Mac

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Nel 1948 fu fondato a Milano il MAC (Movimento per l'arte concreta) che raccoglieva alcuni astrattisti italiani: Atanasio Soldati, Alberto Magnelli, Mauro Reggiani, Luigi Veronesi, Bruno Munari, Gillo Dorfles e per breve tempo anche Lucio Fontana. I dipinti di questi artisti combinavano forme geometriche campite con colori piatti in composizioni rigorosamente astratte. Nel 1951 Dorfles redasse il Manifesto del MAC, nel quale sosteneva che l'arte concreta si distingueva dall'arte astratta soprattutto per la ricerca di una sintesi tra le arti, da attuarsi attraverso la messa a punto di linguaggio unico. Nel 1955 il MAC si unì al gruppo francese denominato Espace, organizzando una mostra in comune a Milano dal titolo "Esperimenti di sintesi fra le arti". L'esperienza del MAC si concluse nel 1958, poiché molti degli artisti che vi avevano aderito preferirono continuare la loro ricerca in altre direzioni, in primo luogo nell'astrattismo informale.

Aprendosi alle correnti europee più avanzate di arte contemporanea, gli artisti del MAC si schieravano con i sostenitori di un’arte aniconica, cioè "non- figurativa", prendendo tuttavia le distanze anche dall’ala storica dell’astrattismo. La differenza era concettualmente sottile. L’astrattismo storico del primo Novecento (rappresentato da artisti di diversa ispirazione come Kandinsky e Mondrian) muoveva dal rapporto con la realtà esterna, la natura, il paesaggio, gli oggetti, per un processo di analisi e di riduzione alla loro essenza di forme, colori, materie, ritmi, rapporti. Al contrario dell’arte astratta, l’arte concreta proponeva immagini di forma-colore di pura invenzione ed elaborazione dell’artista, indipendenti da suggestioni della realtà o da significati simbolici. Arte "concreta" significa arte autosufficiente, non dipendente da fonti ad essa esterne. In questo senso era stata già teorizzata nel 1930 dall’olandese Theo Van Doesburg, già esponente di De Stjil ("Manifesto dell’Arte Concreta") e nel 1936 dall’artista svizzero Max Bill, dando luogo alla produzione di quadri di grande purismo formale, con ritmi di partitura geometrica. In Italia, il primo a rilevare la differenza e a farsene promotore fu lo storico dell’arte Lionello Venturi, ispiratore di "Forma 1", un gruppo romano contemporaneo al MAC milanese, a cui aderirono artisti come Dorazio e Perilli. A Firenze intanto veniva redatto il Manifesto dell’Astrattismo classico che esprimeva posizioni analoghe anche se con definizioni ambigue. Al di là delle sofisticazioni teoriche, quel che accomunava i diversi fermenti era una concezione antinaturalista e antisurrealista dell’arte, intesa come modello progettuale in grado di "mettere ordine" idealmente in una società che si preparava a vivere il boom socio-economico degli anni Cinquanta- Sessanta. Modelli storici di riferimento erano il costruttivismo russo dopo la Rivoluzione di Ottobre, il Bauhaus tedesco con la sua utopia riformistica, e lo stesso Mondrian maturo, il profeta dell’arte come "armonia realizzata". Infatti il MAC affermava anche la "sintesi delle arti" fra arte, architettura, design: Mario Ballocco, uno dei componenti del gruppo, avrebbe condotto una indagine sistematica e scientifica del colore (cromatologia). Una nuova manifestazione di vitalità dell’arte concreta si ebbe dopo gli anni Cinquanta dominati dall’espressionismo astratto, dall’action painting, dall’informale, dall’art brut, manifestazioni di arte non figurativa, ma all’insegna di un individualismo esasperato, irrazionale, gestuale. Gli studi tedeschi di Rudolf Arnheim sulla teoria della forma (Gestalt) e l’avanzante società tecnologica determinarono una ripresa di formalismo geometrico e razionalizzante, che si diramò in numerose correnti: pittura monocroma (specie in Usa), optical art, neocostruttivismo, arte cinetica, arte ghestaltica (in Italia sostenuta dall’autorità di un altro grande studioso, Giulio Carolo Argan). Fermenti che proseguirono sotto traccia e sotto altre spoglie, dopo la grande ripresa dell’iconismo e della narrazione massmediale con la Pop Art negli anni Sessanta e quel che ne seguì sino ai giorni nostri. Per essi può restare valida nelle sue motivazioni di fondo, la definizione che dell’arte concreta dette Gillo Dorfles: una forma d’arte "basata soltanto sulla realizzazione e sull’oggettivazione delle intuizioni dell’artista, rese in concrete immagini di forma-colore, lontane da ogni significato simbolico, da ogni astrazione formale, e mirante a cogliere solo quei ritmi, quelle cadenze, quegli accordi, di cui è ricco il mondo dei colori".