Le notti di cabiria

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Frame del film

Titolo

Le notti di Cabiria

Anno

1957 d.C.

Luogo

Italia

Autore

Fellini Federico

Descrizione

Cabiria, minuscola ed ingenua prostituta della periferia romana, crede ancora nella vita e negli uomini, anche se uno di questi, Giorgio, suo sedicente fidanzato, l’ha appena derubata e buttata nel fiume. Verrà salvata da un gruppo di ragazzini. La sera si reca come al solito alla Passeggiata Archeologica, luogo di incontro di prostitute, clienti e papponi. Ad un certo punto si reca in Via Veneto, dove incontra un divo del cinema che ha litigato con l’amante. Cabiria viene rimorchiata e portata nella sontuosa villa di questo divo. Ma verrà chiusa in bagno, perché ricompare la bellona, ed allontanata di nascosto il mattino dopo. Rientrata nel suo ambiente Cabiria va, assieme all’amica Wanda e ad altre prostitute, in pellegrinaggio alla Madonna del Divino Amore, ma non ottiene alcuna grazia. Una sera entra in un piccolo cinema-varietà dove si fa ipnotizzare durante uno spettacolo e viene esposta ad un pubblico che la deride. Si imbatterà poi nel timido ragioniere Oscar . Decisa a cambiare vita, Cabiria inizia ad uscire con lui, il quale le prometterà anche di sposarla. Per coronare il sogno d’amore lei vende la casupola in cui abita ed i pochi oggetto che vi stanno dentro; ma l’uomo, interessato soltanto alla dote, rivela le proprie intenzioni durante una gita al lago di Albano: vorrebbe addirittura buttare la fidanzata giù da un dirupo, ma si accontenta di rubarle tutti i soldi e scappare via. Cabiria resta a piangere sull’erba, pensando anche di amazzarsi, ma dopo un po’ si rialza, incontra per strada dei giovani che suonano e cantano ed una ragazza che la saluta gentilmente. E così fra le lacrime spunta nuovamente il sorriso della speranza. La premessa del film è un rifiuto intransigente dei valori civilmente costituiti; la conclusione porta a ribadire l’impossibilità per l’individuo di realizzare sé stesso in un sistema che è soltanto luogo di disordine, menzogna, efferatezza: non resta che riaffermare, nel deserto sociale, il proprio elementare diritto all’esistenza, sulla spinta di un desiderio di gioia sempre insoddisfatto e tuttavia custodito gelosamente. Il film resta tutt’oggi il più armonioso di Fellini, in ragione della coerenza con cui viene abbracciato il punto di vista dell’unica protagonista, la piccola prostituta, simbolo di un’aspirazione struggente ad un inserimento a pieno diritto nella collettività borghese. Poiché si tratta di un personaggio femminile, tale ansia prende forma dal più legittimo degli impulsi, quello a realizzare con l’uomo un rapporto affettivo, consacrato dal vincolo coniugale. Cabiria vuole uscire dalla situazione di oggetto vendibile per conquistare dignità. Ma il suo errore è di non rendersi conto che nel sistema sociale cui intende essere promossa è il denaro a costituire il valore supremo: in riferimento ad esso si articolano tutti i rapporti umani, quindi anche quelli fra i sessi. L’itinerario della protagonista si configura come una perpetua oscillazione fra l’umanità impoverita delle prostitute accampate alle Terme di Caracalla e la cattiva coscienza dei frequentatori della Roma bene. Il film assume una struttura circolare: all’inizio Cabiria gettata nel Tevere da un amante che vuole impadronirsi della sua borsetta per arrivare al pseudoragioniere che la imbroglia chiedendole di sposarlo e alla fine il suo unico fine è impadronirsi di tutti i suoi averi ed abbandonarla. La situazione d’avvio è tornata su sé stessa e nello spazio intermedio una serie di episodi che mettono a fuoco la candida speranza amorosa del personaggio accostandola ad un’impossibilità di sviluppo. Da un’angolatura sociale la parte decisiva è svolta dall’incontro con il divo cinematografico: il racconto è opportunamente tenuto su toni di leggerezza sorridente per rilevare, senza moralismi, attraverso la paradossalità delle circostanza, l’ovvia predestinazione al fallimento del miraggio di Cabiria di stabilire caldi contatti umani all’ombra degli emblemi più prestigiosi del successo mondano. Larghe onde di drammaticità invece per quanto riguarda l’episodio del pellegrinaggio alla Madonna del Divino Amore dove le speranze della protagonista acquistano risonanze metafisiche: nella folla urlante di malati e storpi che invocano un miracolo per il loro corpo devastato, lei chiede che la Grazia intervenga per farla uscire dalla solitudine dei sentimenti. La ricognizione interna della protagonista culmina infine nella scena dell’ipnosi, in un infimo teatrino periferico: Cabiria svela la sua purezza d’anima e l’illusionista ne fa occasione di spettacolo davanti ad una platea disabituata a guardare dentro di sé. E quindi questa esibizione coscienziale diviene solo il pretesto per volgarissime buffonate. In sede di epilogo qualcosa appare tuttavia mutato: la protagonista si è fatta consapevole di abitare in una civiltà sbagliata. Ma non si arrende né dispera, anzi riafferma la volontà di vivere. All’asprezza del mondo circostante si contrappone il ritratto di un personaggio ingenuo e sognatore e così Fellini ribadì da un lato la sublimazione della peccatrice, esclusa dalla società di cui è vittima, al rango di eroina esemplare, dall’altro sottopose il personaggio ad un’analisi critica dall’interno, rivelandolo partecipe dello stesso errore che condiziona negativamente la moralità collettiva. Il personaggio di Cabiria, piccola prostituta sognatrice e sfortunata, nacque nella mente di Fellini molto prima di questo film. Era stato abbozzato nel 1947 per Anna Magnani, quando la storia di una passeggiatrice che ha l’opportunità di passare la notte con un divo avrebbe dovuto far parte del rosseliniano L’amore (che venne invece sostituito dall’episodio Il miracolo perché la Magnani non aveva gradito il ruolo). E così Cabiria trovò la sua giusta interprete in Giulietta Masina ed entrò timidamente ne Lo Sceicco bianco, dove, in una breve sequenza notturna, cercava di consolare più con la tenerezza che con il sesso, lo sposino piantato in asso dalla moglie. Giulietta Masina considerò sempre Cabiria il personaggio della sua vita: regolarmente messa al tappeto si rialza ogni volta con uno scatto vitalistico proprio del suo temperamento. Tra Federico e Giulietta ci furono veri e propri momenti di tensione per un contrasto di vedute che andò avanti per tutta la lavorazione: lui voleva una Cabiria burattinesca, lei la voleva in chiave melodrammatica. Poi la creatura di fantasia si incrociò con una creatura reale quando, durante le riprese del Bidone nelle baraccopoli alla periferia di Roma, Fellini conobbe una prostituta di nome Wanda, la cui aggressività apparente (era arrivata a scardinare le rotaie della macchina da presa) nascondeva una grande fragilità: aveva tentato il suicidio per amore tre volte ed altrettante si era ripresa. Da questo incontro e da quello con un benefattore dei miserabili soprannominato “L’uomo del sacco”, nacque il film di Cabiria. Tuttavia bisognava documentarsi meglio e Fellini cominciò a vagare di notte per i sobborghi della capitale, lungo la Passeggiata Archeologica e gli argini del Tevere, spesso e volentieri in compagnia di un esperto di quei luoghi e dei loro abitatori, fra cui Pier Paolo Pisolini, che collaborerà alla sceneggiatura, riscrivendo in modo linguisticamente ineccepibile i dialoghi delle prostitute. Ma più difficile ed insidioso fu aggirarsi fra i produttori romani per trovare quello disposto a finanziare il film. Dopo una dozzina di tentativi, il rischio se lo accollò Dino De Laurentiis, consapevole però che le polemiche non sarebbero mancate: infatti, non appena si sparse la voce che Fellini stava girando un film sulle prostitute, gli ambienti cattolici entrarono in fermento. Si era trovato, in mezzo a tanti comunisti, un bravo regista cattolico, e proprio lui adesso tirava fuori un film sulle prostitute? Ma poi, c’erano forse prostitute nella città della democrazia cristiana e del Papa? E vi fu chi dormì notti insonni prima dell’uscita del film: il sindaco di Roma protestò a priori perché alcune zone monumentali della città vi erano dipinte come vere e proprie centrali del vizio; i preti inorridirono quando seppero che in una sequenza si sarebbero viste delle prostitute recarsi al pellegrinaggio in un santuario della Madonna; e le associazioni ufficiali di beneficenza protestarono per il personaggio dell’uomo del sacco in quanto era inammissibile mostrare questo benefattore solitario che aiutava la povera gente senza l’appoggio di congregazione e confraternite, senza il ricatto di santini e promesse elettorali. A dispetto di tante polemiche il film fu comunque mandato a Cannes e la censura gli concesse il visto dopo che un giovane cardinale lo aveva visionato ed apprezzato privatamente. Valse il premio per la migliore attrice a Giulietta Masina e diventò uno dei film felliniani più amati nel mondo. In America ottenne l’Oscar e qualche anno dopo Neil Simon ne trasse un musical per Broadway diretto dall’esordiente Bob Fosse: Sweet Charity, fra l’altro portato anche sullo schermo dallo stesso regista, con Shirley MacLaine nel ruolo della Masina. Le Notti di Cabiria è qualcosa di più di una semplice storia di prostitute post-realiste. Fra l’altro non vediamo mai la protagonista nell’esercizio effettivo della sua professione: che prostituta potrebbe mai essere, se in un qualche modo è ancora uno schizzo di cartone animato, una Gelsomina, un angelo buffo ed asessuato? Il vero tema del film è la creatura umile ed indifesa che lotta, con il sorriso della volontà, per la propria dignità di donna, per il diritto do ogni essere vivente alla felicità. Come Charlot, che più ne subisce e più si risolleva. Superlativa l’interpretazione della Masina, che non tornerà mai più a questi livelli. E’ un film di pieno sapore felliniano, dove il regista seppe attingere nel peggio dell’umanità spunti di poesia e di speranza. L’ultima scena, in cui Cabiria rinfrancata dalla presenza dei giovani torna a sorridere, dà occasione ad Andrè Bazin di fare una considerazione: “Si comprende come questa conclusione potrebbe essere superficiale e simbolica se, polverizzando le obiezioni delle verosimiglianza, Fellini non sapesse, con un’idea di regia assolutamente geniale, far passare il suo film su un piano superiore, facendoci identificare di colpo con la sua protagonista. Nell’ultima inquadratura, quando Giulietta Masina si gira verso la cinepresa ed incrocia il suo sguardo con il nostro, sta il vero lampo di genio: Cabiria passa molte volte sull’obiettivo senza mai esattamente fermarcisi. E le luci si accendono su questa meravigliosa ambiguità. Cabiria è certamente ancora la protagonista delle avventure che ha vissuto davanti a noi, dietro la maschera dello schermo, ma è anche ora quella che ci invita con lo sguardo a seguirla sulla strada che ha ripreso. Invito pudico, discreto, sufficientemente incerto perché non possiamo far finta di credere che sia rivolto ad altri”. Presentato al festival di Cannes ebbe un’accoglienza molto lontana dalle asprezze che erano state riservate al Bidone. Curiosità: nell’episodio dell’incontro di Cabiria con il divo, Amedeo Nazzari impersonava in pratica sé stesso: ne sono riconoscibili la passione per i night ed i macchinoni, l’immenso guardaroba, gli amori tempestosi, i telefoni bianchi della villa vagamente hollywoodiana. Fellini avrebbe voluto fargli usare anche il vero nome d’arte, ma Nazzari rifiutò, temendo di mettere a repentaglio l’integrità della propria immagine.