Paik June Nam: differenze tra le versioni

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== Biografia: ==
 
== Biografia: ==
  
1932 Nascita a Seul in Corea, da una famiglia di artigiani, era il 5 figlio di un fabbricante tessile.  
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Nam June Paik nasce a Seul, in Corea del Sud, nel 1932 da una famiglia di artigiani, è il quinto figlio di un fabbricante tessile.  
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1949-50 A causa della guerra di Corea, la famiglia non fu costretta prima a trasferirsi a Hong Kong e poi in Giappone.
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Con la guerra di Corea, la famiglia è costretta a trasferirsi prima a Hong Kong e poi in Giappone, nel 1950. Qui, nel 1956, si laurea presso la Tokyo University in Storia dell’Arte e della Musica con una tesi sul compositore modernista Arnold Schönberg.
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Nello stesso anno si sposta in Germania per approfondire lo studio della musica contemporanea  presso l'Università di Monaco di Baviera. I suoi interessi lo distraggono dall'ambiente universitario verso forme musicali non traduizionali come quelle del Westdeutsche Rundfunk Studio for Electronic Music, dove lavorava Karlheinz Stockhausen.
1956 Si laureò presso la Tokyo University in Storia dell Arte e della Musica con una tesi sul compositore modernista Arnold Schoenberg.
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Nel 1958, in un corso di studi per Musica Nuova presso Darmstaat, incontra il compositore John Cage che rappresenta il suo mentore, influenzando la sua produzione.
1956 Si spostò in Germania, presso l'Università di Monaco di Baviera, per approfondire lo studio della musica contemporanea, dove fu allievo di Karlheinz Stockhausen.
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Nel 1960 è autore della performance "Etude for Pianoforte"; l'artista, suonando Chopin, scoppia in lacrime, salta tra il pubblico e copre di shampoo John Cage, dopo avergli tagliato la cravatta e se ne va, annunciando che la performance è finita.
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1958, In un corso di studi per Musica Nuova presso Darmstaat, incontrò il compositore John Cage che rappresentò il suo mentore  influenzando la sua produzione.
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Nel 1961 Paik incontra [[Maciunas George|George Maciunas]], fondatore del gruppo/movimento [[Fluxus]], sviluppatosi soprattutto negli USA e in Germania, il primo movimento d'avanguardia ad essere molto coinvolto nella musica. Nam June Paik diventa uno dei suoi membri insieme a [[Young La Monte|La Monte Young]] e Benjamin Patterson.
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Dal 1960 in poi Nam June Paik si sposta freneticamente tra New York e Berlino, Parigi e Londra, vivendo in prima persona il concetto di mobilità come stimolo alla vita che non lo abbandonerà mai, rimanendo tuttavia sempre cosciente delle proprie radici culturali e civiche.  
1958-1963 Lavorò presso gli studi WRD di musica elettronica di Colonia, dove fu collega di Karlhenz Stockhausen.
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L’11 giugno 1963 partecipa alla mostra “Exposition of Music – Electronic television” presso la Galleria Parnass di Wuppertal, la prima esposizione di video arte. E’ la sua prima performance autonoma “13 TV: 13 distorted TV sets”, un'installazione composta da tredici televisori le cui immagini venivano distorte attraverso l'uso dei magneti ( [[Participation Tv]]  [[Magnet Tv]] ).
1960 Fu autore della performance "Etude for Pianoforte"; l'artista suonando Chopin, scoppiava in lacrime, saltava tra il pubblico e copriva di shampoo John Cage dopo avergli tagliato la cravatta e se ne andava annunciando che la performance era finita.
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Nel 1963 va in Giappone per incontrare Shuya Abe e partecipare ad esperimenti con elettrocalamite e televisori a colori.
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1961 L'incontro di Paik in Europa con Maciunas  motivò la sua associazione a Fluxus e diede luogo alla sua partecipazione ai movimenti di Fluxus.
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Nel 1964 si trasferisce a New York e continua le sue esplorazioni su video e televisione (in prima linea in una nuova generazione di artisti che creavano un discorso estetico sulla televisione e sull'immagine).  
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Nello stesso anno inizia una lunga collaborazione con [[Moorman Charlotte|Charlotte Moorman]], violoncellista e pioniera della nuova musica.
1963 Fu la prima performance autonoma, presso la Galleria Parnass di Wuppertal; un'installazione composta da tredici televisori le cui immagini venivano distorte attraverso l'uso dei magneti ( [[Participation Tv]]  [[Magnet Tv]] ).
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Un anno dopo la Sony lancia sul mercato Porta Pack, la prima telecamera amatoriale portatile. Nam June Paik l’acquista subito, realizza un video sul traffico caotico nel giorno della visita di Paolo VI a New York e nello stesso giorno presenta questo suo primo video intitolato "Café Gogo" e una installazione video, opera sancita da molti come il primo video d’arte della storia.
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1963-64 Viaggiò in Giappone per incontrare Shuya Abe e partecipare ad esperimenti con elettrocalamite e televisori a colori.
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Nel 1970 costruisce con Shuya Abe il sintetizzatore video colori (dispositivo che permette di creare immagini autonome, senza referente nella realtà) e nel 1971 lavora al WNET's TV lab di New York.
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Ma la consacrazione di quest’artista avverrà successivamente con le due retrospettive allestite all’Everson Museum of Art in Syracuse (New York) nel 1974 e al Kilnischer Kunstverein, nel 1976.
1964 Si trasferì a New York e continuò le sue esplorazioni su video e televisione (in prima linea in una nuova generazione di artisti che creavano un discorso estetico sulla televisione e sull'immagine).  
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Nel 1982 segue un'altra importante retrospettiva presso il Whithrey Museum of American Art in New York, che sancisce in modo definitivo un importante riconoscimento alla sua attività creativa.
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1964 Iniziò una lunga collaborazione con Charlotte Moorman, violoncellista e pioniera della nuova musica.
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Il 1984 viene salutato da Paik con un programma televisivo realizzato con collegamento internazionale via satellite dal Centre Pompidou,  Parigi, e-WNET uno studio televisivo, New York intitolato [[Good Morning, Mr. Orwell]].  
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Nel 1987 viene eletto membro dell'Akademie der Kunste di Berlino e nel 1988, in occasione dei Giochi Olimpici di Seul, realizza una torre di 1003 monitor.
1965 Acquistò una delle prime video camere portatili, una Sony Portapak; nello stesso giorno Paik presentò il suo primo video intitolato "Café Gogo" e una installazione video, la prima di molte, che produrrà,per la Galleria Bonino di New York.
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Nel 1990 la sua opera "Video Arbor" viene esposta a Filadelfia come scultura per il settore pubblico.
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Nel 1991 la sua opera "Video Time - Video Space" viene esposta contemporaneamente al Kunsthalle Basel e Kunsthalle Zurich, in seguito a Dusseldorf e a Vienna, dove viene premiata.  
1969-70 Con Shuya Abe, costruì il sintetizzatore video colori (dispositivo che permette di creare immagini autonome, senza referente nella realtà).
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Nel 1992 gli viene affidato lo sviluppo del padiglione Coreano nell'Expo Internazionale di Siviglia e nel 1993 Paik vince il primo premio per il miglior padiglione alla Biennale d'Arte Internazionale di Venezia, con il padiglione tedesco con Hans Haacke e con il loro lavoro intitolato "Electronic super highway (?) from Venezia to Ulan-Bator".
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Nel 1995 Paik crea un'importante installazione a Munster (Germania) ispirata all'architetto barocco Johann Conrad Schaun.   
1971 Lavorò al WNET's TV lab, New York
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Nel 1998 riceve il Premio di Kyoto e nel 2000 il premio retrospettiva National Arts Club. Nello stesso anno la retrospettiva “Mondi di Nam June Paik” apre al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, poi si sposta al Ho-Am Art Gallery e al Rodin Gallery a Seul, in Corea.
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1974 Presentò raccolta dei suoi lavori in video presso l'Everson Museum of Art in Syracuse, New York
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Muore a Miami il 29 gennaio 2006.
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1976 Retrospettiva al Kolnischer Kunstverein, Cologne Since
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1982 Seguì un'altra importante retrospettiva presso il Whithrey Museum of American Art in New York, che sancì in modo definitivo un importante riconoscimento alla sua attività creativa.
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1984 Fu salutato da Paik con un programma televisivo realizzato con collegamento internazionale via satellite intitolato [[Good Morning, Mr. Orwell]].
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1987 Fu eletto membro dell'Akademie der Kunste di Berlino
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1988 In occasione dei Giochi Olimpici di Seul, il programma che ne seguirà, fu accompagnato da un notevole successo di pubblico e di critica.
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1990 "Video Arbor", esposta a Filadelfia come scultura per il settore pubblico
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1991-92 Doppia esposizione "Video Time - Video Space" al Kunsthalle Basel e Kunsthalle Zurich, in seguito a Dusseldorf e Vienna fu premiata. (Goslar Kaiserringes).
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1992 Gli fu affidato lo sviluppo del padiglione Coreano nell'Expo Internazionale di Siviglia.
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1993 Paik vinse il primo premio per il miglior padiglione alla Biennale d'Arte Internazionale di Venezia nel padiglione tedesco con Hans Haacke e con il loro lavoro intitolato "Electronic super highway (?) from Venezia to Ulan-Bator".
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1995 Paik creò un'importante installazione a Munster (Germania) ispirata all'architetto barocco Johann Conrad Schaun.   
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1998 Ricevette il Premio di Kyoto
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2000 Premio retrospettiva Il Mondo di Nam June Paik (National Arts Club), Solomon R. Guggenheim Museum di New York; in seguito Ho-Am Art Gallery, the Rodin Gallery, Seoul Korea
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2006 Nam June Paik passò ad altra vita il 29 gennaio alle 8 du sera presso sua dimora di Miami.
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http://www.paikstudios.com/
 
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== Poetica: ==  
 
== Poetica: ==  
  
Nam June Paik ha conseguito autorevolezza artistica per mezzo di una filosofia delle comunicazioni di massa.  
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=== Nam June Paik, padre della videoarte ===
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Nam June Paik ha conquistato potere artistico attraverso una filosofia delle comunicazioni di massa. Tale filosofia ha come primo “postulato” la ricerca di un’arte che dia vita ad una nuova coscienza che implica una liberazione. La sua arte non esprime un conflitto tra dominante e dominato. Si dice che il potere deluda gli uomini perché ogni ideologia o sistema politico sia nocivo. Le masse, intossicate ed assuefatte allo strapotere di un’arte vista come qualcosa di necessariamente dogmatico o tirannico, rimangono deluse dall’impatto con la libertà. L’arte di Paik, tesa a trasmettere la conoscenza e la storia come informazione artistica, non è l’allegoria dell’espressione e della sensibilità: la storia non è altro che una serie di esperienze private ed anonime.
Suddetta filosofia ha come centrale “postulato” lo studio di un’arte che realizza ad una rinnovata percezione che ha in se un conforto.
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Uno dei primi artisti a riconoscere le potenzialità dei media elettronici e della loro influenza sulla cultura e sull’economia è stato Nam June Paik.  
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Le sue prime esperienze di video arte si svilupparono all’interno del movimento artistico Fluxus al confine tra integrazione e disgregazione, impegnato a togliere importanza all’oggetto artistico per darla invece alle situazioni, allo spettacolo. Fluxus nacque negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’50, e vi confluirono tendenze neodadaiste inclini ad utopie anarco-comuniste.  
La sua arte non enuncia un dissidio tra predominante e condizionato.  
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La poetica di questo movimento si fondava essenzialmente su due principi che verranno a costituire le basi della produzione di Nam June Paik: essi si proponevano di fondare un nuovo ambiente socio-culturale in cui fosse possibile una circolazione più immediata di una nuova estetica, tesa a ridurre la distanza tra artista e fruitore. In secondo luogo, si proponevano di fornire nuovi modelli artistici da opporre ai canoni e alle convenzioni dell’arte istituzionale, in modo da stabilire una totalità, una globalità inedita, ridefinitoria dei comportamenti estetici e di permutazioni attive dei linguaggi.  
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Dal 1960 in poi Nam June Paik si spostò freneticamente tra New York e Berlino, Parigi e Londra, vivendo in prima persona il concetto di mobilità come stimolo alla vita che non lo abbandonerà mai, rimanendo tuttavia sempre cosciente delle proprie radici culturali e civiche.  
Si assicura che l’egemonia frustri gli individui poiché qualunque dottrina o apparato governante sia mal sano.
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L’11 giugno 1963 presentò alle gallerie Parnasse di Wuppertal 13 TV: 13 distorted TV sets, una performance in cui si mescolano pianoforti preparati e rovesciati, diversi oggetti sonori come pentole, chiavi, un manichino femminile disarticolato in una vasca da bagnoe una testa di toro grondate di sangue. A questi si aggiungevano 13 televisori che riproducevano altrettante differenti immagini distorte e deformate, astratte, statiche ma vibranti di luce. Già in questa prima installazione Nam June Paik mostra la sua onnipresente tendenza alla destrutturazione del nuovo “utensile TV”, di cui avverte l’enorme potenzialità massificatrice, che si manifesta nella scomposizione dei vari supporti meccanici dando ad essi una differente evidenza. In 13 TV Nam June Paik ridefinisce l’immagine elettronica, un’immagine televisiva in bianco e nero, intervenendo sulla modulazione luminosa in senso orizzontale e verticale.
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L’immagine elettronica è esaltata nella sua componente luminosa primaria ma è contrastata nella sua apparenza televisiva di immagine assolutamente verosimile e quindi unica.  
Le maggioranze, drogate e dipendenti allo strapotere di un’arte percepita come qualcosa di ineluttabilmente assiomatico o autocratico, restano inquiete dal contatto con la libera autonomia.  
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Un anno dopo la Sony lancio sul mercato Porta Pack, la prima telecamera amatoriale portatile.
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Tale evento rese Paik libero di sperimentare una nuova sintesi di ripresa e ció gli permise di buttarsi a capofitto nella sperimentazione video per la costituzione di una nuova immagine grazie alla destrutturazione critica degli elementi stabili della comunicazione televisiva. Nel 1965 riusci cosi a realizzare New York: Cafè Gogò, 152, Baker Street, October 4 and 11, 1965. A New York Paik sperimentò la ripresa in esterni e realizzò la prima trasmissione gestita da un artista: si concentro su un momento del caotico traffico newyorkese il giorno della visita di Papa Paolo VI e lo ripropose la sera stessa in un ritrovo del Greenwich Village, il Caffè Gogò, praticamente in diretta. Paik è stato il primo di una serie di artisti che fecero del reportage amatoriale un vero e proprio evento artistico.  
L’arte di Paik, volta a comunicare la cultura e il corso degli eventi come insegnamento artistico, non è la metafora dell’espressione e della sensitività.
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Dopo queste prime esperienze che resero Paik famoso in tutto il mondo come il primo videoartista della storia dell’arte, lavorò in molti Paesi, compresa l’Italia (famose sono le installazioni ad Asolo, in provincia di Vicenza, nel 1991, e a Roma nel 1992: Nam June Paik: arti elettroniche, Cinema e Media verso il XXI secolo, Palazzo delle esposizioni, Roma), dove realizzò esposizioni personali e, contemporaneamente, collaborò a numerose esposizioni d’arte in Eurpopa, in Asia e negli Stati Uniti. Suo è il primo esperimento di televisione affidata ad artisti via satellite che trasmetteva programmi d’arte contemporaneamente in Corea, Giappone, Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, rendendo così evidente l’intento di fondere e scambiare in diretta numerose lingue ed altrettante culture artistiche e sociali profondamente diverse e distanti tra loro.
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Il fatto avvenuto non è altro che una sequenza d'esperienze personali ed anonime.  
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Quest’arte sottintende sostanzialmente una reciprocità tra utilizzatore e opera.  
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L’artista si trasforma immateriale dietro la finzione del reale, finché la sparizione dell’opera diviene dominio dell'utilizzatore, che può decidere tra un uso “fast-food” anziché un calmo gustare.  
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In breve, nel suo operare, coabitano le due direzioni della società del consumismo di massa.
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I differenti atteggiamenti simboleggiati nei suoi trenta anni di videoarte sono una “collezione d'ideazioni nate nella società dell’informazione”.
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Non sono un articolato gioco d'arte metafisica impregnato d’avanguardia di una ben definita classe, ovviamente per pochi, ma interpreta “il consenso popolare giacché condivisione delle informazioni”.  
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La proprietà pubblica dell’informazione, difatti, è il punto focale dell’arte di Paik.
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Le performance di Paik non si sospendono però dinnanzi ai limiti del reale, ma sanno anche spingersi verso una spiritualità composta d'elementi prossimi alle filosofie orientali, come spiriti divini che colloca a servizio della propria arte.
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La spiritualità cui Paik fa allusione è in fin dei conti una trascendenza innocente, candida e atavica tipica dei luoghi e modi dell'origine culturale in cui è venuto al mondo Paik.
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Paik gode al tempo stesso di un intimo legame con la civiltà tecnologicamente avanzata, guardata fatalmente da lui con l’attenzione dell’antropologo e quella benevolenza filantropica derivante dal suo essere orientale.  
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(Bruno Bassi, Marina di Massa, 15 febbraio 2007)
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=== Video-installazione come sogno ===
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Da quando Paik ha cominciato a produrre arte si è sempre espresso attraverso il video, non inteso come mera produzione visiva ed uditiva, completamente slegata dalla materialita. Le sue opere infatti fondono immagini, suoni, televisori, pianoforti, oggetti vari, lampadine, strumenti musicali, ecc. in un crocevia di cinema, scultura, arte visiva e musica. Questa sinergia artistica prese ben presto il nome di video-installazione, rappresentazione artistica nella quale le dimensioni di spazio e tempo si fondono con la dimensione di un’arte totale.
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La video-installazione è la fondazione di un campo di architetture miniaturizzate, giocata sulla contaminazione, l’assemblaggio, il cortocircuito di diverse materie attorno al progetto di un percorso. Tale percorso costituisce la struttura disseminata di un’opera, risolta con la stabilità di alcuni materiali e con la mobilità elettronica di altri. Stabilità e dinamismo si susseguono creando quindi un’architettura intesa come lo spazio della complessità, della differenza e dello spostamento. Lo spettatore, di fronte ad un’unità quasi urbana, ad un artificio tridimensionale ed in qualche modo abitabile, quale l’opera d’arte, diventa parte integrante dell’opera medesima conferendole in modo indubitabile e personale il carattere di volta in volta frontale, contemplativo, osservabile, percorribile, sperimentabile. La presenza del supporto video tuttavia toglie allo spettatore la prerogativa di “clessidra” vivente dell’opera, scandendo autonomamente, con il flusso cinetico dell’immagine, un tempo duplice: una cadenza interna alla tecnologia ed un incontro con essa di materiali fermi su se stessi e del pubblico fermo o in movimento. Inizialmente l’opera potrebbe sembrare autonoma nella sua possibilità di funzionare, anche a prescindere dalla presenza dello spettatore in un superficiale paragone con la logorroica e strabordante immagine elettronica televisiva. In un tempo successivo ci si accorge che la video-installazione ha la capacità oggettiva, data dalla sua intrinseca capacità di produrre una sua temporalità, di controllare la presenza del pubblico, nel senso che realizza un’iconografia cinetica, sincronica al movimento dello spettatore.
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La video-installazione è il luogo dove materiali, oggetti, strumenti tecnologici convivono in uno spazio circoscritto e percorribile. Ed è proprio quest’ultima caratteristica dell’opera che crea un percorso contemplativo e multisensoriale, a testimonianza di quanto l’artista muova spazi urbani astratti e tranches de vie piene dell’esistenza concreta degli abitanti.
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La video-installazione conserva una sorta di “memoria collettiva che la diversifica dal silenzio impersonale della pittura e della scultura” (1): lo spettatore è di fatto immerso nell’opera e non si pone di fronte ad essa, come se si trovasse in una realtà totale parallela. Tale realtà si basa sul continuo sconfinare dei materiali tra loro e tra la contingenza dello spettatore, lo spazio della vita, e la sua posizione mentale, il tempo dell’arte. La video-installazione funziona come un sogno, dopo averne creato uno nell’attimo in cui viene fruita. Ciò si verifica mediante la proiezione di un tempo estetico in un tempo abitabile tridimensionale. La video-installazione opera decontestualizzazione dei materiali dal loro specifico campo semantico, dato dall’uso, e dal loro luogo di origine, collegati come sono in un’inedita relazione che ne fonda un uso originale e puramente fantastico; condensazione intesa come intenso accumulo di situazioni spaziali e temporali assolutamente arbitrari, con le stesse modalità dell’esperienza onirica.
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L’esperienza estetica riguarda l’opera stessa ed il pubblico creando così uno straniamento sensoriale che si realizza all’interno del perimetro artificiale dell’opera, cosa ovviamente impossibile entro la realtà urbana entro cui l’uomo si muove. Ed è soltanto qui, nella realtà della video-installazione, che non si instaura alcuna gerarchia tra soggetto ed oggetto: qui infatti entrambi concorrono alla buona riuscita dell’opera.
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L’artista struttura un percorso, è l’artefice di forme che suggeriscono un’esperienza senza imporla, l’artista propone delle risposte senza dare delle domande preconfezionate. Nam June Paik per primo, infatti, rinuncia volutamente all’identità metafisica dell’arte, quella tradizionale, normalmente caratterizzata da un’identità investigativa e sterilmente analitica, più adatta alla concentrazione della mente che all’espansione polisensoriale del corpo.
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Quest’arte, afferma Nam June Paik (2), è prosa e non poesia: essa, in un’idea di bello sinestetico (3), è affollata di oggetti appartenenti al vissuto quotidiano. Tale vissuto produce, nella forma dello spostamento, la sensazione di uno spazio giocato non sul salto ma sulla continuità del movimento. In questo sogno vi è infatti un complesso di oggetti familiari e quotidiani, non inquietanti né misteriosi, piuttosto invitanti all’attraversamento ed alla percorribilità senza patemi d’animo o sospetti verso un universo enigmatico e simbolico.
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Note
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1) Achille Bonito Oliva, “Il dormiveglia dell’arte in Nam June Paik”, in AAVV, NAM JUNE PAIK - Eine DATA base, Edition Cantz, 1993. [back]
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2) “Intervista a Nam June Paik”, in AAVV, Nam June Paik - lo sciamano del video, Milano, Fondazione Mazzotta, 1994, catalogo della mostra. [back]
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3) Paola Sega Serra Zanetti, “‘La coscienza luccicante’ e la società tecnologica: come non perdere il contatto con la ‘bionda Margherita’. Videoarte e videocultura ovvero l’arte e la cultura videovisiva”, in Paola Sega Serra Zanetti, Maria Grazia Tolomeo (a cura di), La coscienza luccicante - dalla videoarte all’arte interattiva, Roma, Gangemi, 1999. [back]
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=== Arte come informazione e comunicazione ===
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Nam June Paik ha conquistato potere artistico attraverso una filosofia delle comunicazioni di massa. Tale filosofia ha come primo “postulato” la ricerca di un’arte che dia vita ad una nuova coscienza che implica una liberazione. La sua arte non esprime un conflitto tra dominante e dominato. Si dice che il potere deluda gli uomini perché ogni ideologia o sistema politico sia nocivo. Le masse, intossicate ed assuefatte allo strapotere di un’arte vista come qualcosa di necessariamente dogmatico o tirannico, rimangono deluse dall’impatto con la libertà. L’arte di Paik, tesa a trasmettere la conoscenza e la storia come informazione artistica, non è l’allegoria dell’espressione e della sensibilità: la storia non è altro che una serie di esperienze private ed anonime. Quest’arte presuppone essenzialmente un’interazione tra fruitore e testo. L’artista si rende invisibile dietro la maschera del reale, mentre l’assenza dell’opera diventa proprietà dello spettatore, che può scegliere tra una fruizione “fast food” oppure un lento assaporamento. In breve, nel suo lavoro, convivono le due tendenze della società dei consumi di massa. I diversi aspetti rappresentanti nei suoi trent’anni di videoarte sono una “collezione di ideazioni nate nella società dell’informazione” (4). Non sono un complesso gioco di arte metafisica intriso d’avanguardia di una ben determinata classe, necessariamente elitaria, ma rappresentano “il consenso popolare in quanto condivisione delle informazioni” (cfr. 13 TV) (5). La proprietà pubblica dell’informazione, infatti, è il nodo centrale dell’arte di Paik.  Le rappresentazioni di Paik non si fermano però dinnanzi ai limiti del concreto, ma sanno anche spingersi verso una spiritualità fatta di elementi vicini alle filosofie orientali, come spiriti divini che mette a servizio della propria arte. La spiritualità cui Paik fa riferimento è tutto sommato una spiritualità innocente, primordiale, una religiosità filantropica, che si manifesta nei luoghi e nei modi della culla culturale in cui è nato, e che possiede allo stesso tempo uno stretto contatto con la civiltà tecnologicamente avanzata, vista inevitabilmente con l’occhio dell’antropologo. Da una tale visione del mondo scaturisce il carattere superfluo dell’uso della parola per comunicare; la quint’essenza dell’arte è la performance. E' soltanto attraverso quest’ultima che si può creare un anello di congiunzione tra culture diverse, uno spazio per conciliare arte e libertà. L’arte che ha bisogno di basi sociologiche ed antropologiche per Paik non è che pura ideologia o documentazione. E qui, in questo punto, si manifesta piú apertamente la visione di un’arte libera, che mischia passato e presente in una visione ciclica della storia. E chi, meglio di uno sciamano (6), può coniugare il presente con gli avvenimenti del passato?!? Per Paik l’arte è un incantesimo che nasce da questa convenzione. L’occasione per concretizzare tali incantesimi si offrí a Paik in occasione dei Giochi Olimpici di Seoul 1988, dove progettò un vero e proprio rito sciamanico. L’evento non vide mai la luce a causa dell’improvvisa morte di Beuys, un suo caro amico. Paik tenne comunque un rito in onore dell’amico scomparso e si dedicò alla realizzazione di un’opera raffigurante la Crimea, la Siberia e la Penisola coreana in una mappa dell’Eurasia. Il gesto non voleva essere un commento storico ma un tentativo di ridurre ogni medium poetico, come memorie, leggende e musiche, cinema e video, a media reali come libri, giornali, murales e terrecotte. Il messaggio dice che è l’imperfezione ad unire le esperienze e gli ideali alla realtà. I progetti televisivi via satellite di Paik, per esempio, mettono in luce le radici storiche dell’Eurasia e mirano a stabilire ancora una volta un canale fra differenti culture. Per Paik l’informazione è la via d’accesso all’arte, e le fibre ottiche possono diventare una “super-autostrada informativa” (7). Le fibre ottiche della società post-industriale forniscono nuove possibilità di lavoro al fondatore dell’arte dell’informazione. La super-autostrada informativa affida a Mr. Orwell (8) un compito ancora più impegnativo. L’espansione dei mass-media produrrà un minuscolo “villaggio globale” in cui le masse saranno attrici sul palcoscenico del mondo. I dittatori cadranno nel loro tentativo di monopolizzare i canali d’informazione e saranno soppiantati da media che avranno il controllo totale sulla masse. L’era della fibre ottiche intravista da Paik dovrebbe stabilire un equilibrio tra civiltà e legittimazione della tradizione. Le istanze ambientali seguiranno lo stesso destino, per Paik; se l’umanità riuscirà ad imparare questo ed a non interferire nello sviluppo della Natura porrà le basi per una nuova era. Per Paik le tartarughe, non avendo mai violato la Natura e potendo vivere oltre duecento anni, sono il simbolo di una condizione ambientale non inquinata. Non essendo predatori, nella tradizione orientale, simboleggiano l’eterno ciclo della trasmigrazione delle anime e suggeriscono una soluzione al problema ambientale fornendo un esempio di relazione tra l’umanità e la società dell’informazione. Egli ha compreso cosa sarà l’arte del futuro, cosa significherà essere artista nel mondo della comunicazione planetaria, della TV, del rock, delle tecnologie interattive. Il suo essere nello stesso tempo passato, presente e futuro deriva non solo dal suo nomadismo linguistico e culturale ma anche dalla storia del suo popolo, dal nomadismo che lo ha caratterizzato storicamente: incessantemente, alle ricerca continua di nuove frontiere. La mobilità come forma di vita, in contrapposizione alla fissità spazio-temporale che caratterizza lo società occidentale. Capiamo così come la scoperta e l’uso del telefono, per Paik, possano essere considerati la vera e più importante invenzione del Ventesimo secolo e come questa mutazione profonda sarà la naturale anticamera all’uso delle nuove tecnologie che sarà parte integrante del suo lavoro a partire dagli anni ’60. La comunicazione orale e successivamente multimediale attraverso la televisione sta cambiando la visione della realtà del mondo; cambia a sua volta la realtà dell’artista, così come lo studio e la scoperta della scomposizione della luce influenzò radicalmente la produzione artistica degli impressionisti nella seconda metà dell’Ottocento. A ben guardare è un vantaggio relativo, perchè se grande è il contributo delle tecnologie alla storia delle arti visive, di gran lunga minore è il contributo che l’arte visiva e gli artisti daranno al cambiamento reale del mondo. È a questo proposito che si è parlato di “morte dell’arte”. Marcel Duchamp, però, con la sua produzione artistica, diede vita ad un nuovo ciclo d’arte che arriva fino ai giorni nostri, rivitalizzando un percorso che sembrava ormai perduto, capace di restituire alle opere ed agli artisti una ruolo più attuale, più vicino alla quotidianità. La funzione dell’espressione artistica, nel mondo attuale e nel prossimo futuro, ed ancora di più dell’artista stesso, del suo modo di essere, sarà quello di creare inquietudine e non certezze, dissonanze e non armonie di bellezze, in un sistema dato, bello o brutto, perfetto o imperfetto. L’artista viene qui concepito come colui che non ha un rapporto critico con l’esistenza, ma come una presenza che marchi una differenza che è prima di tutto di carattere etico, se non addirittura sciamanico, come si diceva sopra. Ed è grazie a questa differenza individuale, così apparentemente marginale, che potremmo salvarci tutti da un futuro tecnologico che produrrà di per sè tutto il bello possibile, da un futuro scientifico che amplierà di certo il nostro sapere, la nostra coscienza, ma che rischia di fare di ognuno di noi un “accumulatore asettico e meccanico” (9). L’artista e l’arte, di conseguenza, devono essere avvertiti come dissonanza, differenza, inquietudine che stimoli una curiosità primaria, una curiosità che travalichi la ristrettezza di una determinata cultura per arrivare ad una consapevolezza più profonda, umana, in una sola parola. Nam June Paik nacque come musicista in un tempo in cui la musica si diffondeva principalmente attraverso la radio e l’arte si rinchiudeva nei musei, come in un’irraggiungibile torre d’avorio, ch’egli s’impose di smantellare non appena intravide la possibilità di dare più ampio spazio alle arti visive, ricercando nuove strade per una nuova forma di comunicazione. Fu così che scoprì, mentre si accingeva a preparare l’esposizione Fluxus di Wuppertal, l’enorme potenzialità della televisione. Capì anche che soltanto dominando il medium si sarebbero potute esaltare le sue potenzialità, che non sono solo quelle dell’uso che ne potrà fare l’artista, (che può sostituire la tela con il tubo catodico e la tavolozza dei colori con la tastiera del pc), ma quelle della comunicazione all’interno del Villaggio Globale.    L’ulima analisi, e non per questo meno importante, spetta alla scelta della televisione come mezzo espressivo. In un’intevista risalente all’inizio degli anni ’70 gli fu chiesto come mai si fosse servito del piccolo schermo per le sue rappresentazioni. Egli, con tono ironico, rispose: “I’m just a poor man from a poor country so I have always to think about my audience”. E’ interessante, quindi, come già trent’anni fa egli intendesse la sua arte come comunicazione globale, grazie sopratutto al potere massificatore della televisione, principio che si manifesterà palesemente qualche anno più tardi quando realizzerà Global Glove del 1974 e Good Morning Mr. Orwell! del 1984. Se nella domestica spettacolarità della televisione la verità viene assottigliata e resa pura immagine bidimensionale, circoscritta e costretta dalla cornice fisica dell’apparecchio, nella video-installazione invece tutto esplode e sconfina nel campo mobile delle relazioni dell’opera con il pubblico: la televisione nelle video-installazioni è un simbolo, un’icona che santifica quasi il momento dell’interazione con lo spettatore. È usata per far capire all’umanità intera che essa non è portatrice di alcuna verità superiore né di alcun modello da imitare, dato il gran numero di televisori messi in scena e date le innumerevoli e diversissime immagini. Ideologicamente la televisione simboleggia la tecnologia ed allo stesso tempo simboleggia una coscienza comune di uomini per la sua diffusione capillare. Ultimamente la tecnologia è entrata prepotentemente a far parte della nostra vita e si evolve ad un ritmo elevatissimo. E’ destinata ad essere sempre più presente nelle nostre vite. In questo senso lo sviluppo della tecnologia, la velocità della comunicazione, anzi l’istantaneità della comunicazione globale che essa rende possibile, contengono in modo evidente il grande pericolo di una uniformazione del mondo, di una omologazione culturale (10) basata più sull’adeguamento al modello più forte piuttosto che sulle differenze biologiche, linguistiche, etniche, culturali, le quali sono in realtà, le vere ricchezze del mondo. Il processo in corso è irreversibile e queste preoccupazioni sono, a mio parere, fondate. Nam June Paik rimuove invece questi timori, e fa anche di più, dandoci l’unica soluzione possibile: è solo attraverso l’arte, in simbiosi con lo sviluppo tecnologico, che sarà possibile dominare il mezzo tecnologico e non lasciarsi dominare. Bisogna riconoscere che grazie a Paik la tecnologia sta producendo sempre più spesso comunicazione calda e magica. Chissà se in futuro l’arte e l’artista salveranno le differenze, chissà se essi riusciranno a costituire la principale differenza all’interno del Villaggio globale! Nam June Paik ci ha rivelato la strada, sta al mondo intero ora seguirne la indicazioni... 
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Note
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4) Yongwoo Lee, “Informazione e comunicazione”, in AAVV, NAM JUNE PAIK - Eine DATA base, Edition Cantz, 1993.
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5) Ibidem.
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6) Gino Di Maggio, “Lo sciamano del video”, in AAVV, Nam June Paik - lo sciamano del video, Milano, Fondazione Mazzotta, 1994, catalogo della mostra.
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7) Dall’esposizione personale “Electronic Super-Highway: Nam June Paik in the 90’s” al Ft. Lauderdale Museum of Art; Ft. Lauderdale, “Electronic Super-Highway and fractal turtleship”, con cui Paik formula una sorta di predizione artistica di un futuro dominato da cavi ottici, ed affronta inoltre il problema dell’ambiente nella società industriale.
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8) Dal programma televisivo via satellite: Good Morningn Mr.Orwell! del 1984.
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9) Yongwoo Lee, “Informazione e comunicazione”, in AAVV, NAM JUNE PAIK - Eine DATA base, Edition Cantz, 1993.
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10) Cfr. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Torino, Einaudi, 1978.   
  
  
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http://art.and.facts.site.free.fr/Site/10insolites/images/video/installation_tn.jpg
 
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* [[Magnet Tv]] (http://www.mediaartnet.org/works/magnet-tv/) (1965)
 
* [[Magnet Tv]] (http://www.mediaartnet.org/works/magnet-tv/) (1965)
 
* [[T.V. Cello con Charlotte Moorman]] (http://flickr.com/photos/88133570@N00/2677412117/) (1971)  
 
* [[T.V. Cello con Charlotte Moorman]] (http://flickr.com/photos/88133570@N00/2677412117/) (1971)  
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* [[TV-Buddha]] (http://www.medienkunstnetz.de/works/tv-buddha/) (1974)
 
* [[Good Morning, Mr. Orwell]] (http://www.medienkunstnetz.de/works/goog-morning/) (1984)
 
* [[Good Morning, Mr. Orwell]] (http://www.medienkunstnetz.de/works/goog-morning/) (1984)
 
* [[Buddha Game]] (http://www.artgallery.nsw.gov.au/media/archives_2004/nam_june_paik) (1991)
 
* [[Buddha Game]] (http://www.artgallery.nsw.gov.au/media/archives_2004/nam_june_paik) (1991)
 
* [[Electronic Superhighway: Continental US]] (http://www.scu.edu.au/schools/edu/ICT/student_pages/sem2_2004/gcrawford/paik.html) (1995)
 
* [[Electronic Superhighway: Continental US]] (http://www.scu.edu.au/schools/edu/ICT/student_pages/sem2_2004/gcrawford/paik.html) (1995)
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* [[Cybernated Art]]
  
 
===Esibizioni individuali:===
 
===Esibizioni individuali:===
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"The Worlds of Nam June Paik" Solomon R. Guggenheim Museum, New York
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"I Mondi di Nam June Paik" Solomon R. Guggenheim Museum, New York
  
 
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Installation view "The Worlds of Nam June Paik" Museo Guggenheim Bilbao Spain
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Installazione "I Mondi di Nam June Paik" Museo Guggenheim, Bilbao, Spagna
  
 
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Installation at Deutsche Guggenheim, Berlin Germany 2004 "Global Groove 2004" and "One Candle"
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Installazione presso la Deutsche Guggenheim, Berlino, Germania 2004 "Global Groove 2004" e "Una candela"  
  
 
===Testi di Paik Nam June===
 
===Testi di Paik Nam June===
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'''b. Cybernated Art (1966)'''
 
'''b. Cybernated Art (1966)'''
 
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[[Cybernated Art]]
  
 
'''c. ART AND SATELLITE (1984)''' - ( vedi anche [http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Satellite_art:_an_interview_with_Nam_June_Paik Satellite art: an interview with Nam June Paik] )
 
'''c. ART AND SATELLITE (1984)''' - ( vedi anche [http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Satellite_art:_an_interview_with_Nam_June_Paik Satellite art: an interview with Nam June Paik] )
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Versione attuale delle 10:48, 18 Giu 2009

Nam June Paik


Personaggio:

Nam June Paik è un artista statunitense di origine coreana, nato a Seul nel 1932, che ha usato per primo la televisione per creare un'innovativa forma di espressione chiamata videoarte.
Con la sua sequenza notevole di videotape e di progetti per la televisione (caratterizzati da collaborazioni eccellenti con gli amici Laurie Anderson, Joseph Beuys, David Bowie, John Cage e Merce Cunningham) ha generato una serie di installazioni che hanno cambiato fondamentalmente il video ed hanno ridefinito la pratica artistica.


Biografia:

Nam June Paik nasce a Seul, in Corea del Sud, nel 1932 da una famiglia di artigiani, è il quinto figlio di un fabbricante tessile.

Con la guerra di Corea, la famiglia è costretta a trasferirsi prima a Hong Kong e poi in Giappone, nel 1950. Qui, nel 1956, si laurea presso la Tokyo University in Storia dell’Arte e della Musica con una tesi sul compositore modernista Arnold Schönberg. Nello stesso anno si sposta in Germania per approfondire lo studio della musica contemporanea presso l'Università di Monaco di Baviera. I suoi interessi lo distraggono dall'ambiente universitario verso forme musicali non traduizionali come quelle del Westdeutsche Rundfunk Studio for Electronic Music, dove lavorava Karlheinz Stockhausen.

Nel 1958, in un corso di studi per Musica Nuova presso Darmstaat, incontra il compositore John Cage che rappresenta il suo mentore, influenzando la sua produzione. Nel 1960 è autore della performance "Etude for Pianoforte"; l'artista, suonando Chopin, scoppia in lacrime, salta tra il pubblico e copre di shampoo John Cage, dopo avergli tagliato la cravatta e se ne va, annunciando che la performance è finita.

Nel 1961 Paik incontra George Maciunas, fondatore del gruppo/movimento Fluxus, sviluppatosi soprattutto negli USA e in Germania, il primo movimento d'avanguardia ad essere molto coinvolto nella musica. Nam June Paik diventa uno dei suoi membri insieme a La Monte Young e Benjamin Patterson. Dal 1960 in poi Nam June Paik si sposta freneticamente tra New York e Berlino, Parigi e Londra, vivendo in prima persona il concetto di mobilità come stimolo alla vita che non lo abbandonerà mai, rimanendo tuttavia sempre cosciente delle proprie radici culturali e civiche.

L’11 giugno 1963 partecipa alla mostra “Exposition of Music – Electronic television” presso la Galleria Parnass di Wuppertal, la prima esposizione di video arte. E’ la sua prima performance autonoma “13 TV: 13 distorted TV sets”, un'installazione composta da tredici televisori le cui immagini venivano distorte attraverso l'uso dei magneti ( Participation Tv Magnet Tv ). Nel 1963 va in Giappone per incontrare Shuya Abe e partecipare ad esperimenti con elettrocalamite e televisori a colori.

Nel 1964 si trasferisce a New York e continua le sue esplorazioni su video e televisione (in prima linea in una nuova generazione di artisti che creavano un discorso estetico sulla televisione e sull'immagine). Nello stesso anno inizia una lunga collaborazione con Charlotte Moorman, violoncellista e pioniera della nuova musica. Un anno dopo la Sony lancia sul mercato Porta Pack, la prima telecamera amatoriale portatile. Nam June Paik l’acquista subito, realizza un video sul traffico caotico nel giorno della visita di Paolo VI a New York e nello stesso giorno presenta questo suo primo video intitolato "Café Gogo" e una installazione video, opera sancita da molti come il primo video d’arte della storia.

Nel 1970 costruisce con Shuya Abe il sintetizzatore video colori (dispositivo che permette di creare immagini autonome, senza referente nella realtà) e nel 1971 lavora al WNET's TV lab di New York. Ma la consacrazione di quest’artista avverrà successivamente con le due retrospettive allestite all’Everson Museum of Art in Syracuse (New York) nel 1974 e al Kilnischer Kunstverein, nel 1976. Nel 1982 segue un'altra importante retrospettiva presso il Whithrey Museum of American Art in New York, che sancisce in modo definitivo un importante riconoscimento alla sua attività creativa.

Il 1984 viene salutato da Paik con un programma televisivo realizzato con collegamento internazionale via satellite dal Centre Pompidou, Parigi, e-WNET uno studio televisivo, New York intitolato Good Morning, Mr. Orwell. Nel 1987 viene eletto membro dell'Akademie der Kunste di Berlino e nel 1988, in occasione dei Giochi Olimpici di Seul, realizza una torre di 1003 monitor. Nel 1990 la sua opera "Video Arbor" viene esposta a Filadelfia come scultura per il settore pubblico. Nel 1991 la sua opera "Video Time - Video Space" viene esposta contemporaneamente al Kunsthalle Basel e Kunsthalle Zurich, in seguito a Dusseldorf e a Vienna, dove viene premiata. Nel 1992 gli viene affidato lo sviluppo del padiglione Coreano nell'Expo Internazionale di Siviglia e nel 1993 Paik vince il primo premio per il miglior padiglione alla Biennale d'Arte Internazionale di Venezia, con il padiglione tedesco con Hans Haacke e con il loro lavoro intitolato "Electronic super highway (?) from Venezia to Ulan-Bator". Nel 1995 Paik crea un'importante installazione a Munster (Germania) ispirata all'architetto barocco Johann Conrad Schaun. Nel 1998 riceve il Premio di Kyoto e nel 2000 il premio retrospettiva National Arts Club. Nello stesso anno la retrospettiva “Mondi di Nam June Paik” apre al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, poi si sposta al Ho-Am Art Gallery e al Rodin Gallery a Seul, in Corea.

Muore a Miami il 29 gennaio 2006.


Sito web:

http://www.paikstudios.com/


Poetica:

Nam June Paik, padre della videoarte

Nam June Paik ha conquistato potere artistico attraverso una filosofia delle comunicazioni di massa. Tale filosofia ha come primo “postulato” la ricerca di un’arte che dia vita ad una nuova coscienza che implica una liberazione. La sua arte non esprime un conflitto tra dominante e dominato. Si dice che il potere deluda gli uomini perché ogni ideologia o sistema politico sia nocivo. Le masse, intossicate ed assuefatte allo strapotere di un’arte vista come qualcosa di necessariamente dogmatico o tirannico, rimangono deluse dall’impatto con la libertà. L’arte di Paik, tesa a trasmettere la conoscenza e la storia come informazione artistica, non è l’allegoria dell’espressione e della sensibilità: la storia non è altro che una serie di esperienze private ed anonime. Uno dei primi artisti a riconoscere le potenzialità dei media elettronici e della loro influenza sulla cultura e sull’economia è stato Nam June Paik. Le sue prime esperienze di video arte si svilupparono all’interno del movimento artistico Fluxus al confine tra integrazione e disgregazione, impegnato a togliere importanza all’oggetto artistico per darla invece alle situazioni, allo spettacolo. Fluxus nacque negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’50, e vi confluirono tendenze neodadaiste inclini ad utopie anarco-comuniste. La poetica di questo movimento si fondava essenzialmente su due principi che verranno a costituire le basi della produzione di Nam June Paik: essi si proponevano di fondare un nuovo ambiente socio-culturale in cui fosse possibile una circolazione più immediata di una nuova estetica, tesa a ridurre la distanza tra artista e fruitore. In secondo luogo, si proponevano di fornire nuovi modelli artistici da opporre ai canoni e alle convenzioni dell’arte istituzionale, in modo da stabilire una totalità, una globalità inedita, ridefinitoria dei comportamenti estetici e di permutazioni attive dei linguaggi. Dal 1960 in poi Nam June Paik si spostò freneticamente tra New York e Berlino, Parigi e Londra, vivendo in prima persona il concetto di mobilità come stimolo alla vita che non lo abbandonerà mai, rimanendo tuttavia sempre cosciente delle proprie radici culturali e civiche. L’11 giugno 1963 presentò alle gallerie Parnasse di Wuppertal 13 TV: 13 distorted TV sets, una performance in cui si mescolano pianoforti preparati e rovesciati, diversi oggetti sonori come pentole, chiavi, un manichino femminile disarticolato in una vasca da bagnoe una testa di toro grondate di sangue. A questi si aggiungevano 13 televisori che riproducevano altrettante differenti immagini distorte e deformate, astratte, statiche ma vibranti di luce. Già in questa prima installazione Nam June Paik mostra la sua onnipresente tendenza alla destrutturazione del nuovo “utensile TV”, di cui avverte l’enorme potenzialità massificatrice, che si manifesta nella scomposizione dei vari supporti meccanici dando ad essi una differente evidenza. In 13 TV Nam June Paik ridefinisce l’immagine elettronica, un’immagine televisiva in bianco e nero, intervenendo sulla modulazione luminosa in senso orizzontale e verticale. L’immagine elettronica è esaltata nella sua componente luminosa primaria ma è contrastata nella sua apparenza televisiva di immagine assolutamente verosimile e quindi unica. Un anno dopo la Sony lancio sul mercato Porta Pack, la prima telecamera amatoriale portatile. Tale evento rese Paik libero di sperimentare una nuova sintesi di ripresa e ció gli permise di buttarsi a capofitto nella sperimentazione video per la costituzione di una nuova immagine grazie alla destrutturazione critica degli elementi stabili della comunicazione televisiva. Nel 1965 riusci cosi a realizzare New York: Cafè Gogò, 152, Baker Street, October 4 and 11, 1965. A New York Paik sperimentò la ripresa in esterni e realizzò la prima trasmissione gestita da un artista: si concentro su un momento del caotico traffico newyorkese il giorno della visita di Papa Paolo VI e lo ripropose la sera stessa in un ritrovo del Greenwich Village, il Caffè Gogò, praticamente in diretta. Paik è stato il primo di una serie di artisti che fecero del reportage amatoriale un vero e proprio evento artistico. Dopo queste prime esperienze che resero Paik famoso in tutto il mondo come il primo videoartista della storia dell’arte, lavorò in molti Paesi, compresa l’Italia (famose sono le installazioni ad Asolo, in provincia di Vicenza, nel 1991, e a Roma nel 1992: Nam June Paik: arti elettroniche, Cinema e Media verso il XXI secolo, Palazzo delle esposizioni, Roma), dove realizzò esposizioni personali e, contemporaneamente, collaborò a numerose esposizioni d’arte in Eurpopa, in Asia e negli Stati Uniti. Suo è il primo esperimento di televisione affidata ad artisti via satellite che trasmetteva programmi d’arte contemporaneamente in Corea, Giappone, Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, rendendo così evidente l’intento di fondere e scambiare in diretta numerose lingue ed altrettante culture artistiche e sociali profondamente diverse e distanti tra loro.

Video-installazione come sogno

Da quando Paik ha cominciato a produrre arte si è sempre espresso attraverso il video, non inteso come mera produzione visiva ed uditiva, completamente slegata dalla materialita. Le sue opere infatti fondono immagini, suoni, televisori, pianoforti, oggetti vari, lampadine, strumenti musicali, ecc. in un crocevia di cinema, scultura, arte visiva e musica. Questa sinergia artistica prese ben presto il nome di video-installazione, rappresentazione artistica nella quale le dimensioni di spazio e tempo si fondono con la dimensione di un’arte totale. La video-installazione è la fondazione di un campo di architetture miniaturizzate, giocata sulla contaminazione, l’assemblaggio, il cortocircuito di diverse materie attorno al progetto di un percorso. Tale percorso costituisce la struttura disseminata di un’opera, risolta con la stabilità di alcuni materiali e con la mobilità elettronica di altri. Stabilità e dinamismo si susseguono creando quindi un’architettura intesa come lo spazio della complessità, della differenza e dello spostamento. Lo spettatore, di fronte ad un’unità quasi urbana, ad un artificio tridimensionale ed in qualche modo abitabile, quale l’opera d’arte, diventa parte integrante dell’opera medesima conferendole in modo indubitabile e personale il carattere di volta in volta frontale, contemplativo, osservabile, percorribile, sperimentabile. La presenza del supporto video tuttavia toglie allo spettatore la prerogativa di “clessidra” vivente dell’opera, scandendo autonomamente, con il flusso cinetico dell’immagine, un tempo duplice: una cadenza interna alla tecnologia ed un incontro con essa di materiali fermi su se stessi e del pubblico fermo o in movimento. Inizialmente l’opera potrebbe sembrare autonoma nella sua possibilità di funzionare, anche a prescindere dalla presenza dello spettatore in un superficiale paragone con la logorroica e strabordante immagine elettronica televisiva. In un tempo successivo ci si accorge che la video-installazione ha la capacità oggettiva, data dalla sua intrinseca capacità di produrre una sua temporalità, di controllare la presenza del pubblico, nel senso che realizza un’iconografia cinetica, sincronica al movimento dello spettatore. La video-installazione è il luogo dove materiali, oggetti, strumenti tecnologici convivono in uno spazio circoscritto e percorribile. Ed è proprio quest’ultima caratteristica dell’opera che crea un percorso contemplativo e multisensoriale, a testimonianza di quanto l’artista muova spazi urbani astratti e tranches de vie piene dell’esistenza concreta degli abitanti. La video-installazione conserva una sorta di “memoria collettiva che la diversifica dal silenzio impersonale della pittura e della scultura” (1): lo spettatore è di fatto immerso nell’opera e non si pone di fronte ad essa, come se si trovasse in una realtà totale parallela. Tale realtà si basa sul continuo sconfinare dei materiali tra loro e tra la contingenza dello spettatore, lo spazio della vita, e la sua posizione mentale, il tempo dell’arte. La video-installazione funziona come un sogno, dopo averne creato uno nell’attimo in cui viene fruita. Ciò si verifica mediante la proiezione di un tempo estetico in un tempo abitabile tridimensionale. La video-installazione opera decontestualizzazione dei materiali dal loro specifico campo semantico, dato dall’uso, e dal loro luogo di origine, collegati come sono in un’inedita relazione che ne fonda un uso originale e puramente fantastico; condensazione intesa come intenso accumulo di situazioni spaziali e temporali assolutamente arbitrari, con le stesse modalità dell’esperienza onirica. L’esperienza estetica riguarda l’opera stessa ed il pubblico creando così uno straniamento sensoriale che si realizza all’interno del perimetro artificiale dell’opera, cosa ovviamente impossibile entro la realtà urbana entro cui l’uomo si muove. Ed è soltanto qui, nella realtà della video-installazione, che non si instaura alcuna gerarchia tra soggetto ed oggetto: qui infatti entrambi concorrono alla buona riuscita dell’opera. L’artista struttura un percorso, è l’artefice di forme che suggeriscono un’esperienza senza imporla, l’artista propone delle risposte senza dare delle domande preconfezionate. Nam June Paik per primo, infatti, rinuncia volutamente all’identità metafisica dell’arte, quella tradizionale, normalmente caratterizzata da un’identità investigativa e sterilmente analitica, più adatta alla concentrazione della mente che all’espansione polisensoriale del corpo. Quest’arte, afferma Nam June Paik (2), è prosa e non poesia: essa, in un’idea di bello sinestetico (3), è affollata di oggetti appartenenti al vissuto quotidiano. Tale vissuto produce, nella forma dello spostamento, la sensazione di uno spazio giocato non sul salto ma sulla continuità del movimento. In questo sogno vi è infatti un complesso di oggetti familiari e quotidiani, non inquietanti né misteriosi, piuttosto invitanti all’attraversamento ed alla percorribilità senza patemi d’animo o sospetti verso un universo enigmatico e simbolico.

Note 1) Achille Bonito Oliva, “Il dormiveglia dell’arte in Nam June Paik”, in AAVV, NAM JUNE PAIK - Eine DATA base, Edition Cantz, 1993. [back] 2) “Intervista a Nam June Paik”, in AAVV, Nam June Paik - lo sciamano del video, Milano, Fondazione Mazzotta, 1994, catalogo della mostra. [back] 3) Paola Sega Serra Zanetti, “‘La coscienza luccicante’ e la società tecnologica: come non perdere il contatto con la ‘bionda Margherita’. Videoarte e videocultura ovvero l’arte e la cultura videovisiva”, in Paola Sega Serra Zanetti, Maria Grazia Tolomeo (a cura di), La coscienza luccicante - dalla videoarte all’arte interattiva, Roma, Gangemi, 1999. [back]

Arte come informazione e comunicazione

Nam June Paik ha conquistato potere artistico attraverso una filosofia delle comunicazioni di massa. Tale filosofia ha come primo “postulato” la ricerca di un’arte che dia vita ad una nuova coscienza che implica una liberazione. La sua arte non esprime un conflitto tra dominante e dominato. Si dice che il potere deluda gli uomini perché ogni ideologia o sistema politico sia nocivo. Le masse, intossicate ed assuefatte allo strapotere di un’arte vista come qualcosa di necessariamente dogmatico o tirannico, rimangono deluse dall’impatto con la libertà. L’arte di Paik, tesa a trasmettere la conoscenza e la storia come informazione artistica, non è l’allegoria dell’espressione e della sensibilità: la storia non è altro che una serie di esperienze private ed anonime. Quest’arte presuppone essenzialmente un’interazione tra fruitore e testo. L’artista si rende invisibile dietro la maschera del reale, mentre l’assenza dell’opera diventa proprietà dello spettatore, che può scegliere tra una fruizione “fast food” oppure un lento assaporamento. In breve, nel suo lavoro, convivono le due tendenze della società dei consumi di massa. I diversi aspetti rappresentanti nei suoi trent’anni di videoarte sono una “collezione di ideazioni nate nella società dell’informazione” (4). Non sono un complesso gioco di arte metafisica intriso d’avanguardia di una ben determinata classe, necessariamente elitaria, ma rappresentano “il consenso popolare in quanto condivisione delle informazioni” (cfr. 13 TV) (5). La proprietà pubblica dell’informazione, infatti, è il nodo centrale dell’arte di Paik. Le rappresentazioni di Paik non si fermano però dinnanzi ai limiti del concreto, ma sanno anche spingersi verso una spiritualità fatta di elementi vicini alle filosofie orientali, come spiriti divini che mette a servizio della propria arte. La spiritualità cui Paik fa riferimento è tutto sommato una spiritualità innocente, primordiale, una religiosità filantropica, che si manifesta nei luoghi e nei modi della culla culturale in cui è nato, e che possiede allo stesso tempo uno stretto contatto con la civiltà tecnologicamente avanzata, vista inevitabilmente con l’occhio dell’antropologo. Da una tale visione del mondo scaturisce il carattere superfluo dell’uso della parola per comunicare; la quint’essenza dell’arte è la performance. E' soltanto attraverso quest’ultima che si può creare un anello di congiunzione tra culture diverse, uno spazio per conciliare arte e libertà. L’arte che ha bisogno di basi sociologiche ed antropologiche per Paik non è che pura ideologia o documentazione. E qui, in questo punto, si manifesta piú apertamente la visione di un’arte libera, che mischia passato e presente in una visione ciclica della storia. E chi, meglio di uno sciamano (6), può coniugare il presente con gli avvenimenti del passato?!? Per Paik l’arte è un incantesimo che nasce da questa convenzione. L’occasione per concretizzare tali incantesimi si offrí a Paik in occasione dei Giochi Olimpici di Seoul 1988, dove progettò un vero e proprio rito sciamanico. L’evento non vide mai la luce a causa dell’improvvisa morte di Beuys, un suo caro amico. Paik tenne comunque un rito in onore dell’amico scomparso e si dedicò alla realizzazione di un’opera raffigurante la Crimea, la Siberia e la Penisola coreana in una mappa dell’Eurasia. Il gesto non voleva essere un commento storico ma un tentativo di ridurre ogni medium poetico, come memorie, leggende e musiche, cinema e video, a media reali come libri, giornali, murales e terrecotte. Il messaggio dice che è l’imperfezione ad unire le esperienze e gli ideali alla realtà. I progetti televisivi via satellite di Paik, per esempio, mettono in luce le radici storiche dell’Eurasia e mirano a stabilire ancora una volta un canale fra differenti culture. Per Paik l’informazione è la via d’accesso all’arte, e le fibre ottiche possono diventare una “super-autostrada informativa” (7). Le fibre ottiche della società post-industriale forniscono nuove possibilità di lavoro al fondatore dell’arte dell’informazione. La super-autostrada informativa affida a Mr. Orwell (8) un compito ancora più impegnativo. L’espansione dei mass-media produrrà un minuscolo “villaggio globale” in cui le masse saranno attrici sul palcoscenico del mondo. I dittatori cadranno nel loro tentativo di monopolizzare i canali d’informazione e saranno soppiantati da media che avranno il controllo totale sulla masse. L’era della fibre ottiche intravista da Paik dovrebbe stabilire un equilibrio tra civiltà e legittimazione della tradizione. Le istanze ambientali seguiranno lo stesso destino, per Paik; se l’umanità riuscirà ad imparare questo ed a non interferire nello sviluppo della Natura porrà le basi per una nuova era. Per Paik le tartarughe, non avendo mai violato la Natura e potendo vivere oltre duecento anni, sono il simbolo di una condizione ambientale non inquinata. Non essendo predatori, nella tradizione orientale, simboleggiano l’eterno ciclo della trasmigrazione delle anime e suggeriscono una soluzione al problema ambientale fornendo un esempio di relazione tra l’umanità e la società dell’informazione. Egli ha compreso cosa sarà l’arte del futuro, cosa significherà essere artista nel mondo della comunicazione planetaria, della TV, del rock, delle tecnologie interattive. Il suo essere nello stesso tempo passato, presente e futuro deriva non solo dal suo nomadismo linguistico e culturale ma anche dalla storia del suo popolo, dal nomadismo che lo ha caratterizzato storicamente: incessantemente, alle ricerca continua di nuove frontiere. La mobilità come forma di vita, in contrapposizione alla fissità spazio-temporale che caratterizza lo società occidentale. Capiamo così come la scoperta e l’uso del telefono, per Paik, possano essere considerati la vera e più importante invenzione del Ventesimo secolo e come questa mutazione profonda sarà la naturale anticamera all’uso delle nuove tecnologie che sarà parte integrante del suo lavoro a partire dagli anni ’60. La comunicazione orale e successivamente multimediale attraverso la televisione sta cambiando la visione della realtà del mondo; cambia a sua volta la realtà dell’artista, così come lo studio e la scoperta della scomposizione della luce influenzò radicalmente la produzione artistica degli impressionisti nella seconda metà dell’Ottocento. A ben guardare è un vantaggio relativo, perchè se grande è il contributo delle tecnologie alla storia delle arti visive, di gran lunga minore è il contributo che l’arte visiva e gli artisti daranno al cambiamento reale del mondo. È a questo proposito che si è parlato di “morte dell’arte”. Marcel Duchamp, però, con la sua produzione artistica, diede vita ad un nuovo ciclo d’arte che arriva fino ai giorni nostri, rivitalizzando un percorso che sembrava ormai perduto, capace di restituire alle opere ed agli artisti una ruolo più attuale, più vicino alla quotidianità. La funzione dell’espressione artistica, nel mondo attuale e nel prossimo futuro, ed ancora di più dell’artista stesso, del suo modo di essere, sarà quello di creare inquietudine e non certezze, dissonanze e non armonie di bellezze, in un sistema dato, bello o brutto, perfetto o imperfetto. L’artista viene qui concepito come colui che non ha un rapporto critico con l’esistenza, ma come una presenza che marchi una differenza che è prima di tutto di carattere etico, se non addirittura sciamanico, come si diceva sopra. Ed è grazie a questa differenza individuale, così apparentemente marginale, che potremmo salvarci tutti da un futuro tecnologico che produrrà di per sè tutto il bello possibile, da un futuro scientifico che amplierà di certo il nostro sapere, la nostra coscienza, ma che rischia di fare di ognuno di noi un “accumulatore asettico e meccanico” (9). L’artista e l’arte, di conseguenza, devono essere avvertiti come dissonanza, differenza, inquietudine che stimoli una curiosità primaria, una curiosità che travalichi la ristrettezza di una determinata cultura per arrivare ad una consapevolezza più profonda, umana, in una sola parola. Nam June Paik nacque come musicista in un tempo in cui la musica si diffondeva principalmente attraverso la radio e l’arte si rinchiudeva nei musei, come in un’irraggiungibile torre d’avorio, ch’egli s’impose di smantellare non appena intravide la possibilità di dare più ampio spazio alle arti visive, ricercando nuove strade per una nuova forma di comunicazione. Fu così che scoprì, mentre si accingeva a preparare l’esposizione Fluxus di Wuppertal, l’enorme potenzialità della televisione. Capì anche che soltanto dominando il medium si sarebbero potute esaltare le sue potenzialità, che non sono solo quelle dell’uso che ne potrà fare l’artista, (che può sostituire la tela con il tubo catodico e la tavolozza dei colori con la tastiera del pc), ma quelle della comunicazione all’interno del Villaggio Globale. L’ulima analisi, e non per questo meno importante, spetta alla scelta della televisione come mezzo espressivo. In un’intevista risalente all’inizio degli anni ’70 gli fu chiesto come mai si fosse servito del piccolo schermo per le sue rappresentazioni. Egli, con tono ironico, rispose: “I’m just a poor man from a poor country so I have always to think about my audience”. E’ interessante, quindi, come già trent’anni fa egli intendesse la sua arte come comunicazione globale, grazie sopratutto al potere massificatore della televisione, principio che si manifesterà palesemente qualche anno più tardi quando realizzerà Global Glove del 1974 e Good Morning Mr. Orwell! del 1984. Se nella domestica spettacolarità della televisione la verità viene assottigliata e resa pura immagine bidimensionale, circoscritta e costretta dalla cornice fisica dell’apparecchio, nella video-installazione invece tutto esplode e sconfina nel campo mobile delle relazioni dell’opera con il pubblico: la televisione nelle video-installazioni è un simbolo, un’icona che santifica quasi il momento dell’interazione con lo spettatore. È usata per far capire all’umanità intera che essa non è portatrice di alcuna verità superiore né di alcun modello da imitare, dato il gran numero di televisori messi in scena e date le innumerevoli e diversissime immagini. Ideologicamente la televisione simboleggia la tecnologia ed allo stesso tempo simboleggia una coscienza comune di uomini per la sua diffusione capillare. Ultimamente la tecnologia è entrata prepotentemente a far parte della nostra vita e si evolve ad un ritmo elevatissimo. E’ destinata ad essere sempre più presente nelle nostre vite. In questo senso lo sviluppo della tecnologia, la velocità della comunicazione, anzi l’istantaneità della comunicazione globale che essa rende possibile, contengono in modo evidente il grande pericolo di una uniformazione del mondo, di una omologazione culturale (10) basata più sull’adeguamento al modello più forte piuttosto che sulle differenze biologiche, linguistiche, etniche, culturali, le quali sono in realtà, le vere ricchezze del mondo. Il processo in corso è irreversibile e queste preoccupazioni sono, a mio parere, fondate. Nam June Paik rimuove invece questi timori, e fa anche di più, dandoci l’unica soluzione possibile: è solo attraverso l’arte, in simbiosi con lo sviluppo tecnologico, che sarà possibile dominare il mezzo tecnologico e non lasciarsi dominare. Bisogna riconoscere che grazie a Paik la tecnologia sta producendo sempre più spesso comunicazione calda e magica. Chissà se in futuro l’arte e l’artista salveranno le differenze, chissà se essi riusciranno a costituire la principale differenza all’interno del Villaggio globale! Nam June Paik ci ha rivelato la strada, sta al mondo intero ora seguirne la indicazioni...

Note 4) Yongwoo Lee, “Informazione e comunicazione”, in AAVV, NAM JUNE PAIK - Eine DATA base, Edition Cantz, 1993. 5) Ibidem. 6) Gino Di Maggio, “Lo sciamano del video”, in AAVV, Nam June Paik - lo sciamano del video, Milano, Fondazione Mazzotta, 1994, catalogo della mostra. 7) Dall’esposizione personale “Electronic Super-Highway: Nam June Paik in the 90’s” al Ft. Lauderdale Museum of Art; Ft. Lauderdale, “Electronic Super-Highway and fractal turtleship”, con cui Paik formula una sorta di predizione artistica di un futuro dominato da cavi ottici, ed affronta inoltre il problema dell’ambiente nella società industriale. 8) Dal programma televisivo via satellite: Good Morningn Mr.Orwell! del 1984. 9) Yongwoo Lee, “Informazione e comunicazione”, in AAVV, NAM JUNE PAIK - Eine DATA base, Edition Cantz, 1993. 10) Cfr. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Torino, Einaudi, 1978.


Opere:

http://art.and.facts.site.free.fr/Site/10insolites/images/video/installation_tn.jpg

Nam June Paik "Magnet TV"
Nam June Paik "T.V. Cello"
Nam June Paik "Tecnobuddha"
Nam June Paik 'Electronic Superhighway'


Esibizioni individuali:

1963

- Wuppertal, Germany, Galerie Parnass, Exposition of Music-Electronic Television , 11-20 Marzo ( Participation Tv Magnet Tv ).

- Siegfried Bonk. "Uber dem Eingang ein blutiger Ochsenkopf." KolnerStadt-Anzeiger (Cologne), 16 Marzo.

- John AnthonyThwaites. "Der Philosoph and die Katze: Nam June Paik in der Galerie Parnass in Wuppertal." Deutsche Zeitung, April 9, p. 10.

1965

- NewYork, New School for Social Research, Nam June Paik: Cybernetics Art and Music, Jan. 8.

-"Paik ShowsTV at New School." Village Voice (NewYork), Jan. 7, p. 14.

- NewYork, Galeria Bonino, Nam June Paik ElectronicArt, Nov. 23-Dec. 11. Brochure, with text by Paik.

- Emily Genauer. "Critical Guide to the Galleries." New York Herald Tribune, Nov. 27.

- John Canaday. "Art:The Electronics-Kinetics Trend." New York Times, Dec. 4, p. L27.

- Emily Genauer. "Marriage of the Arts-New Dreams for Old." New York Magazine, Dec. 5.

- Lucy Lippard. "NewYork Letter." Art International (Lugano, Switzerland) 10, no. 1 (Jan.), pp. 90-96.

- Howard Junker. "The New Silver Screen." Esquire (NewYork) 66, no. 4 (Oct.).

1967

- NewYork, Art Center of the Paul Klapper Library, Queens College ofThe City University of NewYork, Expanding Perceptions in the Arts, March 20-22.

1968

- Stony Brook, New York, SUNY Stony Brook, Art Gallery, Nam June Paik Exhibit, March 1-15. Brochure.

- NewYork, Galeria Bonino, ElectronicArt II, April 17-May 11. Brochure, with essay by Allan Kaprow.

- John Canaday. "Art: Serene Squares and Tortured TV" The New York Times, April 4.

- Peter Schjeldahl. "Stripes, Paper Bags, and TV" The New York Times, May 5, p. 11-31.

1971

- NewYork, Galeria Bonino in collaborazione con Intermedia Institute, ElectronicArt I/I: Paik-Abe Video - - - Synthesizer with Charlotte Moorman, Nov. 23-Dec. 11. In questa occasione viene presentata l'opera T.V. Cello con Charlotte Moorman. Catalogo, con introduzione di Russell Connor e testi di Paik.

1974

- NewYork, Galeria Bonino, Nam June Paik: T. V. Sea: ElectronicArt IV, Jan. 15-Feb. 2. Catalogue.

- Hilton Kramer. "A Fast Sequence of Forms Changing Color and Shape."The New York Times, Feb. 3, p. D25.

Syracuse, New York, Everson Museum of Art, Nam June Paik: Videa 'n' Videology 1959-1973, Jan. 15-Feb. 15. Catalogue, edited by Judson Rosenbush and with texts by Paik. Special oversize limited edition reprinted 1997 byTova Press.

1975

- NewYork, Martha Jackson Gallery, Fish on the Sky-Fish hardly flies anymore on the Sky-let Fishes fly again, dates unknown.

- NewYork, Rend Block Gallery, Nam June Paik, Feb. 1-Mar. 4.

- P. Frank. "Nam June Paik: Rend Block Gallery, NewYork." Art inAmerica (NewYork) 63, no. 5 (Sept.-Oct.), pp. 104-05.

1976

- NewYork, Rend Block Gallery, Moon /s the Oldest TV-Set, Feb. 21-March 18.

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- Gregory Battcock. "Video and Napkins." Domus (Como), no. 559 (June), p. 52. NewYork, Bonino in Soho, Fish Flies on the Sky, Feb. 21-March 18.

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- Gregory Battcock. "Video and Napkins." Domus (Como), no. 559 (June), p. 52.

- Cologne, Kolnischer Kunstverein, Nam June Paik: Werke 1946-1976: Musik-Fluxus-Video, Nov. 19, 1976-Jan. 9, 1977. Catalogue, with introduction by Wulf Herzogenrath, essays by Peter Frank, Wulf Herzogenrath, Hainz-Klaus Metzger, Tomas Schmit, Rainer Wick, and Jean-Pierre Wilhelm, and texts by Paik.

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1977

- NewYork,The Museum of Modern Art, Projects: Nam June Paik, closed Oct. 9. Information sheet, with essay by Barbara London.

1978

- Tokyo, Galerie Watari, A Tribute to John Cage, May 15-30.

- Berlin, Rend Block Gallery, Fluxus Traffic, Oct. 10-Nov. 20.

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1979

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1980

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1981

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1982

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1983

- Brochure, with essays by Pierre Restany and Jean-Paul Fargier.

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1984

- Tokyo,Tokyo Metropolitan Art Museum, Nam June Paik-Mostly Video, June 14-July 29. Catalogue, with essays by John G. Hanhardt, U-fan Lee, and Itsuo Sakane, and text by Paik.

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- YouichiYokota. "Adding aTime Axis to Art: 'Frame ofTV' As an Oil Painting." Yomiuri Shimbun (Tokyo), July 2.

- Boston, Institute of Contemporary Art, Nam June Paik: BSO and Beyond, Sept. 6-Nov. 4. Brochure.

- Berlin, daadgaIerie, Art for 25 Million People: Good Morning, Mr. Orwell, Kunst and Satelliten in derZukunft, Nov. 28-Dec. 9. Catalogue, with foreword and essays by Renb Block, and text by Paik.

1986

- Cincinnati, Carl Solway Gallery, Family of Robot, March 5-April 30. Brochure.

- NewYork, Holly Solomon Gallery, Family of Robot, Sept. 25-Oct. 25.

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- Roberta Smith. "Out of the Wasteland." Newsweek (New York), Oct. 13, p. 67.

- Dan Rubey. "Nam June Paik." ARTnews (New York) 85, no. 10 (Dec.), pp. 145, 147.

- Walter Robinson. "Nam June Paik at Holly Solomon Gallery." Art in America (NewYork) 75, no. 6 (June 1987)

- Tokyo, Galerie Watari, Bye-Bye Kipling Drawings, Oct. 9-25. Catalogue, with essay by HeigoTakashima and text by Paik. Fukui, FukuiTheater FBC, Nam June Paik, Oct. 11-Nov. 3.

-"Exploring the Future of Image Culture: The World of Video Art, Exhibition of Nam June Paik." Asahi Shimbun (Osaka), Oct. 1.

- KazuoYamawaki. "Exhibition of Nam June Paik: Kaleidoscopic World of Video." Yomiuri Shimbun (Tokyo), Oct. 18.

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1988

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1989

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1991

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- Seoul, Gallery Hyundai and Gallery Won, A Pas de Loup: de Seoul a Budapest, July 30-Aug. 20. Catalogue, with essays by Jean-Paul Fargier, Hong-hee Kim, and Kwang Su Oh, and text by Paik.

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1992

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- Seoul, Hyundai Gallery, Nam June Paik: Recent Works '88-'92, July 30-Aug. 20.

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1993

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- "VideoThat Lives in the Forest, Lively Humor." Asahi Shimbun (Tokyo), Oct. 19, p. 13.

- Erimi Fujiwara. "Living a 'Eurasia':The King of Broadcast Media." Brutus (Tokyo), Dec. 1, p. 61.

1994

- Milan, Arengario in the Palazzo Reale, Nam June Paik: Lo Sciamano del Video, June 3-Oct. 9. Catalogue, with essays by Gino di Maggio, Vittorio Fagone,Yong-woo Lee, Henry Martin, Achille Bonito Oliva, and Dominique Stella.

- Fukuoka, Japan, Fukuoka Art Museum, Nam June Paik, Aug. 30-Oct. 23. Catalogue, with essay by Jin Matsuura and text by Paik.

- Fort Lauderdale, Fort Lauderdale Museum of Art, The Electronic Super Highway: Travels with Nam June Paik, Nov. 4,1994-Jan. 15, 1995. Catalogue, with prologue by Marcella Allison, introduction by Kenworth W. Moffett, essays by Ken Friedman, John G. Hanhardt, Barbara London, Florian Matzner, Robert C. Morgan, and texts by Paik.Traveled to Indianapolis Museum of Art, Feb. 18-April 16, 1995; Columbus Museum of Art, June 11-Sept. 17, 1995; Philadelphia Academy of the Fine Arts, Oct. 28, 1995-Jan. 15, 1996; San Jose Museum of Art, Feb. 7-May 5,1996; San Diego, Museum of Contemporary Art, June 1-Sept. 19, 1996; Lisbon, Caixa Geral de Depositos, Culturgest, Oct. 1-Dec. 8, 1996; Kansas City, Nelson-Atkins Museum of Art, July 13-Sept. 14, 1997; and Honolulu Academy of Art, Nov. 6, 1997-Jan. 4, 1998.

1999

- Bremen, Kunsthalle Bremen, Nam June Paik: Fluxus/Video, Nov. 14, 1999-Jan. 23, 2000. Catalogue, with foreword by Georg Abegg and Wulf Herzogenrath, and essays by Eugen Blume, Arthus C. Caspari, Wulf Herzogenrath, and Anja Osswald, and texts by Paik.

- Niklas Maak. "DieToten Hosen des Buddha." SuddeutscheZeitung (Munich), Nov. 30, p. 17. -Nicola Kuhn. "Von Videos and anderen Dinos." Der Tagesspiegel (Berlin), Dec. 4, p.31.

2000

"I Mondi di Nam June Paik" Solomon R. Guggenheim Museum, New York

2001

Installazione "I Mondi di Nam June Paik" Museo Guggenheim, Bilbao, Spagna

2004

Installazione presso la Deutsche Guggenheim, Berlino, Germania 2004 "Global Groove 2004" e "Una candela"

Testi di Paik Nam June

a. Elettronica TV, Esperimenti su TV a colori

In my two previous essays on this subject (Decollage No. 4 and Fluxus Newspaper No. 3), I treated the aesthetical aspects of the electronic TV experiments and its relation to eletronic music. This essay will be mainly a technical report.

'Esperimenti su TV a colori:'

A Three taperecorders are added to the convergence-circuit, so that convergence circuit is modulated over the waves from the taperecorders...Any black & white image gets random picture. (Point A. B. C. at circuit diagram)

B Three TV cameras are fed to each Kathode of red, green, blue electro-guns of the color picture tube, so that one shadow mask picture tube shows three different images of three color at one time. The brightness of the three images is controlled by the amplitube of three taperecorders at the reversed phase. (Point E. F. G.)

'Esperimenti su TV bianco e nero:'

A The picture is changeable in three ways with hand switches. Upside-Down; Right Left; Positive-Negative.

B The screen can become larger and smaller in vertical and horizontal dimensions separately according to the amplitude of the tape-recorder.

C Horzontal & vertical deflection of normal TV is changed into the spiral-deflection. Any normal square images varied into a fan-from. (Special Yoke-ossilator-amplifier is made for it.)

D A TV screen (negative) in match-box size.

E TV picture is "disturbed" by strong demagnetizer, whose place and rhythm give rich variety.

These experiments were made in Tokyo in 1903-04 with technical help of Mr. SHUYA ABE & Mr. HIDEO UCHIDA, whose ability and creativity I cannot emphasize too much. My cooperation with these top engineers broadened and changed my Lebensanchauung.

Ⅲ The following is a recapitulation of my first show in Galerie Parnass in March, 1903, Wuppertal, Germany.

A A relay is intercepted at the grid of Video-output tube so that picture is visible only when the relay is connected. (Point H on circuit) It is controlled by the amplitube of the radio or tape-recorder.

B A relay is intercepted at the A/C 110 volt input and fed by a 25 watt amplifier without rectifier. Unsymmetical sparks are seen on screen.

C 10 meg ohm resistor is intercepted at the grid of the vertical output tube and then the waves from the generator are fed here, so that both waves interfere and modulate with each other. (Point L)

D The waves from the taperecorder are fed to the horizontal output tube's grid, so that horizontal lines are warped according to the taperecorder's frequency and amplitube. (Point J)

E The vertical output tube is cut out; you see only one straight line.

Professor K. O. Goetz of the Kunstacademie in Duesseldorf, Germany nas published since 1960 on the idea of feeding the Kathode of the TV picture tube with a computor. This idea has not been realized, because he could not get a computer and our largest computer is still to slow to send 4 million points in each one 50th second. Although this idea and my method is completely different, I want to pay due respect. Also, TV -decollage of W. Vostell (Smolin Gallery, N. Y. C., 1903) shows rich possibilities of combinations of TV and betero-TV the TV," "B elements. ("Shoot ury the TV," “TV behind canvass," "TV blur" etc.) Knud Wiggen is--hopefully--working to establish an electronic TV studio in Stockholm. I hope for financial help from foundations for us all.

1964. "I wrote this essay in the winter, 1964. It was printed in the invitation of a show at New School for Social Reseach in New York, January 1965." Cover, left; circuit diagram, overleaf.

b. Cybernated Art (1966) Cybernated Art

c. ART AND SATELLITE (1984) - ( vedi anche Satellite art: an interview with Nam June Paik )

Alle soglie del nostro secolo, il matematico francese Henri Poincare disse... (eravamo nel mezzo del cosiddetto progresso del materialismo e la scoperta di cose nuove..) Ponicare indicò che ciò che si stava scoprendo non erano cose nuove, ma soltanto relazioni nuove tra cose che già esistevano.

Ci troviamo nell'era post industriale.. in questo periodo stiamo scoprendo nuovi software... i quali non sono cose nuove ma nuovi modi di vedere cose già scoperte in passato... e di nuovo noi stiamo scoprendo gli intrecci di relazioni nuove tra chi pensa e chi agisce... noi siamo già fino al ginocchio nel mare dell'età industriale. Il satellite, specialmente quello bidirezionale e in diretta è un mezzo molto potente per l’attuale "Videosfera umana"...

Si dice che tutte le scienze hanno le loro radici nel pensiero di Aristotele: ma la scienza dell'estetica cosmica cominciò con Sarutobi Sasuke, un ninja famoso (un samurai che dominò molte arti fantastiche, incluso quella di spiare il suo nemico rendendosi invisibile).

Il primo passo per un ninja sta nell'imparare come accorciare le distanze sulla terra, ovvero, come trascendere la legge della gravità.

Per il satellite, questo è facile.

Quindi, similmente a quando Mozart nella sua epoca compose per il (nuovo) clarinetto, l'artista attuale, deve comporre la sua arte per il nuovo strumento (satellite).

Questa nuova arte nel senso più in alto non emette unicamente sinfonie esistenti e “poeras” alle altre terre.

Deve considerare come realizzare un collegamento bi-direzionale tra lati opposti della terra; come dare una struttura conversazionale all'arte; come dominare le differenze in durata; come giocare con l'improvvisazione, indeterminismo, echos, reazioni, e spazi vuoti nel senso di Cagean; e come gestire istantaneamente le varie nazioni.

L'Arte satellitare deve elaborare la maggior parte di questi elementi (per loro possono divenire forze o debolezze), creando una multitemporalità, sinfonia multispaziale...

Non c'è tasto di riavvolgimento sul BETAMAX (videoregistratore) della vita.

Un evento importante accade solamente una volta.

Le morti gratuite (di Socrate, Cristo, Bo Yi e Shu Qi) che sono divenute le fondamenta per la morale di tre civiltà, sono capitate solo una volta.

Gli incontri fra persone, tra la persona e la sua specifica era sopraggiungono una volta nella vita", ma il fascio d’intervalli di quest’esistenza (se gli intervalli possono entrare nei fasci) è accresciuto in maggior misura a cagione del satellite.

Il processo pensante è quello composto da scintille elettriche che attraversano sinapsi tra celle di cervello sistemate in multilivelli di matrici.

L'ispirazione è una scintilla sparata in una direzione imprevedibile e sbarcata su un punto dell'angolo della matrice.

La volontà satellitare crea accidentalmente ed inevitabilmente riunioni inaspettate fra persone ed arricchisce le sinapsi tra le celle cerebrali dell'umanità.

Thoreau, che è l'autore di Walden la Vita nel bosco, ed un precursore ottocentesco del movimento hippy, scrisse, "La società telefonica, sta tentando di connettere per telefono Maine e Tennessee. Anche se ciò è possibile, tuttavia le persone avrebbero da dire qualcosa l'un l'altro? Quali argomenti potrebbero trovare dei quali parlare? "

La Storia rispose chiaramente, alle domande di Thoreau (quello era uno sciocco).

Lo sviluppo di una reazione (in passato chiamata dialettica) feconda di nuovi contatti e nuovi contenuti che intrecciano diversi contatti inaspettati...

Grazie al satellite, i misteri d’incontri con altri (riunioni d’opportunità) accumuleranno in procedere geometrico e dovrebbe divenire la produzione immateriale principale della società post-industriale.

Dio creò l'amore per propagare la vita umana, ma, inavvertitamente, gli uomini cominciarono ad amare semplicemente amare.

Dalla stessa analogia, anche se l'uomo dice di portare a termine qualche cosa, inavvertitamente lui comincia solamente a parlare semplicemente a parlare...
(traduzione di Bruno Bassi)
d. PARTICIPATION TV ( Participation Tv Magnet Tv )

Opera che contiene 3 o 4 complessi di TV a colori che esibiscono riverberi multicolori, o la nebbia, delle nubi che sono prodotti elettronicamente. A volte potete vedervi galleggiare in aria, disciolti in acqua profonda.
(traduzione di Bruno Bassi)
e. TV BRA FOR LIVING SCULPTURE ( Paik Nam June-Charlotte Moorman ) - ( vedi anche http://www.walkerart.org/archive/5/B85391323C41DD836167.htm )

In this case, the sound of the cello she plays will change, modulate, regenerate the picture on her TV-BRA

"The real issue implied in 'Art and Technology' is not to make another scientific toy, but how to humanize the technology and the electronic medium, which is progressing rapidly-too rapidly. Progress has already outstripped ability to program. I would suggest 'silent TV station.' This is TV station for highbrows, which transmits most of time only beautiful 'mood art' in the sense of 'mood music.' What I am aiming at is TV version of Vivaldi...of electronic 'Compoz.' o soothe every hysteric woman through air, and to calm down the nervous tension of every businessman through air. In that way 'Light Art.' will become a permanent asset of even collection of Million people. SILENT TV Station will simply be 'there', not intruding on other activites...and being looked at exactly like a landscape...or beautiful bathing nude of Renoir, and in that case, everybody enjoys the 'original'....and not a reproduction...

"TV Brassiere for Living Sculpture (Charlotte Moorman) is also one sharp example to humanize electronics...and technology. By using TV as bra...the most intimate belonging of human being, we will demonstrate the human use of technology, and also simulate viewers NOT for someting mean but stimulate their phantasy to look for the new, imaginative and humanistic ways of using our technology."

f. VERSATILE COLOR TV SYNTHESIZER - ( vedi anche http://www.experimentaltvcenter.org/history/tools/ttext.php3?id=20&page=1 )

This will enable us to shape the TV screen canvas

as precisely as Leonardo

as freely as Picasso

as colorfully as Renoire

as profoundly as Mondrian

as violently as Pollock

as lyrically as Jasper Johns.

In the long-ranged future, such a versatile color

synthesizer will become a standard equiptment like today's Hammond organ, or Moog synthesizer in the musical field, but even in the immediate future it will find wide applification.

1) TV-tranquilizer, which is at the same time an avant garde artwork in its own right. As time magazine "groovy" TV will be an important function of future TV, like today's mood music at WPAT of WOR-FM

2) Enormous enrichment of background scenery of music programs or talkshows, combined with sharp reduction in the production cost is especially effective for young generation's rock programs. Traditional psychadelic light show cannot compete with electronic color synthesizer as much as Ferrari racing car cannot catch even a good old DC-4.

3) This will provide valuable experiments for EVR, which would be aimed for more sophisticated or educational layer of consumer. Eg., what kind of visual material will accompany the vast repertoire of classical and pop music? People will be quickly tired of von Karajan`s turtle neck or Beatles' long hair. The study of this problem cannot be started too soon, an it might end up by producing a new furtile genre, called "electronic opera."

g. Nam June Paik VEDEO SYNTHESIZER PLUS - ( vedi anche http://www.experimentaltvcenter.org/history/tools/ttext.php3?id=20&page=1 )

Shuya Abe and I am stranded in Los Angeles without car...We miss New York's dirty subway...John Lindsay is a great man, who charges on 30c for a refrigerated ride...Abe san said "We are Darma-monk"...Darma was so diligent for 9 years in sitting and meditating that he did not even go to men`s room....The accumulated shit eventually melted away his limbs and Darma became to be loved as a Buddha without legs...this leg-less man`s wireless tranmission is all what TV is about today...and in coming carless society.

Video synthesizer is the accumulation of my nine year's TV-shit (if this holy allusion is allowed), turned into a real-time video piano by the Golden Finger of Shuya Abe, my great mentor. Big TV studio always scares me. Many layers of "Machine Time" parallely running, engulfs my identity. It always brings me the anxiety of Norbert Wiener, seeing the delicate yet formidable Dichotomy of Human Time and Machine Time, a particular contingency of so-called Cybernated Age. (I use technology in order to hate it more properly.)...In the heated atmosphere of TV-contral room, I yearn for the solitude of a Franz Schubert, humming a new song in the unheated attics in Vienna... Ironically a huge Machine (WGBH, Boston) helped me to create my anti-machine machine....this is a place to thank beautiful people there...Michael Rice, Fred Barzyk, John Folsom, David Atwood, Olivia Tappan, etc..you just never know.

Let us look back to the mid 19th century..most people were deprived of the way for self expression in the visual art. Only the selected few had the access to tolls, such as oil paints or canvas and know-how. But the invention of camera changed the scene and made everybody into an active visual artist. The size of camera industry and art business illustrated the massive desire to create and artwork, instead of watching a masterpiece on the wall. Will this process repeat itself in the TV world? Will the network program become a wall painting in the museum and we active video creators and creating machine, such as video-synthesizer etc., become as ig as Kodak, Nikon, Zeiss Ikon combined? If yet, will we be able to subsidize the ailing NBC or CBS from our tax-deductable portion of income...Dear Phyllis: don`t smoke cigarette, and live longer to see our D-Day.

Paik-Abe video-synthesizer is a humble effort for this day, putting 1001 ways of instant TV making. We gave up High Fidelity but we won the Super Infidelity...adultery is always more interesting than marriage.

The "attraction" of drug experience to young people lies in the peculiar "ontology" of this unfortunate medium.

Generally speaking art consists of three different parties. (1) Creator (active transmitter); (2) Audience (passive receiver); (3) Critics (judge or carrier-band)

Through this discrepancy, all the complicated contingencies in the art world, or art-pollution, such as vanity, school, style, intrigue, manipulation etc. come up to tue scene. The dubious distinction of so-said First Class artist or second rate musician or minor poet etc., is also a result of this diescrepancy.

But in the drug experience, all three parties are united into one. A kid who smokes a joint or so is at the same time creator, audience and critic. There is no room for comparison and grading, such as "first class drug taker" or "second rated pot smoker" etc...This ontological analysis demonstrated to us once again that drug is a short cut effort to recover the sense of participation...and basic cause lies in our passive state of mind, such as TV watching, etc...

Can we transplant this strange "ontology" of drug experience to "safer" and more "authentic" art medium, without transplanting the inherent danger of drug overdose???

Participation TV(the one-ness of creator, audience, and critic) is surely one probable way for this goal...and it is not a small virtue...not at all.....

h. SIMULATION OF HUMAN EYES (By 4-Channel) - ( vedi anche http://www.paiknamjune.org/ENG/DB/?M=B5h )

Stereo Video Taping

Dedicated to Shuya Abe, my great mentor

The reason why the so-said "documentary" movie is often a tendentious interpretation of reality is partially due to its techno-existential form. Its output is confined to one stripe of film or video tape, one-way time, one-vector direction-therefore no space for space that is randomness and freedom(which is one spectrum of randomness).

I always admired Emmett Williams, especially his stereo eyes (commonly called "cross eyes") because cross gives us more freedom. I suggest the construction of a four -channel stereo camera-VTR (video tape reording) which would more objectively simulate our eyes.

Our eyes are a very efficient combination of two different functions: (1) Freedom, wide view, and (2) focussing, concentration.

In usual film-making process, the former case is the long shot; the latter case is the closeup or zoom-up. But, alas, in most documentary film, the relationship of these two atiitydes is far from being ideal. Often the director of documentary film is so persuasive that, in fact, he is imposing his view with skillful editing and powerful zoom-up.

If film or video tape is really becoming on extension of eyes, it should cease to be so imposing but should imitate as much as possible the function of eyes-that is, a very versatile combination of freedom and focussing, of closeup or long shot. I think the four-channel camera-tape complex will overcome the shortcoming of traditional camera or film-making style. One camera is confined to the front shot. The second camera scans the left side-the third camera scans the right side. The fourth camera scans the rear view and is occasionally used for focussing on one point. This camera group's angles have to kept intact also in playback.

In talking with Steve Gillmore this afternoon, it came to our attention that the multi -channel video taping might solve or shelve the difficulty in editing, which is a severe structural defect of video tape in comparison to film.

California Institute of the Arts

September 21, 1970

I. COMMUNICATION-ART - ( vedi anche http://rhizome.org/thread.rhiz?thread=1698&page=1 )

Norman Bauman, my longtime Lin-Piao, said to me flatly, "Doug Davis' segment in Boston Symphony Video Variation is BETTER than yours." I was as furious as MAO, but Norman`s plane did not crash at Mongolian desert.

Doug based the aesthetics of his

"better-than-mine-variation" on a complicated German Formula, which reads:

But seemingly uncomplicated equation of Mr. Davis (published in Arts Magazine) impressed me as much as Schroedinger's. It reads:

Man=Media=Selection

This equation symbolizes our input-overload-situation and a guy with Madison Avenue office with 50 incoming telephones a day would have found this equation, and not me, a Canal Street hermit with two incoming telephone signals a day, of which one is from N.Y. Telephone company, which scares me of an impending suspension of telephone service due to backlog of unpaid bills.

We have the negative Logarithm of Malthusian Law in the ratio of Input signals and human perception or in the ratio of machine time and human time. In Malthusian England food supply did not increase as fast as the population growth. of wake-up-time does not grow as fast as our exponential leap in the input signals to digest or process. A few adventurers in TIME, like Columbus was an adventurer in SPACE, tried to cope with it by simply taking UP-pills for having fun and not going to sleep for many years. A well-known fasion designer hardly slept for the whole decade of the sixties. Finally she took her life on her 40th birthday.

Ultimate and bloody irony of media is that the N.Y. Times, which hardly mentioned her in her life time, suddenly came up with many thousand words orbituary complete with prettiest picture instantaneously after her death. Where were all these ignored information sleeping? Electronic truth is that if you amplify certain signals, you ended up amplifying the noise component of the target-signal more than the useful information. Therefore the bigger the circulation (of a magazine), the worse is the quality.

Man=Media=Selection=Elimination.

Our chic sister in North Hampton would say, "Why artist bothers with communication, information, and media?"

Discovery of art-forgery is 100 times bigger news than the discovery of new art...well, listen to the hidden voice of our good old Baudelaire. The KEY poem in the Flower of Evil is nothing but a research on art and communication.

Correspondences

All nature is a temple whose living pillars seem

At times to babble confused words, half understood;

Man journeys there through an obscure symbolic wood,

Aware of eyes that peep with a familiar gleam.

If you replace Baudelaire's pre-Marconian "nature" to our pan-cyber-nated "video- sphere," all words and insinuation of the symbolistic poem becomes a "clear-cut definition" of what artist should be doing today as the aerial antena of this society. We have million bits of UFO daily and Radar is nothing but a two-way Television.

The second stanza of the "Correspondence" is even more profoundly 70-ish. and it almost predicted what Doug Davis would do in that unforgettable evening at the Corcoran Gallery and Channel 9 TV in Washington D.C. on the wedding night of Trish Nixon. Hundreds of Cadillac assembled and black-tie-chic went into wedding. Hundreds of hippies came on foot, bicycle, and on battered school bus to Corcoran, which is annexed to the wedding hall. For next 30 minutes the whole Washington youth community were magnetized with plane to plane information flows....Baudelaire wrote the review in advance as follows:

Like endless echoes that from somewhere far beyond,

Mingling, in one profound and criptic whole unite,

Vast as the twin immensities of night and light,

So do all colours, sounds, and perfumes correspond.

As stated before, the malaise of our time is the balance between input and output ratio. 40,000 commercials are hitting us yearly, according to the statistics, but we can afford to buy only 40 of them. Consequently we create an artificial output unit, e. g. lying on the bench of Psychiatrist and TALK...like a goldfish. Since I cannot afford that hobby either, I spend two hours daily, in toilet,....pants down...and read 8 weekly magazines, 4 monthly magazines and 3 daily papers. I enlarge my output unit, or electronically speaking, I lowered the impedance of output. In a recent FLUXUS event, organized by Maciunas for Ben Vautier, he handed out Ex-Lax chocolate (plain-wrapped) without warning to participants. Ben spent his last 24 hours of U.S. stay in toilet. It is my interpretation of Doug Davis' another brilliant piece, in which viewers are urged to look at only the backside of TV set.

Voila look at the beautiful asses of French Can-Can dance at Moulin Rouge...But here a super-natural transfiguration has happened.

What you see, is the mystical glow of 60-cycle pulsation only...Norbert Wiener's enigmatic aphorism, "Information with content is as important as the information without content." is finally artistically proven. It is a mystique of communication-art on the level of Charles Baudelaire and Ray Johnson. Sigmund Freud, who started also with anus- psychology, reached to the "sublimisation of impetus" in his later years, a problem unsolved by his death

Perfumes there are as fresh as children's bodies, springs

Of fragrance sweet as oboes, green and full of peace

As prairies. And there are others, proud, corrupt, intense

Having the all-pervasiveness of infinite things,

Like burning spice or resin, musk or ambergris,

That sing the raptures of the spirit and the sense.

Ricavato da "http://www.ecn.org/wikiartpedia/index.php/Discussioni_utente:Choi_dae_sung"

Bibliografia:

  • Nam June Paik / John G. Hanhardt ; with essays by Dieter Ronte ... [et al.] (1982) New York : Whitney Museum of American Art in association with W.W.
  • Il giocoliere elettronico. Nam June Paik e l'invenzione della videoarte

Autore: non specificato Editore: Hopefulmonster 2002 - ARTE -

  • Nam June Paik a Vinci. Arte all'arte. Rinascimento-nascimento. Arte, tecnica, tecnologia, scienza. Catalogo della mostra

Autore: non specificato Editore: Gli Ori 2002 - ARTE -

  • Nam June Paik. Lo sciamano del video. Catalogo della mostra (Milano, 1994). Ediz. italiana e inglese

Autore: non specificato Editore: Mazzotta 1994 - ARTE -


Webliografia: