Neorealismo

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Genere o movimento artistico

Neorealismo

Personaggi o gruppi

Rossellini Roberto, Zavattini Cesare, De Sica Vittorio, Luchino Visconti

Luogo

Italia

Storia

1.1) Nascita del Neorealismo.

Millenovecentoquarantacinque: fine della II guerra mondiale. Il cinema italiano entra in una fase di rinascita che ha come protagonista indiscussa la corrente del Neorealismo. Per alcuni anni il movimento esercita un’egemonia assoluta sul piano qualitativo. E’ un fenomeno complesso, divisibile nei suoi tre principali aspetti, ovvero quello morale, quello politico e quello estetico: è anzitutto la reazione morale agli orrori della guerra che spinge i cineasti a ricercare i valori essenziali dell’esistenza e della convivenza sociale per dare una risposta alla serie dei tragici orrori commessi dal fascismo. Da qui la necessità di un linguaggio nuovo, che riesca ad esprimere una presa di coscienza ed una volontà di mutamento. E si va così definendo una nuova estetica, capace di rinnovare il cinema italiano e costituire un punto di riferimento per altre cinematografie. Ma alla complessità delle proposte culturali ed alla ricchezza dei risultati espressivi non corrisponde una penetrazione adeguata nel mercato di massa, in cui operano ed ottengono successo ben altre tendenze: infatti, accanto alla produzione cinematografica dei film neorealisti, che potremmo dichiarare “film sul popolo”, attraverso i quali si portano in scena i drammi collettivi che coinvolsero e continuavano a coinvolgere tutta la popolazione nella grande crisi storica attraversata dal paese, abbiamo anche la formula antitetica dei “film per il popolo”, per i quali i registi, interessati più all’imbonimento del pubblico, si preoccupano di assecondare la tendenza a distrarsi dalla realtà ricorrendo ad i moduli dello spettacolo di consumo. A riguardo della nascita di questi due diversi stili, va tenuto presente che alla fine della guerra, la nostra cinematografia si trova a dover fronteggiare la concorrenza schiacciante delle pellicole angloamericane che invadono il mercato. Ed al cinema nazionale si pone dunque il problema di creare delle alternative che abbiano dei caratteri molto diversi da quelli dei prodotti di oltreoceano: dal punto di vista del film commerciale ciò avvalora la volontà di tenere buon conto delle disposizioni ed abitudini precostituite nel pubblico. E per soddisfare questo impegno di popolarità a tutti i costi, basandosi su ideologie arretrate ed a basso quoziente estetico, i primi espedienti consistono nel cercare l’appoggio di altre forme espressive come la musica ed il romanzo d’appendice. Invece, dal punto di vista dei film rivolti ai settori più dinamici del pubblico, coinvolti nel processo di politicizzazione democratica del paese, ci si muove in direzione di un cinema formulato su un impegno entusiastico di rinnovamento civile. Purtroppo, la corrente neorealista, tanto interessante quanto significativa, non è destinata ad un successo duraturo. Anche se in verità c’è da dire che molti registi futuri ne trarranno ispirazione. Il Neorealismo fallisce proprio nel suo punto più ambizioso: la volontà di indurre ad un mutamento radicale i rapporti fra cinema e pubblico, che al contrario si esprimono meglio negli spettacoli industrialmente strutturati. E’ questo il motivo essenziale di debolezza del movimento e su di esso hanno modo di intervenire i sempre più pesanti condizionamenti del potere politico: la politica culturale comincia a voler tendere verso un ottimismo di facciata e quindi l’esposizione dei dolori e delle miserie inizia ad essere vista con fastidio. Il primo a scoprirlo a sue spese è Vittorio De Sica: il suo Umberto D. è attaccato, in quanto la lucida e rigorosa descrizione della misera solitudine di un pensionato è accusata di presentare un quadro troppo impietoso della vita quotidiana. Quindi, avversati con intransigenza dai ceti di governo, che vedono una minaccia sovversiva in ogni pur blando atteggiamento critico davanti al processo di ricostruzione-restaurazione nazionale, e per di più non sostenuti da un largo consenso delle masse popolari, i registi neorealisti si lasciano prendere da una crisi di sfiducia. Alcuni, come Lattuada, Germi e De Sica, revisionano le proprie posizioni sotto il segno della rinuncia o del compromesso; altri, come De Santis, spariscono a lungo dalla scena, ; altri ancora, come Rossellini e Visconti, intendono invece rinnovarsi attraverso esperienze diverse. A questo punto il Neorealismo può dirsi finito, anche ne resterà sempre l’impronta e la sua lezione si rivelerà preziosa per il nostro cinema: soprattutto verso il finire degli anni ’50, periodo in cui si formerà, nel clima di benessere neocapitalista e di disgelo politico, una seconda ondata neorealista, nella quale la ripresa di un impegno di critica alla civiltà, terrà conto anche delle esigenze spettacolari. Diversi per impostazione ma provvisti di un’indiscutibile dignità culturale, e soprattutto ben accetti dalle platee, questi film portano l’entrata dell’ Italia nell’epoca del cinema di massa: epoca in cui il sistema industriale confeziona prodotti dotati di una comunicatività interclassista. E viene così a risolversi la tensione del Neorealismo, che progettava di rivolgersi ai ceti subalterni, ma trovava interlocutori solo nell’intellettualità borghese. I più proficui eredi del neorealismo sono Michelangelo Antonioni e Federico Fellini, quest’ultimo allievo fra l’altro del sopracitato Roberto Rossellini, che per una coincidenza significativa esordiscono sullo schermo con il loro rispettivo primo film nello stesso anno.

Poetica

La caratteristica principale del movimento è quella di rappresentare la quotidianità, adottando un taglio fra il reale ed il documentario e servendosi di individui presi dalla strada al posto di attori professionisti. Il gruppo di registi da varia formazione ideologica e culturale che dà vita al Neorealismo, si propone di favorire una larga coscienza critica delle condizioni e contraddizioni della civiltà italiana attuale: da una parte sottoponendo ad inchiesta le arretratezze degli ordinamenti costituiti, dall’altra drammatizzando l’inadeguatezza dei comportamenti individuali, troppo poco guidati da un maturo senso dell’interesse collettivo. I film neorealisti intendono così esaltare, al massimo livello, un carattere di specificità nazionale, in contrasto con il linguaggio hollywoodiano, e nello stesso tempo vogliono avviare le platee ad un dialogo che non tagli fuori nessun tipo di spettatore, al quale si rivolgono in nome di una comune coscienza ideologica. Assistiamo così ad uno slancio di entusiasmo al quale molti hanno intenzione di partecipare. Ed in questo fervore di iniziative si incontrano i progetti più disparati, che però nonostante, formano un quadro molto composito: la “qualifica neorealista” può essere attribuita ad opere che, forse hanno poco in comune fra di loro, ma che si uniscono nell’ impegno a considerare, alla luce dell’esperienza antifascista, il rapporto fra l’individuo e la società. Lo sforzo è coinvolgere gli spettatori in una forte consapevolezza del problema, presentato nella sua urgenza assoluta. Fra i vari registi, la personalità più di spicco del movimento è senza dubbio quella di Roberto Rossellini, il quale opera la più decisa rottura nel linguaggio cinematografico, aprendolo ad un’assimilazione immediata del reale, e nello stesso tempo si ispira ad un antintellettualismo destinato a svolgersi in un coerente rifiuto delle ideologie politiche. Ed è lui ad esprimere, con la maggiore originalità, l’aspirazione ad un rinnovamento individuale che sia un tutt’uno con il rinnovamento della collettività. Il suo film Roma città aperta è l’emblema di questa nuova epoca, caratterizzata dalla volontà di rinascita del cinema italiano: realizzato con mezzi di fortuna, prende spunto da fatti di cronaca relativi al tragico periodo in cui, caduto il fascismo, Roma era in attesa dell’arrivo delle truppe americane e fu teatro di scontro tra le forze della resistenza e la rabbiosa determinazione dell’esercito tedesco. Il film presenta ancora aspetti tradizionali: interpretato da attori di grande esperienza e popolarità come Anna Magnani ed Aldo Fabrizi, fa ricorso a metodi di enfatizzazione drammatica; ciò nonostante costituisce un preciso segnale circa la direzione in cui si muoverà il nuovo cinema: trarre ispirazione dalla realtà quotidiana, dare la priorità assoluta alla cronaca ed alla forza delle reazioni morali di fronte alla disumanità di una tragedia che non ha risparmiato nessuno.

Opere

1943, Ossessione 1945, Roma città aperta 1946, Sciuscià 1946, Paisà 1947, Germania anno zero 1948, Ladri di biciclette 1951, Bellissima 1952, Umberto D.