Sostenibilita' dello sviluppo umano

Tratto da EduEDA
Jump to: navigation, search

Aspetti fisico-economici della sostenibilità

Dopo molti contrastanti pareri è ormai comunemente accettato che esiste un problema ambientale generato dall'inquinamento prodotto dall'uomo.
Paradossalmente, dopo anni di battaglie ecologiste, la parola conclusiva su questo argomento sembra provenire da un rapporto che affronta gli aspetti prevalentemente economici: il rapporto Stern sui cambiamenti climatici.

Questo rapporto, commissionato dal governo britannico, sottolinea la necessità di intervenire immediatamente tagliando le emissioni di gas serra ed investendo in questa azione di contenimento l'1% del Pil mondiale.
Ritardare tali interventi comporterebbe una spesa successiva compresa tra il 5 ed il 20 percento del Pil mondiale, cosa che innescherebbe una crisi finanziaria mondiale nell'ordine di quella del 1929.

Ma se queste sono le conclusioni di una querelle scientifica che si trascina da decenni tra ambientalisti ed economisti della crescita facciamo un passo indietro per cercare di capire come siamo arrivati fin qui.

Dal punto di vista chimico-fisico in realtà non ci sono mai stati grossi dubbi; posto che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma è sempre stato evidente che una civiltà votata alla crescita senza fine, dal punto di vista puramente fisico, fosse impossibile da sostenere. (leggi di conservazione)
Tuttavia, grazie forse alla non uniformità dello sviluppo industriale (attivo essenzialmente nel nord del mondo) ed allo sfasamento temporale del periodo di inizio dell'età industriale negli stessi paesi attualmente definiti come sviluppati, questo limite non è stato immediatamente recepito. Anzi, a volte è stato minimizzato dallo stesso mito della tecnologia che tutto risolve.
La realtà, che si sta evidenziando chiaramente solo ora, è che il tipo di sviluppo economico che abbiamo impostato nelle nostre società è possibile solo ed esclusivamente perchè sfruttiamo le risorse (economiche, materiali e biologiche) di quella parte del mondo che consideriamo "arretrata".

In sostanza mantenere gli stili di vita "occidentali" attuali non sarà possibile a tempo indeterminato, nè tantomeno sarà possibile permettere analogo sviluppo nei paesi emergenti che mirano a raggiungere i nostri livelli di benessere.
Semplicemente la terra non sarà in grado di... sostenerci.

Tutto questo risulta evidente utilizzando parametri di misura più significativi di un PIL, indice per cui ad esempio, un disastro tipo terremoto si tramuta in segno positivo (di ricchezza) poichè viene considerato solo l'impatto del processo economico di ricostruzione.
Esistono diversi altri indicatori che potrebbero meglio rappresentare la reale situazione di un paese, come per esempio quello del reale progresso (GPI, Genuine Progress Indicator) che tende a misurare la qualità della vita piuttosto che il solo indice di ricchezza economica.

L'impronta ecologica

Un indicatore scientifico più semplice da usare e di sicuro impatto nell'ambito della divulgazione scientifica, è l'impronta ecologica.
Essa definisce l'esatta quantità di ambiente (inteso come spazio) necessaria per mantenere i nostri consumi ed assorbire i rifiuti prodotti dal nostro stile di vita. Il vantaggio di questo indicatore è che può essere calcolato a diversi livelli:

  • di individuo
  • di comunità (scuola, condominio etc)
  • di comune
  • di regione
  • di nazione
  • di pianeta


Avere a disposizione questi parametri permette anche di poter intervenire sui singoli livelli senza dover attendere interventi dall'alto.
In pratica l'impronta ecologica ci fornisce l'esatta misura di quanto "ambiente" consumiamo, inteso come:

  • terra per riassorbire le emissioni di anidride carbonica prodotta dall'energia che consumiamo e dai cicli produttivi
  • terreno agricolo necessario alla produzione di alimenti ed altro
  • terreno da pascolo per sostentare l'allevamento animale
  • foreste per il legname usato in costruzione (o carta)
  • mare dedicato alle risorse ittiche


Il risultato di questi semplici calcoli ci fornisce la stima di una superficie in ettari relativa alla quantità di terra necessaria a sostenere il nostro stile di vita quotidiano.

I = f(P, A, T)


ossia l'Impatto ambientale (o impronta ecologica) è funzione della Popolazione, dell'Affluenza (quantità di beni e servizi consumati) e dell'indice di dannosità della Tecnologia usata per produrre tutti i beni e servizi consumati.

Per avere un'idea immediata del senso di questo indicatore basta analizzare alcuni dati (1999) espressi in ettari pro capite:

  • 7,60 statunitense
  • 1,84 messicano
  • 3,12 italiano
  • 0,56 indiano
  • 2,2 media mondo


Il dato può essere raffrontato con la stima dei servizi naturali che gli ecosistemi possono offrire, ossia la biocapacità (capacità della terra di rigenerarsi), la cui media mondo è di 1,9 ettari pro-capite. Dal confronto biocapacità-impronta per il sistema mondo ci si rende immediatamente conto che l'ecosistema Terra non può sostenerci a lungo.

Mappa
Ovviamente l'impronta ecologica non tiene conto di tutti i parametri presenti realmente nel sistema (per esempio per il settore energia prende in considerazione le sole fonti fossili e non quelle rinnovabili ed il solo inquinamento da CO2), quindi il suo utilizzo è prettamente educativo visto anche il forte impatto comunicativo dell'indicatore, la possibilità di articolarlo in modo semplice a diversi livelli di profondità e di affrontare argomenti correlati.


Lo sviluppo economico nel mondo: utopia?

Quello che emerge però chiaramente dall'analisi di questi indicatori è che, a livello mondiale, non è possibile pensare all'estensione indefinita dello sviluppo economico così come lo intendiamo in occidente (crescita!).
Pensare che paesi come la Cina o l'India (per fare degli esempi attuali) possano sviluppare economie energivore come quelle del resto dei paesi del nord del mondo è evidentemente insostenibile per il pianeta.
Già ora la situazione di inquinamento ambientale che si verifica sulle principali zone produttive cinesi (basta fare una ricerca su google) è a livelli di pericolosità notevole (fiumi e aria) e la situazione in alcune zone dell'India non è molto differente.

E' evidente (come gli ultimi eventi mondiali hanno palesato) che sostenere uno sviluppo economico come l'attuale non sarà più possibile per nessuno a meno di accettare un futuro di guerre per il controllo delle fonti energetiche fossili rimanenti e per l'acqua. Questo ci porta a dover pensare per tempo (ora) a stimolare la crescita dell'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, ad educarci ad un diverso tenore di vita, ad ottimizzare l'utilizzo delle varie fonti energetiche (risparmio).
Ma anche ad aiutare i paesi emergenti a non ripetere i nostri stessi errori ma, per esempio, a pensare da subito a produrre energia da fonti rinnovabili, pensare a forme di trasporto collettive e non private, rafforzare il trasporto su ferro e non quello su gomma... insomma tutti errori di sviluppo evidenziati dall'ambientalismo classico da oltre un decennio ed ignorati da chi continua a spingere solo ed esclusivamente sul teorema della crescita.

Che ci sia una stretta correlazione tra inquinamento ambientale di origine umana e degrado dell'ambiente terrestre (riscaldamento) è stato ribadito anche nell'ultimo documento dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), presentato a Parigi lo scorso 2 febbraio 2007, in cui si definisce come dipendente al 90% da attività umane il riscaldamento terreste e si ipotizza un aumento tra 2 e 4 gradi (C) entro il 2100.
Le conseguenze di questa pur minima variazione di temperatura, oltre l'ovvio innalzamento del livello del mare che ridisegnerà il profilo di molte nostre coste, è un'espansione della desertificazione a latitudini ora temperate (per intendersi si parla dell'intero centro Europa!).
E' possibile leggere un documento di sintesi del rapporto (Pdf, EN).

Basterebbe conoscere, anche superficialmente, questa documentazione per rendersi conto che è veramente un'utopia continuare a propugnare l'idea dello sviluppo/crescita come toccasana per tutti i nostri problemi; in realtà è proprio la logica dello sviluppo inteso come crescita puramente economica che sta creando tanti danni.


Educarsi al futuro: un progetto di sostenibilità dello sviluppo umano

Da un paio d'anni ci sono persone, docenti, ricercatori, studenti comuni, che alla luce di quanto detto sopra partecipano ad un progetto comune per... Educarsi al Futuro.
Educarsi, perchè bisogna essere attivi e coinvolti in prima persona nel cambiare il proprio stile di vita e nel convincere i nostri vicini a fare altrettanto.

Il progetto, nella sua versione romana, è collaborativo in quanto si propone di sensibilizzare al rispetto dell'ambiente sia i nostri giovani che quelli di paesi del sud e dell'est del mondo mediante un classico gemellaggio "attivo" tra scuole.

Si parla di gemellaggio attivo perchè l'adozione di una scuola dei paesi ad un diverso livello di sviluppo avviene con l'esplicito intento di fornire sia le conoscenze ambientali necessarie a non ripetere i nostri errori, sia gli effettivi strumenti e conoscenze tecnologiche necessarie a mettere in opera e mantenere sistemi di produzione energetica da fonti rinnovabili.

Il progetto, nella versione sviluppata in un istituto tecnico romano, si propone di aiutare gli allievi del college camerunense gemellato a mettere in piedi una piccola centrale solare fotovoltaica con cui alimentare un laboratorio di computers in rete wireless ed un collegamento satellitare ad internet.

Il trasferimento di conoscenza avverrà utilizzando una piattaforma di e-learnig integrata con altri strumenti web 2.0 in modo che il primo gruppo di studenti camerunensi possa poi riproporre l'esperienza di formazione nelle scuole vicine, generando un ritorno economico ed un miglioramento complessivo delle condizioni di vita dei villaggi vicini (si pensi alla possibilità di attrezzare pozzi con pompe solari o di potabilizzare l'acqua attraverso l'uso di un apposito apparecchio sempre alimentato mediante fotovoltaico).
E la tecnologia utilizzata nei Pc a disposizione del progetto sarà tutta rigorosamente free software!


Diverso, ma analogo, il percorso di cooperazione attuato dalla scuola media Alighieri di Spoleto con un villaggio del Burkina Faso, uno stato dell'Africa Occidentale: "obiettivo del progetto è quello di dotare le donne del gruppo FAA I TUORA di un mulino alimentato con energia fotovoltaica, in modo da diminuire il carico di lavoro delle donne e nel contempo migliorare le condizioni di vita delle stesse."
I ragazzi e gli insegnanti della scuola si sono occupati in questo caso prevalentemente di raccogliere i fondi (mediante donazione di 1Euro/mese, mercatini, banchetti etc) per dotare il villaggio delle strutture idonee ad alimentare il mulino.
Ma anche qui è impressionante il lavoro di documentazione e ricerca fatto dai ragazzi per sensibilizzare su questi problemi dell'ambiente.


Cambiare paradigma: la decrescita o economia della felicità

Ci sono correnti di pensiero che, smitizzando il binomio sviluppo-crescita, cercano di pensare un nuovo paradigma: quello della decrescita (o a-crescita), fondato sull'idea di base che sviluppo voglia dire anche e soprattutto ben vivere, miglioramento della qualità della vita intesa come felicità.
Utopia?
Non più dello sviluppo inteso come crescita puramente economica, alla luce di quanto abbiamo appena visto.
In sostanza i sostenitori del movimento per la decrescita si propongono l'obiettivo di "smontare il mito della crescita per elaborare una nuova cultura economica, del sapere e delle relazioni".

Quindi non crescere di meno, ma crescere meglio!

Una spiegazione chiara di cosa si intenda per decrescita è disponibile nell'intervista a Maurizio Pallante (autore del libro "la decrescita felice") e nell'intervista a Luca Mercalli, metereologo ed ambientalista.

Decrescita felice in fondo significa attuare una stabilizzazione: ad un livello accettabile di benessere ci si ferma, si smette di volere sempre di più, ci si gode quello che si ha. Quindi non tornare al medioevo, ma semplicemente non sprecare.
Questo spiega anche come in realtà non si vuole condannare i paesi emergenti a restare sotto standard vitali decenti, ma semplicemente aiutarli ad evolvere ad un livello accettabile di benessere, possibilmente tenendo conto dei nostri errori sociali ed economici, mentre i paesi occidentali dovrebbero contenere i propri.. sprechi.


La sintesi del programma della decrescita è nel cosiddetto programma delle otto R:

  • rivalutare
  • riconcettualizzare/reinquadrare
  • ristrutturare
  • rilocalizzare
  • ridistribuire
  • ridurre
  • riutilizzare
  • riciclare


(estratto da "Obiettivo decrescita" a cura di Mauro Bonaiuti ed. EMI)
Rivalutare - vuol dire rivedere i valori guida della nostra vita sostenendo quelli che dovrebbero sostituire gli attuali valori dominanti: altruismo piuttosto che egoismo, cooperazione e non concorrenza, il piacere del tempo libero e non l'ossessione del lavoro, vita sociale e non consumismo, locale e non globale... Ovviamente non si disconosce che il sistema stimola certi valori e che quindi la scelta volontaria di un'etica personale differente rischia di rimanere un isolato esercizio di volontà se non associato ad una messa in discussione del sistema intero.

Riconcettualizzare/reinquadrare - modificare il contesto concettuale-emozionale di una situazione concreta, ossia il punto di vista. Una riconcettualizzazione tipica è quella relativa al concetto di scarsità-abbondanza; spesso l'economia trasforma abbondanza naturale in scarsità mediante creazione artificiale di penuria. Per esempio gli ogm possono essere visti come sottrazione ai contadini ed alla terra della fecondità naturale delle piante per assegnare la funzione di riproduzione (delle sementi) alle industrie agroalimentari.

Rilocalizzare - molto semplicemente qui si fa riferimento alla filiera corta: produrre localmente i prodotti necessari, con imprese locali e finanziamenti possibilmente locali.

Ridistribuire - ripartire le ricchezze e l'accesso al patrimonio naturale, non tanto nel senso di dare di più quanto nel senso di predare di meno la natura.

Ridurre - gli orari di lavoro, l'impatto sulla biosfera dei nostri sistemi di produzione. La riduzione dei tempi di lavoro comporta la possibilità di assicurare a tutti un impiego soddisfacente che associato alla riduzione del consumo materiale permetterebbe di ricondurre ad 1 l'impronta ecologica.

Riutilizzare - gli oggetti invece di buttarli permette di ridurre gli sprechi energetici, così come pure il

Riciclare gli scarti delle nostre attività, abbatterebbe la richiesta di ulteriore materia prima restando nei limiti della biocapacità.


Basterebbe a questo punto ricordare la distinzione tra crescita e sviluppo introdotta da Schumpeter: "crescita è produrre di più; sviluppo è produrre in altro modo".
Quello che dobbiamo fare è quindi stabilizzare la produzione ad un livello compatibile con la biocapacità del sistema terra.

Non facile, ne immediato ma necessario se vogliamo salvaguardare la biosfera ed avere una possibilità di restare, come specie, sul pianeta.


Bibliografia essenziale

  • Paolo Cacciari, "Pensare la decrescita" - Carta, edizioni IntraMoenia
  • a cura di Mauro Bonaiuti, "Obiettivo decrescita" - EMI
  • Maurizio Pallante, "La decrescita felice" - Editori riuniti
  • Ivan Illich, "Elogio della bicicletta" - Bollati Boringhieri
  • Ivan Illich "La convivialità" - Boroli editore
  • Piero Bevilacqua, "La terra è finita" - Laterza
  • Serge Latouche, "Come sopravvivere allo sviluppo" - Bollati Boringhieri


Webliografia

http://www.blogeko.info/index.php
http://www.ecoblog.it/
http://www.aspoitalia.net/index.php
http://aspoitalia.blogspot.com/
http://educarsialfuturo.medialighieri.it/
http://blog.dida-net.it/
Educarsi.. ITIS Einstein
fogli di calcolo impronta ecologica
http://petrolio.blogosfere.it/
http://ecoalfabeta.blogosfere.it/
http://ilprofessorechos.blogosfere.it/
http://www.wwf.it/
http://www.legambiente.com/
http://www.greenpeace.org/italy/
http://italy.peacelink.org/mappa/topic_31.html