Parco Lambro

Tratto da EduEDA
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Titolo

Parco Lambro

Anno

1976

Luogo

Italia

Autore

Grifi Alberto

Descrizione

Il Festival del Parco Lambro era l’appuntamento centrale di quello che veniva definito il “proletariato giovanile”, ossia di quei giovani di sinistra che, delusi dal modo di fare politica del loro partito, così simile a quello dei partiti tradizionali, cercavano di crearne uno nuovo; nascevano così, nei primi anni Settanta, i Circoli del Proletariato Giovanile, risposta ad un’esigenza di aggregazione culturale e politica al di fuori, però, delle organizzazioni partitiche. Il Festival veniva organizzato annualmente e all’inizio dell’estate da RE NUDO, rivista fondata nel 1970 da Andrea Valcarenghi, con il progetto di mettere in comunicazione la cultura underground e quella della sinistra extraparlamentare, dando voce, agli antimilitaristi, agli ecologisti, agli omosessuali, ai proletari e persino ai primi brigatisti. La manifestazione era inoltre appoggiata da alcune organizzazioni politiche, quali Partito Radicale, Lotta Continua, IV Internazionale, Falce e Martello e le riviste “A” (rivista anarchica), “Umanità Nova” e “Rosso” (rivista di Autonomia Operaia). Il festival, che aveva visto crescere il consenso di anno in anno, richiamò anche nell’edizione del 1976 un vasto numero di giovani; anche se con profonde divisioni politico-ideologiche che ispiravano una certa inquietudine nei rapporti personali. A quella situazione di disagio si aggiungeva lo stato di degrado in cui il Comune di Milano aveva lasciato il parco, negando l’allacciamento per l’acqua e non svolgendo il servizio di pulizia previsto, nonché una mala organizzazione che contribuì allo sviluppo di un senso di emarginazione nei partecipanti. La causa che scatenò la protesta fu l’aumento, da un giorno all’altro, dei prezzi applicati negli stand (soprattutto di panini e bibite): il malumore era palpabile perché il festival di ispirazione proletaria s’impossessava delle logiche dei padroni, dimenticando le esigenze dei giovani riuniti. Grifi, chiamato dall’organizzazione a filmare l’evento, si immerse col videotape nella variegata e magmatica realtà di quella edizione del ’76; insieme ad altri “videoteppisti” registrò ben trenta ore di filmato, che oggi rappresentano un documento unico e purtroppo poco conosciuto, non essendo mai stato diffuso homevideo, né venduto alla Rai ed essendo proiettato, comunque mai integralmente, solo in occasioni particolari o all’interno di alcuni festival. Il video registra lo svolgimento di quei quattro giorni e riesce a restituirne l’atmosfera, quasi in una simbiosi con ciò che riprende: i giovani arrivano a Parco Lambro, con i loro zaini e le loro speranze; il video si muove con loro, mollemente, si guarda attorno curioso, soffermandosi sui visi che incontra e che lo colpiscono, poi allarga lo sguardo verso punti più distanti, cercando di comprendere nella sua visuale il fermento da grande raduno tipo Woodstock. Quando la situazione comincia a mutare, il video si incunea nelle fratture e le documenta dal di dentro: il videoregistratore è presente all’interno dell’assemblea permanente sorta in reazione all’aumento dei prezzi, partecipa all’azione di esproprio dei furgoni degli alimentari, ma soprattutto da testimone ‘esterno’, diventa soggetto attivo, che dà voce alle persone presenti. Il video è fondamentale inoltre, perché all’interno di un contesto che si diceva contrario ad ogni forma di discriminazione, era, in realtà l’unico mezzo a dar voce a quei gruppi che restavano comunque ai margini: femministe, gay ed eroinomani. Grifi sottolinea questo passaggio importante nel suo modo di intendere il video affermando che non era più tanto importante filmare e contare i pugni chiusi che sfilavano per le strade, ricalcando il modello di tutti i film di regime. Al regista, invece, sembrava che si potesse agire diversamente, il video poteva aiutare a capire che cosa succedeva nella testa di quei compagni che scendevano in piazza. Alla base di questa enorme mole di lavoro non c’è una tesi precostituita che guida le riprese, ma la volontà di usare il video come arma con cui cambiare il presente; in questo senso, è il video a creare l’attivismo, perché all’interno di questo evento sovversivo guidato dal basso, è capace di registrare la reazione di coloro che da consumatori passivi diventano protagonisti, dando voce ai bisogni e ai desideri dei giovani radunati al Parco Lambro, li trasforma da semplici spettatori in protagonisti dell’evento e della loro vita.