The semiotics of the web

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THE SEMIOTICS OF THE WEB http://pauillac.inria.fr/~codognet/web.html

Semiotica del fotoricettore

Philippe Codognet


La nostra rete telematica tuttavia è simile a quella di Persefone nei suoi scopi: rappresentando e coprendo l’intero universo. La nostra dotta ignoranza sta concependo un mondo virtuale infinito il cui centro è dappertutto e il cui limite in nessun luogo…

I.Introduzione In questo articolo cercheremo di sviluppare un’analisi della comunicazione basata su computer e in particolare della comunicazione tra esseri umani attraverso un medium elettronico. La semiotica è uno strumento molto interessante e potente per riformulare la teoria dell’informazione e l’informatica e per fare luce su questo fenomeno globale. Tuttavia, utilizzando la semiotica, baseremo il nostro studio su un ‘analisi storica più classica, qualche volta avvicinandoci allo storicismo, per precisare le profonde radici della comunicazione contemporanea basata su calcolatore.

I computer sono artefatti indirizzati a immagazzinare e manipolare l’informazione, informazione che essendo fondamentalmente qualcosa che dovrebbe essere generata algoritmicamente---viene codificata in diversi modi. La teoria dell’informazione può essere pensata come una sorta di semiotica semplificata o idealizzata: un algoritmo cifrato/decifrato rappresenta il processo di interpretazione usato per decodificare alcuni significanti (codificare informazioni) in alcuni significati computabili (informazione significativa) per essere introdotto in un successivo momento del programma. Naturalmente questo processo, la semiosis, potrebbe essere illimitato.

La comunicazione tra computers segue lo stesso schema. Dal momento che i dati devono essere trasmessi attraverso qualche mezzo esterno (di solito analogico), uno schema ulteriore di crittografia (sistema semiotico) deve essere inventato e applicato : il protocollo di comunicazione. L’attuale successo del protocollo di World Wide Web di Internet (http) è dovuto principalmente alla capacità di manipolare immagini e suoni in aggiunta al semplice testo alfanumerico. Mentre gli esseri umani comunicano attraverso questo medium e scambiano segni culturali, dovrebbero essere sollevate alcune questioni problematiche. Infatti l’essere umano deve decomporsi come una collezione di segni trasferibili e immediatamente comprensibili perché possa avvenire la comunicazione e questa tendenza oggi può essere vista nelle pagine web personali o nella comunicazione per posta elettronica. L’individuo è mutilato e disintegrato in segni convenzionali, in modo molto più profondo e molto più drammatico che non nella comunicazione orale.


II. Il linguaggio universale delle macchine

Il successo del computer, inteso come un processo di elaborazione universale dell’informazione, consiste essenzialmente nel fatto che esiste una lingua universale in cui possono essere messi molti generi differenti di informazioni e che questo linguaggio può essere meccanizzato.



Abbastanza sorprendentemente o meno a Leibniz è anche comunemente attribuita l’invenzione di un linguaggio universale di computer: la notazione binaria.

Alcuni mesi più tardi Galileo fu il primo a vedere realmente il rilievo della luna, con tutta probabilità per il suo addestramento nelle belle arti (geometria delle ombre e del chiaroscuro), rendendo questo evento un punto di riferimento nell’influenza reciproca tra arte e scienza. Tornando alla notazione binaria, Leibniz stesso trovò un predecessore in Abdallah Beidhawy, un erudito arabo del 13° secolo.

L’invenzione di Leibniz può essere rintracciata nel 1697, in una lettera al duca di Brunswick che mostrava dettagliatamente il disegno di un medaglione (vedi figura), ma egli ritardò la sua pubblicazione fino a trovare una interessante applicazione. Quella che scelse era la spiegazione Fu-Hi delle figure, l’esagramma di I-Ching, o libro dei cambi, proveniente dall’antica Cina.. Due secoli e mezzo dopo, la notazione binaria trovò un’altra applicazione con un impatto molto più ampio: l’elaboratore digitale.

Questo rapporto definisce il cosiddetto disegno del calcolatore di IAS, che ha costituito la base della maggior parte dei sistemi della prima parte degli anni ’50, che erano effettivamente le prime macchine puramente binarie: IBM 701 1952, ILLIAC, università dell’Illinois 1952, MANIAC, laboratorio scientifico 1952 di Los Alamos, AVIDAC, laboratorio nazionale 1953 di Argonne, BESK, Svezia 1953, BESM, Mosca 1955, WEIZAC, Israele 1955, DASK, Danimarca 1957 ecc.

I computer possono computare, certamente, e usare la notazione binaria per rappresentare numeri e ciò è sicuramente di grande interesse, ma c’è tuttavia un’altra questione chiave per renderli capaci di processare informazioni di più alto livello. Il primo passo era codificare simboli alfabetici, quindi muovendosi dagli ambiti dei numeri agli ambiti delle parole. La prima codifica binaria dei caratteri alfanumerici effettivamente fu progettata, quasi un secolo fa , da Giuseppe Peano, il Peano stesso responsabile per la prima assiomatizzazione dell’aritmetica. Egli progettò una macchina stenografica astratta basata sulla codifica binaria di tutte le sillabe della lingua italiana. Con i fonemi, codificati con 16 bit (che permettono quindi 65536 combinazioni), c’era la codifica delle 25 lettere dell’alfabeto italiano e delle 10 cifre. Il codice di Peano, forse tecnologicamente troppo avanzato per i suoi tempi o semplicemente troppo esotico, passò inosservato ed è stato a lungo dimenticato Al giorno d’oggi, i calcolatori impiegano la codifica ASCII delle lettere e dei numeri che rappresentano ogni carattere con 7 bit (o 8 per il sistema ASCII che include lettere accentate). Potendo manipolare numeri e lettere, il calcolatore si è trasformato presto in una macchina per l’elaborazione dell’informazione perfetta, il manufatto perfetto della tecnologia dell’informazione.

Un altro aspetto, tuttavia è cruciale: la digitalizzazione e, naturalmente, la binariazione delle immagini, che hanno contrassegnato l’apertura del mondo delle immagini al computer. Questa tecnologia fu mostrata, per quanto possa sapere, per la prima volta al pubblico generalista intorno alla metà degli anni ’60, durante l’apice delle esplorazioni spaziali. La rivista Time, relativamente alla missione Mariner 4 su Marte (riguardo all a quale la macchina fotografica inviò le prime immagini della superficie del pianeta rosso)scrisse: “Ciascuna immagine era costituita da 200 linee, rispetto alle 525 linee degli schermi delle TV commerciali. E ciascuna linea era composta da 200 punti. Le immagini sono state tenute sul tubo per 25 secondi mentre sono state esplorate da un fascio elettronico che ha risposto all’intensità della luce di ogni puntino. Questa è stata tradotta in codice numerico con ombreggiatura che oscillava da zero per il bianco a 63 per nero più profondo. I numeri del puntino sono stati registrati nel codice binario di uno e zero, il linguaggio dei calcolatori. Così il bianco (0) era 000000, il nero (63) appariva come 111111. Ogni immagine, realmente 40.000 puntini codificati in 240.000bit del codice binario, è stata immagazzinata sul nastro magnetico per la trasmissione alla terra dopo che il Mariner aveva passato Marte.


Come argomento di confronto, i moderni calcolatori potrebbero maneggiare le immagini composte da milioni di pixels (piccoli punti) con milioni di colori, richiedendo circa 100 volte più bits dei codici binari. Effettivamente, questa capacità di maneggiare le informazioni pittoriche costituisce la più importante ragione per l’attuale esplosione del cyberspazio e di Internet. Senza immagini, le interazioni essere umano-calcolatore e umano-umano (tramite calcolatore) sarebbero limitate all’insieme alfanumerico, la comunicazione elettronica sarebbe circoscritta agli informatici e ad alcune applicazioni cruciali di business/military. Non dimentichiamo che l’antenato di Internet fu Arpanet… L’allargamento della rete nella società, con la crescita esponenziale e la mediazione del www, potrebbe emergere soltanto se i segni elettronicamente scambiati potessero essere allo stesso tempo sia più complessi, per tenere più brevemente le informazioni, sia meno aridi, per essere più piacevoli esteticamente. Ripercorriamo un po’ la storia e diamo uno sguardo indietro alla tradizione d’uso della conoscenza pittorica nella scienza e nella filosofia.

III.Il potere delle immagini L’uso delle immagini per rappresentare la conoscenza e sintetizzare informazione, ha un lungo retroterra nella storia del pensiero occidentale, particolarmente nell’antica tradizione dell’Arte della Memoria, un filone di studi classici che va indietro fino a Cicerone e persiste fino al Rinascimento.

Egli non scrisse mai un manoscritto non pubblicato sull’arte della memoria. L’idea principale dell’ars memorativa è organizzare la stessa memoria in luoghi organizzati in un’architettura immaginaria; p. es. le stanze di una casa. Questa architettura di base deve essere ben conosciuta e familiare per permettere al pensiero di spaziare più facilmente con essa.. Quindi per ricordare particolari sequenze di cose, potremmo popolare queste stanze con immagini che potrebbero riferire direttamente o indirettamente ciò che deve essere ricordato.


Il più importante assunto qui, i cui collegamenti vanno ovviamente indietro fino a Platone, è che le immagini visive sono più importanti da ricordare delle parole.


E’ interessante notare che questa considerazione platonica sulla immediatezza delle immagini (come astrazione di idee) è durata fino ai nostri giorni, come mostrato dall’abitudine di Saussure di disegnare un albero per illustrare il significato della parola albero nel Corso di linguistica generale.



L’alfabeto filosofico della sua enciclopedia globale è un alfabeto di immagini.

Un mezzo molto interessante introdotto nell’uso da Comenio è attaccare lettere o numeri a parti dell’immagine e riferire questi simboli nel testo. Egli dovette ricorrere a simboli indicizzati per effettuare un lavoro sull’ immagine come un diagramma globale di immagini. Allo stesso tempo il padre gesuita Athanasius Kircher stava usando la stessa indicizzazione nel suo famoso Oedipus Aegyptiacus(1652) e in molti altri dei suoi numerosi scritti.

Comunque questo utilizzo di lettere e numeri per decomporre un’immagine e il riferimento a più dettagliate spiegazioni potrebbe essere già trovato indietro un secolo prima. Effettivamente la produzione di libri stampati illustrati “che potrebbero essere chiamati libri coffee-table se fossero pubblicati oggi “si svilupparono rapidamente dopo il 1520.Un’importante parte di alcune pubblicazioni furono libri tecnologici su vari soggetti come architettura, metallurgia, idraulica, meccanica ecc.


I più recenti esempi che ho trovato provengono da una ristampa di 10 libri di Vitruvio sull’architettura, datati 1521.

Alla fine del 16° secolo, questa tecnica di frazionamento di punti di vista era usata dai Gesuiti in vari modi, per esempio nelle pitture dei martiri eseguite da Niccolò Circignani in varie chiese gesuite nel 1582-1583, come gli affreschi nella chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma (1583).


Questo testo fu molto usato dai missionari gesuiti in Cina e sono state fatte copie cinesi di questo libro, con illustrazioni copiate da artisti locali.


Quasi identico a quello di Comenio, il dispositivo a indice usato nel libro di Nadal effettivamente corrisponde ad una forma primitiva del sistema a indice che oggi può essere trovato nel W W W…


IV. Un fotoricettore delle icone, degli indici e dei simboli


Le pagine web sono attraenti e ricche di significative informazioni, o almeno così sembrano. Navigare sul web vale l’attesa di ore spese aspettando davanti al computer mentre i dati sono trasmessi dall’altra parte del pianeta, o il vagabondaggio speso con le informazioni inutili sugli oggetti non interessanti. Il nostro scopo qui sarà soltanto di usare la semiotica per analizzare il fotoricettore come strumento di comunicazione per determinare quali concetti classici sono in esso. Ritorniamo alla classica classificazione di Pierce di segni e icone, indici e simboli, che è molto utile per capire i diversi modi in cui i segni funzionano e la semiosi è compiuta. Prendiamo la presentazione di Arthur Burk di questa tricotomia:


Proviamo ora ad usare queste nozioni per analizzare le principali caratteristiche della pagina web.

Le pagine web sono definite ipertesti, cioè testi con alcune loro componenti (parole o frasi), possibilmente collegati ad altri (iper)testi e così via.

Il lettore può navigare attraverso l’intero testo in modo non lineare, dai collegamenti caldi o dai punti di ancoraggio, cioè collegando alcune parti del testo con altre. Questi link sono un chiaro esempio di indici, con una parola che indica (riferita alla ) sua definizione oppure a qualche parte di informazione ad essi collegata. Il W W W semplicemente estende le nozioni di base di ipertesto permettendo che un indice si riferisca ad una certa posizione fisicamente distante su un computer remoto in qualche parte su Internet, insieme, naturalmente, alla possibilità di collegare e quindi comunicare le immagini e il suono.

Comunque, per fungere da indice, un segno deve essere riconosciuto come tale, cioè l’indice deve mostrarsi come un riferimento.


Le pagine web sono di solito piene di piccole immagini per rendere amichevole e più accattivante la navigazione attraverso la rete. Questi sono segni simbolici, nel senso che il loro oggetto deve essere stabilito convenzionalmente per aiutare il lettore ad orientarsi in un omogeneo e illimitato cyberspazio. In generale, almeno tutte le pagine dei siti web (luoghi fisici/logici ospitati da una certa istituzione) sono omogeneizzate riguardo ad usare gli stessi simboli per indicare i movimenti di base nella documentazione ipertestuale (solitamente in cima o in fondo alla pagina), in modo che il lettore possa imparare velocemente il loro significato convenzionale. Ciò può essere visto nella home page della Sony Virtual Society. In questo esempio le immagini agiscono come tautologie e duplicano i collegamenti testuali qui sotto, che realmente conferiscono i loro significati alle immagini.


Potrebbe essere interessante collegare i simboli usati dai progettisti della pagina della Sony a qualche vecchia immagine dal libro della memoria dell’arte di Johannes Rombech, dove si potrebbe trovare un’immagine indirizzata a definire la misura ottimale del luogo da usare per un’ immagine di memoria: non troppo grande e non troppo piccolo, approssimativamente un quadrato a grandezza umana. Esiste anche un meta-discorso dietro ai simboli elettronici di navigazione della Sony?

Un altro esempio (ancora da Sony) mostrerà che alcuni simboli per link ipertestuali tendono a trasformarsi in icone, come se fossero soltanto mezzi per eliminare la tautologia testuale.


Questi segni possono essere considerati come simboli convenzionali dal cyber-gergo, usati all’interno di un testo alfanumerico per esprimere, in modo rudimentale, alcune emozioni o fatti personali. Ma effettivamente si trasformano in icone se il testo è ruotato di 90 < SUP > 0…




la gamma di sensazioni che potrebbero essere espresse è piuttosto limitato e ciò mostra in maniera cruda la povertà e la standardizzazione della comunicazione virtuale attraverso la quale concretamente stiamo andando. L’ultimo esempio della home page di E-Play, una compagnia italiana di moda, è un buon esempio di una pagina web ricca di icone.


Comunque la pura iconografia non è possibile, poiché le icone devono mostrarsi come tali, per mostrare la loro propria icona-ness. Un segno non è iconico fino a quando l’interprete non lo riconosce come tale. A quello scopo la figura del puntatore del mouse (il dispositivo utilizzato per muoversi sullo schermo del computer attraverso il testo visualizzato) cambia quando passa su un tale collegamento e diventa…una piccola mano con un indice aguzzo. Quindi, un indice viene usato per identificare una icona come tale. Ma nota anche che un’icona (il dito aguzzo) allora è usata per identificare l’indice come tale. Come è ben noto, la pura iconicità non è possibile.

Conclusione


Non possiamo resistere alla tentazione di confrontare questo problema con il contro-esempio di W.V. Quine che mostra l’impossibilità di imparare un linguaggio partendo da zero. Immaginati come un linguista avventuroso abbandonato in un luogo deserto in qualche territorio sconosciuto ospitato da una tribù primitiva (per dare un’emozione esotica).


Se il segno indicante non è identificato chiaramente (e come potrebbe esserlo?) questo modo iconico di imparare un linguaggio (parola che significa per analogia una cosa esistente) non può funzionare.