – il corrispondente di ciò che nella stampa è il libro, il lavoro o il testo singolo – non ha centro. Anche se questa assenza di un centro può creare problemi per il lettore e lo scrittore, vuole anche dire che nessuno tra coloro che usano l’ipertesto fa i propri interessi, di fatto organizzando il principio (o il centro) di investigazione al momento. Una persona fa esperienza dell’ipertesto come un sistema infinitamente decentrabile e ricentrabile, in parte perché l’ipertesto trasforma ogni documento che ha più di un link in un centro passeggero, in una cartella di documenti che uno può impiegare per orientarsi e decidere come muoversi. La cultura occidentale immaginò questi ingressi quasi magici ad una realtà di rete molto prima dello sviluppo della tecnologia computazionale. Il genere biblico, che ha giocato un ruolo maggiore nella cultura inglese durante il 17° e 19° secolo, concepisce la storia sacra in termini di generi e ombre di Cristo e del suo messaggio. Così Mosé, che visse in modo indipendente, esistette anche come Cristo, che portò avanti e completò il significato del profeta. Come dimostrano innumerevoli sermoni, trattati e commentari del secolo diciassettesimo e vittoriano, ogni particolare persona, evento o fenomeno funge da “finestra magica” nel complesso semiotico dello schema divino per la salvezza umana. Come il genere biblico, che permette a eventi e fenomeni significativi di partecipare simultaneamente a ogni realtà o livello di realtà, i lexia individuali inevitabilmente forniscono una via nella rete delle connessioni. Poiché il Protestantesimo evangelico in America conserva e estende queste tradizioni dell’esegesi biblica, non siamo sorpresi di scoprire che alcune delle prime applicazioni dell’ipertesto coinvolsero la Bibbia e la sua tradizione esegetica. Non solo i lexia funzionano tanto alla maniera dei generi, essi diventano anche “Aleph” Borgesiani, punti nello spazio che contengono tutti gli altri punti, in quanto dal proprio punto di vista ognuno provvede a far vedere tutto il resto – se non proprio simultaneamente, allora a breve distanza, uno o due salti più in là, in particolar modo nei sistemi che hanno un testo pieno di ricerche. Diversamente dall’Aleph di Jorge Luis Borges, non è necessario che uno lo consideri da un solo posto, né è necessario che si stenda nella quiete di una cantina di fronte a un sacco di canapa. Il documento ipertestuale diventa un Aleph itinerante. Questa capacità ha un ovvia relazione con le idee di Derrida, che enfatizza il bisogno di spostare i punti di vista tramite un decentramento della discussione. Come Derrida mostra in “Structure, Sign, and Play in the Discourse of the Human Sciences”, il processo o la procedura che egli chiama di decentramento ha avuto un ruolo essenziale nel cambiamento intellettuale. Dice, per esempio, che “l’etnologia potrebbe essere nata come scienza solo nel momento in cui è emerso un decentramento: nel momento in cui la cultura europea – e, di conseguenza, la storia della metafisica e i suoi concetti – è stata dislocata, tolta dal suo luogo d’origine e forzata a fermarsi per considerare sé stessa come la cultura di riferimento.” Derrida non sostiene che un centro intellettuale o ideologico è in ogni caso sbagliato, poiché, come spiega nella risposta ad una domanda di Serge Doubrovwsky, “Non dicevo che non c’era un centro, che potevamo procedere senza di esso. Io credo che il centro è una funzione, non un essere-una realtà, ma una funzione. E questa funzione è assolutamente indispensabile” (271). Tutti i sistemi ipertestuali permettono al lettore individuale di scegliere il proprio centro di investigazione ed esperienza. Questo principio in pratica sta a significare che il lettore non è bloccato in nessun tipo di particolare organizzazione o gerarchia. Le esperienze con l’Intermedia rivelano che per coloro che scelgono di organizzare una sessione di lavoro nel sistema nelle vesti di autori – muovendo, si dice, da Keats a Tennyson – il sistema rappresenta un approccio centrato sull’autore di vecchia maniera, tradizionale ma in alcuni casi ancora utile. D’altra parte, nessuno costringe il lettore a lavorare in questo modo, e i lettori che vogliono indagare la validità delle generalizzazioni dei periodi possono organizzare le loro sessioni di lavoro in tali periodi usando le visioni d’insieme Vittoriane e Romantiche come punto di partenza o punto centrale mentre altri ancora possono iniziare con nozioni ideologiche o critiche, come il femminismo o il romanzo Vittoriano. In pratica la maggior parte dei lettori impiegano i materiali sviluppati alla Brown University come un sistema di testo centrato, da cui essi tendono a focalizzarsi sui lavori individuali, con il risultato che anche se essi iniziano le sessioni di lavoro entrando nel sistema per cercare informazioni su un singolo autore, essi tendono a passare più tempo con i lexia dedicati a testi specifici, muovendosi tra poesia e poesia ( la “Laus Veneris” di Swinburne e “La Belle Dame sans Merci” di Keats o lavori incentrati sull’Ulisse di Joyce, Tennyson e Soyinka) e tra poesia e testi di informazione (le “Laus Veneris” e le schede sulla cavalleria, il ritorno al medioevo, l’amore di corte, Wagner e così via).