Networks and artworks the failure of the user friendly interface

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Autore: Brown Paul

Tratto da: http://www.paul-brown.com/WORDS/NETART.HTM

Titolo Originale: Networks and artworks the failure of the user friendly interface

Traduzione di: Cappelli Sandro

Anno: 1997


Reti di comunicazione e opere d’arte il fallimento dell’interfaccia "user friendly"



Sinossi

Questo articolo parla di come un ristretto numero di artisti abbia usato i mezzi di comunicazione, dei loro tentativi di inserire questa azione nel contesto storico e critico del dibattito post-moderno, e soprattutto dell’evoluzione di un nuovo modello di comunicazione. Si tratterà poi di valutare l’uso amichevole delle interfacce "user friendly". Infatti adottando metafore che rimandano all’uso dei media esistenti, gli strumenti dell’interfaccia rafforzano punti di vista tradizionali e rendono difficile, quando non lo impediscono del tutto, ricercare e sviluppare un "linguaggio" nuovo nel contesto del multimedia.


Premessa

Nel 1990 guidavo su l’A5 tra Los Angeles e San Francisco in direzione nord. Mentre si susseguivano i soliti stupidi cartelloni pubblicitari che promuovono sempre le stesse cose: sigarette Camel, vola alle Hawaii con United Airlines e la guerra tra MCI, Sprint e AT&T; catturò il mio sguardo un enorme pannello che pubblicizzava un oscuro circuito integrato. Eravamo di sicuro a San José, la capitale della Silicon Valley, e quell’insolito cartello era stato pensato per carpire l’attenzione dei pochi ingegneri pendolari che progettavano e costruivano i computer del futuro.

Di recente, quasi cinque anni dopo, uno dei miei studenti di dottorato, che frequenta una volta alla settimana un seminario su arte e computer, aveva portato con sé la ricevuta di un supermercato delle sue parti che riportava dietro, accanto alle consuete offerte tre per due e alla pubblicità di una lavanderia, la promozione di un local Internet service provider. A differenza del pubblico di nicchia a cui si indirizzava il cartello della Silicon Valley, questa pubblicità era diretta esattamente al consumatore medio che può fare acquisti in un qualsiasi centro commerciale per la classe media dell’Australia.

In solo due anni Internet era diventato di interesse pubblico. Un’informazione anarchica, creata da hackers e accademici, era attecchita attirando l’attenzione di un pubblico che era, in ogni caso, già stato ben nutrito dalla retorica delle società "InfoBahn" e dall’enfasi per le nuove tecnologie presente nei messaggi promozionali sui media e dalle iniziative nazionali del governo, come la campagna della politica culturale australiana "Nazione Creativa" (DOC94).

Questa generale "net-consapevolezza" offre un ottimo dessert ai movimenti per il pluralismo stimolati dal socialismo postmoderno che rimpiazzerà, speriamo per sempre, l’eredità del nazionalismo di destra che aveva dominato gli anni ‘50 del ‘900. Lo scrittore di Sidney Ross Gibson ha recentemente definito il nuovo "nazionalismo" come una linea di confine che contiene differenze piuttosto che somiglianze (GIB95). E ora Internet permette di rimuovere i confini geografici e di creare uno scambio di informazioni egualitario e globale.

Mettiamo per ora da parte (questo saggio dovrebbe essere corto) il fatto che i quattro quinti della popolazione mondiale desideri probabilmente una fonte di sostentamento sicura piuttosto che d’informazione. E proviamo a lasciar perdere la nota fastidiosa che molti di quelli che sono i più magniloquenti a esporre questa nuova democrazia elettronica non siano altri che i fondamentalisti di destra del partito repubblicano americano.


Storia e retroterra culturale

L’Internet di oggi ha la sua origine nella cosiddetta "Guerra Fredda" tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Il Dipartimento della Difesa Americano era preoccupato che un attacco sovietico potesse avere gravi conseguenze sulle comunicazioni tra il comando militare e il controllo centrale. Il "Think Tank" del Rand Corporation consigliò un metodo nuovo e unico per mettere in collegamento le unità militari che avrebbe permesso alla rete delle comunicazioni di continuare a funzionare in caso di attacco. Era una rete di singoli nodi collegata. Un messaggio poteva essere trasmesso da un nodo all’altro a condizione che anche solo uno dei molti possibili collegamenti connessi restasse in funzione.

Venne usato anche un nuovo e straordinario metodo per comunicare i contenuti. Il messaggio originale veniva digitalizzato e poi spezzettato in "pacchetti" più piccoli. Ogni pacchetto sarebbe stato trasmesso e avrebbe trovato il percorso più diretto per arrivare al nodo destinatario. I singoli pacchetti potevano prendere una qualsiasi delle differenti strade possibili disponibili, imboccando l’uscita più piccola usata da uno dei nodi intermedi fissati. Il nodo ricevente avrebbe ricostruito il messaggio aprendo ogni pacchetto che lo componeva nell’ordine originale. I pacchetti dispersi, o quelli contenenti errori, potevano essere ri-richiesti dal ricevente.

Questo sistema fu implementato come ARPANet (chiamato così per il Dipartimento Militare che aveva commissionato il progetto: "Advanced Research and Procurement Agency"). A questo fece seguito l’NSFNet, della National Science Foundation. Mentre altri paesi sviluppavano sistemi di comunicazione simili come JANET (la britannica “Joint Academic Network“) e AARNet (=“Australian Academic Research Network“). IBM costruì la propria rete di comunicazione internazionale chiamata BITNET. Altre compagnie progettarono sia reti di comunicazione interna che access provision per altre compagnie più piccole o singoli cittadini. Ognuna di queste reti fu "commutata" dalle altre per formare una rete internazionale. Internet si dimostrò estremamente robusto e affidabile e crebbe all’interno dell’accademia così come nell’esercito e nei settori di tecnologia dell’informazione di grosse aziende durante gli anni ’70 e ’80.

Da metà anni ’80, molte nuove interfacce - facili da usare - sono state sviluppate per Internet. La diffusione di internet providers indipendenti hanno permesso una crescita rapida, sia nelle multinazionali che in società locali, tanto che Internet è diventato presto il principale mezzo di comunicazione degli organismi industriali e militari.

Sebbene i pacchetti smistati dalla rete fossero originariamente testo, i recenti progressi nella compressione digitale hanno permesso il successo della trasmissione sia di audio che di video, usando questo sistema di "packet switching" (smistamento di pacchi dalla rete). Ora le agenzie di telecomunicazione internazionali stanno sviluppando reti di trasporto di "pacchetti" a banda larga che sono state chiamate collettivamente "le autostrade dell’informazione" o "infobahn". Possiamo considerare Internet di oggi come un "percorso fatto di innesti" (bush track) che si evolverà nei prossimi cinque anni in queste mega autostrade internazionali.

Alla fine del millennio (2000) molte persone nel mondo sviluppato potranno essere connesse con grande facilità e ricevere la maggior parte, se non tutte, le informazioni di cui necessitano per via interattiva attraverso reti multimediali. Queste offrono già contenuti e risorse per l’educazione; il tempo libero e il lavoro. Compagnie di providers competono sempre più spietatamente per dividersi il mercato dell’informazione futura. Significative questioni legali, morali e etiche vengono sollevate sia dalla natura delle reti in sé, che dal modo di comportarsi dei governi, delle società, e delle lobby: gruppi che lavorano per dominare o per controllare qualche aspetto di questo mercato.


Che cos’è il multimedia?

Si crede che la frase "computer graphics" abbia fatto la sua prima apparizione nella scheda di un ingegnere presso la compagnia aerospaziale Boeing nel 1963. Nel 1968 il visionario Ted Nelson coniò il termine "ipertesto" e, alla volta degli anni ’70, lui e i suoi colleghi Dick Schoup, Alan Kay e John Warnock, che lavoravano tutti alla XeroxPARC, svilupparono gli strumenti del personal computer. Tuttavia la tecnologia che alla fine avrebbe diffuso a costo effettivo sistemi multimedia integrati nelle piattaforme di personal computer non apparve fino alla metà degli anni ’80 e ancora, dieci anni dopo, gli standard restano in evoluzione.

Se seguiamo una metafora storica e facciamo un confronto tra la fotografia e l’immagine in movimento abbiamo uno iato di 40-50 anni tra l’invenzione di una tecnologia e la sua assimilazione nel processo creativo e l’evoluzione di un linguaggio estetico che sia proprio di questo particolare mezzo tecnologico. Siamo tentati di speculare su cosa possa diventare il multimedia, come maturerà come senso espressivo e presagire quanto sembreranno grotteschi i CD-ROM di oggi e l’offerta della rete una volta che sarà messa in pratica una prospettiva matura.

L’ingente investimento attualmente intrapreso nel multimedia, sia dalle multinazionali che dai governi, renderà possibile l’accelerazione di questa evoluzione o piuttosto ne impedirà uno sviluppo "naturale", rallentandone o forse addirittura impedendone del tutto una crescita completa? In un periodo di razionalismo economico più di questo investimento ci si interessa alla creazione del prodotto. Prodotto che è molto velocemente liquidato, una volta acquistato, diventa la meraviglia dell’ultimo quarto d’ora e subito dopo messa da parte e dimenticata.

Gli artisti hanno la fama di sperimentare con i propri mezzi. Durante il modernismo degli anni ‘60 il mezzo divenne effettivamente per molti artisti il messaggio. Ora, negli anni del declino del post-moderno e la rinascita di quello che Peter French ha descritto come neo-modernismo, molti promuovono un ruolo dell’artista nello sviluppo del linguaggio multimediale.


Mail Art

Gli artisti hanno operato nei mezzi di comunicazione per molti anni. La Mail Art fiorì nel corso degli anni ‘60. Il mio primo contatto fu in un soggiorno di Liverpool nel 1968. Una cartolina attaccata alla parete invitava chi la leggeva a … "attaccare quella cartolina sulla parete di fronte". L’artista giapponese On Kawara spediva cartoline costituite dall’unica e sfrontata annotazione dell’ora e la data in cui erano state inviate o dal semplice messaggio … "Sono On Kawara". Nei primi anni ‘70 realizzai anch’io una mia opera. Una lunga dichiarazione fu spezzettata e imbucata come una cartolina in alcuni recipienti differenti contenenti ciascuno una piccola parte del testo. Nonostante che alcuni recipienti fossero l’un l’altro identificabili, era improbabile che "il messaggio" venisse ricostituito nella sua interezza. Ero esaltato dal potenziale di enigmatico decostruzionismo che si contrapponeva al dominante riduzionismo logico di allora.

Il mercato dell’arte mondiale ha dimostrato di essere estremamente elastico per cercare di rivoluzionare il suo potere. Molti dei formati sviluppati negli anni ‘60 e ‘70 si prefiggevano di creare arte che non potesse essere venerata dal sistema o ridotta a oggetti da investimento dai guru di Green Street, Bond Street e il Quartiere Latino. Le performance degli anni ‘70 di Stuart Brisley, quando si immergeva in una vasca piena di interiora o vomito, erano pensate specificatamente per essere invendibili. Ora però, all’età della pensione, è obbligato e Stuart vende stampe in edizione limitata di queste performance, tramite lo stesso mercato dell’arte che aveva così frontalmente attaccato trenta anni prima.


Telecommunications Art (="Arte delle Telecomunicazioni")

La Mail Art, per alcuni limiti e forse grazie al suo statuto umile, è sopravvissuta ai parassiti del mercato dell’arte e rimane una forma artistica per appassionati. In seguito, negli anni ‘80, lo sviluppo dell’uso di macchine fax ha fornito un mezzo eccellente ed effimero alla Communications Art. "Fax Art" è onestamente un’espressione senza significato e serve a emarginare questa pratica e a ridurne il valore. La varietà di opere d’arte che sono state compiute per mezzo del fax sfida un’etichetta così semplificatoria.

Art Reseaux è un gruppo internazionale che pratica Telecommunications Art con sede a Parigi. Nel loro libro del 1992 (ORO92) Eduardo Kac osserva:

"L’impatto sociale del telefono fa sorgere un’idea d’arte come dialogo, che segue il concetto dell’arte come opera che si crea (object making). Avere compreso l’arte come intercomunicazione ci porta lontano dal problema di cosa sia l’arte o cosa comunichi l’artista per arrivare alla questione della struttura esatta del processo di comunicazione in quanto tale."

Egli continua dicendo…

"L’arte Telematica (Telematic art) … sta inventando il multidialogo tra le reti di comunicazione come una forma di arte collaborativa". (KAC92)

Il "collegamento" dell’Art Reseaux fu incominciato da Gilberto Prado, membro del gruppo, e divenne tipica del loro approccio. Alcune sedi sparse nel mondo sono collegate grazie a connessioni via fax. Ogni sede ha due apparecchi fax. Uno che riceve e l’altro che spedisce. I due fax sono a loro volta connessi da un unico rotolo di carta che fuoriesce costantemente dall’apparecchio ricevente e si dispiega su un lungo tavolo prima di essere consumato dal fax che spedisce. Nel tempo che resta sul tavolo i partecipanti ne accrescono il contenuto con disegni e collage. L’"opera-azione" è un circuito perfetto che mette simultaneamente in relazione tutti i partecipanti, infischiandosene della loro posizione geografica. Il lungo rotolo di carta risultato dell’opera fu esposto alla mostra Art Reseaux presso la galleria Bernanos a Parigi nell’aprile del 1992. Tutti i rotoli di carta furono sospesi dal soffitto obbligando i visitatori a camminarci sotto e a guardare fisso verso l’alto lungo il percorso.

L’opera più conosciuta e ambiziosa del gruppo è "City Portraits" (ORO91) di Karen O’Rourke. Esprimendo un parere sul progetto Frank Popper dice:

"Un altro aspetto di questo progetto riguarda il fatto che non sono importanti le idee o le immagini ma la loro interazione, la loro articolazione in un contesto dove in gioco sono l’intenzione e l’immaginazione.

Si può affermare che questo intreccio di connessioni sia al centro di ogni rete telematica e possa essere ugualmente considerato come parte essenziale dell’attrezzatura indispensabile per ogni Technoscience Art." (POP91)

Roy Ascott, pioniere dell’arte delle reti, in un suo saggio sull’argomento asserisce:

"Quello che la nuova tecnologia, la nuova coscienza e la nuova spiritualità presagiscono è un mondo in cui una molteplicità di realtà possa coesistere, interagire, unirsi o scontrarsi, biforcarsi in una danza senza fine di trasformazioni culturali. Come le reti neurali incontrano le reti di comunicazione planetarie, entrandovi in contatto, così il nostro cervello invaderà la città e questa entrerà nella nostra testa." (ASC91b)

Con lo sviluppo della realtà virtuale e la costituzione del "cyberspazio" e delle reti di comunicazione, l’umanità può essere disabituata dalla sua dipendenza a un’idea unica di realtà che considera tutte le altre illusione o fantasia. Ora siamo confrontati con uno spettro infinito di realtà "immersive" e coerenti che coesistono fianco a fianco, come pari, alla realtà di tutti i giorni: del senso comune. Come ho già espresso altrove, la realtà e l’illusione sono vasi comunicanti e sta emergendo un nuovo sistema di idee (BRO91).

Stéphan Barron è membro del gruppo internazionale "Aesthetics of Communication". All’origine aveva studiato ingegneria ma dal 1983 ha cominciato a creare istallazioni internazionali fondate su la tecnologia della comunicazione. La sua opera più nota è "Lines" (1989) che connetteva otto località in Europa che ricevevano ciascuna regolari comunicazioni via fax di modo che Barron e la sua partner Sylvia Hansmann potessero lavorare lungo il meridiano di Greenwich dalla Manica al Mediterraneo. L’opera è documentata in un saggio di Barron (BAR91) su un numero speciale dedicato alle telecomunicazioni della rivista di arte e tecnologia Leonardo (ASC91a).


Arte delle Reti (Network Art)

Nel 1996 al Festival di Adelaide, Barron esibirà due opere che intrecciano la tecnologia Internet ad alcuni elementi estetici, sociali e politici che la globalizzazione porta con sé.

L’opera OZONE è una critica pertinente della sopravanzante arroganza colonialista delle nazioni del "Primo Mondo" dell’emisfero nord. I tassi di sovrappopolazione insieme agli sbagli, perpetuati dall’etica dello spreco, impliciti al razionalismo economico verso cui sono orientati i consumi, fa si che venga prodotta un’immensa quantità di gas chimici inquinanti che stanno distruggendo lo strato protettivo dell’ozono dell’atmosfera terrestre.

OZONE si rivolge a questo conflitto di volontà globale e nazionalistico. L’artista precede la sua descrizione di OZONE con una citazione tratta dal compositore americano John Cage:

"la funzione dell’Arte non è di comunicare qualcuna delle proprie idee o sentimenti personali ma piuttosto di imitare la natura nel suo modo di operare".

L’opera riflette tra l’altro un lavoro dello stesso Cage "pianoforti addestrati" (="prepared pianos"). OZONE utilizza due pianoforti, uno nella Sym Choon Gallery di Adelaide, e l’altro nella Galleria Donguy a Parigi, in Francia. Suonati entrambi da un procedimento automatico che ha due sorgenti. Uno misura la quantità di ozono inquinante prodotto dalle automobili nelle strade di Parigi. L’altro rileva gli alti valori di raggi ultravioletti dovuti all’assottigliamento dello strato di ozono sopra Adelaide. Barron descrive così questo processo:

"due pianoforti acustici computerizzati situati uno in Europa e l’altro in Australia si scambiano suoni prodotti in accordo con l’ozono che proviene, da un lato dall’inquinamento delle automobili di Parigi, dall’altro in accordo con il buco dell’ozono della stratosfera." "Questa istallazione è metafora di una "pompa d’Ozono" in azione tra quello prodotto dall’inquinamento e l’ozono naturale. Una "pompa d’ozono" tra Europa e Australia, e tra l’uomo e la natura. Questa musica non è elaborata da una sola persona ma dall’attività umana su scala planetaria (l’inquinamento da ozono) e da l’interazione col sole." (BAR95)

OZONE unisce Nord e Sud in un dialogo dinamico a proposito del futuro del pianeta. È inoltre un processo di risanamento che converte i sintomi del problema come manifestazione in simboli digitali, che esprimono simultaneamente dolore per il disastro - mentre si crea uno scambio simbolico, un regalo all’ozono, che ne inverta il processo di assottigliamento - e invocano un rovesciamento dei danni fisici che sono stati perpetrati.

"Il progetto esprime anche l’immaterialità e la complessità di un fenomeno con cui è confrontato l’uomo contemporaneo. L’ozono e i raggi ultravioletti sono fattori di un fenomeno complesso dove la fisiologia umana interagisce con lo sviluppo economico". (BAR95)

Un’altra opera di Barron, DAY&NIGHT unisce est e ovest attraverso una differenza temporale di 12 ore, dando così titolo all’opera. Questa si fonda su un lavoro precedente "Le Blue du Ciel" (="L’azzurro del cielo") prodotta da Barron nel 1994. Due luoghi a distanza di 1000km l’uno dall’altro erano collegati, veniva calcolata la media dei colori del cielo sopra i due punti, e poi mostrata. Barron ha messo in relazione la sua opera con i blu monocromi di Yves Klein:

"Lo scopo di questo progetto si trova nel cielo immaginario, un cielo ubiquo che esiste da qualche parte tra nord e sud, in qualche parte nella nostra immaginazione. Un cielo infinito. L’infinita rete telefonica. Questi monocromi reali e immaginari, cosmici e in armonia coi cieli reali, distanti migliaia di kilometri, continuano il progetto di Yves Klein e dei suoi monocromi." (BAR94)

DAY&NIGHT cambia l’asse dell’opera da nord-sud a est-ovest, mettendo in contatto il Museo d’Arte Contemporanea di San Paolo, in Brasile con la Sym Choon Gallery. Quest’asse di rotazione della terra è anche l’asse del tempo. La distanza geografica produce 12 ore di differenza e quando l’opera fu esposta, l’equinozio, la divisione del giorno e della notte sarebbe stata quasi esatta - di modo che il sole che tramontava a San Paolo stava sorgendo ad Adelaide.

Macchine da presa in ogni galleria riprendevano continuamente e trasmettevano i colori del cielo sopra di loro. Le due immagini venivano sintetizzate e esposte in ciascun luogo. Oltre alla combinazione di crepuscolo e aurora le immagini ottenute sono una mistura di giorno e notte.

È un’opera semplice che tuttavia ha dentro di sé una profonda poesia. Barron dibatte così sul concetto di Interdipendenza Planetaria:

"Diventa sempre più evidente che i nostri destini e le nostre azioni sono legati a quelli di tutti gli esseri umani, perfino quelli più lontani. Lentamente si stanno elaborando una solidarietà e una coscienza planetaria. La bellezza, la poetica della distanza è essenziale. E questo ci permette di ridefinire la nostra coscienza." (BAR95)

La ricchezza di allusioni racchiuse in queste opere si chiarisce nelle nostre menti: caos di frattali, o teorie non lineari dove siamo tutti sottoposti agli effetti di minuscoli cambiamenti lontani; la Noosfera del filosofo gesuita De Chardin; l’inconscio collettivo di Jung; la nascente consapevolezza di simbiosi e interdipendenze dell’erosione dell’individualismo. Mentre nei nostri pensieri fioriscono queste implicazioni, siamo trascinati dentro l’opera e diventiamo parte di una matrice, la rete, il Tao:

"L’ignoto fu il principio di cielo e terra; il noto si fece madre di una miriade di creature. … "Sono entrambi la stessa cosa, divergono nel nome, come si emaneranno. Essendo identici sono stati chiamati misteri, mistero sopra mistero - porta di molti segreti." (LAU63)

Marvin Minsky ha descritto il linguaggio come un set di strumenti per costruire idee nelle menti degli altri (MIN87). Il poeta William Burroughs ha descritto il linguaggio in maniera simile ma più eversivamente come un virus. È questo potere, risultato dal rifiuto di un’autoreferenzialità intrinseca in nome di parametri estrinseci, dei primi semiotici, che dà all’arte fondata su le telecomunicazioni spazio e significato nell’era post-moderna. Diventa un set di strumenti, un virus, un principio, un linguaggio.

Non sorprende dunque che molti degli artisti che lavorano nei mezzi di comunicazione e nella rete rintraccino la loro origine nell’arte come linguaggio, nelle performance e nell’Arte Concettuale degli anni ‘60. È qui che si trovano i primi tentativi organizzati da artisti per una rivoluzione della modernità che mettano in discussione sia il valore che il significato dell’arte visiva, dopo un secolo di sperimentazione impostale dalla fotografia, quando - a metà ‘800 - occupò il campo dell’arte come rappresentazione. Questi artisti affrontarono il sistema delle gallerie, nel periodo di grande fioritura del dopoguerra e molto prima della recessione causata da esso, con opere che resistevano alla monetizzazione e che sfidavano l‘ossequio.

Quello che è particolarmente interessante nelle opere di Barron è l’evocazione storica di "manufatti" modernisti come la land art o il dadaismo, mentre l’uso delle telecomunicazioni mina il bisogno dell’oggetto in sé e aggiunge nello stesso tempo strati di riferimento e di coinvolgimento. La sua opera ci incoraggia pertanto ad ampliare la nostra percezione fuori dal mondo dell’arte, nel regno dei popoli, della politica e dell’economia ed evoca inoltre legami che mostrano le radici dell’autore e la sua riflessione su la tradizione e la storia dell’arte.

Come già detto, Barron è uno degli artisti che partecipano a l’Aesthetics of Communication Group che comprende anche tra gli altri Derrick de Kerckhove e Fred Forest. De Kerckhove è il direttore del McLuhan Project a Toronto e tema comune delle sue opere è l’idea, alla McLuhan, delle telecomunicazioni come estensione e connessione delle menti umane. A un altro membro del gruppo, Mario Costa, fa riferimento Frank Popper in una sua dichiarazione nel 1983:

“In questo tipo di evento, non è importante lo scambio di contenuti, ma piuttosto la rete che viene attivata e le condizioni funzionali dello scambio. L’oggetto estetico è sostituito dall’immaterialità delle tensioni in campo, dall’energia vitale e organica (mentale, muscolare, degli affetti) e dall’energia artificiale o meccanica (elettrica, elettronica) che trasforma il nostro oggetto terreno incentrato sul senso dello spazio e del tempo. Non essendo più definito dalla rigida opposizione essere/non essere, ma diventando parte dello stesso campo energetico in movimento. (POP93)

Nelle opere di Barron l’atto del campionamento digitale del "contesto" (il livello di ozono, il colore del cielo, i valori UVA, ecc.) converte ogni cosa nella stessa forma. Miriadi di 0 e 1 sono trasportati avanti e indietro sulla rete e poi post-processati e ricostituiti come fenomeni sensoriali: come i colori e il suono dell’effettiva opera d’arte a cui noi assistiamo nello spazio espositivo della galleria. Ma questo è soltanto l’ultimo atto di una rete e di un processo il cui scopo è come un catalizzatore: connettere tutti coloro che partecipano in carne e ossa al progetto.

Per questa strada l’opera d’arte smette di essere un oggetto che noi apprezziamo per il suo interesse intrinseco e diventa invece un accesso o un portale a uno spazio virtuale di cui noi facciamo esperienza partecipando. Uno spazio che esiste più nella testa dei partecipanti piuttosto che nel sistema binario della trasmissione di calcolo. Uno spazio dove la capacità di fare scoperte felici sostituisce la logica e dove le straordinarie parole di Kurt Schwitters, l’architetto di Merz: "Io sono il significato di una coincidenza", sono coniugate al plurale e argutamente modificate in "noi siamo la coincidenza del significato".

All’ISEA (=Simposio Internazionale di Arte Elettronica), nel ‘94, l’artista britannico Paul Sermon mostrò la sua opera "Telematic Vision", che era collocata in due posti: all’Helsinki Museum of Art e al Marina, il caffè del principale hotel per congressi. Ognuna conteneva uno stesso divano tinto di blu. Entrambi avevano sopra puntate delle videocamere, tutte e due le immagini venivano trasmesse attraverso una linea ISDN e ricomposte poi insieme su un grande schermo posizionato davanti ai due divani. La semplicità dell’idea ne oscurava la potenza: la gente vedeva se stessa seduta accanto a un vicino virtuale - sebbene di carne e ossa - dall’altra parte della città. Era affascinante guardare come si sistemava e parlava con questi fantasmi "veri". I bambini facevano a guancialate e gli adulti allentavano le proprie inibizioni cercando apertamente un contatto sessuale con questi estranei. Sul catalogo Sermon scrive:

È impossibile rispondere alla domanda su cosa ci fosse prima del linguaggio, su come le nostre coscienze siano completamente dentro una percezione tramite il linguaggio. […] Siamo in un altro periodo di transizione dal linguaggio al mezzo-linguaggio, ed è impossibile immaginare quando e cosa cambierà, ma nel caso sorgesse la domanda su cosa esistesse prima del mezzo-linguaggio, se qualcuno formulasse davvero questa domanda, allora la trasformazione sarebbe già avvenuta. (SER94)

Questa specie di video collegati in tempo reale, usati da Sermon, erano stati preceduti da artisti come Carl Loeffler (e altri) in "Send/Receive" (=Spedire/Ricevere) e in "Satellite Arts Project" di Kit Galloway e Sherrie Rabinowicz, opere realizzate entrambe nel 1977. Galloway e Rabinowicz andarono avanti fondando il Video Café a Santa Monica che resta un centro internazionale per la network art e performance; mentre Loeffler fondò l’ArtCom BBS nel WELL (="Whole Earth (e)Lectronic Link")uno dei primi centri di servizi per artisti su internet.

Con l’avvento dei personal computer, internet video client come CU-SeeMe, la tecnologia si rese disponibile per molti altri artisti, anche se con una larghezza di banda inferiore in tempo e spazio. Questi dispositivi su internet "user friendly"(=amichevoli) hanno consentito una crescita rapida di attività artistica su le reti:


Il World Wide Web

Nel 1990 Tim Berners Lee al CERN (="Centro Europeo Ricerche Nucleari") a Ginevra sviluppò un protocollo multi mediale di scambio sul web che chiamò World Wide Web (="www"). Era stato fatto per rispondere ai fisici teorici che avevano bisogno di un eccellente mezzo di pubblicazione per fare circolare le loro idee in modo più rapido di quello della stampa di giornali. Utilizzando NextStep viene creato un client integrato che permette l’authoring e il browsing (=la navigazione) e, attraverso un semplice browser terminal mode (chiamato www) rese possibile l’accesso dial-up di solo testi. Una delle istituzioni che usavano il WWW era l’americano National Center for Supercomputer Application (="Centro Nazionale di Applicazioni su Supercomputer"), dove uno studente dei primi anni chiamato Marc Andreessen decise di creare un web browser user friendly che chiamò Mosaic. Versioni Beta-test di Mosaic incominciarono ad apparire all’inizio del 1993 e il prodotto fu commercializzato il primo gennaio 1994. Due anni dopo il ventiduenne Andreessen guadagnerà circa 50 milioni di dollari. Mosaic ebbe per Internet lo stesso effetto di quello che il Desktop/Windows aveva avuto per l’usabilità dell’interfaccia sui personal computer. Molte persone che prima si sarebbero sentite molto intimidite a usare i vantaggi della rete presero confidenza per il semplice fatto di puntare e fare un clic. Avevano poi scoperto fin da subito che era piuttosto facile anche la creazione di documenti web. Molti di loro erano artisti e videro nel web un formato ideale per entrare nel campo del virtuale. Il risultato fu una crescita fulminea sul web del numero di "siti" d’arte. Nel gennaio 1994 al massimo ce n’erano appena una decina. Due di questi erano il The Visualisation Lab., dell’Università dell’Illinois a Chicago, e il FineArt Forum Online. Ora ne esistono decine di migliaia. La maggior parte ha poco, per non dire nessun rapporto con il tipo di sviluppo descritto precedentemente. Si tratta di arte esposta sulla rete in una modalità da galleria virtuale che ha poco in comune con l’ideologia postmoderna o l’arte fondata su la comunicazione. La maggior parte di questi siti documenta oggetti centrati su l’opera d’arte e usa il web solo per promuovere e/o vendere queste forme d’arte tradizionali. Esistono delle eccezioni ma sono soffocate dallo scarso tempismo del web e dalle carenze a costruire interazioni dinamiche. Tutto ciò cambierà quando nuovi plug-in, come Macromedia "Shock Wave" e Sun "Java", saranno più diffusamente integrati e sarà migliorata la larghezza di banda delle reti. Il vero colpevole restano comunque i tradizionali dogmi sui media che trasferiamo noi stessi a Internet: chiamiamo le basi di dati su web "pagine" e "siti" quelle sui server. Abbondano metafore tipiche dei mezzi su carta e la stessa impaginazione. È come quando i primi fotografi facevano finta di essere pittori accademici o quando i primi film drammatici copiavano il palcoscenico di un teatro e incorniciavano il film nell’arco di proscenio.

Conclusioni: l’User Friendly, ovvero il dilemma dell’usabilità

È la nostra mancanza nel riuscire ad accorgerci della natura vera di questo mezzo molteplice la limitazione più significativa al suo uso. È mia opinione anche che dispositivi più amichevoli (=friendly) non abbiano aiutato ma anzi impedito lo sviluppo di metodologie intrinseche, rinforzando i vecchi paradigmi. Si trovano ovviamente sul web alcune informazioni e documentazioni eccellenti. È una biblioteca preziosa che ha un raggio d’azione internazionale e arriva direttamente a casa. Io però sto ancora aspettando opere d’arte che abbiano l’impatto delle prime opere descritte poc’anzi. I dispositivi (user friendly) operano adottando metafore del paradigma esistente. In definitiva dicono all’utente … "non c’è niente di nuovo da imparare, le tue capacità e conoscenze possono essere applicate anche a questi nuovi sistemi". Non sorprende quindi che lo sviluppo creativo sia stato cauterizzato e si sia ritardata (o addirittura impedita) l’evoluzione di nuove metodologie e di un dialogo critico. Quello che confonde molti è il valore di egualitarismo sociale dei dispositivi user friendly che hanno introdotto molte persone, che potrebbero però non essere state coinvolte, al metalinguaggio informatico. Sebbene io parli riguardo a preoccupazioni personali, molti potrebbero arrabbiarsi credendo che io stia minacciandogli l’accesso ai nuovi media o che io stia difendendo una posizione elitaria. È mia opinione al contrario che l’accesso di non professionisti è quasi requisito essenziale per l’evoluzione di un linguaggio nuovo. Coloro i quali si sono appena rivolti all’arte hanno molto più da disimparare e da abbandonare, quando il paradigma che li ha nutriti si sposta verso qualcosa di nuovo e sconosciuto. In fotografia furono gli appassionati, grazie alle macchine fotografiche Eastman"box brownie", che infransero tutte le regole e gettarono le basi per l’evoluzione di un nuovo linguaggio fotografico. Il problema è che un dispositivo user friendly su un computer non è semplice come una macchina fotografica "box brownie". È un sistema estremamente sofisticato che cerca di essere qualcos’altro: essere semplice. Come gli alieni nel film L’invasione degli ultracorpi" che fanno finta di essere il signore della porta accanto, naturalmente dipende dalle persone che avete conosciuto nel corso della vostra vita, voi vi siete fidati di loro: questo è qualcosa che mi riguarda.


Bibliografia:

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