Land art: differenze tra le versioni

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Stati Uniti d’America intorno alla metà degli anni Sessanta, in particolare le prime imprese si compiono nei  territori desertici del Centro-Ovest.I grandi spazi aperti e l’abbondanza di luoghi non abitati e ancora originari sono stati l’ambiente ideale nel quale gli artisti potevano sviluppare fisicamente la loro estetica e le loro idee. I deserti, i laghi, le vallate e le praterie sono così diventati i laboratori naturali per gli artisti di questo movimento. Contemporaneamente anche in Europa, pur sfruttando caratteristiche del territorio diverse, si fanno esperienze analoghe. In realtà è un’arte che  si espanderà un po’ ovunque, sia grazie  alla poetica trasmessa, sia agli artisti, che nel realizzare le opere  non hanno scrupoli di limiti territoriali.  
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Stati Uniti d’America intorno alla metà degli anni Sessanta, in particolare le prime imprese si compiono nei  territori desertici del Centro-Ovest.
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I grandi spazi aperti e l’abbondanza di luoghi non abitati e ancora originari sono stati l’ambiente ideale nel quale gli artisti potevano sviluppare fisicamente la loro estetica e le loro idee.  
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I deserti, i laghi, le vallate e le praterie sono così diventati i laboratori naturali per gli artisti di questo movimento.  
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In realtà è un’arte che  si espanderà un po’ ovunque, sia grazie  alla poetica trasmessa, sia agli artisti, che nel realizzare le opere  non hanno scrupoli di limiti territoriali.  
  
 
==Storia:==  
 
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Per rintracciare delle imprese umane di forte impatto ambientale dove si spinge al massimo nella direzione della fisicità della realtà, magari con intenti diversi dal fare artistico, occorre andare molto lontano nel tempo e in civiltà diverse dalla nostra, come nel caso delle Piramidi egizie o della Grande Muraglia cinese. Altri esempi magari meno monumentali e più ignorati ma che hanno aperto la strada verso nuove possibilità espressive, sono i giardini di sabbia Zen, i giardini di muschio e gli stessi Ikebana dei giapponesi, che facevano di queste attività, a contatto con la natura, una forma d’arte a sé stante. Esistevano anche i cimiteri svedesi con i loro recinti di ghiaia rastrellata a disegni geometrici e c’erano poi i numerosi giardini e parchi all’inglese, all’italiana e tutti i vari interventi sulla natura che riguardavano la sistemazione architettonica ed urbana d’un territorio. Come simili opere,  incessantemente messe a repentaglio dagli agenti atmosferici e dal tempo, così solo grazie ad un operatore cinematografico tedesco [[Schum Gerry|Gerry Schum]], che i primi interventi di Land Art, sparsi per il pianeta, sono raccolti insieme ed etichettati all’interno di un film, poi nel 1968 riversato su nastro elettronico. Tornando a storia più recente la Land Art può essere considerata come il successivo sviluppo  di alcune problematiche minimaliste in particolare di quelle riguardanti le strutture primarie degli oggetti, che oramai contano non tanto per la forma, ridotta al minimo, come nella geometria solida di Bob Morris,  ma per la loro qualità d’ingombro, di volume occupato, d’obbligo spaziale nei confronti dello spettatore.Uno dei principali precursori della Land Art (chiamata in italiano anche "arte del territorio") è stato un inglese, Richard Long, che cominciò a progettare opere che prevedessero interventi dell’artista sul paesaggio e realizzando realmente tali opere. E se l’opera era quasi sempre impossibile trasportarla in un museo e quindi difficilmente visibile, negli spazi chiusi veniva documentata con fotografie, schizzi, progetti, materiali e perfino con video e documentari. Negli anni settanta vengono realizzate le opere più famose e monumentali come il molo a spirale di Robert Smithson, costruito in un lago salato dello Utah e il "Doppio negativo" di Michael Heizer, situato nel deserto del Nevada. La Land Art conosce quindi un grande sviluppo e notorietà e sbarca anche in Europa. Nel 1970, per esempio, Christo, artista che impacchetta luoghi e edifici di grandi dimensioni con chilometri di teli di plastica, è a Milano, dove realizza il celebre impacchettamento del monumento della piazza del Duomo. Nel 1976 Richard Long, alla Biennale di Venezia, presenta "Scultura in pietra", una composizione di pietra che poste geometricamente sul pavimento del padiglione attraversano più sale ed escono addirittura fuori dallo spazio chiuso, continuando all’esterno. Oggi l’artista più attivo rimane Christo, che portando avanti la sua poetica degli impacchettamenti ha impacchettato figure mitiche e monumentali della storia di tutti i tempi come la Grande Muraglia Cinese ma anche intere porzioni di spazio naturale come un tratto della costa australiana. Tuttora sta progettando l’impacchettamento Reichstag tedesco, edificio berlinese simbolo della riunificazione della Germania.
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Per rintracciare delle imprese umane di forte impatto ambientale dove si spinge al massimo nella direzione della fisicità della realtà, magari con intenti diversi dal fare artistico, occorre andare molto lontano nel tempo e in civiltà diverse dalla nostra, come nel caso delle Piramidi egizie o della Grande Muraglia cinese.  
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Altri esempi magari meno monumentali e più ignorati ma che hanno aperto la strada verso nuove possibilità espressive, sono i giardini di sabbia Zen, i giardini di muschio e gli stessi Ikebana dei giapponesi, che facevano di queste attività, a contatto con la natura, una forma d’arte a sé stante.  
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Esistevano anche i cimiteri svedesi con i loro recinti di ghiaia rastrellata a disegni geometrici e c’erano poi i numerosi giardini e parchi all’inglese, all’italiana e tutti i vari interventi sulla natura che riguardavano la sistemazione architettonica ed urbana d’un territorio.  
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Come simili opere,  incessantemente messe a repentaglio dagli agenti atmosferici e dal tempo, così solo grazie ad un operatore cinematografico tedesco [[Schum Gerry|Gerry Schum]], che i primi interventi di Land Art, sparsi per il pianeta, sono raccolti insieme ed etichettati all’interno di un film, poi nel 1968 riversato su nastro elettronico.  
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Tornando a storia più recente la Land Art può essere considerata come il successivo sviluppo  di alcune problematiche minimaliste in particolare di quelle riguardanti le strutture primarie degli oggetti, che oramai contano non tanto per la forma, ridotta al minimo, come nella geometria solida di Bob Morris,  ma per la loro qualità d’ingombro, di volume occupato, d’obbligo spaziale nei confronti dello spettatore.
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Uno dei principali precursori della Land Art (chiamata in italiano anche "arte del territorio") è stato un inglese, Richard Long, che cominciò a progettare opere che prevedessero interventi dell’artista sul paesaggio e realizzando realmente tali opere.  
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E se l’opera era quasi sempre impossibile trasportarla in un museo e quindi difficilmente visibile, negli spazi chiusi veniva documentata con fotografie, schizzi, progetti, materiali e perfino con video e documentari.  
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Negli anni settanta vengono realizzate le opere più famose e monumentali come il molo a spirale di Robert Smithson, costruito in un lago salato dello Utah e il "Doppio negativo" di Michael Heizer, situato nel deserto del Nevada.  
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La Land Art conosce quindi un grande sviluppo e notorietà e sbarca anche in Europa.  
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Nel 1970, per esempio, Christo, artista che impacchetta luoghi e edifici di grandi dimensioni con chilometri di teli di plastica, è a Milano, dove realizza il celebre impacchettamento del monumento della piazza del Duomo.  
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Nel 1976 Richard Long, alla Biennale di Venezia, presenta "Scultura in pietra", una composizione di pietra che poste geometricamente sul pavimento del padiglione attraversano più sale ed escono addirittura fuori dallo spazio chiuso, continuando all’esterno.  
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Oggi l’artista più attivo rimane Christo, che portando avanti la sua poetica degli impacchettamenti ha impacchettato figure mitiche e monumentali della storia di tutti i tempi come la Grande Muraglia Cinese ma anche intere porzioni di spazio naturale come un tratto della costa australiana.  
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Tuttora sta progettando l’impacchettamento Reichstag tedesco, edificio berlinese simbolo della riunificazione della Germania.
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==Poetica:==   
 
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Nella Land art gli artisti intervengono sul paesaggio naturale. Essi escono dallo spazio conforme alla tradizione della galleria o del museo e modificano direttamente lo spazio macroscopico della natura.La particolarità è che l’intervento che si fa sulla natura non ha un fine ornamentale o edonistico ma è una presa di coscienza dell’azione umana, su spazi che possiedono un certo ordine naturale e che da tale intervento sono modificati. C’è inoltre il desiderio, da parte degli artisti, dopo aver fatto  i conti con una civiltà tecnologica incalzante che ha ormai da tempo sconvolto il rapporto uomo-natura, di far ritorno all’oggetto naturale o perlomeno sottratto da tale ambito. E’ anche questa la differenza con il Minimalismo ispirato  invece dall’oggetto elettro-meccanico o legato a forme  di tipo geometrico-astratte.Secondo alcuni ci sarebbero due tendenze all’interno di questo movimento: una più europea che è basata più su una concezione "archeologica" della Land art. L’altra invece, americana, che traspone all’esterno del museo, all’aperto, l’estetica e la poetica della Minimal Art. La prima, quella archeologica, è portata avanti soprattutto dall’inglese Richard Long che trasporta la dimensione mentale umana organizzata nel divenire antropico della natura, recuperando, attraverso labirinti, cerchi e figure fatte di pietra, la dimensione rituale e preistorica dell’uomo. Alla base di molte sue opere c’è un percorso, una passeggiata in mezzo alla natura, il suo cammino è diventato la sua particolare tecnica artistica e le tracce che ne rimangono sono gli appunti di viaggio, le fotografie, le pietre, i legni sottratti,  oggetti che poi ritroviamo assemblati all’interno di esposizioni, in musei e gallerie. La Land art americana, invece, propone la monumentalità geometrica della [[Minimal art]] in versione gigantesca, con "sculture" realizzate all’aperto in grandi spazi quali deserti, canyon, isole e montagne. Le opere, molto spesso assai dispendiose per i mezzi che occorrono a modificare simili aree di territorio, necessitano di grandi fondi economici. Questa esigenza ha visto gli artisti dover addirittura aprire società e mettere insieme svariati sponsor per riuscire a realizzare i loro progetti. Resta comunque alla Land Art il merito di aver attuato, mediante l'intervento sul paesaggio, una riflessione sull'uomo, sulla natura e sul tempo. Gli artisti che hanno soppiantano la tela con coltivazioni agricole, aridi deserti, paesaggi urbani, siti abbandonati hanno saputo agire per primi in una dimensione macroscopica dell’arte che mettesse di fronte l’uomo all’entropia, ed anche al suo bisogno di infinito. Smuovere tonnellate di terra percorrere determinati spazi raccogliere certi oggetti, sono azioni che si avvicinano sempre di più all’esperienza rituale antica. Tale estetica non si preoccupa certo della disgregazione naturale, a volte basta l’alta marea a distruggere tutto; eccezione fatta per le opere di Christo,  che smonta le sue palizzate e cortine subito dopo o quasi averle erette. Il paradosso è che simili imprese di massima esplosione fisico-materiale nascono in un momento in cui lo sviluppo dell’elemento tecnologico-smaterializzato, di ripresa fotografica ed elettronica  né permette la conservazione,  almeno come immagine documento, attraverso un sistema di fotogrammi, cifre, scritte,  insomma elementi mentali concettuali. E così queste varie operazioni vivono una condizione ambigua, sospesa tra il gusto di sentirsi votate ad un consumo entropico, o invece la possibilità di essere registrate, di rimanere grazie ad una serie di foto, di riprese filmate, di videonastri.   
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Nella Land art gli artisti intervengono sul paesaggio naturale.  
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Essi escono dallo spazio conforme alla tradizione della galleria o del museo e modificano direttamente lo spazio macroscopico della natura.
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La particolarità è che l’intervento che si fa sulla natura non ha un fine ornamentale o edonistico ma è una presa di coscienza dell’azione umana, su spazi che possiedono un certo ordine naturale e che da tale intervento sono modificati.  
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C’è inoltre il desiderio, da parte degli artisti, dopo aver fatto  i conti con una civiltà tecnologica incalzante che ha ormai da tempo sconvolto il rapporto uomo-natura, di far ritorno all’oggetto naturale o perlomeno sottratto da tale ambito.  
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E’ anche questa la differenza con il Minimalismo ispirato  invece dall’oggetto elettro-meccanico o legato a forme  di tipo geometrico-astratte.
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Secondo alcuni ci sarebbero due tendenze all’interno di questo movimento: una più europea che è basata più su una concezione "archeologica" della Land art.  
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L’altra invece, americana, che traspone all’esterno del museo, all’aperto, l’estetica e la poetica della Minimal Art.  
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La prima, quella archeologica, è portata avanti soprattutto dall’inglese Richard Long che trasporta la dimensione mentale umana organizzata nel divenire antropico della natura, recuperando, attraverso labirinti, cerchi e figure fatte di pietra, la dimensione rituale e preistorica dell’uomo.  
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Alla base di molte sue opere c’è un percorso, una passeggiata in mezzo alla natura, il suo cammino è diventato la sua particolare tecnica artistica e le tracce che ne rimangono sono gli appunti di viaggio, le fotografie, le pietre, i legni sottratti,  oggetti che poi ritroviamo assemblati all’interno di esposizioni, in musei e gallerie.  
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La Land art americana, invece, propone la monumentalità geometrica della [[Minimal art]] in versione gigantesca, con "sculture" realizzate all’aperto in grandi spazi quali deserti, canyon, isole e montagne.  
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Le opere, molto spesso assai dispendiose per i mezzi che occorrono a modificare simili aree di territorio, necessitano di grandi fondi economici.  
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Questa esigenza ha visto gli artisti dover addirittura aprire società e mettere insieme svariati sponsor per riuscire a realizzare i loro progetti.  
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Resta comunque alla Land Art il merito di aver attuato, mediante l'intervento sul paesaggio, una riflessione sull'uomo, sulla natura e sul tempo.  
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Gli artisti che hanno soppiantano la tela con coltivazioni agricole, aridi deserti, paesaggi urbani, siti abbandonati hanno saputo agire per primi in una dimensione macroscopica dell’arte che mettesse di fronte l’uomo all’entropia, ed anche al suo bisogno di infinito.  
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Smuovere tonnellate di terra percorrere determinati spazi raccogliere certi oggetti, sono azioni che si avvicinano sempre di più all’esperienza rituale antica.  
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Tale estetica non si preoccupa certo della disgregazione naturale, a volte basta l’alta marea a distruggere tutto; eccezione fatta per le opere di Christo,  che smonta le sue palizzate e cortine subito dopo o quasi averle erette.  
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Il paradosso è che simili imprese di massima esplosione fisico-materiale nascono in un momento in cui lo sviluppo dell’elemento tecnologico-smaterializzato, di ripresa fotografica ed elettronica  né permette la conservazione,  almeno come immagine documento, attraverso un sistema di fotogrammi, cifre, scritte,  insomma elementi mentali concettuali.  
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E così queste varie operazioni vivono una condizione ambigua, sospesa tra il gusto di sentirsi votate ad un consumo entropico, o invece la possibilità di essere registrate, di rimanere grazie ad una serie di foto, di riprese filmate, di videonastri.   
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==Opere:==  
 
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'''Croce di gesso''' di Walter de Maria. Tracciata nel deserto del Nevada, ogni braccio è lungo almeno un centinaio di metri.
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'''Croce di gesso''' di Walter de Maria.  
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Tracciata nel deserto del Nevada, ogni braccio è lungo almeno un centinaio di metri.
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'''Chilometro terrestre''' di Walter de Maria scavato in profondità in occasione della mostra Documenta 6 a Kassel nel 1977.
 
'''Chilometro terrestre''' di Walter de Maria scavato in profondità in occasione della mostra Documenta 6 a Kassel nel 1977.
  
'''Campo di fulmini'''  di Walter de Maria,1974.L’artista ha posizionato, nel deserto del New Mexico, negli Stati Uniti, quattrocento parafulmini dell’altezza di sette metri l’uno, in maniera regolare e geometrica. L’opera d’arte si attiva quando si scatena il temporale. Tutti i fulmini si concentrano in questo enorme campo elettromagnetico, mettendo in gioco quegli elementi di pericolosità e di rischio che caratterizzano parte della sua opera.  
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'''Campo di fulmini'''  di Walter de Maria,1974.
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L’artista ha posizionato, nel deserto del New Mexico, negli Stati Uniti, quattrocento parafulmini dell’altezza di sette metri l’uno, in maniera regolare e geometrica.  
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L’opera d’arte si attiva quando si scatena il temporale.  
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Tutti i fulmini si concentrano in questo enorme campo elettromagnetico, mettendo in gioco quegli elementi di pericolosità e di rischio che caratterizzano parte della sua opera.  
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[[Image:land art doppio negativo.jpg|right|frame|'''Doppio negativo''' di Michael Heizer,1970]]
 
[[Image:land art doppio negativo.jpg|right|frame|'''Doppio negativo''' di Michael Heizer,1970]]
'''Doppio negativo''' di Michael Heizer, anche quest’opera  portata a termine nel 1970, è interessata da uno scavo macroscopico furono rimossi circa 240.000 tonnellate di terra e roccia per creare i due profondi solchi artificiali, messi in contrasto con le naturali corrosioni di un canyon. Egli scattò più di mille fotografie di quest'opera che è talmente grande da non poter essere vista tutta intera da terra. Per cui il fruitore,  come suggerisce l’autore stesso, può soltanto guardare prima un lato dall’altro e viceversa. Solo così prende coscienza dell’opera e del fatto che egli stesso, minuscolo,ne è dentro e fa parte di essa, anche se in maniera infinitesimale rispetto alle sue dimensioni. L’intento dell'artista è quello di mettere in relazione l’Io con la conoscenza di sé stesso attraverso lo sguardo. Il senso di piccolezza e di atemporalità ci svela la nostra natura effimera e minuscola relativamente allo spazio del cosmo.
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'''Doppio negativo''' di Michael Heizer, anche quest’opera  portata a termine nel 1970, è interessata da uno scavo macroscopico furono rimossi circa 240.000 tonnellate di terra e roccia per creare i due profondi solchi artificiali, messi in contrasto con le naturali corrosioni di un canyon.  
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Egli scattò più di mille fotografie di quest'opera che è talmente grande da non poter essere vista tutta intera da terra.  
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Per cui il fruitore,  come suggerisce l’autore stesso, può soltanto guardare prima un lato dall’altro e viceversa.  
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Solo così prende coscienza dell’opera e del fatto che egli stesso, minuscolo,ne è dentro e fa parte di essa, anche se in maniera infinitesimale rispetto alle sue dimensioni.  
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L’intento dell'artista è quello di mettere in relazione l’Io con la conoscenza di sé stesso attraverso lo sguardo.  
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Il senso di piccolezza e di atemporalità ci svela la nostra natura effimera e minuscola relativamente allo spazio del cosmo.
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[[Image:land art spiral jetty.jpg|right|frame|'''Spiral Jetty''' di Robert Smithson, 1970]]
 
[[Image:land art spiral jetty.jpg|right|frame|'''Spiral Jetty''' di Robert Smithson, 1970]]
'''Spiral Jetty''' di Robert Smithson, realizzata nel 1970.Quest’opera consiste in una mastodontico molo a spirale della lunghezza di quattrocento metri, realizzata dall’artista in un lago salato nello stato americano dello Utah. Tale lago è abitato da microscopici microrganismi che durante le varie stagioni dell’anno mutano colore, di modo che anche l’opera cambi colore a seconda del periodo. L’artista, tragicamente morto durante una ricognizione aerea nel 1973 (a soli trentacinque anni) mentre cercava un luogo adatto ad un progetto di Land Art, spiegò che nella sua arte cercava di rappresentare l’entropia dell’esistenza, il tentativo umano di contrapporsi inutilmente a quest’entropia e i meccanismi che relazionano l’uomo, essere finito e mortale, con la natura, concetto invece che sfiora l’infinito e l’illimitato. Gli agenti atmosferici che erodono l’opera con il passare degli anni, infatti, sono molto importanti per Smithson e quindi parte integrante dell’opera fin dalla sua progettazione. Inoltre anche tutta la parte progettuale dell’opera e quella di documentazione (video, fotografie, documentari, schizzi) sono per l’artista come l’altra faccia dell’opera monumentale. E’ il concetto di “site – non site�? ovvero “sito non sito�? ideata da Smithson, ovvero l’opera di land art ha due dimensioni: una all’aperto, fisica, completamente materiale, difficilmente accessibile e apprezzabile a causa delle dimensioni e del luogo impervio in cui è posta, e l’altra mentale e concettuale, che sfiora la smaterializzazione dell’opera: è quella che si trova nel museo e completa l’altra. Sono i due lati di una stessa medaglia.         
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'''Spiral Jetty''' di Robert Smithson, realizzata nel 1970.
La forma stessa dell’opera, una spirale è una forma aperta che, in termini di Gestalt, non si può comprendere senza accettare il concetto di infinito. Al contrario di tutti gli artisti minimalisti, che sono interessati ai volumi cubici, che hanno una Gestalt “chiusa�?, Smithson  ha sempre dimostrato di preferire i volumi che implicano una progressione geometrica.  Ci sono poi riferimenti a leggende che narrano la presenza nel lago di un enorme gorgo, del quale  l’opera divenne il simbolo. Essa fu realizzata in un momento in cui la cultura underground manifestava uno spiccato interesse per i possibili significati esoterici dei monumenti preistorici, in particolare delle figurazioni del terreno.
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Quest’opera consiste in una mastodontico molo a spirale della lunghezza di quattrocento metri, realizzata dall’artista in un lago salato nello stato americano dello Utah.  
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Tale lago è abitato da microscopici microrganismi che durante le varie stagioni dell’anno mutano colore, di modo che anche l’opera cambi colore a seconda del periodo.
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L’artista, tragicamente morto durante una ricognizione aerea nel 1973 (a soli trentacinque anni) mentre cercava un luogo adatto ad un progetto di Land Art, spiegò che nella sua arte cercava di rappresentare l’entropia dell’esistenza, il tentativo umano di contrapporsi inutilmente a quest’entropia e i meccanismi che relazionano l’uomo, essere finito e mortale, con la natura, concetto invece che sfiora l’infinito e l’illimitato.  
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Gli agenti atmosferici che erodono l’opera con il passare degli anni, infatti, sono molto importanti per Smithson e quindi parte integrante dell’opera fin dalla sua progettazione.  
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Inoltre anche tutta la parte progettuale dell’opera e quella di documentazione (video, fotografie, documentari, schizzi) sono per l’artista come l’altra faccia dell’opera monumentale.  
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E’ il concetto di "site – non site" ovvero “sito non sito" ideata da Smithson, ovvero l’opera di land art ha due dimensioni: una all’aperto, fisica, completamente materiale, difficilmente accessibile e apprezzabile a causa delle dimensioni e del luogo impervio in cui è posta, e l’altra mentale e concettuale, che sfiora la smaterializzazione dell’opera: è quella che si trova nel museo e completa l’altra.  
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Sono i due lati di una stessa medaglia.  
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La forma stessa dell’opera, una spirale è una forma aperta che, in termini di Gestalt, non si può comprendere senza accettare il concetto di infinito.  
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Al contrario di tutti gli artisti minimalisti, che sono interessati ai volumi cubici, che hanno una Gestalt “chiusa", Smithson  ha sempre dimostrato di preferire i volumi che implicano una progressione geometrica.   
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Ci sono poi riferimenti a leggende che narrano la presenza nel lago di un enorme gorgo, del quale  l’opera divenne il simbolo.  
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Essa fu realizzata in un momento in cui la cultura underground manifestava uno spiccato interesse per i possibili significati esoterici dei monumenti preistorici, in particolare delle figurazioni del terreno.
  
  
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[[Image: land art evento per cambiare l'immagine della neve.jpg|centre|frame|'''Evento sulla neve''' gruppo giapponese Gun 1970]].  
 
[[Image: land art evento per cambiare l'immagine della neve.jpg|centre|frame|'''Evento sulla neve''' gruppo giapponese Gun 1970]].  
  
'''Valley Curtain''' di Christo Javacheff (1972). Quest’opera viene realizzata ad un anno di distanza da un tentativo fallito. L’artista allestisce con una tenda gigantesca la chiusura di un canyon, il Grand Hogback Rifle nel Colorado. Questo immenso sipario era largo circa 394 metri e composto da uno speciale tessuto sintetico, il polyamide. Il colore scelto dall’artista per la sua installazione gigantesca fu l’arancione spiccava particolarmente mentre sbarrava il fondo della vallata tra due fianchi rocciosi.                  Per garantire la stabilità della struttura è stato necessario l'impiego di decine di tonnellate di cavi d'acciaio, ma nonostante questo dopo 28  ore l'opera dovette essere smontata  a causa delle raffiche di vento presenti nel canyon.                                              Molte opere di Christo, come in questo caso, nascono nell'ambiente ed esprimono un messaggio di riconciliazione con esso , i materiali impiegati infatti sono tutti scarti dell'industria, riciclati e riciclabili. Le sue istallazioni infatti  non intendono modificare l'assetto naturale delle zone in cui opera ,bensì coprire, nascondere e dividere luoghi ed elementi che possono scomparire senza però cambiare la loro identità. Il velo che copre l’oggetto lasciando trasparire solo la forma è un’operazione estetica, per Christo, che riconsegna alla percezione umana l'essenza stessa di quell’oggetto.
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'''Valley Curtain''' di Christo Javacheff (1972).  
  
'''Running fence''' di Christo Javacheff (1976). Quest’opera dalle dimensioni gigantesche è stata realizzata attraverso le contee di Marin e di Socoma , in California, a nord di San Francisco. Essa consiste in una sconfinata muraglia di tela che, alta più di cinque metri, corre per quaranta chilometri attraversando colline e valli della California. Fu necessario interromperla però nei tratti in cui incrociava l’autostrada. Il percorso di questa muraglia di tessuto si snoda in maniera piuttosto accidentata per poi tuffarsi nell’oceano. Per questa installazione fu necessario un progetto che durò quattro anni. Per fissare la tenda furono necessari duemila pali metallici e centinaia di migliaia  di ganci; l'infrastruttura di ancoraggio fu fisicamente realizzata da 65 operai  specializzati in vari mesi di lavoro e l’'operazione finale di montaggio del tessuto durò per ben tre  giorni, con l’aiuto di 350 studenti. La riflessione che intende proporre quest’opera è quella del limite che l’uomo pone arbitrariamente alla natura illimitata con contini di stato, confini di proprietà, e anche confini mentali e culturali.
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Quest’opera viene realizzata ad un anno di distanza da un tentativo fallito.
  
'''Reichstag''' di Berlino di Christo Javacheff (1995). Per 14 giorni , dal 24  giugno al 7 luglio  del 1995 , il Reichstag di Berlino fu avvolto e legato su tutti i lati dall’artista bulgaro con un tessuto metallizzato, come se fosse un pacco. Era dal 1971 che Christo e  Jeanne-Claude, sua compagna di una vita, avevano in mente questo progetto. Dopo ventiquattro anni di lavoro e perseveranza, grazie anche alla partecipazione dei cittadini e delle istituzioni (tra questi ovviamente il comune della città di Berlino e le autorità federali), l’artista riuscì a portare a termine  questa emblematica opera d’arte. Per  avvolgere per due settimane il simbolo della democrazia tedesca furono stati usati 100.000 metri quadrati di tessuto di propilene  con finitura in alluminio e più di 16  chilometri di corda dello stesso materiale.
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L’artista allestisce con una tenda gigantesca la chiusura di un canyon, il Grand Hogback Rifle nel Colorado.  
  
'''Surrounded island''' o Isole impacchettate di Christo (1983). E' il più spettacolare intervento di Christo per quanto riguarda il mare. La progettazione di tale installazione è durata quattro anni. Le undici, piccole isole della Biscaine Bay, in Florida, vicino a Miami, sono state circondate da un tessuto rosa brillante. Per rendere possibile fisicamente tale opera, le porzioni di tessuto sono state cucite tra loro direttamente in mare, in modo da seguire i reali contorni degli isolotti, formando un bordo colorato largo 200 piedi. Quest’opera, tanto gigantesca, fu altrettanto effimera: la sua durata fu di soli quattordici giorni. La fruizione di tale installazione, inoltre, è stata possibile solo attraverso un volo aereo, poiché il territorio di Miami, non presentando alture, rendeva impossibile una visibilità da terra delle isole impacchettate.
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Questo immenso sipario era largo circa 394 metri e composto da uno speciale tessuto sintetico, il polyamide.
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Il colore scelto dall’artista per la sua installazione gigantesca fu l’arancione spiccava particolarmente mentre sbarrava il fondo della vallata tra due fianchi rocciosi.
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Per garantire la stabilità della struttura è stato necessario l'impiego di decine di tonnellate di cavi d'acciaio, ma nonostante questo dopo 28  ore l'opera dovette essere smontata  a causa delle raffiche di vento presenti nel canyon.
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Molte opere di Christo, come in questo caso, nascono nell'ambiente ed esprimono un messaggio di riconciliazione con esso , i materiali impiegati infatti sono tutti scarti dell'industria, riciclati e riciclabili.
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Le sue istallazioni infatti  non intendono modificare l'assetto naturale delle zone in cui opera ,bensì coprire, nascondere e dividere luoghi ed elementi che possono scomparire senza però cambiare la loro identità.
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Il velo che copre l’oggetto lasciando trasparire solo la forma è un’operazione estetica, per Christo, che riconsegna alla percezione umana l'essenza stessa di quell’oggetto.
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'''Running fence''' di Christo Javacheff (1976).
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Quest’opera dalle dimensioni gigantesche è stata realizzata attraverso le contee di Marin e di Socoma , in California, a nord di San Francisco.
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Essa consiste in una sconfinata muraglia di tela che, alta più di cinque metri, corre per quaranta chilometri attraversando colline e valli della California.
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Fu necessario interromperla però nei tratti in cui incrociava l’autostrada.
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Il percorso di questa muraglia di tessuto si snoda in maniera piuttosto accidentata per poi tuffarsi nell’oceano.
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Per questa installazione fu necessario un progetto che durò quattro anni.
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Per fissare la tenda furono necessari duemila pali metallici e centinaia di migliaia  di ganci; l'infrastruttura di ancoraggio fu fisicamente realizzata da 65 operai  specializzati in vari mesi di lavoro e l’'operazione finale di montaggio del tessuto durò per ben tre  giorni, con l’aiuto di 350 studenti.
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La riflessione che intende proporre quest’opera è quella del limite che l’uomo pone arbitrariamente alla natura illimitata con contini di stato, confini di proprietà, e anche confini mentali e culturali. 
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'''Reichstag''' di Berlino di Christo Javacheff (1995).
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Per 14 giorni , dal 24  giugno al 7 luglio  del 1995 , il Reichstag di Berlino fu avvolto e legato su tutti i lati dall’artista bulgaro con un tessuto metallizzato, come se fosse un pacco.
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Era dal 1971 che Christo e  Jeanne-Claude, sua compagna di una vita, avevano in mente questo progetto.
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Dopo ventiquattro anni di lavoro e perseveranza, grazie anche alla partecipazione dei cittadini e delle istituzioni (tra questi ovviamente il comune della città di Berlino e le autorità federali), l’artista riuscì a portare a termine  questa emblematica opera d’arte.
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Per  avvolgere per due settimane il simbolo della democrazia tedesca furono stati usati 100.000 metri quadrati di tessuto di propilene  con finitura in alluminio e più di 16  chilometri di corda dello stesso materiale.
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'''Surrounded island''' o Isole impacchettate di Christo (1983).  
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E' il più spettacolare intervento di Christo per quanto riguarda il mare.  
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La progettazione di tale installazione è durata quattro anni.  
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Le undici, piccole isole della Biscaine Bay, in Florida, vicino a Miami, sono state circondate da un tessuto rosa brillante.  
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Per rendere possibile fisicamente tale opera, le porzioni di tessuto sono state cucite tra loro direttamente in mare, in modo da seguire i reali contorni degli isolotti, formando un bordo colorato largo 200 piedi.  
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Quest’opera, tanto gigantesca, fu altrettanto effimera: la sua durata fu di soli quattordici giorni.  
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La fruizione di tale installazione, inoltre, è stata possibile solo attraverso un volo aereo, poiché il territorio di Miami, non presentando alture, rendeva impossibile una visibilità da terra delle isole impacchettate.
  
 
==Correlazioni:==  
 
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Sicuramente oltre alla [[Minimal art]] altre correlazioni le possiamo trovare con l’[[Performance|arte Performatica]] e con l’[[Arte concettuale]], come nel caso dell’artista olandese Jan Dibbets. Egli fa uso di notevoli quantità di mezzi espressivi,come le cartine geografiche la posta, la fotografia, la registrazione su nastro sonora e visiva, nella sua poetica il modo di pensare, il metodo di approccio è assai più importante del soggetto in sé. [[Long Richard|Richard Long]] è forse l’esponente della Land Art che  più si muove in tale direzione; tracciare percorsi da compiere a piedi, in un certo lasso di tempo e per una certa distanza, ci rivela un altro legame quello  con la performance art e con il concetto oramai diffuso che sia un comportamento ritualizzato, piuttosto che la produzione di oggetti, a costituire l’elemento più importante dell’attività dell’avanguardia artistica. Gli stessi artisti di Land art, infatti, hanno attraversato trasversalmente, oltre ai sopra citati, altri generi contemporanei come la [[Body art]] e l’[[Arte povera]]. Anche alcune operazioni di [[Beuys Joseph|Beuys]], come quella di far  piantare alberi nella città di New York, si possono avvicinare  alla Land Art.
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Sicuramente oltre alla [[Minimal art]] altre correlazioni le possiamo trovare con l’[[Performance|arte Performatica]] e con l’[[Arte concettuale]], come nel caso dell’artista olandese Jan Dibbets.  
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Egli fa uso di notevoli quantità di mezzi espressivi,come le cartine geografiche la posta, la fotografia, la registrazione su nastro sonora e visiva, nella sua poetica il modo di pensare, il metodo di approccio è assai più importante del soggetto in sé.  
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[[Long Richard|Richard Long]] è forse l’esponente della Land Art che  più si muove in tale direzione; tracciare percorsi da compiere a piedi, in un certo lasso di tempo e per una certa distanza, ci rivela un altro legame quello  con la performance art e con il concetto oramai diffuso che sia un comportamento ritualizzato, piuttosto che la produzione di oggetti, a costituire l’elemento più importante dell’attività dell’avanguardia artistica.  
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Gli stessi artisti di Land art, infatti, hanno attraversato trasversalmente, oltre ai sopra citati, altri generi contemporanei come la [[Body art]] e l’[[Arte povera]].  
  
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Anche alcune operazioni di [[Beuys Joseph|Beuys]], come quella di far  piantare alberi nella città di New York, si possono avvicinare  alla Land Art.
  
 
==Bibliografia:==
 
==Bibliografia:==

Revisione 06:10, 1 Mar 2007

Genere o movimento artistico:

Land Art

Personaggi o gruppi:

Walter De Maria, Michael Heizer, Robert Smithson, Dennis Oppenheim, Jan Dibbets,Christo, Beverly Pepper, Nancy Holt, James Turrell, Herbert Bayer, Carl Andre, Robert Irwin, Mary Miss, Mel Chin, Nils Udo, Andy Goldsworthy, Jim Denevan, gruppo inglese dei "Nature boys" cui fanno parte Richard Long e Amish Fulton e gruppo lubianese degli OHO, gruppo giapponese Gun.

Luogo:

Stati Uniti d’America intorno alla metà degli anni Sessanta, in particolare le prime imprese si compiono nei territori desertici del Centro-Ovest.

I grandi spazi aperti e l’abbondanza di luoghi non abitati e ancora originari sono stati l’ambiente ideale nel quale gli artisti potevano sviluppare fisicamente la loro estetica e le loro idee.

I deserti, i laghi, le vallate e le praterie sono così diventati i laboratori naturali per gli artisti di questo movimento.

Contemporaneamente anche in Europa, pur sfruttando caratteristiche del territorio diverse, si fanno esperienze analoghe.

In realtà è un’arte che si espanderà un po’ ovunque, sia grazie alla poetica trasmessa, sia agli artisti, che nel realizzare le opere non hanno scrupoli di limiti territoriali.

Storia:

Per rintracciare delle imprese umane di forte impatto ambientale dove si spinge al massimo nella direzione della fisicità della realtà, magari con intenti diversi dal fare artistico, occorre andare molto lontano nel tempo e in civiltà diverse dalla nostra, come nel caso delle Piramidi egizie o della Grande Muraglia cinese.

Altri esempi magari meno monumentali e più ignorati ma che hanno aperto la strada verso nuove possibilità espressive, sono i giardini di sabbia Zen, i giardini di muschio e gli stessi Ikebana dei giapponesi, che facevano di queste attività, a contatto con la natura, una forma d’arte a sé stante.

Esistevano anche i cimiteri svedesi con i loro recinti di ghiaia rastrellata a disegni geometrici e c’erano poi i numerosi giardini e parchi all’inglese, all’italiana e tutti i vari interventi sulla natura che riguardavano la sistemazione architettonica ed urbana d’un territorio.

Come simili opere, incessantemente messe a repentaglio dagli agenti atmosferici e dal tempo, così solo grazie ad un operatore cinematografico tedesco Gerry Schum, che i primi interventi di Land Art, sparsi per il pianeta, sono raccolti insieme ed etichettati all’interno di un film, poi nel 1968 riversato su nastro elettronico.

Tornando a storia più recente la Land Art può essere considerata come il successivo sviluppo di alcune problematiche minimaliste in particolare di quelle riguardanti le strutture primarie degli oggetti, che oramai contano non tanto per la forma, ridotta al minimo, come nella geometria solida di Bob Morris, ma per la loro qualità d’ingombro, di volume occupato, d’obbligo spaziale nei confronti dello spettatore.

Uno dei principali precursori della Land Art (chiamata in italiano anche "arte del territorio") è stato un inglese, Richard Long, che cominciò a progettare opere che prevedessero interventi dell’artista sul paesaggio e realizzando realmente tali opere.

E se l’opera era quasi sempre impossibile trasportarla in un museo e quindi difficilmente visibile, negli spazi chiusi veniva documentata con fotografie, schizzi, progetti, materiali e perfino con video e documentari.

Negli anni settanta vengono realizzate le opere più famose e monumentali come il molo a spirale di Robert Smithson, costruito in un lago salato dello Utah e il "Doppio negativo" di Michael Heizer, situato nel deserto del Nevada.

La Land Art conosce quindi un grande sviluppo e notorietà e sbarca anche in Europa.

Nel 1970, per esempio, Christo, artista che impacchetta luoghi e edifici di grandi dimensioni con chilometri di teli di plastica, è a Milano, dove realizza il celebre impacchettamento del monumento della piazza del Duomo.

Nel 1976 Richard Long, alla Biennale di Venezia, presenta "Scultura in pietra", una composizione di pietra che poste geometricamente sul pavimento del padiglione attraversano più sale ed escono addirittura fuori dallo spazio chiuso, continuando all’esterno.

Oggi l’artista più attivo rimane Christo, che portando avanti la sua poetica degli impacchettamenti ha impacchettato figure mitiche e monumentali della storia di tutti i tempi come la Grande Muraglia Cinese ma anche intere porzioni di spazio naturale come un tratto della costa australiana.

Tuttora sta progettando l’impacchettamento Reichstag tedesco, edificio berlinese simbolo della riunificazione della Germania.


Poetica:

Nella Land art gli artisti intervengono sul paesaggio naturale.

Essi escono dallo spazio conforme alla tradizione della galleria o del museo e modificano direttamente lo spazio macroscopico della natura.

La particolarità è che l’intervento che si fa sulla natura non ha un fine ornamentale o edonistico ma è una presa di coscienza dell’azione umana, su spazi che possiedono un certo ordine naturale e che da tale intervento sono modificati.

C’è inoltre il desiderio, da parte degli artisti, dopo aver fatto i conti con una civiltà tecnologica incalzante che ha ormai da tempo sconvolto il rapporto uomo-natura, di far ritorno all’oggetto naturale o perlomeno sottratto da tale ambito.

E’ anche questa la differenza con il Minimalismo ispirato invece dall’oggetto elettro-meccanico o legato a forme di tipo geometrico-astratte.

Secondo alcuni ci sarebbero due tendenze all’interno di questo movimento: una più europea che è basata più su una concezione "archeologica" della Land art.

L’altra invece, americana, che traspone all’esterno del museo, all’aperto, l’estetica e la poetica della Minimal Art.

La prima, quella archeologica, è portata avanti soprattutto dall’inglese Richard Long che trasporta la dimensione mentale umana organizzata nel divenire antropico della natura, recuperando, attraverso labirinti, cerchi e figure fatte di pietra, la dimensione rituale e preistorica dell’uomo.

Alla base di molte sue opere c’è un percorso, una passeggiata in mezzo alla natura, il suo cammino è diventato la sua particolare tecnica artistica e le tracce che ne rimangono sono gli appunti di viaggio, le fotografie, le pietre, i legni sottratti, oggetti che poi ritroviamo assemblati all’interno di esposizioni, in musei e gallerie.

La Land art americana, invece, propone la monumentalità geometrica della Minimal art in versione gigantesca, con "sculture" realizzate all’aperto in grandi spazi quali deserti, canyon, isole e montagne.

Le opere, molto spesso assai dispendiose per i mezzi che occorrono a modificare simili aree di territorio, necessitano di grandi fondi economici.

Questa esigenza ha visto gli artisti dover addirittura aprire società e mettere insieme svariati sponsor per riuscire a realizzare i loro progetti.

Resta comunque alla Land Art il merito di aver attuato, mediante l'intervento sul paesaggio, una riflessione sull'uomo, sulla natura e sul tempo.

Gli artisti che hanno soppiantano la tela con coltivazioni agricole, aridi deserti, paesaggi urbani, siti abbandonati hanno saputo agire per primi in una dimensione macroscopica dell’arte che mettesse di fronte l’uomo all’entropia, ed anche al suo bisogno di infinito.

Smuovere tonnellate di terra percorrere determinati spazi raccogliere certi oggetti, sono azioni che si avvicinano sempre di più all’esperienza rituale antica.

Tale estetica non si preoccupa certo della disgregazione naturale, a volte basta l’alta marea a distruggere tutto; eccezione fatta per le opere di Christo, che smonta le sue palizzate e cortine subito dopo o quasi averle erette.

Il paradosso è che simili imprese di massima esplosione fisico-materiale nascono in un momento in cui lo sviluppo dell’elemento tecnologico-smaterializzato, di ripresa fotografica ed elettronica né permette la conservazione, almeno come immagine documento, attraverso un sistema di fotogrammi, cifre, scritte, insomma elementi mentali concettuali.

E così queste varie operazioni vivono una condizione ambigua, sospesa tra il gusto di sentirsi votate ad un consumo entropico, o invece la possibilità di essere registrate, di rimanere grazie ad una serie di foto, di riprese filmate, di videonastri.


Opere:

Croce di gesso di Walter de Maria.

Tracciata nel deserto del Nevada, ogni braccio è lungo almeno un centinaio di metri.

Chilometro terrestre di Walter de Maria scavato in profondità in occasione della mostra Documenta 6 a Kassel nel 1977.

Campo di fulmini di Walter de Maria,1974.

L’artista ha posizionato, nel deserto del New Mexico, negli Stati Uniti, quattrocento parafulmini dell’altezza di sette metri l’uno, in maniera regolare e geometrica.

L’opera d’arte si attiva quando si scatena il temporale.

Tutti i fulmini si concentrano in questo enorme campo elettromagnetico, mettendo in gioco quegli elementi di pericolosità e di rischio che caratterizzano parte della sua opera.

Doppio negativo di Michael Heizer,1970

Doppio negativo di Michael Heizer, anche quest’opera portata a termine nel 1970, è interessata da uno scavo macroscopico furono rimossi circa 240.000 tonnellate di terra e roccia per creare i due profondi solchi artificiali, messi in contrasto con le naturali corrosioni di un canyon.

Egli scattò più di mille fotografie di quest'opera che è talmente grande da non poter essere vista tutta intera da terra.

Per cui il fruitore, come suggerisce l’autore stesso, può soltanto guardare prima un lato dall’altro e viceversa.

Solo così prende coscienza dell’opera e del fatto che egli stesso, minuscolo,ne è dentro e fa parte di essa, anche se in maniera infinitesimale rispetto alle sue dimensioni.

L’intento dell'artista è quello di mettere in relazione l’Io con la conoscenza di sé stesso attraverso lo sguardo.

Il senso di piccolezza e di atemporalità ci svela la nostra natura effimera e minuscola relativamente allo spazio del cosmo.

Spiral Jetty di Robert Smithson, 1970

Spiral Jetty di Robert Smithson, realizzata nel 1970.

Quest’opera consiste in una mastodontico molo a spirale della lunghezza di quattrocento metri, realizzata dall’artista in un lago salato nello stato americano dello Utah.

Tale lago è abitato da microscopici microrganismi che durante le varie stagioni dell’anno mutano colore, di modo che anche l’opera cambi colore a seconda del periodo.

L’artista, tragicamente morto durante una ricognizione aerea nel 1973 (a soli trentacinque anni) mentre cercava un luogo adatto ad un progetto di Land Art, spiegò che nella sua arte cercava di rappresentare l’entropia dell’esistenza, il tentativo umano di contrapporsi inutilmente a quest’entropia e i meccanismi che relazionano l’uomo, essere finito e mortale, con la natura, concetto invece che sfiora l’infinito e l’illimitato.

Gli agenti atmosferici che erodono l’opera con il passare degli anni, infatti, sono molto importanti per Smithson e quindi parte integrante dell’opera fin dalla sua progettazione.

Inoltre anche tutta la parte progettuale dell’opera e quella di documentazione (video, fotografie, documentari, schizzi) sono per l’artista come l’altra faccia dell’opera monumentale.

E’ il concetto di "site – non site" ovvero “sito non sito" ideata da Smithson, ovvero l’opera di land art ha due dimensioni: una all’aperto, fisica, completamente materiale, difficilmente accessibile e apprezzabile a causa delle dimensioni e del luogo impervio in cui è posta, e l’altra mentale e concettuale, che sfiora la smaterializzazione dell’opera: è quella che si trova nel museo e completa l’altra.

Sono i due lati di una stessa medaglia.

La forma stessa dell’opera, una spirale è una forma aperta che, in termini di Gestalt, non si può comprendere senza accettare il concetto di infinito.

Al contrario di tutti gli artisti minimalisti, che sono interessati ai volumi cubici, che hanno una Gestalt “chiusa", Smithson ha sempre dimostrato di preferire i volumi che implicano una progressione geometrica.

Ci sono poi riferimenti a leggende che narrano la presenza nel lago di un enorme gorgo, del quale l’opera divenne il simbolo.

Essa fu realizzata in un momento in cui la cultura underground manifestava uno spiccato interesse per i possibili significati esoterici dei monumenti preistorici, in particolare delle figurazioni del terreno.


Montagna marchiataDennis Oppenheim, 1969


Montagna marchiata Dennis Oppenheim opera del 1969 che evoca il mondo dei mandriani, il mito del cowboy americano; il marchio non è altro che l’ingrandimento di quello usato per il bestiame.

Evento sulla neve gruppo giapponese Gun 1970
.

Valley Curtain di Christo Javacheff (1972).

Quest’opera viene realizzata ad un anno di distanza da un tentativo fallito.

L’artista allestisce con una tenda gigantesca la chiusura di un canyon, il Grand Hogback Rifle nel Colorado.

Questo immenso sipario era largo circa 394 metri e composto da uno speciale tessuto sintetico, il polyamide.

Il colore scelto dall’artista per la sua installazione gigantesca fu l’arancione spiccava particolarmente mentre sbarrava il fondo della vallata tra due fianchi rocciosi.

Per garantire la stabilità della struttura è stato necessario l'impiego di decine di tonnellate di cavi d'acciaio, ma nonostante questo dopo 28 ore l'opera dovette essere smontata a causa delle raffiche di vento presenti nel canyon.

Molte opere di Christo, come in questo caso, nascono nell'ambiente ed esprimono un messaggio di riconciliazione con esso , i materiali impiegati infatti sono tutti scarti dell'industria, riciclati e riciclabili.

Le sue istallazioni infatti non intendono modificare l'assetto naturale delle zone in cui opera ,bensì coprire, nascondere e dividere luoghi ed elementi che possono scomparire senza però cambiare la loro identità.

Il velo che copre l’oggetto lasciando trasparire solo la forma è un’operazione estetica, per Christo, che riconsegna alla percezione umana l'essenza stessa di quell’oggetto.

Running fence di Christo Javacheff (1976).

Quest’opera dalle dimensioni gigantesche è stata realizzata attraverso le contee di Marin e di Socoma , in California, a nord di San Francisco.

Essa consiste in una sconfinata muraglia di tela che, alta più di cinque metri, corre per quaranta chilometri attraversando colline e valli della California.

Fu necessario interromperla però nei tratti in cui incrociava l’autostrada.

Il percorso di questa muraglia di tessuto si snoda in maniera piuttosto accidentata per poi tuffarsi nell’oceano.

Per questa installazione fu necessario un progetto che durò quattro anni.

Per fissare la tenda furono necessari duemila pali metallici e centinaia di migliaia di ganci; l'infrastruttura di ancoraggio fu fisicamente realizzata da 65 operai specializzati in vari mesi di lavoro e l’'operazione finale di montaggio del tessuto durò per ben tre giorni, con l’aiuto di 350 studenti.

La riflessione che intende proporre quest’opera è quella del limite che l’uomo pone arbitrariamente alla natura illimitata con contini di stato, confini di proprietà, e anche confini mentali e culturali.

Reichstag di Berlino di Christo Javacheff (1995).

Per 14 giorni , dal 24 giugno al 7 luglio del 1995 , il Reichstag di Berlino fu avvolto e legato su tutti i lati dall’artista bulgaro con un tessuto metallizzato, come se fosse un pacco.

Era dal 1971 che Christo e Jeanne-Claude, sua compagna di una vita, avevano in mente questo progetto.

Dopo ventiquattro anni di lavoro e perseveranza, grazie anche alla partecipazione dei cittadini e delle istituzioni (tra questi ovviamente il comune della città di Berlino e le autorità federali), l’artista riuscì a portare a termine questa emblematica opera d’arte.

Per avvolgere per due settimane il simbolo della democrazia tedesca furono stati usati 100.000 metri quadrati di tessuto di propilene con finitura in alluminio e più di 16 chilometri di corda dello stesso materiale.

Surrounded island o Isole impacchettate di Christo (1983).

E' il più spettacolare intervento di Christo per quanto riguarda il mare.

La progettazione di tale installazione è durata quattro anni.

Le undici, piccole isole della Biscaine Bay, in Florida, vicino a Miami, sono state circondate da un tessuto rosa brillante.

Per rendere possibile fisicamente tale opera, le porzioni di tessuto sono state cucite tra loro direttamente in mare, in modo da seguire i reali contorni degli isolotti, formando un bordo colorato largo 200 piedi.

Quest’opera, tanto gigantesca, fu altrettanto effimera: la sua durata fu di soli quattordici giorni.

La fruizione di tale installazione, inoltre, è stata possibile solo attraverso un volo aereo, poiché il territorio di Miami, non presentando alture, rendeva impossibile una visibilità da terra delle isole impacchettate.

Correlazioni:

Sicuramente oltre alla Minimal art altre correlazioni le possiamo trovare con l’arte Performatica e con l’Arte concettuale, come nel caso dell’artista olandese Jan Dibbets.

Egli fa uso di notevoli quantità di mezzi espressivi,come le cartine geografiche la posta, la fotografia, la registrazione su nastro sonora e visiva, nella sua poetica il modo di pensare, il metodo di approccio è assai più importante del soggetto in sé.

Richard Long è forse l’esponente della Land Art che più si muove in tale direzione; tracciare percorsi da compiere a piedi, in un certo lasso di tempo e per una certa distanza, ci rivela un altro legame quello con la performance art e con il concetto oramai diffuso che sia un comportamento ritualizzato, piuttosto che la produzione di oggetti, a costituire l’elemento più importante dell’attività dell’avanguardia artistica.

Gli stessi artisti di Land art, infatti, hanno attraversato trasversalmente, oltre ai sopra citati, altri generi contemporanei come la Body art e l’Arte povera.

Anche alcune operazioni di Beuys, come quella di far piantare alberi nella città di New York, si possono avvicinare alla Land Art.

Bibliografia:

R. Barilli. L’arte contemporanea da Cézanne alle ultime tendenze. Ed. Feltrinelli.

G. Dorfles, Ultime tendenze nell’arte oggi. Ed feltrinelli.

Come guardare l’arte contemporanea e vivere felici, Ed. Roberto Allemandi & C.

Arte mensile n.392 pag.119. Arte Oggi, Dall' Espressionismo astratto all'Iperrealismo Ed. Mondadori 1976.

Estetica della Natura Paolo D'Angelo,Editori Laterza

Jeffrey Kaster, Brian Wallis Land art, environment art. 1998.

Gilles A. Tiberghien, Land Art, 1995.

Rosalind E. Krauss, Passaggi della scultura da Rodin alla Land art, 1998.

Umberto Allemandi & C, Arte ambientale, 1993.

A. Sonfist, Art in the land: a critical antology of environmental art, 1983.


Webliografia:

http://www.babelearte.it/glossario.asp?id=276

http://www.cicap.org/crops/uk.encarta.msn.com/encyclopedia_781532872/Land_Art.html

http://www.mitglied.lycos.de/artnnature/an-frameset.htm

http://www.territoiresinoccupes.free.fr/art/accueil.html

http://www.ac-grenoble.fr/savoie/Disciplines/Arts_pla/Doc/Landart.PDF

http://www.encyclopedia.lockergnome.com/s/b/Land_art

http://www.infoplease.com/ce6/ent/A0921623.html

http://www.fi.muni.cz/%7Etoms/PopArt/Biographies/christo.html