Nomadic Power and Cultural Resistance

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Autore:

==Tratto da:== The Eletronic Disturbance, 11-30. New York: Autonomedia, 1994

Titolo Originale:

Nomadic Power and Cultural Resistance

Critical Art Ensamble

Traduzione:

==Anno:== 1994

(dal libro Noah Wardrip-Fruin, Nick Montfort (a cura di), (2003), The New Media Reader, The MIT Press, Cambridge, Massachussets. Pag. 781-790)

Titolo:

La forza nomade e la resistenza culturale

Il termine che descrive nel miglior modo l’attuale condizione sociale è liquescenza. Una volta l’indiscusso indicatore di stabilità, se Dio o la natura, sono caduti nel buco nero dello scetticismo, dissolvendo la posizionata identificazione del soggetto o dell’oggetto. I significati cadono simultaneamente in un processo di proliferazione e condensazione, una volta andando alla deriva, una slittando, accelerando nella antinomia dell’apocalisse e dell’utopia. La localizzazione del potere – e il luogo della resistenza- restano in una zona ambigua senza bordi. Come potrebbe essere altrimenti quando le tracce del potere cadono in transizione tra le dinamiche nomadi e le strutture sedentarie- tra l’ipervelocità e l’iperinerzia? E’ forse utopistico iniziare con il reclamo che la resistenza inizia (e finisce?) con un Nietzscheano lanciato fuori dal giogo della catatonia inspirata dalla condizione postmoderna, e che la natura disgregativa dell’inconscio lascia piccola scelta. Seguendo l’acqua nello stagno del potere liquido non c’è bisogno di un’immagine di acquiescenza e complicità. Nonostante la loro scomoda situazione, l’attivista politico e l’attivista culturale(anacronisticamente conosciuto come l’artista) può ancora produrre dispersione. Anche se alcune azioni assomigliano più strettamente i gesti di una persona che dipinge, e non è certo che cosa è disturbato, in questa situazione il ruolo postmoderno dei dadi favorisce l’atto di dispersione. Dopotutto quale altra speranza c’è? E’ per questa ragione che precedenti strategie di “sovversione‿ (una parola che nei discorsi critici ha più o meno lo stesso significato di “comunità‿), o un attacco camuffato, è andato sotto una nuvola di sospetto. Sapere cosa sovvertire suppone che le forze di oppressione sono stabili e possono essere identificate e separate – una supposizione che è già troppo fantastica in un’età di dialettiche in rovina. Sapere come sovvertire presuppone una comprensione da parte dell’opposizione che resta nel regno della certezza, o (almeno) dell’alta probabilità. Il prezzo per il quale le strategie di sovversione sono elette a membri di un comitato indica che l’adattabilità di potere è troppo spesso sottovalutata; comunque, dovrebbe essere dato credito ai resistenti, alla dimensione che l’atto o il prodotto sovversivo non è reinventato in modo elettivo velocemente quanto l’estetica borghese dell’efficienza dovrebbe dettare. L’intreccio peculiare del cinico e dell’utopico nel concetto di disordine come un gioco d’azzardo necessario è un’eresia per coloro che ancora aderiscono alle narrative del 19esimo secolo, nelle quali i meccanismi e le classi di oppressione, tanto quanto le tattiche avevano bisogno di sopraffarli, sono chiaramente identificati. Dopo tutto, la scommessa è profondamente collegata alle apologie conservative per la Cristianità, e il tentativo di appropriati modelli e retoriche razionaliste di persuadere il decaduto a ritornare all’escatologia tradizionale. Un ex cartesiano come Pascal, o un ex rivoluzionario come Dostoyevsky, rappresenta simbolicamente il suo uso. Ancora bisogna realizzare che la promessa di un futuro migliore, sia secolare che spirituale, ha sempre presupposto l’economia della scommessa. Il collegamento tra storia e necessità è cinicamente umoristico se si guarda indietro alla traccia dei detriti politici e culturali della rivoluzione e delle pseudorivoluzioni in rovina. Le rivoluzioni francesi dal 1789 al 1968 non hanno mai navigato contro l’oscena corrente della “commodity‿(sembra che abbiano aiutato a farsi strada), mentre le rivoluzioni cubana e russa hanno semplicemente rimpiazzato la “commodity‿ con l’anacronismo totalizzante della burocrazia Al massimo, tutto ciò che deriva da queste spaccature è una struttura per una rivisitazione nostalgica di momenti ricostituiti di autonomia temporanea. Il produttore culturale non è mai andato per il meglio. Mallarmè portò al quarto posto il concetto della scommessa in “A Roll of the Dice‿, e forse non volontariamente liberò l’invenzione dal bunker del trascendentalismo che egli sperava di difendere, come rilascio dell’artista dal mito del soggetto poetico. (E’ ragionevole suggerire che De Sade aveva già introdotto tali argomenti precedentemente). Duchamp (l’attacco all’essenzialismo), Cabaret Voltaire (la metodologia della produzione casuale), e Berlin dada (la scomparsa dell’arte nell’azione politica) disturbarono tutti le acque culturali, e ancora aprirono uno dei passaggi culturali per la rinascita del trascendentalismo nel tardo Surrealismo. Come reazione ai tre sopracitati, fu aperto anche un canale per la dominazione formalista (ancora oggi il demone della cultura-testo) che rinchiuse la cultura-oggetto nel mercato della lussuria del tardo capitale. Comunque, il gioco d’azzardo di questi precursori del disordine reinnestò il sogno di autonomia con l’anfetamina della speranza che dà ai produttori e attivisti culturali contemporanei l’energia per aumentare il tavolo da gioco elettronico in modo da girare ancora il dado.

In “The Persian Wars‿, Erodoto descrive persone immaginarie conosciute come Scitiani, che mantenevano una società orticulturale-nomadica invece degli imperi sedentari nella “culla della civilizzazione‿. La patria degli Scitiani nel nord del Mar nero era inospitale sia climaticamente che geograficamente, ma resistette alla colonizzazione non tanto per queste ragioni naturali ma quanto perché non c’erano mezzi economici o militari con i quali colonizzarla o soggiogarla. Con città o territori non fissi, questa “orda errante‿ non potè mai essere realmente localizzata. Di conseguenza, essi non poterono mai essere posti nel difeso e nel conquistato. Essi mantennero la loro autonomia tramite il movimento, facendo sembrare agli estranei che essi erano sempre presenti e portati all’attacco anche se assenti. La paura ispirata dagli Scitiani era abbastanza giustificata, in quanto erano spesso sull’offensiva militare, sebbene nessuno sapesse dove fossero fino al momento della loro istantanea apparizione, o fino a che non venissero scoperte le tracce del loro potere. Un confine fluttuante fu mantenuto nella loro patria, ma il Potere non era una questione di occupazione spaziale per gli Scitiani. Essi vagavano, prendendo territori e tributi alla necessità ovunque si trovassero. Nel fare ciò, essi costruirono un impero invisibile che dominò l’‿Asia‿ per 27 anni, e che si estese fino al sud dell’Egitto. Lo stesso impero non era sostenibile, in quanto la loro natura nomade negava il bisogno o il valore dei territori posseduti. (Le guarnigioni non venivano lasciate nei territori sconfitti). Essi erano liberi di vagare, dato che veniva realizzato velocemente dai loro avversari il fatto che anche quando la vittoria sembrava probabile, per ragioni di praticità era meglio non occuparli, e concentrare invece lo sforzo militare ed economico su altre società sedentarie – cioè, su società in cui un’infrastruttura poteva essere localizzata e distrutta. Questa politica era generalmente rinforzata perché una battaglia con gli Scitiani richiedeva che gli attaccanti dovevano farsi trovare dagli Scitiani. Era straordinariamente raro per gli Scitiani venire catturati in una postazione difensiva. Se agli Scitiani non sarebbero piaciuti i termini di battaglia, essi avrebbero avuto sempre l’opzione di rimanere invisibili, e quindi di preventivare il nemico dal costruire un teatro di operazioni. Questo modello arcaico di distribuzione del potere e di strategia predatoria è stato reinventato dall’elite di potere del tardo capitale con molti fini uguali. La sua reinvenzione è affermata dall’apertura tecnologica del cyberspazio, dove velocità/assenza e inerzia/presenza si scontrano nella hyperrealtà. Il modello arcaico del potere nomade, una volta mezzo per un impero instabile, si è evoluto in un mezzo sostenibile di dominazione. In uno stato di doppio significato, la società contemporanea dei nomadi diventa sia un campo di potere diffuso senza locazione, sia una macchina da vista fissa che appare come spettacolo. Il primo privilegio permette l’apparizione dell’economia globale, mentre l’ultimo agisce come una guarnigione in vari territori, mantenendo l’ordine della “commodity‿ con un’ideologia specifica all’area in considerazione. Sebbene sia il campo di potere diffuso che la macchina da vista siano integrate attraverso la tecnologia, e siano parti necessarie per l’impero globale, è il primo che si è pienamente realizzato nel mito scitiano. Il passaggio da spazio arcaico ad una rete elettronica offre il pieno complemento dei vantaggi del potere nomade: i nomadi militarizzati sono sempre sull’offensiva. L’oscenità dello spettacolo e il terrore della velocità sono i loro compagni costanti. Nella maggior parte dei casi le popolazioni sedentarie si sottomettono all’oscenità dello spettacolo, e con soddisfazione pagano il tributo richiesto, in forma di lavoro, materiale, e profitto. Primo mondo, terzo mondo, nazione o tribù, tutti devono dare il loro tributo. Le nazioni differenziate e gerarchiche, le classi, le razze, e i generi della società sedentaria moderna si mescolano tutti sotto la dominazione nomade nel ruolo dei suoi lavoratori di servizio – nei custodi della cyberelite. Questa separazione, mediata dallo spettacolo, offre tattiche che stanno dietro al modello arcaico nomade. Invece di un ostile saccheggio di un avversario, c’è un bottino amichevole, condotto seducentemente ed estaticamente contro il passivo. L’ostilità dall’oppresso è reincanalata nella burocrazia, che mal indirizza l’antagonismo lontano dal campo di potere nomade. Il ritiro nell’invisibilità della non locazione previene quelli catturati nel lucchetto spaziale panoptico dal definire un luogo di resistenza (un teatro di operazioni), e vengono invece catturati nel cappio del nastro storico di resistere ai monumenti del capitale morto. (Diritti di aborto? Dimostrare sui passi della Corte Suprema. Per la liberalizzazione delle droghe che rallentano lo sviluppo dell’HIV, si scatena il NIH). Non avere più bisogno a lungo di prendere una postazione difensiva è la più grande forza dei nomadi.

Come i nuclei di informazione elettronica straripano di files di persone elettroniche (coloro trasformati in storie di credito, tipi di consumatori, modelli e tendenze, ecc…), di ricerca elettronica, di denaro elettronico, e di altre forme di potere informativo, il nomade è libero di navigare la rete elettronica, capace di incrociare confini nazionali con la minima resistenza da parte delle burocrazie nazionali. Il reame privilegiato dello spazio elettronico controlla le logistiche fisiche della manifattura, in quanto il rilascio di materiali grezzi e delle merci di manifattura richiede il consenso e la direzione elettronici. Tale potere deve essere ceduto al reame cyber, o l’efficienza (e quindi la profittabilità) della manifattura complessa, della distribuzione, e del consumo collasserebbe in uno squarcio comunicativo. La stessa cosa è vera per il militare: c’è il controllo della cyberelite delle ricerche e della diffusione delle informazioni. Senza comando e controllo, il militare diventa immobile, o al massimo limitato alla dispersione caotica nello spazio localizzato. In questo modo tutte le strutture sedentarie divengono serve dei nomadi.

L’elite nomade stessa è in maniera frustante difficile da prendere. Perfino nel 1956, quando C. Wrights Mills scrisse “The Power Elite‿, era chiaro che l’elite sedentaria capiva già l’importanza dell’invisibilità. (Questo era quasi un passaggio dai vaghi marcatori spaziali di potere usati dall’aristocrazia feudale). Mills trovava impossibile dare qualsiasi informazione diretta sull’elite, e venne tralasciata con speculazioni designate dalle discutibili categorie empiriche (ad esempio, il registro sociale). Come l’elite contemporanea si muove dalle aree urbane centralizzate allo cyberspazio decentralizzato e deterritorializzato, il dilemma di Mills diventa sempre più aggravato. Come può essere criticamente stimato un soggetto che non può essere localizzato, esaminato, o almeno visto? L’analisi di classe raggiunge un punto esaustivo. Soggettivamente c’è un sentimento di oppressione, e ancora è difficile localizzare un oppressore. Con tutta probabilità, non è una vera e propria classe – cioè, un aggregato di persone con interessi politici ed economici comuni – ma una coscienza elitaria militare acquisita. La cyberelite è ora un’entità trascendente che può essere soltanto immaginata. Anche se essi abbiano integrato motivi programmati non è noto. Forse così, o forse le loro azioni predatorie frammentano la loro solidarietà, lasciando selciati elettronici condivisi e magazzini d’informazione come la sola base di unità. La paranoia dell’immaginazione è il fondamento per un migliaio di teorie cospiratorie – di cui tutte sono vere. Gira il dado. Lo sviluppo di un assente e potenzialmente inattaccabile potere nomade, associato alla visione posteriore della rivoluzione in rovina, ha mutato di recente la voce di contestazione. Tradizionalmente, durante tempi di disillusione, iniziano a dominare le strategie di riparismo. Per il produttore culturale, numerosi esempi di partecipazione cinica popolano il paesaggio della resistenza. Viene alla mente l’esperenzia di Baudelaire. Nel 1848 a Parigi egli combattè sulle barricate, guidato dalla nozione che “la proprietà è un furto‿, soltanto per tornare al nichilismo cinico dopo il fallimento della rivoluzione. (Baudelaire non è mai stato capace di arrendersi completamente. Il suo uso del plagio come una strategia coloniale inversa richiama forzatamente la nozione che la proprietà è un furto). L’iniziale progetto surreale di Andrè Breton – sintetizzando la liberazione del desiderio con la liberazione del lavoratore – si disfece di fronte alla nascita del fascismo. (Dovrebbero essere notate anche le conversazioni personali di Breton con Louis Aragon sulla funzione dell’artista come agente rivoluzionario. Breton non abbondonò mai l’idea dell’io poetico come una narrativa privilegiata). Breton abbracciò sempre più il misticismo negliu anni ’30, e finì col ritirarsi totalmente nel trascendentalismo. La tendenza dell’ “operaio culturale‿ disilluso a ritirarsi verso l’introspezione per mettere da parte la domanda illuminista di “Cosa bisogna fare con la situazione sociale alla luce del potere sadico?‿ è la rappresentazione della vita attraverso la negazione. Non è che la liberazione interiore sia indesiderabile e non necessaria, ma solo che essa non può diventare singolare o privilegiata. Per distogliersi dalla rivoluzione della vita quotidiana, e porre resistenza culturale sotto l’autorità dell’io poetico, ha sempre portato alla produzione culturale che è il modo più semplice per commerciare e burocratizzare. Dal ponto di vista americano postmoderno, la categoria del 19esimo secolo dell’io poetico (come viene delineata dai Decadenti, dai Simbolisti, dalla scuola di Nabis, ecc.) è venuta a rappresentare complicità e acquiescenza se presentata come pura. La cultura dell’appropriazione ha eliminato questa opzione in e di se stessa. (Essa ha ancora qualche valore come punto di intersezione. Ad esempio, bell hooks la usa proprio come un punto di entrata ad altri argomenti). Sebbene necessiti di revisioni, il motto modernista di Asger Jorn “L’avanguardia non molla mai!‿ ha ancora qualche rilievo. La rivoluzione in rovina e il labirinto dell’appropriazione hanno svuotato la certezza confortante della dialettica. Lo spartiacque marxista, durante il quale i mezzi di oppressione avevano una chiara identità, e l’itinerario della resistenza era non lineare, è scomparso nel vuoto dello scetticismo. Comunque, questa non è una scusa per arrendersi. Il surrealista ostracizzato, Georges Bataille, presenta un’opzione ancora non del tutto esplorata: Nella vita quotidiana, invece che affrontare l’estetica dell’utilità, attaccare alle spalle tramite l’economia irrazionale del perverso e del sacrificale. Una tale strategia offre la possibilità di intersecare il turbamento esteriore ed interiore. Il significato del movimento di disillusione da Baudelaire a Artaud è che i suoi praticanti immaginavano l’economia sacrificale. Comunque, la loro concezione del se fu troppo spesso limitata ad un teatro di tragedia elitario, riducendola così a una risorsa per lo sfruttamento “artistico‿. Per complicare ulteriormente le questioni, la presentazione artistica del perverso fu sempre così seria che i luoghi di applicazione erano spesso conseguentemente trascurati. La stupefacente realizzazione di Artaud che il corpo senza organi era apparso, nonostante egli sembrò insicuro di ciò che dovesse essere, fu limitata alla tragedia e all’apocalisse. Segni e tracce del corpo senza organi appaiono in tutta l’esperienza banale. Il corpo senza organi è Ronald McDonald, non un esteta esoterico; dopo tutto, c’è un posto critico per la commedia e lo humor come mezzi di resistenza. Forse questo è il più grande contributo del Situationist International all’estetica postmoderna. Il Nietzsche danzante vive. In aggiunta al riparismo esteticizzato, una varietà più sociologica si appella ai resistenti romantici – una versione primitiva della scomparsa nomade. Questo è il ritiro disilluso verso aree fissate che eludono la sorveglianza. Tipicamente, il ritiro è verso le aree rurali meno inclini alla cultura, o verso gli agglomerati urbani deterritorializzati. Il principio base è raggiungere l’autonomia nascondendosi dall’autorità sociale. Come nelle società di banda la cui cultura non può essere toccata perchè introvabile, la libertà è aumentata per coloro che partecipano al progetto. Comunque, a differenza delle società di banda, che emergevano all’interno del territorio dato, queste comunità trapiantate sono sempre suscettibili di infezioni da parte dello spettacolo, del linguaggio, e perfino della nostalgia per precedenti ambienti, rituali, e abitudini. Queste comunità sono inerentemente instabili (il che non è necessariamente negativo). Se queste comunità possano essere trasformate da fondamenta per il disilluso e lo sconfitto (come nei tardi anni ’60 e ’70 in America) a basi effettive di resistenza, rimane da vedersi. Bisogna comunque domandarsi se un’ effettiva base sedentaria di resistenza non sarà velocemente scoperta e minata, cosicchè non durerà abbastanza a lungo da produrre un effetto.

Un’altra narrativa del 19esimo secolo che persiste oltre la sua vita naturale è il movimento laburista – cioè, la credenza che la chiave per la resistenza è avere un corpo organizzato di lavoratori che fermino la produzione. Come la rivoluzione, l’idea dell’unione è stata distrutta, e forse non è mai esistita nella vita quotidiana. L’ubiquità di scioperi interrotti, concessioni e licenziamenti attesta che ciò che è chiamata un’unione non è nient’altro che una burocrazia laburista. La frammentazione del mondo – dialetti, regioni, primo e terzo mondo, ecc., come mezzi di disciplina da parte del potere nomade – ha anacronizzato i movimenti laburisti nazionali. I luoghi di produzione sono troppo mobili e le tecniche di gestione troppo flessibili per l’azione laburista per essere effettivi. Se il lavoro in un’area si oppone alle richieste di una grossa impresa, un consorzio alternativo di lavoro viene trovato velocemente. Il movimento degli stabilimenti Dupont e General Motors in Messico, ad esempio, dimostra quest’abilità nomade. Il Messico come colonia lavoro permette anche la riduzione del costo unità, eliminando “gli standard salariali‿ e i benefici dei lavoratori del primo mondo. La velocità del mondo della grande impresa è pagata dall’intensificazione dello sfruttamento; la frammentazione prolungata del tempo e dello spazio rende ciò possibile. La misura e la disperazione del consorzio di lavoro del terzo mondo, in congiunzione con sistemi politici complici, non fornisce al lavoro organizzato alcuna base dalla quale negoziare. I “Situazionisti‿ tentarono di lottare contro questo problema rifiutando il valore sia di lavoro che di capitale. Tutti dovrebbero smettere di lavorare – i proletari, i burocrati, i lavoratori di servizio, tutti. Sebbene sia facile simpatizzare con questo concetto, esso presuppone un’unità non pratica. La nozione di uno sciopero generale era fin troppo limitata; esso venne insabbiato nelle battaglie nazionali, mai andando oltre Parigi, e alla fine esso fece un piccolo danno alla macchina globale. La speranza di uno sciopero più elitario che si manifestasse nel movimento di occupazione fu una strategia anch’essa che morì in partenza, per la stessa ragione. Il piacere dei “Situazionisti‿ nell’occupazione è interessante nella misura in cui esso era un’inversione del diritto aristocratico alla proprietà, sebbene proprio questo fatto lo fa sospettare dal suo principio, dato che perfino le strategie moderne non dovrebbero far altro che cercare di invertire le istituzioni feudali. Il rapporto tra occupatione e proprietà, come è presentato nel pensiero sociale conservativo, fu appropriato dai rivoluzionari nella prima rivoluzione francese. La liberazione e l’occupazione della Bastiglia fu meno significativa per i pochi prigionieri rilasciati, tanto da segnalare che ottenere la proprietà attraverso l’occupazione è un’arma a doppio taglio. Questa inversione rese la nozione di proprietà una giustificazione conservativamente attuabile al genocidio. Nel genocidio irlandese del 1840, i possedenti terrieri inglesi capirono che sarebbe stato più remunerativo usare le loro tenute per allevare animali da pascolo rispetto che lasciare i mezzadri lì che tradizionalmente occupavano il territorio. Quando il carbonchio della patata scoppiò, distruggendo i raccolti dei mezzadri e rendendoli incapaci di pagare l’affitto, venne percepita un’opportunità per uno sfratto di massa. I landlords inglesi richiesero e ricevettero assistenza militare da Londra per scacciare i mezzadri e per assicurarsi che essi non rioccupassero il territorio. Certamente i mezzadri credevano di avere il diritto di stare nel territorio per la loro lunga occupazione di esso, incuranti del fatto che non potessero pagare l’affitto. Sfortunatamente, i mezzadri vennero trasformati in un puro eccesso di popolazione poichè il loro diritto di proprietà derivante dall’occupazione non fu riconosciuto. Le leggi furono approvati negandogli il diritto di immigrare in Inghilterra, lasciando migliaia a morire senza cibo o un riparo nell’inverno irlandese. Alcuni furono in grado di immigrare negli Stati Uniti e sopravvissero ma soltanto come miserabili profughi. Nel frattempo, negli stessi Stati Uniti, il genocidio dei Nativi americani era ampiamente in corso, giustificato in parte dalla credenza che, dato che le tribù native non possiedevano terra, tutti i territori erano aperti, e una volta occupati (investiti di valore sedentario), potevano essere “difesi‿. La teoria dell’occupazione è stata più amara che eroica.

Nel periodo postmoderno del potere nomade, i movimenti di lavoro e occupazione non sono stati relegati ad ammasso di rottami storico, ma non hanno neanche continuato a esercitare la potenza di una volta. Il potere elitario, essendosi sbarazzato delle sue basi nazionali e urbane per vagare in assenza sui sentieri elettronici, non può essere a lungo interrotto da strategie predicate sulla contestazione delle forze sedentarie. I monumenti architettonici del potere sono vani e vuoti, e funzionano adesso soltanto come bunkers per i complici e coloro che acconsentono. Questi sono luoghi sicuri che rivelano pure tracce di potere. Come con tutta l’architettura monumentale, essi tacciono resistenza e risentimento dai segni di risoluzione, continuità, commodificazione e nostalgia. Questi luoghi possono essere occupati, ma per fare ciò non si interromperà il flusso nomade. Nella migliore delle ipotesi, una tale occupazione è un disordine che può essere reso invisibile attraverso la manipolazione dei media; un bunker particolarmente valutato (come una burocrazia) può essere facilmente rioccupato dalla macchina da guerra postmoderna. I valori elettronici dentro il bunker, di certo, non possono essere presi da misure fisiche. La rete che connette i bunkers – la strada – è di così piccolo valore per il potere nomade che è stata lasciata alle sottoclassi. (Un’eccezione è il più grande monumento mai costruto alla macchina da guerra: il sistema autostradale interstatale. Ancora stimato e ben difeso, questo luogo mostra quasi nessun segno segno di disordine). Lasciare strada alla più alienata delle classi assicura che soltanto una profonda alienazione può essere presente lì. Non soltanto la polizia, ma i criminali, i tossicodipendenti e perfino i senza casa sono stati usati come disturbatori degli spazi pubblici. L’attuale apparenza delle sottoclassi, in congiunzione alla spettacolarizzazione dei media, hanno autorizzato le forze dell’ordine a costruire la percezione isterica che le strade sono insicure, malsane e inutili. La promessa di sicurezza e familiarità attira orde di persone che non sospettano negli spazi spazi pubblici privatizzati come centri commerciali. Il prezzo di questo protezionismo è la perdita della sovranità individuale.Niente se non la “merce‿ ha valore nei centri commerciali. Le strade in particolare e gli spazi pubblici in generale sono in rovina. Il potere nomade parla ai suoi seguaci attravesro l’autoesperienza dei media elettronici. Più piccolo è il pubblico, più è grande l’ordine. L’avanguardia non si arrende mai , eppure le limitazioni dei modelli antiquati e dei siti di resistenza tendono a spingere la resistenza dentro al vuoto della disillusione. E’ importante mantenere i bunkers sotto assedio; tuttavia il vocabolario della resistenza deve essere ampliato per includere i mezzi del disordine elettronico. Proprio come l’autorità situata nella strada era una volta fronteggiata da dimostrazioni e barricate, l’autorità che si colloca nel campo elettronico deve essere affrontata con la resistenza elettronica. Le strategie spaziali non dovrebbero essere la chiave in questo tentativo, ma sono necessarie come supporto, almeno nel caso di un disordine a largo spettro. Queste strategie più vecchie dello scontro fisico sono anche meglio sviluppate, mentre le strategie elettroniche non lo sono. E’ tempo di rivolgere l’attenzione alla resistenza elettronica, sia in termini di bunker sia di argomento nomade. Il campo elettronico è un’area di cui se ne sa poco; in un tale gioco d’azzardo, uno dovrebbe essere pronto a fronteggiare gli ambigui e imprevedibili rischi di una resistenza non sperimentata. Ci si deve aspettare un’arma a doppio taglio. Il potere nomade dev’essere ristretto nel cyberspazio invece che nello spazio fisico. Il giocatore d’azzardo postmoderno è un giocatore elettronico. Un piccolo ma coordinato gruppo di hackers potrebbe introdurre virus, worms, bombe elettroniche dentro le banche dati, i programmi, e i networks dell’autorità, possibilmente portando la forza distruttrice dell’inerzia nel reame nomade. L’inerzia prolungata eguaglia il collasso dell’autorità nomade a livello globale. Una tale strategia non ha bisogno di un’azione di una classe unificata, e neanche di un’azione simultanea in numerose aree geografiche. Il meno nichilistico potrebbe resuscitare la strategia dell’occupazione tenendo dati come ostaggio invece della proprietà. Qualsiasi sia il mezzo che disturba l’autorità elettronica, la chiave è disturbare totalmente il comando e il controllo. Sotto tali condizioni, tutto il capitale morto nell’intreccio militare/corporativo diventa una perdita economica – materiale, equipaggiamento e potere del lavoro, tutti sarebbero lasciati senza mezzi di impiego. Il tardo capitale collasserebbe sotto il suo stesso peso eccessivo. Anche se questo suggerimento non è nient’altro che uno scenario fantascientifico, questa narrativa rivela problemi che devono essere indirizzati. Molto più ovvio è che coloro che sono attratti dalla realtà cibernetica sono generalmente un gruppo depoliticizzato. Molte infiltrazioni dentro il cyberspazio sono state sia vandalismi per gioco (come con il programma ladro di Robert Morris o la stringa di virus per pc come Michelangelo), sia spionaggio politico poco assennato (l’hacking ai computers militari di Markus Hesse, che fu probabilmente fatto per beneficio del KGB), sia vendette personali contro una particolare sorgente di autorità. Il codice etico dell’hacker scoraggia ogni atto di disordine nel cyberspazio. Anche se la Legione di Doom (un gruppo di giovani hackers che mettono paura ai servizi segreti) dichiara di non aver mai danneggiato un sistema. Le loro attivita erano motivate dalla curiosita sui sistemi di computer, e credono nell’accesso libero alle informazioni. Al di la di questi focalizzati aspetti con informazioni decentralizzate, i pensieri e l’azione politica non sono mai entrati nella coscienza del gruppo. Tutti i problemi che hanno avuto con la legge( e solo alcuni membri infrangono le leggi) riguardavano la frode del credito o invasioni elettroniche. Il problema è lo stesso quando si politicizzano gli scienziati che ricercano delle linee guida per difendersi da questo sviluppo. Bisogna chiedersi, come questa classe è chiamata a destabilizzare o rompere il proprio mondo? Per complicare ancora di più i problemi, solo pochi capiscono la specializzata conoscenza necessaria per queste azioni. La profonda Ciber-realtà è la minima democrazia di tutte le frontiere. Come è stato spiegato sopra i cyberlavoratori come una classe professionale non devono essere pienamente uniti, ma come può una parte grande di questa classe essere arruolata per mettere in atto una distruzione, specialmente quando la ciber-realtà è sotto il nostro stato d’arte e sorveglianza?Questi problemi hanno disegnato molti “artisti‿ di media elettronici, e questo ha provocato una contemporanea arte elettronica così politicamente caricata. Da qui è spiacevole che scienziati o lavoratoti-tecnici, genereranno una teoria di disturbo elettronico, gli artisti attivisti (come altri gruppi interessati) sono stati lasciati con la responsabilità di aiutare a provvedere un discorso critico su quello che è un pilastro nello sviluppo di questa nuova frontiera. Appropriandosi della legittima autorità di “creazione artistica‿, e utilizzandola come significato per stabilire un forum pubblico per la speculazione su un modello di resistenza con l’emergente tecno cultura, il produttore di cultura può contribuire alla perpetua lotta contro l’autoritarismo. In oltre, concrete strategie di comunicazione di immagine – testo, sviluppate attraverso l’uso di tecnologiche sono cadute nella rottura della guerra delle macchine, consentiranno meglio a quelle interessate, di inventare materiale esplosivo da lanciare contro i bunker politici e economici. Spedendo, libellisti,teatri di strada, arti pubbliche, tutto era utile nel passato. Ma come ricordato sopra, dove è il “pubblico‿; chi è in strada? Giudicando il numero di ore che le persone in media passano davanti alla televisione, sembra che il pubblico sia ingaggiato elettronicamente. Il mondo elettronico comunque, non è pienamente stabilito da significati, ed è tempo di trarre vantaggio da questa fluidità attraverso le invenzioni, prima eravamo lasciati solo con una critica di fronte agli armamenti. I bunkers sono già stati descritti come spazi pubblici privatizzati che servono a varie funzioni particolareggiate, come la continuità politica (uffici governativi o monumenti nazionali), o aree per la frenesia del consumo (centri commerciali). In linea con la tradizione feudale della mentalità della fortezza, il bunker garantisce sicurezza e familiarità in cambio della perdita della sovranità individuale. Esso può agire come un agente seducente che offre l’illusione credibile della scelta di consumo e la pace ideologica per i complici, oppure può agire come una forza aggressiva che chiede acquiescenza per il resistente. Il bunker porta quasi tutti nel suo interno con l’eccezione di coloro che sono stati lasciati a sorvegliare le strade. Dopo tutto, il potere nomade non offre la scelta di non lavorare o di non consumare. Il bunker è un tale caratteristica della vita quotidiana che abbraccia tutti che perfino il più resistente non può sempre accostarla criticamente. L’alienazione, in parte, discende da questa incontrollabile trappola nel bunker. I bunkers variano in apparenza quanto in funzione. Il bunker nomade – il prodotto del “villaggio globale‿ – ha sia una forma elettronica che architettonica. La forma elettronica è testimoniata come media; come tale essa cerca di colonizzare la residenza privata. La distrazione informativa fluisce in una corrente incessante di finzioni prodotte da Holliwood, Madison Avenue, e la CNN. L’economia del desiderio può essere sicuramente vista attraverso la finestra familiare dello spazio dello schermo. Sicura nel bunker elettronico, una vita di autoesperienza alienata (una mancanza del sociale) può continuare nella quieta acquiescenza e nella profonda privazione. Lo spettatore è portato nel mondo, il mondo nello spettatore, tutti mediati attraverso l’ideologia dello schermo. Questa è una vita virtuale in un mondo virtuale. Come il bunker elettronico, il bunker architettonico è un altro luogo dove la velocità hyper e l’inerzia hyper si intrecciano. Tali bunkers non sono ristretti a confini nazionali; infatti, essi circondano il globo. Sebbene non possano attualmente muoversi attraverso lo spazio fisico, essi simulano l’apparenza di trovarsi ovunque al tempo stesso. L’architettura stessa dovrebbe variare considerevolmente, anche in termini di tipi particolari; tuttavia, il logo o il totem di un tipo particolare è universale, come lo sono le sue derrate alimentari. In senso generale, ciò è la sua ridondante partecipazione a queste caratteristiche che lo rendono così seducente. Questo tipo di bunker era tipico del primo tentativo del potere capitalistico di diventare nomade. Durante la controriforma, quando la Chiesa Cattolica capì durante il Concilio di Trento (1545-63) che la presenza universale era una chiave di potere nell’età della colonizzazione, questo tipo di bunker venne al mondo. (Esso prese il pieno sviluppo del sistema capitalistico per produrre la tecnologia necessaria a ritornare al potere attraverso l’assenza). L’apparenza della chiesa nelle aree di frontiera sia orientali che occidentali, l’universalizzazione del rituale, il mantenimento della relativa magnificenza nella sua architettura, ed il marcatore ideologico del crocifisso, tutto ciò cospirò a presentare uno spazio fidato di familiarità e sicurezza. Ovunque una persona si trovasse, la patria della chiesa stava aspettando. In tempi più contemporanei, gli archi gotici si sono trasformati in archi dorati. Quello di McDonald è globale. Ovunque venga aperta una frontiera economica, c’è un McDonald. Puoi viaggiare dove vuoi e gli stessi hamburger e coca cola ti aspettano. Come la piazza di Bernini a San Pietro, gli archi dorati giungono ad abbracciare i loro clienti – tanto li consumano quanto li abbandonano una volta finiti. Mentre nel bunker i confini nazionali sono una cosa del passato, infatti ti senti a casa. Perché viaggiare allora? Dopo tutto, ovunque tu vada, tu sei già là. Ci sono anche bunkers sedentari. Questo tipo è chiaramente nazionalizzato, e da qui il bunker di scelta per i governi. E’ il tipo più antico, apparendo all’alba della società complessa, e raggiungendo un picco nella società moderna con conglomerati di bunkers sorti da un capo all’altro dell’estendersi urbano. Questi bunkers sono in alcuni casi l’ultima traccia del potere nazionale centralizzato (la Casa Bianca), o in altri casi, essi sono luoghi per fabbricare un’elite culturale complice (l’università), o luoghi di continuità industriale (monumenti storici). Questi sono luoghi più vulnerabili al disordine elettronico, in quanto le loro immagini e mitologie sono le più semplici da appropriarsi. In qualsiasi bunker (insieme alla sua geografia, territorio ed ecologia assegnatigli) il produttore culturale resistente può ottenere meglio il disordine. C’è abbastanza tecnologia di consumo adatta a riscrivere almeno temporaneamente il bunker con immagine e linguaggio che rivelano il suo intento sacrificale, così come l’oscenità della sua estetica utilitaria borghese. Il potere nomade ha creato il panico nelle strade, con le sue mitologie di sovversione politica, di deterioramento economico e di infezione biologica, che a loro volta producono un’ideologia di fortezza, e da qui la richiesta di bunkers. E’ necessario a questo punto portare il panico nel bunker, interrompendo così l’illusione di sicurezza e lasciando nessun posto per nascondersi. L’incitamento al panico in tutti i luoghi è il gioco d’azzardo postmoderno.