Orlandoni Massimiliano

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Biografia

Massimiliano Orlandoni (1967, vive e lavora a Castelfidardo - An) non segue studi ad indirizzo artistico e neanche accademie d’arte. E' autodidatta. Tutto inizia nel 1990 durante un viaggio. IL DIAVOLO SULLE COLLINE, pubblicato in volume nel maggio 1998, è il suo primo lavoro. Portato avanti dal 1992 al 1996, verrà esposto a Cordoba e Malaga (Spagna), Graz (Austria) e Bratislava (Slovacchia) e verrà recensito nelle principali riviste italiane. Il lavoro successivo è ATTIMI D’ISTANTE PRIMA DELLA MORTE esposto prima ad Arles in Francia e presentato poi nel 1999 nella Galleria The Prinz a Kyoto in Giappone. E’ anche l’epoca dell’approccio sperimentale dei suoi lavori con la poesia e nel 1998 viene pubblicato il lavoro dal titolo OMBRE DEI PENSIERI. Nel 1999 presenta a Venezia nel Palazzo Querini Dubois il lavoro LA CITTA’ DEI VISI PERDUTI. A maggio del 2000 è a Milano al Palazzo della Triennale dove espone TRILOGIA DELLA NATURA. Sempre nello stesso anno inizia L’ISOLA DI DERI. Il lavoro, nel novembre del 2001, viene esposto al Museo d’Arte Contemporanea di Zilina in Slovacchia e pubblicato in volume nel dicembre 2002. E' di questo periodo l'opera DESTINO. Un lavoro composto da due ante di una vecchia finestra. Su di esse la storia narra di una purificazione, di una identità cosmica generata dalla luce. Dopo il culmine del nero assistiamo al graduale dominio del bianco. Nel frattempo, nel settembre del 2000 nasce a Barcellona il progetto Casa-Atelier. Creare una casa d’artista che riproduca elementi del mondo mediterraneo. Lavora personalmente alla ristrutturazione di un immobile in centro storico a Castelfidardo nelle Marche ed il 26 settembre 2004 inaugura il suo Atelier Chambre. Dal 2006 decide che i suoi lavori non rechino più un titolo esplicativo ma la loro semplice numerazione cronologica preceduta dalle sue iniziali. A marzo del 2006 viene insignito dalla Città di Castelfidardo con la Medaglia al Talento e a dicembre dello stesso anno viene inserito nel volume Le Marche e il XX secolo - Federico Motta Editore.

Critica

Giovanna Bonasegale

Massimiliano Orlandoni. Un linguaggio contemporaneo da una tradizione antica.

Nel 1999 a Venezia, nella sale di Palazzo Querini Dubois, era esposto un nucleo di opere di Massimiliano Orlandoni, La città dei visi perduti: fotografo già noto alla critica e al pubblico per una serie di lavori - Il diavolo sulle colline, Ombre dei pensieri, Attimi d’istante prima della morte - presentati in mostre in Italia e all'estero e successivamente raccolti in volumi. La sua esperienza, la vocazione e l'abilità gli avevano consentito di lavorare per anni a fianco di Mario Giacomelli. L'appartenenza all'ambito della fotografia "pura" sembrava fuori di discussione. Eppure, subito dopo, nel 2000, comincia nelle sue opere fotografiche un dialogo tra fotografia e pittura, che dapprima definirei 'timido' e che nel tempo diventa sempre più stretto e rigoroso, fino a queste opere ultime polimateriche, la cui base, superficie prima, è ancora la stampa fotografica.

Il punto di svolta è fin qui riconosciuto nel ciclo L'isola di Deri, al quale aggiungerei senz'altro la Trilogia della natura, dove, in effetti, compare per la prima volta la pennellata, di tempere colorate, all'inizio quasi incerta, preoccupata, sulla cornice di legno e in piccolissime zone dell'opera, poi via via più sicura, voluta, quasi ardita sopra la superficie fotografica. Una pennellata che non serve più semplicemente a "sporcare" la superficie, ma che integra con fermezza la qualità del lavoro e contribuisce a far assumere al linguaggio di Orlandoni una declinazione sintattica nuova. Così esprime non un cambiamento, ma una modificazione nella sua poetica, avvalendosi sì di una scelta diversa dei mezzi tecnici, ma sapendoli integrare nel rispetto di una riflessione attenta e già consolidata sulla forza espressiva dell'opera.

Fino al 2006 vediamo con grande chiarezza una continuità di temi e soprattutto di impianto spaziale che rendono non facilmente distinguibili le fotografie dalle opere pittoriche; per dirlo meglio: la fotografia ha in sé i germi della pittura e la pittura mantiene la derivazione fotografica. L'intervento della materia, dunque, nel percorso di Massimiliano, era in qualche modo necessitato. La sua poetica si va modificando - e si è modificata ancor di più negli anni recenti - quando si accorge che la fotografia lo sta portando verso il nero assoluto, verso il buio della memoria e sa benissimo che il Quadrato nero appartiene all'avanguardia del Novecento e che è inutile ripeterlo oggi. Si rende conto, allora, che è pronto e che deve confrontarsi con l'unione dei due media che per eccellenza uniscono fotografia e pittura, la luce e la materia, e che soltanto insistendo su questo accostamento riuscirà a far emergere un discorso innovativo e lontano da qualsiasi contaminazione. E' con determinazione che persegue il suo obiettivo, riuscendo a fondere segno, colore, materia nella loro essenzialità, minimali, ridotti, scabri. Ma non abbandona il mezzo fotografico: anzi se ne serve per presentarlo come l'asse portante di ogni sua opera.

Ed eccoci alle opere recenti presentate in questa mostra. Ormai non si può e non si deve più parlare di tangenze, di accostamenti, di fusione tra fotografia e pittura: si parla semplicemente di una espressione estetica, che si manifesta nelle singole opere con una tecnica sapiente, ormai consolidata e sperimentata e che - per quei paradossi che per fortuna popolano la storia dell'arte - proprio attraverso un linguaggio innovativo va recuperando la tradizione del dipinto, la sua essenza più profonda, la sua intensità. Accuratissimi lavori i suoi, che danno adito a molte considerazioni sulla stessa poetica dell'arte contemporanea. All'attenzione del pubblico, e deglI addetti ai lavori, è proposta una vigorosa rivalutazione di linguaggi, che potremmo definire attinti dalla tradizione classica delle arti visive: l'interesse per la composizione spaziale, l'indagine sulla struttura formale del dipinto, il rilievo per il concetto di "frammento", l'analisi dei toni di luce e dei conseguenti effetti cromatici.

Quello di Massimiliano è un sentiero tortuoso - e anche insidioso - che lo ha portato alle conseguenze estreme del rifiuto del nero che prevaleva sul bianco. Conosciamo il valore alchemico del nero e del bianco, ma mi piace ricordarlo qui, perché penso che sia importante nella storia di Massimiliano Orlandoni, anche se non ne abbiamo parlato insieme. Come un alchimista, Massimiliano prepara i colori, impasta le materie, fruga nei meandri della natura, cerca e trova oggetti di scarto, rifiuti industriali, lavora come il più provetto degli artigiani con ogni tipo di materiale. Direi che la costruzione di ogni opera si snoda attraverso una serie di procedimenti tanto attenti, studiati quanto lenti, nell'attesa - e nel rispetto - delle risposte della materia, in una consonanza lucida e paziente. Le sue radici di fotografo del resto richiedono un'attenzione non superficiale all'oggetto e nei polimaterici abbiamo visto come la stampa fotografica giochi un ruolo indiscutibile. Come in un alchimista la ricerca cromatica di Massimiliano aspira alla purezza e la sperimentazione della nigredo altro non è se non il passaggio obbligato verso l'ascesa spirituale, alla quale si potrà accedere soltanto con il passaggio successivo della albedo, il rischiaramento, l'imbiancamento. Il nero che si disfa raccoglie in sé e mostra gli altri colori puri: emerge il colore bianchissimo del solfato di bario - la carta baritata - su cui emulsiona le fotografie e poi aggiunge le altre materie, prima tra tutte, nelle opere recenti, la polvere di marmo, anche questa manufatta con un procedimento lungo e complesso. L'ultimo strato è di colore bianco per togliere le impurità delle polveri.

Ma quale interesse suscitano oggi le opere di Massimiliano Orlandoni? Che cosa ci propone?

In primo luogo un racconto per frammenti, tracce della memoria, ma non di quella onirica, vagheggiata più che vissuta. Quella di Massimiliano è una memoria di realtà, di oggetti, di storia e di storie sottratte al loro contesto e lasciate alla nostra stessa memoria, a una elaborazione sentimentale stimolata dalla osservazione e da una rielaborazione di forme ed elementi primari. Si tratta di segni, di stratificazioni, di raccordi formali che immediatamente ci inducono a una sosta, che richiamano a noi che guardiamo lo sguardo di un altro, che è stato capace di sottrarre segmenti di realtà per riproporceli arricchiti delle sue emozioni. Ancora una modificazione, oggi nelle sue opere, rispetto a quando era fotografo 'puro': allora l'opera nasceva dall'esterno, dall'attenzione diretta all'oggetto, alla luce, allo spazio. Adesso è come se nascesse dall'interno, da suggestioni che lo spingono a cercare dentro di sé, prima che fuori, una chiave interpretativa della realtà così come ci è data. La sua attenzione a ogni particolare è quasi ossessiva, maniacale: vuole esprimere l'immagine che ha nella mente e darle un equilibrio compositivo, che corrisponda a canoni estetici precisi: la simmetria, la definizione del dettaglio, l'emergere di uno strato di materia o di colore in quel preciso, piccolo, circoscritto punto, la ricerca di tonalità contrastate, che sappiano dare proporzione e armonia alla superficie dipinta. Lavora sulle trasparenze, come un pittore antico lavorava sulle velature di colore, ma Massimiliano ottiene le trasparenze attraverso l'uso di terre, di sabbie, di polveri, di emulsioni e non dichiara finita un'opera se non ha raggiunto la profondità necessaria, se la carta baritata e i colori - di qualsiasi natura essi siano - non trovano tra loro quel bilanciamento tonale, che consenta comunque di leggere la differenza tra le varie sostanze che adopera. C'è un gioco chimico, fisico accuratissimo e assai sapiente nella realizzazione di ogni singola opera e la loro somiglianza è solo apparente. Al contrario è una dichiarazione di difformità tra gli elementi, come le caratteristiche corporee di ognuno di noi, che sono simili, ma generano individualità assolutamente diverse. I lavori presenti in mostra sono dovuti a un soggiorno romano, all'impressione dei resti della città antica, delle sue sovrapposizioni millenarie e delle testimonianze anche di vita quotidiana, semplici oggetti d'uso: brandelli di storia, di trasmissione di memorie, in qualche caso lembi, piccoli pezzi dall'apparenza marginale, che s'impongono ancora oggi imperiosi in una grandezza, che ci sovrasta, mentre sentiamo che fa parte di noi. Dentro di loro Massimiliano ha saputo trovare i solchi che li legano al nostro presente: ancora tracce e frammenti che si svelano e ci parlano della nostra stessa identità in un fluire continuo, ininterrotto di generazioni e di civiltà, ma anche di abbandono, di violenza e, forse, di superbia. Così queste opere recenti hanno un loro flusso che ci trasporta dalla concretezza dei muri, dai ruderi e dalle rovine a una dimensione vitale, all'interno della quale riconosciamo lo scaturire ininterrotto anche della natura, che si affaccia in diversi lavori nei quali ci sembra di riconoscere oggetti fossilizzati. E ben si collocano nella zona degli scavi archeologici di Ascoli Piceno, una delle più gentili e antiche città italiane.

Le opere di Massimiliano Orlandoni suscitano dunque l'interesse che ognuno di noi dovrebbe avere per la propria storia individuale e per quella collettiva e, da un punto di vista strettamente formale, ci propongono finalmente il superamento lessicale della dicotomia che ha separato molto spesso - in modo non solo inutile, ma dannoso - la fotografia dalla pittura, come se tra le due forme d'arte fosse impossibile una dialettica critica e si dovessero sempre considerare separate o, peggio, quasi antagoniste. Un'ultima notazione - forse la più significativa - proprio sulle modalità compositive di Massimiliano, saldamente ancorate al presente, ma che sanno rinviarci con autorevolezza a consuetudini antiche, quando l'artista nella propria bottega inventava tecniche nuove, pronto alla sperimentazione, al cambiamento, a disfare o a ridipingere opere che considerava non riuscite ed era in grado di procurarsi le materie prime e di ingegnarsi sulla loro lavorazione fino all'esito che desiderava raggiungere. Il lavoro di Massimiliano Orlandoni interessa perché ci prospetta una lettura stratificata della contemporaneità. La lezione tradizionale della pittura è tenacemente presente e dà forza alla rappresentazione di accumuli, ma anche di sottrazioni e di sfaldamento, che accompagna la nostra quotidianità. Piegare la materia attraverso procedimenti "classici", espungere la figurazione, far parlare la superficie, i volumi, il supporto e i materiali è un invito forte a interpretare una continuità di cui tutti siamo partecipi, ma ancor più forte a non essere spettatori passivi, a cogliere appunto i singoli frammenti della realtà.

(febbraio 2008)

Bibliografia

  • OPERE RECENTI - 2008 – Palazzo dei Capitani – Ascoli Piceno
  • L’ISOLA DI DERI - 2002 – Edizioni Tecnostampa – Loreto (An)
  • OMBRE DEI PENSIERI - 1998 – Edizioni Brillarelli – Castelfidardo (An)
  • IL DIAVOLO SULLE COLLINE - 1998 – Edizioni Atelier Chambre – Numana (An)

Sito web

http://www.massimilianoorlandoni.it