Morrissey Paul

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Personaggio o gruppo:

Paul Morrissey

Descrizione:

Dal 1968 in poi Warhol delegò a Paul Morrissey la regia dei suoi film. È in questo periodo, successivo all'attentato, che nasce, la famosa trilogia formata da Flesh (1968), Trash (1970), Heat (1972). I tre film sono inframmezzati da opere come L'Amour (1972) e Women in Revolt (1972), di cui Warhol firma, sempre con Morressey, la co-regia. Paul Morrissey è un personaggio controverso. Realizzò, ancora giovanissimo, alcuni cortometraggi di carattere sperimentale. Nel 1963 incontrò Andy Warhol e divenne un frequentatore della Factory. Nel 1965 Morrissey collaborò molto da vicino, occupandosi della coproduzione, alla realizzazione del film My Hustler, uno dei primi lungometraggi "parlati" di Andy Warhol. Il film è incentrato sulle chiacchiere e sui commenti di due non più giovani omosessuali che dalla loro casa lungo la costa spiano un aitante giovanotto che prende il sole sulla spiaggia. Si tratta di Paul America, un culturista che frequentava la Factory che divenne, insieme a Malanga, uno dei primi esempi di "superstar" al maschile prodotti dall'entourage warholiano. Dove il concetto di "superstar" sta per icona, immagine iper-divistica che enfatizza ed è allo stesso tempo fa parodia di quella della tipica star hollywoodiana. In Flesh è l'omosessualità, la prostituzione maschile, gli ambienti in cui si esercita, la variegata umanità che vi ricorre a fare da filo conduttore. E il pretesto, di cinica, allarmante semplicità: la necessità di trovare i soldi per consentire ad un'amica dell'amica dell'uomo che si prostituisce di abortire. I movimenti di Joe (Dalessandro), il protagonista del film, ci guidano alla scoperta di un sottobosco umano e sociale dove il sesso è usato come merce di scambio, come una frontiera possibile dei rapporti umani, ma anche come strumento di conoscenza, come nel caso dello scultore che cerca nel corpo del ragazzo i volumi, le proporzioni, le pose plastiche della bellezza maschile rappresentate nelle statue della classicità. Joe non commenta e non giudica, qualunque sia la richiesta che gli venga fatta. Alla fine della sua giornata di peregrinazioni, questa sorta di Ulisse del sesso mercificato tornerà a casa con i soldi. Lì troverà la moglie, non insidiata dai Proci, ma a letto con la sua amica lesbica. Si tratta proprio della donna che aveva bisogno dei soldi per abortire. Entrambe cercano di coinvolgere l'uomo nei loro giochi d'amore, ma egli, sopraffatto dalla stanchezza, si addormenta. In Trash, invece, si racconta l'esistenza quotidiana di un tossicodipendente reso impotente dalla droga e della sua stramba compagna, e degli espedienti e dei sotterfugi ai quali ricorrono quotidianamente per sopravvivere. Lui, Dalessandro, rubacchia qua e là senza neanche troppa convinzione. Lei setaccia i depositi di spazzatura di varie zone della città alla ricerca di oggetti utili o riciclabili che rivende oppure usa per arredare la casa dove entrambi vivono. Ma il mondo esterno, quello "regolare" con cui i due sbandati hanno a contatto, non si rivela certo migliore dimostrandosi anzi molto più gretto e meschino anche perché privo di qualunque attenuante legata alla disperazione o alla necessità di sopravvivenza quotidiana. Si tratti della giovane coppia borghese che tenta di profittare del momento di difficoltà del tossicodipendente, sorpreso nel loro appartamento a rubare, per tentare di coinvolgerlo in ambigui giochetti erotici, o del funzionario statale che dovrebbe assegnare alla coppia di derelitti un sussidio sociale (Holly si finge incinta, il funzionario s'innamora delle scarpe di lei che questa non vuole mollare; ne segue un battibecco con la scoperta del trucco della falsa maternità), l'impressione è che la società tenti di strumentalizzare e di fagocitare i suoi stessi rifiuti in una sorta di attrazione-repulsione verso il basso che evidenzia gli istinti più inconfessabili che si agitano dietro la maschera del perbenismo sociale. Anti-eroismo assoluto, personaggi negativi, da qualunque parte si trovino, a qualunque schieramento sociale appartengano. Esibendo un aperto rifiuto di ogni schema narrativo classico, questi film calano con la forza e l'oggettività di un documento nelle pieghe nascoste del sociale, in una realtà rimossa, volutamente ignorata, che li ricarica, forse loro malgrado, di un potenziale eversivo e destabilizzante notevole. Con Heat, il terzo film della trilogia, lo scenario cambia leggermente. Da New York ci si sposta ad Hollywood. Si seguono stavolta, le peripezie di un attore che, in cerca di fortuna, si presta alle voglie sessuali di numerose donne che potrebbero aiutarlo. Con Heat l'attacco al sistema Hollywoodiano si fa diretto, frontale. Il mito del cinema viene smontato ed esposto nelle sue componenti più crude e dissacranti, mettendo in luce i sottoboschi più oscuri, l'ipocrisia più feroce. I rapporti interpersonali, nel calderone Hollywoodiano qui rappresentato, si fanno ancora più intrecciati e confusi. La laida affittacamere che costringe il giovane e aitante Joey (ancora Dalessandro). Di belle speranze, a sottostare alle sue voglie erotiche. Ragazze non ancora maggiorenni ma già con figlio a carico e lesbiche praticanti, che sono in guerra con la propria madre, l'ex-diva Sally, che già da lungo tempo ha percorso il suo viale del tramonto. L'ex-marito di questa e padre della mamma-bimba-lesbica, che è legato, a sua volta, a un affermato attore omosessuale. Quest'ultimo tenta di sedurre Joey il quale nel frattempo è diventato amante di Sally, nella speranza che questa possa aiutarlo nella sua carriera. Dietro la finta eleganza di ville e piscine si respira un atmosfera di decadenza, morale e non solo, desolante. Il ritratto, offerto da Sylvia Miles, della ex-diva, che non è mai stata una buona attrice ma solo un bel corpo. Il giudizio è spietato e definitivo. Non c'è speranza di riscatto, nemmeno nel tentativo di conquistare il più cupo e scontato finale melodrammatico. La pistola con la quale la donna cerca di farsi giustizia dei ripetuti tradimenti di Joey fa cilecca. A simboleggiare non solo la falsità di ogni illusione, ma soprattutto l'impossibilità di riscattare la propria esistenza con un gesto di tragica dignità.

Webliografia:

http://www.warhol.org/