Videoarte: differenze tra le versioni

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'''1970''' A Bologna si inagura la mostra Gennaio 70. Nam June Paik inventa il sintetizzatore (l'Abe-Paik), in collaborazione con l'ingegnere giapponese Shuya Abe. Gerry Schum gira "Identification". Prima installazione di un corridoio di [[Nauman Bruce|Bruce Nauman]] in una galleria di Los Angeles. [[Schneider Ira|Ira Schneider]] e Beryl Corot editano il primo periodico sul video:"Radical Software" che pubblica undici numeri fino al 1974.  
 
'''1970''' A Bologna si inagura la mostra Gennaio 70. Nam June Paik inventa il sintetizzatore (l'Abe-Paik), in collaborazione con l'ingegnere giapponese Shuya Abe. Gerry Schum gira "Identification". Prima installazione di un corridoio di [[Nauman Bruce|Bruce Nauman]] in una galleria di Los Angeles. [[Schneider Ira|Ira Schneider]] e Beryl Corot editano il primo periodico sul video:"Radical Software" che pubblica undici numeri fino al 1974.  
  
'''1971''' A New York apre [[The Kitchen]] (tra i fondatori [[Vasulka|Steina e Woody Vasulka]]) che presenta l'attività di artisti quali Paik, [[Graham Dan|Dan Graham]], [[Campus Peter|Peter Campus]], Ira Schneider, Bill Viola ecc.. M Shamberg pubblica Guerrilla Telelevision, sull'uso politico e di contro informazione del video.  
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'''1971''' A New York apre [[The Kitchen]] (tra i fondatori [[Vasulka|Steina e Woody Vasulka]]) che presenta l'attività di artisti quali Paik, [[Graham Dan|Dan Graham]], [[Campus Peter|Peter Campus]], Ira Schneider, [[Bill Viola]] ecc.. M Shamberg pubblica Guerrilla Telelevision, sull'uso politico e di contro informazione del video.  
  
 
'''1972''' A Berlino viene fondata la videoteca Nbk. La galleria l'Attico di Roma organizza un festival di performance, che viene documentato col video da [[Giaccari Luciano|Luciano Giaccari]]. Bill Viola studia all'Experimental Studios, College of visual and Performing Arts di Syracuse, e inizia a lavorare con il video. Nam June Paik crea a New York il Global Grove, un laboratorio per la sperimentazione video per la rete televisiva Wnet. [[Hill Gary|Gary Hill]] inizia ad utilizzare il video. A Firenze inizia l'attività di [[Art/Tapes/22]], laboratorio di diffusione e produzione di video d'artisti.   
 
'''1972''' A Berlino viene fondata la videoteca Nbk. La galleria l'Attico di Roma organizza un festival di performance, che viene documentato col video da [[Giaccari Luciano|Luciano Giaccari]]. Bill Viola studia all'Experimental Studios, College of visual and Performing Arts di Syracuse, e inizia a lavorare con il video. Nam June Paik crea a New York il Global Grove, un laboratorio per la sperimentazione video per la rete televisiva Wnet. [[Hill Gary|Gary Hill]] inizia ad utilizzare il video. A Firenze inizia l'attività di [[Art/Tapes/22]], laboratorio di diffusione e produzione di video d'artisti.   

Revisione 04:27, 28 Giu 2006

Cronologia

Il video comincia ad essere ampiamente utilizzato in Europa e negli Stati uniti, solo alla fine degli anni Sessanta; in un clima artistico in cui il concetto di opera d'arte è rimesso completamente in discussione. Le tendenze artistiche di questo periodo (Land Art, Body Art, Minimalismo, Arte Povera ecc…) affermano una nuova dimensione estetica e una dilatazione spazio-temporale dell'oggetto artistico. La videoarte nasce in questo periodo dove la tecnica tradizionale è rifiutata a favore delle sperimentazioni di novi mezzi. Lo sviluppo tecnologico apre agli artisti nuove possibilità per la sperimentazione, così come accadde con l'avvento della fotografia. L'opera d'arte esce dagli schemi tradizionali così come la figura dell'artista assume un ruolo diverso.


1952 Lucio Fontana pubblica il manifesto del movimento spaziale per la televisione (firmato da: Ambrosiani, Burri, Tancredi, Deluigi ecc…) .

1958 Vostell realizza i suoi primi Tv Dé-coll/age.

1963 A Wuppertal, Galleria Parnass, la mostra di Paik Exposition of Music-Electronic Television, dove interagiscono musica elettronica e immagine elettronicha.

1965 A New York Paik realizza il primo video d'artista realizzato con una telecamera portatile intitolato Café Gogo.Successivamente presenta alla galleria Bonino la mostra Electronic Art, con televisori modificati.

1969 Gerry Shum

1970 A Bologna si inagura la mostra Gennaio 70. Nam June Paik inventa il sintetizzatore (l'Abe-Paik), in collaborazione con l'ingegnere giapponese Shuya Abe. Gerry Schum gira "Identification". Prima installazione di un corridoio di Bruce Nauman in una galleria di Los Angeles. Ira Schneider e Beryl Corot editano il primo periodico sul video:"Radical Software" che pubblica undici numeri fino al 1974.

1971 A New York apre The Kitchen (tra i fondatori Steina e Woody Vasulka) che presenta l'attività di artisti quali Paik, Dan Graham, Peter Campus, Ira Schneider, Bill Viola ecc.. M Shamberg pubblica Guerrilla Telelevision, sull'uso politico e di contro informazione del video.

1972 A Berlino viene fondata la videoteca Nbk. La galleria l'Attico di Roma organizza un festival di performance, che viene documentato col video da Luciano Giaccari. Bill Viola studia all'Experimental Studios, College of visual and Performing Arts di Syracuse, e inizia a lavorare con il video. Nam June Paik crea a New York il Global Grove, un laboratorio per la sperimentazione video per la rete televisiva Wnet. Gary Hill inizia ad utilizzare il video. A Firenze inizia l'attività di Art/Tapes/22, laboratorio di diffusione e produzione di video d'artisti.

1974 Al Kunstverein di Colonia viene organizzata la mostra Video Tapes, con opere di Acconci e Nauman. A Ferrara inizia le attività il Centro Videoarte di Palazzo dei Diamanti. L'International Cultureel Centrum di Anversa crea uno studio con apparecchi di registrazione a disposizione degli artisti. Bill Viola utilizza per la prima volta la telecamera a colori per realizzare "Red Tape". Mostra Artist's Video al Palais des Beaux Arts diBruxelles (opere di Nam June Paik, Wolf Vostell, Joseph Beuys ecc..). Dan Graham partecipa alla mostra Art Video Confrontation di Parigi al Musée d'Art Moderne.

1975 Al Global Village di New York si svolge il primo festival annuale di video documentari.

1977 Documenta 6 a Kassel presenta una retrospettiva di videoinstallazioni e video, alcuni dei quali sono trasmessi via satellite negli Stati Uniti.

1979 Inizia il VideoArt festival di Locarno.

1982 Iniziano le attività: al festival Imagina a Montecarlo e del Festival Art Elettronica di Linz. A Milano si costituisce il gruppo Studio Azzurro.

1983 Inizia a Bologna la rassegna L'Immagine Leggera. Inizia il Festival di arte elettronica di Camerino.

1984 Paik diffonde via satellite il video "Good Morning Mr. Orwell". Alla Biennale di Venezia c'è una sezione di video installazioni e videotape. A Prato si svolge la mostra "Immagini da computer".

1985 A Pisa nasce l'associazione Ondavideo.

1986 Iniziano le attività del Festival Art Elettronica a Linz. La Biennale di Venezia comprende un settore sulla videoarte e sulla computer arte.

1987 A Milano si apre la mostra Arte e computer.

1990 A Parigi si svolge la mostra "Passage de l'immage". A Milano si inaugura la rassegna Invideo.

1992 A Torino si innagura la mostra Arslab.

1993 A Madrid si inagura la mostra itinerante di Bruce Nauman. Paik espone alla Biennale di Venezia.

1996 A Paleremo inizia la rassegna L'Immagine Leggera.

1998 A New York il Whitney Museum organizza la retrospettiva itinerante di Bill Viola. Al Guggenheim Soho Museum sempre a New York si inaugura una personale di Fabrizio Plessi.

2000 Al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, personale di Nam June Paik.

2001 Inizia il festival Netmage.


I critici e gli storici che si sono occupati di Videoarte: Enrico Crispolti, Vittorio Fagone, Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Germano Celant


Storia della Videoarte

Dagli anni Sessanta ad oggi


Introduzione: Rapporto tra arte e tecnologia



Storia della Videoarte

L’origine della televisione è legata sul piano tecnico e su quello della strutturazione linguistica agli sviluppi della radio. La dominanza del sonoro, il valore del tempo reale, l’immissione in uno spazio sociale a larga apertura sono caratteristiche che segnano l’evoluzione della televisione fin dagli inizi. I primi avvii della televisione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si hanno nella seconda metà degli anni trenta. L’affermazione del nuovo mezzo elettronico su scala mondiale come mezzo rivoluzionario di comunicazione si ha solo alla fine degli anni quaranta, nei primi anni cinquanta.

Nam June Paik nel marzo 1963 espone nella Galerie Parnass di Wuppertal l’immagine prodotta dalla televisione e manipolata per una serie di creative distorsioni: un'installazione con 13 video-monitor, messi a caso, che riempivano lo spazio con l'emissione di immagini ferme interagenti con gli spettatori. Sempre Nam June Paik crea il primo video d’artista nell’ottobre nel 1965 quando il portapack della Sony rende accessibile il medium elettronico sotto la specie di una tecnologia leggera. Con queste date si identifica così la nascita della videoarte. Da questi primi passi nascono una miriade di idee e invenzioni, che per ben 40 anni hanno avuto un ruolo fondamentale nell'introduzione - accettata quasi subito - delle immagini elettroniche in movimento nel mondo dell'arte. In breve Paik diventa un "genio" dei media per la sua straordinaria capacità di proporre forme-immagini, ottenute con mezzi tecnologici, capaci però di coinvolgere tutti i sensi, di mettere in scena un movimento proteiforme di un'apertura infinita, un gioco complesso che coinvolge inevitabilmente anche l'interprete. Per capire l'intensa concentrazione, lo sforzo di introspezione e di controllo compiuti da Paik bisogna tener presente che egli, nel suo lavoro, ha saputo innanzitutto far convivere interessi umanistici e musicali, una filtrata e poetica cultura Zen, l'eredità delle avanguardie del Novecento, legando il tutto con una conoscenza perfetta della tecnologia e dell'intelligenza artificiale. Se generalmente l’avvio delle esperienze della videoarte è riconosciuto al contributo di Paik, il TV-dé-coll/age di Wolf Vostell, una singolare destrutturazione nello spazio dell’apparecchio televisivo, ridotto a singole unità disperse nell’ambiente, è del 1958-59. L’episodio stabilisce per qualche verso una priorità delle analisi e ricomposizioni spaziali legate a un’utilizzazione dell’immagine elettronica rispetto all’originale ricerca di un nuovo codice di rappresentazione visuale in grado di attivare, sul piano linguistico, la produzione video (videografia).

Fin dalle prime esperienze della videoarte (anni Sessanta) si è delineato un orizzonte differenziato, aperto e versatile, pronto a impossessarsi, decostruire e riassemblare tutti i modelli e metodi della comunicazione audiovisiva: nei confronti del nuovo e inusuale strumento di produzione e riproduzione di immagini in movimento e di suoni, gli artisti hanno condotto una varietà di sperimentazioni incentrate fondamentalmente sulla manipolazione delle sue trasmissioni o/e del dispositivo stesso. Da un lato dunque hanno assunto come punto di riferimento una realtà visiva già data e conformata, esterna, un involucro pieno di tempo (reale o differito) e di memoria su cui esercitare le proprie variazioni creative; dall'altro il funzionamento stesso del mezzo, la sua potenzialità tecnologica e le relative articolazioni linguistiche, un medium-strumento-contenitore direttamente disponibile a riplasmarsi nella creazione di immagini autonome, senza referente nella realtà. Una terza ipotesi si è imposta rapidamente con l'avvento della telecamera portatile che ha aperto ulteriori possibilità di intervento nella rielaborazione linguistica, attraverso la ripresa e le sue svariate forme di interpretazione, all'interno di un intrigante rapporto tra opera e visione. Questi diversi modi d'uso dello strumento elettronico da parte degli artisti si sono immediatamente intrecciati, integrandosi con molteplici altri mezzi e motivazioni nella multiforme attività di artisti provenienti da campi diversi, la musica, la fotografia, il cinema, la pittura, la scultura, il teatro, la danza, e con varie forme di azioni, ambientazioni, modalità espressive e sperimentazioni che sono state ibridate, reinventate, alimentandosi reciprocamente nella creazione di un linguaggio meticcio. Il lavoro artistico in questo campo si è caratterizzato dunque costantemente come veicolo di uno scambio di modelli operativi e di modalità di formalizzazione e di visione, contribuendo a spiazzare e ridefinire la nozione stessa di arte in un territorio intermedio; tanto più in quanto la ricerca degli artisti è sempre dialetticamente collegata alle tendenze che caratterizzano il panorama artistico coevo. Infatti l'ambito in cui si è formata la videoarte, ormai più di trent'anni fa, è quello degli orientamenti culturali delle Neoavanguardie, che non considerano più le opere d'arte come oggetti in senso tradizionale, ma come situazioni, azioni, ricerche di nuovi e diversi processi della comunicazione estetica, da Fluxus al postmoderno, passando per l'happening, la performance, la pop art, la body art, la land art, l'arte povera, il minimalismo. Per strutturare poi una propria via, in alcuni casi occasionale, in altri più approfondita e continuativa, acquisendo identità, finezza, narratività, articolazioni specifiche, a seconda del relazionarsi più selettivo con il cinema, con la musica, con la scultura o la pittura o l'ambientazione. In tale pluralità si pone sempre, come dato intrinseco e ineliminabile, un rapporto strutturale con la tecnologia, che ha modificato sostanzialmente i tradizionali parametri del fare artistico; non esistono più nella videoarte supporti, pennelli, pigmenti, gesti, materia, ma solo un flusso di luci capaci di prendere qualsiasi forma e colore, in continua mutazione, interconnessi con lo spazio e con il tempo, con oggetti e situazioni; eliminato il rapporto tra la mano e il fare, e anche il rapporto tra mano e macchina, subentra - data la complessità, la versatilità e anche la carica simbolica e sociale degli strumenti utilizzati - una relazione mente-macchina che condensa ed è l'opera stessa, in una inesauribile ricerca che trasmuta e reinterpreta ogni acquisita procedura di espressione e di percezione. La storia della Videoarte costituisce una chiave di lettura degli orientamenti estetici del moderno e del postmoderno; testimonia il profondo cambiamento nel rapporto tra l’artista, gli strumenti, l’opera e il pubblico ed evidenzia il grande interrogativo sui destini dell’arte nell’età dell’elettronica e dell’informatica. Europa e America si sono scambiate tra la fine del 1960 e il 1980 esperienze del campo della ricerca video in un circuito molto veloce che non ha equivalenti in nessuna delle forme artistiche tradizionali. La facilità di diffusione delle produzioni video, anche se non agevole per le installazioni, ha consentito una rapida trasmissione di queste esperienze.


Anni ‘60

La storia vera e propria del video inizia dopo il 1965, anno in cui la Sony lancia sul mercato statunitense il portapak, diffuso poi in tutto il mondo a partire dal 1967. Due gli artisti che riescono subito ad appropriarsene: Nam June Paik e Les Levine. I primi video realizzati dai due sono emblematici perché indicano le differenti direzioni su cui si avvierà poi il video. Da un lato, il famosissimo Cafè Gogo in Greeenwich Villane, 152 Bleeker Street, realizzato da Nam June Paik dal finestrino di un taxi attraverso le vie di Manhattan durante la visita newyorkese del papa, sancito da molti come il primo video d’arte della Storia; dall’altro, il meno noto BUM, firmato da Les Levine fra i barboni delle strade di New York e considero dei più come una sorta di documentario poco elaborato. In questi consolidati giudizi si rintracciano le prese di posizione che caratterizzeranno in seguito gli atteggiamenti e il sospetto della critica verso il video, imputato di connivenze extraartistiche moleste. Il video è infatti uno strumento particolare, poliedrico per natura, impossibile da definire in termini univoci. In questa prima fase, negli anni Sessanta, il nuovo mezzo elettronico viene esplorato nella sua qualità di strumento capace di stabilire un tipo di immagine cha ha una inedita e produttiva densità, fisica e comunicativa, orientata in contrapposizione dichiarata, contro le altre immagini, banali e massificate della televisione. La primaria preoccupazione degli artisti di quel periodo è l’esplorazione e la ridefinizione del mezzo elettrico.


Anni ‘70

Gene Youngblood Già nella seconda metà degli anni settanta, mentre nascono le prime videoteche e le prime sezione di musei dedicate all’arte video, si ha un calo di questa produzione, un progressivo abbandono da parte anche di artisti che hanno raggiunto risultati di rilievo in quest’area di ricerca. Dell’improvvisa fortuna e del rapido declino dell’arte video si può cercare una spiegazione. La manipolazione tecnica ed estetica di un nuovo strumento visivo di comunicazione è congeniale all’artista della nuova avanguardia che si è affermata negli anni sessanta. La poetica delle avanguardie richiede all’artista di intervenire in posizione di innovazione radicale. Il video fornisce almeno all’apparenza questa condizione. E’ strumento totalmente nuovo che si rivela di una potenzialità inesauribile. Quanto le modificazione di immagini risultino realmente innovative, congeniali alla specificità del nuovo mezzo, è oggi più semplice da osservare. La qualità tecnica di alcuni primi esperimenti sul video appare oggi difettosa. Il virtuosismo tecnico ingenuo e ridondante, la soggettività espressa, fuorviante. Bisogna in questo giudizio tener conto di come siano state accolte, si può dire indiscriminatamente, le nuove produzioni puntando sulle possibilità enormi di sperimentazioni del nuovo mezzo. Si è creato un circuito in cui, però, alla enorme produzione non ha corrisposto un adeguato sistema di diffusione e distribuzione. Le gallerie d’arte, solo raramente, si sono occupate della diffusione del video: giustamente più della loro produzione. I luoghi di presentazione della nuova produzione video sono venuti a costituire una rete non molto ampia, stabilita tra sezioni specializzate di alcuni grandi musei d’arte contemporanea, poche istituzioni destinate alla diffusione del video, alcune cooperative e gruppi di artisti, più numerosi e attivi negli Stati Uniti. Una dimensione affatto particolare per la diffusione dell’opera video sono risultati gli incontri internazionali che grandi esposizioni e rassegne hanno promosso. Questi eventi hanno rappresentato momenti essenziali del confronto tra esperienze diverse. In queste, un’enorme mole di video è stata presentata al pubblico come un carico difficilmente sostenibile anche per un’attenzione motivata.


Anni ‘80

Nella terza fase, gli anni ottanta, l’impulso della ricerca video come espansione dell’area della arti visuali registra il continuo decremento che aveva preso avvio nella metà degli anni settatta sotto la pressione del ritorno delle immagini materiali dell’espressionismo. Parve a molti che la ricerca sui media della nuova tecnica, così direttamente coinvolgente le immagini e il modo di produrre immagini delle arti visuali, fosse destinato a una definitiva eclisse; ma anche se c’è stata un’indubbia mutazione di atteggiamento e di aspettative, il confronto tra arte e tecnologia ha continuato ad essere vivo, l’assorbimento delle potenzialità dei nuovi strumenti tecnici da parte dell’arte, ancora più sottilmente modellato. La sperimentazione video infatti non si arresta, anzi, sembra liberata da una troppo stretta dipendenza a modelli e stereotipi esterni. Il nuovo contesto tecnologico lascia intravedere l'aprirsi di un periodo nuovo, nel quale le sperimentazioni sul trattamento delle immagini del biennio '60-'70 vengono largamente superate; il video, sganciato dall'essere un linguaggio autonomo, può essere utilizzato in maniera diversa ed inserito in complesse installazioni multimediali. Le sperimentazioni ed il rilancio della pratica video sono diffuse e presenti in molteplici forme: videopoema, videonarrazione, videopolitico, videodanza, video e musica, videoinstallazioni sono settori di sperimentazioni dove il video è rilanciato, divenendo supporto ideale e principale. Il video rappresenta il supporto ideale per visualizzare movimenti, insieme di idee e sensazioni, estensioni nel tempo di pratiche di arti plastiche. Il video degli anni ottanta guarda con curiosità, non più con avversione, alle peculiarità del mezzo elettronico rivelato della televisione, infatti nessun videoartista si è sentito più di dover dichiarare che lavora contro la televisione, più spesso ha tenuto a distinguere tra video e televisione, ma anche ad affermare che la televisione può essere una canale appropriato per la circolazione della ricerca video; la televisione viene vista come medium attraverso il quale una ricerca specifica può raggiungere un largo pubblico. I modelli della comunicazione televisiva sono in grado di esercitare una loro influenza che il videoartista è in grado di assumere, e governare, criticamente. I videoartisti degli anni ottanta sono al di là di ogni ottimismo tecnologico, non si interrogano più sulla portata del mezzo, ma cercano di utilizzarlo al meglio. Essi hanno una coscienza lucida della esilità delle risposte che il video può offrire alle richieste di una rappresentazione grandiosa; conoscono però anche la sottile forza penetrativa dell’immagine nel tempo che il video propone, un’immagine che forza strutturale, come un’architettura della visione.


Anni ‘90

Una prospettiva importante nel campo del video è una sempre maggiore riduzione di distanza tra la qualità fisica e ottica dell’immagine chimica, fotografica, cinematografica e l’immagine elettronica, televisiva e quindi una direzione verso risultati inediti sul piano estetico per quanto riguarda il video; in questo senso, con il passaggio al video digitale, negli ultimi anni si sono fatti passi da gigante.


Aree di sviluppo del video

Aree in cui si sviluppano maggiormente le attività produttive sono la Germania e gli Stati Uniti. In questi luoghi lo sviluppo e la ricerca sui nuovi media vengono appoggiati con notevoli sovvenzioni e programmate forme di insegnamento d'arte al video. Di qui la possibilità lavorativa continua nel tempo di numerosi artisti anche nei momenti in cui viene meno l'attenzione. Grazie a questi "videoartisti", di natura creativa diversa, ed all'analisi di linee di tendenza è possibile delineare mappe di personaggi e di scelte linguistiche, non dimenticando che il linguaggio video presenta spesso caratteri contradditori e vive costantemente ai confini dei linguaggi estetici. Il video tedesco è senza dubbio il più forte d’Europa; esso appare aperto a una prospettiva di crescita. Proprio sulla nascita della videoarte la cultura visuale tedesca vanta, con fondamento, il suo apporto decisivo, sia che si assuma come punto di avvio l’esposizione nella Galerie Parnass di Wuppertal del 1963 in cui Nam June Paik espone l’immagine televisiva manipolata, sia che si consideri nel 1965 la creazione sempre dello Paik del primo video d’artista. Nam June Paik ha a lungo lavorato a Dusseldorf e ha sentito profondamente l’influenza del movimento Fluxus. Il video è per Paik il mezzo espressivo più rispondente alla rivoluzione culturale libertaria di Fluxus, il movimento di avanguardia multimediale a cui partecipa dopo una formazione estetica avvenuta nell'estremo Oriente e nell'Occidente europeo. Nell'avanguardia di Fluxus, l'artista coreano non è esclusivamente un videoartista, bensì un artista "ipermediale" che adopera una molteplicità di comportamenti vitali e di tecniche artistiche. Anche Vostell fa parte dello stesso clima. La relazione tra ricerca video e movimento Fluxus è fondamentale: si tratta di stabilire infatti strategie nuove della comunicazione come campi e modelli di una nuova processualità artistica. Questi artefici cercavano l'interdisciplinarità totale dei mezzi da usare, e privilegiavano il processo creativo piuttosto che l'oggetto finale, e l'assoluta precarietà dell'opera. Ma più che opere vere e proprie gli artisti Fluxus preferivano dare vita ad "azioni" - che rifuggivano ogni dogmatismo, o l'adesione a un "bello" stereotipo - documentate da riprese in video, foto, dischi, partiture musicali, e documenti di vario genere. Quando nella seconda metà degli anni settanta la videoarte entra in crisi, il fenomeno, anche se di ampia portata pure in Germania, non tocca però il cuore della sperimentazione video tedesca. Ciò che caratterizza di queste produzioni tedesche è soprattutto il forte legame che esse conservano con il mondo delle arti visuali e la declinazione di una specifica grammatica del video. Pure il Giappone ha occupato un posto di rilievo nel campo delle ricerche video. Non a caso alcuni dei più rappresentativi protagonisti della sperimentazione video (il coreano Nam June Paik, lo statunitense Bill Viola) hanno potuto lavorare in Giappone disponendo di mezzi e di audience difficilmente raggiungibili in altri paesi. Esiste una tendenza a esplorare le possibilità del mezzo, la liquidità definita delle immagini che può raccogliersi in un’inedita dimensione temporale, viva negli anni settanta, e una tendenza, diversa a costruire una più chiara articolazione del rapporto suono-immagine, delle possibilità di una nuova narratività, o narratica, che non duplica quella vivacemente articolata del cinema, ma che pure muove un’analisi del tempo dell’immagine d’indubbio fascino.


Luoghi di fruizione del video

Attualmente le innovazioni tecnologiche stanno trasformando la videoarte: le videoproiezioni stanno assumendo proporzioni cinematografiche, la tecnologia digitale permette ai creatori di portare l'immaginario video su strade sempre più complesse e Internet fornisce agli artisti nuovi spazi e nuovo pubblico per il loro lavoro. Da parecchi anni ormai si assiste ad una fitta serie di mostre e rassegne internazionali di VideoArte organizzate da enti pubblici, gallerie, associazioni, teatri, scuole e singoli ricercatori all'insegna del mutamento in corso nel mondo dell'arte e della cultura "visuale" dei nostri tempi. Sia nel caso delle piccole iniziative di provincia che in quello dei grandi progetti ultrasponsorizzati, i nomi vanno da quelli più conosciuti, come Nam June Paik, Bill Viola, Gary Hill, Fabrizio Plessi, Brian Eno, Gianni Toti o Studio Azzurro, a nomi forse meno noti ma certamente altrettanto validi come quelli di John Sturgeon, John Maybury, Tracey Moffatt, Theo Eshetu, Antonio Porcelli, Haruo Higuma, Anders Elberling, Nelson Henricks, Yudi Sewraj, o GMM... In queste "mostre" le opere d'arte sono costruite utilizzando il linguaggio del video come denominatore comune e sono create da autori di varia provenienza artistica che usano appunto le immagini video e i monitor come mezzo specifico di espressione, sebbene in modi diversi e con diverse autonomie di linguaggio: c'è il videoteatro, la video-poesia, la computer-art, la video-performance, programmi per videoinstallazioni e videoambienti, nonché un nuovo modo di concepire l'informazione, la catalogazione e l'archiviazione che va sotto la denominazione di "nuova documentazione", sino alla creatività applicata alla realizzazione di siti elettronici da parte dei recenti web-designers. Rassegne del genere naturalmente se ne ritrovano sparse un po' dappertutto, sia in Italia che soprattutto all'estero, anche perché spesso si tratta di presentare materiali che circuitano proprio grazie a gallerie e collezioni private che fanno delle VideoArti il loro fiore all'occhiello e mettono i loro archivi a disposizione degli organizzatori, siano essi strutture pubbliche o associazioni culturali. Ad affrontare il discorso della videoarte si ritrovano spesso artisti giovani del mezzo elettronico ed altri già conosciuti che magari coltivano contemporaneamente altri settori del vasto mondo delle arti visuali: le rassegne sono spesso perciò un momento di confronto che serve ad evidenziare linee di demarcazione già esistenti, ma fondamentali per una conoscenza critica e di orientamento, sia per il pubblico degli addetti ai lavori che per chi vuole curiosare tra queste affascinanti "metamorfosi della visione" create dai ricercatori contemporanei. Il video, come qualsiasi altra arte prevalentemente visiva, ha davanti a sé il denominatore comune dell'immagine che tutti credono di tenere fermamente in pugno mentre essa è contemporaneamente in molti luoghi, sempre contaminata ed interagente in un costante rapporto di spazio-tempo-luce. Le videoarti danno spesso la sensazione che le immagini, anche quando sono esattamente riprodotte dalle macchine elettroniche (dai monitor), talvolta si nascondano all'interpretazione, diventino ambigue e sfuggenti, sia quando sono lente e al ralentì che quando sono talmente veloci che un attimo dopo sono già andate molto lontano. Questo perché la tecnologia elettronica è ormai presente quotidianamente, direttamente o indirettamente, nella nostra vita come nell'espressione creativa: il problema dell'arte, semmai, è costituito proprio dalla sua forza poetica che non può essere solo spettacolarità estetica, ma anche contenitore di elementi della memoria collettiva, poetica utopia che si concretizza nell'opera. La civiltà del network informatico, dell'interattività e della comunicazione via satellite segna il passaggio epocale dell'era elettronica. Trent'anni dopo l'inizio delle prime esperienze di videoarte si registra un totale capovolgimento di obiettivi, metodi, valori nel rapporto tra arte e tecnologia, che dall'era televisiva approda a quella telematica. Ma le videoarti, almeno da quanto si può constatare nelle diverse iniziative degli ultimi anni, sono provviste di un grande senso di libertà, possono effettivamente ricominciare sempre da zero. Le scelte degli operatori, fin qui registrate, rispondono all'esigenza di offrire una panoramica, sia pur sintetica, delle ricerche attuali accomunate dalla "interazione" tra arti visive ed elettronica (analogica e digitale), con sconfinamenti nella sperimentazione multimediale, tra scultura, architettura, cinema, teatro, fotografia e musica. Ma, ancora ai nostri giorni, l'arte elettronica per le sue specifiche caratteristiche tende a sfuggire dai canali tradizionali di fruizione. Richiede un genere di esposizione e un tipo di musealizzazione diversi e specifici; non ha un mercato e un collezionismo paragonabile a quello dei quadri e delle sculture; è "riproducibile", anzi replicabile, in modi paragonabili forse a quelli della musica o del cinema, avendo nella sua struttura genetica una imprescindibile dimensione temporale. Il video presenta anche problemi di conservazione, sia per la deperibilità dei suoi supporti magnetici, sia per la rapida obsolescenza degli strumenti, il cui continuo perfezionamento e rinnovamento sul mercato rende problematica la visione delle opere più antiche, intrise ormai comunque di un sapore primitivo, quasi commovente per l'arcaismo degli effetti legati ad una tecnologia in costante trasformazione. Anche se esiste da più di quarant'anni, insomma, è come se la videoarte dovesse fare la sua prima comparsa nella sala-parto dell'arte. Il bambino che nascerà si può però dire che sia sempre esistito perché il linguaggio video (e le video-installazioni) si pongono spesso come antitesi, provocazione, per innescare un contraddittorio nella dialettica tra vecchio e nuovo: linguaggi, modi di operare, supporti, strumenti. Dal super-8 all'animazione, dall'approccio "povero" alle elaborazioni digitali più sofisticate, nelle sue molteplici possibilità espressive il video si conferma anche in Italia come uno dei mezzi più flessibili e adatti a dar voce e a rendere visibile la complessità del contemporaneo. Nel senso che oggi è abbondantemente scaduto un ordine fondato sulla logica dei "limiti" e si è aperto un immaginario della "mancanza della fine": non si dicono più solo cose diverse nella stessa lingua, ma finalmente si parlano linguaggi in continua mutazione.



Generi della Videoarte

Nel corso del tempo, con lo sviluppo di questa nuova arte, si è potuti giungere ad una classificazione dei singoli aspetti della videoarte.


Le origini del video

Introduzione

Con il termine video si indica un dispositivo elettronico che permette la cattura e la visualizzazione immediata delle immagini in movimento tratte dal reale. Molto prima della comparsa del video, è l’invenzione della fotografia a dare l’avvio ad un processo di crescente assimilazione della visione da parte della tecnologia, lo stesso processo che in seguito ha prodotto anche il cinema e la televisione. Con la fotografia la percezione visiva è diventata una possibilità della macchina: questo ha cambiato il mondo e la comprensione umana dello stesso. Tutto questo ha portato ad una vertiginosa espansione del campo del visibile, amplificando la portata dell’esperienza visiva dell’uomo. Cinema, fotografia, televisione disegnano il vissuto quotidiano, i mezzi elettronici offrono la possibilità di accrescere la capacità individuale di collezionare e, contemporaneamente, produrre parole e immagini, mentre le tecnologie della visione svelano all’analisi e alla manipolazione elettronica nuove dimensioni del mondo, un tempo segrete ed inaccessibili all’occhio umano. L’immagine però tende ad una non naturalità della visione: le nuove tecnologie hanno infatti sempre più sconvolto la relazione tra realtà e immagini mettendo in crisi il concetto stesso di immagine come rappresentazione. Si può infatti pensare ad una foto scattata alla terra da un satellite: quella che ci viene presentata è una rappresentazione, una realtà virtuale, in cui il reale è messo in posa per offrire uno spettacolo di sé all’altezza di esigenze e aspettative politiche, economiche, culturali, sociali. Comunque, nella nostra cultura, l’immagine è sempre meno pensata come una rappresentazione, cioè una produzione dell’uomo, poiché viene sempre più comparata alla realtà oggettiva. In virtù delle macchine visive, in grado di vedere indipendentemente dall’occhio umano, la visione maturale si è trasformata in una questione sempre più tecnologica. Il punto di vista umano non è più rilevante e tantomeno necessario. Riprendendo l’esempio sopra della foto scattata dal satellite; l’immagine è scattata da un occhio elettronico ma tale immagine è nondimeno accreditata come vera! Lo sguardo della macchina è considerato super partes e non viene mai messo in dubbio. Grazie all’incontro tra immagine e tecnologia è nata una nuova categoria, quella del visivo. Prima della fotografia l’immagine della realtà era necessariamente pittorica, dopo il 1839 l’immagine della realtà diviene un artefatto prodotto dalla visione e dall’abilità tecnologica della macchina. Il visivo nasce nella prima metà del 1800 come un problema estetico e scientifico (basti pensare a cosa dice Benjamin nei riguardi dell’occhio incosciente della macchina rispetto a quello consapevole dell’uomo). L’artista, per mestiere, si misura quotidianamente con la complessità del visivo; prima dell’invenzione delle macchine di riproduzione del visibile, il mondo che trovava forma nell’opera d’arte era strutturato secondo un regime visivo in cui era la visione dell’uomo a detenere un incontrastato monopolio sul reale; questo significava sottostare anche a dogmi religiosi, scientifici, proporzioni ecc.. La storia delle censure rappresenta l’esistenza di un ordine visivo ben preciso; un ordine visivo accettato quasi in modo inconsapevole che regola la comprensione del mondo da parte degli individui. L’arte elettronica inaugurata dal video è una preziosa fonte da cui attingere per adattarsi positivamente ad un mondo in cui le tecnologie elettroniche fanno da padrone. Il video si presta a molteplici utilizzi: Mentre a livello commerciale il video è sfruttato come veicolo per la pubblicità e per la diffusione in cassetta di opere cinematografiche, a livello amatoriale può essere utilizzato come espressione artistica, di comunicazione politica, oppure per archiviare, nel privato, immagini-ricordo. L’utilizzo amatoriale del video può essere visto come una forma di intervento pubblico, nel caso di video d’arte o politico, o come una modalità strettamente privata di memorizzazione di eventi personali. Gli artisti negli anni sessanta e settanta si sono rivolti al nuovo strumento, il portapack, appena apparso sulla scena, e sono riusciti a stravolgerne le funzioni: hanno dimostrato che nelle mani di consumatori avveduti il video può diventare un potente mezzo di comunicazione pubblica. Il video è un mezzo linguistico particolare; è importante ricordare che il video è stato inventato da una società che equipara il reale al visibile ed analizzare tale strumento ci fa capire non solo la nostra percezione della realtà ma anche il nostro modo di utilizzare il linguaggio.


Le radici del visivo

Analizzando profondamente la visione si può scoprire un nesso che la collega al pensiero ed al linguaggio. L’immagine, infatti, è condizionata profondamente dalla parola, al punto che il grado di realtà di ciò che si vede è strettamente correlato alla possibilità di una sua descrizione verbale: per identificare quello che vediamo si deve poter dire ciò che si guarda. Questo non avviene con le immagini video astratte. Molti video sperimentali degli anni settanta utilizzavano i sintetizzatori video (apparecchio che consente di modificare o generare istantaneamente forme, colori e suoni a partire dalle componenti elettroniche del segnale televisivo), dopo la visione di essi gli spettatori avevano come sensazione dominante quella della mancanza, mancanza delle parole necessarie per inquadrare l’esperienza (le pulsazioni emesse dallo schermo generano un universo cinetico multidimensionale che cattura il corpo dello spettatore, più che la sua mente, facendogli provare intense sensazioni fisiche, in alcuni case persino spiacevoli e incontrollabili, ma comunque impossibili da descrivere). L’immagine senza la parola è un testo illeggibile.


Occhio e Cervello

La visione della macchina

Il mondo messo in prospettiva

Una delle principali convenzioni su cui si basa la rappresentazione della realtà, in Occidente, è quella della prospettiva. La prospettiva nasce con Brunelleschi e Leon Battista Alberti (che scrive il De Pictura). In pratica è un sistema per riprodurre nel dettaglio la realtà, con la sua tridimensionalità, su una superficie bidimensionale. Tale invenzione sfora anche dall’ambito artistico in quanto è un’entità puramente matematica. Il soggetto che guarda è in una posizione di dominio, dal suo punto di vista la totalità del reale si offre tutta insieme nello stesso momento. Un dominio non solo simbolico, l’ambiente diviene l’oggetto della sua azione e non soltanto il luogo entro cui l’uomo si muove. Un mondo ordinato e diretto da una ragione finalmente sovrana. La questione è interessante anche sotto il profilo storico: Siamo nel quattrocento, agli albori di quel movimento politico ed economico che condusse gradualmente l’Europa alla conquista del mondo. Nel 1445 Nasce la stampa con Gutenderg, nel 1492 Colombo approda in America e nel 1543 ci sarà la rivoluzione copernicana. E’ da evidenziare come l’applicazione tecnica del principio della prospettiva e la volontà di dominio sul mondo hanno percorsi paralleli che culminano nel 1900 con le invenzioni della fotografia e del cinema da un lato e la massima espansione del colonialismo dall’altro, anche il mondo della comunicazione subisce radicali trasformazioni. Sempre nel 1800 quando comincia l’assimilazione della visione nella tecnologia, l’informazione diventa un diritto e un’esigenza dei cittadini: 1815- ferrovia inglese, 1937- telegrafo, antenato dei media a trasmissione elettronica del nostro secolo, nascono anche le prime agenzie di stampa. L’emergere delle tecnologie su cui si basano i nuovi media della comunicazione sono una derivazione dei profondi cambiamenti sociali del 1800 (rivoluzione industriale in primis). Esiste una stretta relazione tra la riproduzione meccanica di immagini e la standardizzazione che parallelamente avviene in campo industriale. Dopo la rivoluzione industriale con la sempre maggiore espansione geografica cambia il processo della comunicazione sociale. Si ha un’appropriazione del mondo attraverso la riproduzione visiva, mentre cresce l’esigenza di un’informazione e di un intrattenimento adeguati al nuovo tipo di problematiche sociali e relazioni umane che si stanno sperimentando. In questo contesto, la fotografia, sia per uso personale che pubblico, si presenta come garanzia, da un lato, di una continuità relazionale oltre le distanze, dall’altro come la testimonianza della solidità del mondo e dei suoi valori, nonostante il nuovo stile di vita frenetico. Lo sviluppo dei media in pratica è legato all’interesse della produzione industriale che si sposta verso i cittadini. Nasce il Tempo libero, il cinema, il turismo e la fotografia trova nuovi spazi di applicazione. Nasce un Mercato di Massa. La prospettiva ha la funzione di trasformare la realtà in immagine. Nel modello bidimensionale le anomalie dello spazio reale vengono rivedute e corrette e la realtà è restituita in formato cartolina. Una cartolina non a caso, di solito le cartoline sono più belle che la realtà. Però d’altro canto la fotografia non è soltanto un’immagine, un’interpretazione del reale; è anche un’impronta, una cosa riprodotta dal reale e quindi che ha potere di rievocazione. Tuttavia è proprio perché sembrano confermare la realtà morfologica delle cose che passa in secondo piano il fatto che sono solo rappresentazioni e mettono in pratica un sistema visivo che corregge le proporzioni ed i rapporti interni allo spazio reale. La prospettiva deforma la normale forma delle cose, come se la realtà venisse in qualche modo regolarizzata, appiattita in uno sguardo monoculare. La tecnologia delle macchine funziona perché è in grado di rendere la realtà adatta alla sua rappresentazione. Le foto, i filmati si presentano come registrazioni oggettive, documenti che fanno vedere proprio tutto quello che era possibile vedere in un luogo in un dato momento. Ciò che una foto o un film riesce a far vedere è però qualcosa di determinato a priori in base alla tecnologia che utilizza ed al lavoro di cui è espressione. L’obiettivo della macchina non è uno strumento di per sé oggettivo e neutrale, ma è un artefatto umano concepito e costruito per permettere la trascrizione del reale come un’immagine accettabile. Per fare una bella foto non basta scattare, bisogna conoscere la tecnica della fotografia; l’errore che si compie solitamente è quello di considerare ingenuamente l’obiettivo della macchina fotografica come un occhio, l’occhio di un’altra persona. L’incontestabilità della prospettiva lineare nasce dal successo che ha avuto la camera oscura; ma la prospettiva non è altro che un costrutto in grado di soddisfare la necessità umana di trovare ordine e coerenza nel mondo (la prospettiva incorpora il desiderio degli uomini di vedere il mondo proprio in quel modo). Le immagini prodotte dalle tecnologie della visualizzazione sono entrate nella consuetudine visiva degli individui. Ma tutto questo è un’illusione di realtà, un’illusione talmente riuscita da far apparire del tutto naturale il fatto di vedere il mondo come lo vede la macchina fotografica o la cinepresa, o la telecamera. L’occhio umano cede il posto all’occhio meccanico; da una parte è un trionfo perché riesce a vedere cose che normalmente non avrebbe visto ma dall’altro si rende succube della tecnologia. Con la sua entrata in scena la fotografia e successivamente gli altri mezzi di riproduzione del reale, si afferma come unico garante della normalità visiva. Si hanno nuovi sviluppi: le ricerche degli artisti in merito alla percezione visiva conducono a rivoluzioni estetiche da cui nascono movimenti pittorici come l’impressionismo o il divisionismo, mentre si afferma la moda dell’esotico e del primitivo, alla ricerca di spazi (visivi) non ancora contaminati dalla civiltà. L’atteggiamento iniziale della pittura, nei confronti della fotografia, si caratterizza come un tentativo di dischiudere al visibile un livello di esperienze che il nuovo mezzo non aveva la possibilità di fare proprie. Supportata dal modello scientifico delle nuove teorie sulla luce e sul colore, la pittura si distanzia orgogliosamente da fotografia e cinema, cercando anche, contemporaneamente, di invaderne il campo. Il mondo è catturato entro rappresentazione in cui l’obiettivo è di dare voce alla sensazione delle cose per sviluppare un’analogia mentale con il mondo esterno che possa superare l’analogia reale messa in pratica dalle nuove tecnologie. In poche parole la pittura di fronte alla fotografia, comincia a mettere in dubbio la stessa realtà e così facendo favorisce l’assimilazione di fotografia, cinema, tv alla realtà stessa in quanto forme di riproduzione oggettiva del mondo. La fotografia si impadronisce prima dell’illustrazione poi della ritrattistica, successivamente nasce il reportage ed infine la pubblicità. Le foto diventano le uniche immagini vere della realtà. Di lì a poco fa la comparsa il cinema che con i suoi primi film ristabilisce la linearità narrativa rotta dalle rappresentazioni teatrali dei futuristi e di dada (da questi due filoni nascerà però il cinema sperimentale). L’avvento della televisione ha determinato un ulteriore sviluppo nella riproduzione del visibile. Nella sua versione pubblica ripropone i canoni rappresentativi del cinema, è dalla sua costola che nasce il video, vera e propria cartina tornasole attraverso cui è possibile leggere e analizzare la scolta visiva del 1900. Con l’immagine elettronica la prospettiva da lineare, statica e monoculare diviene curva, dinamica e multidimensionale. L’’immagine elettronica conserva tutta la sua letteralità rispetto al modello reale, ma al contempo, per tramite della tecnologia video, le aberrazioni cubiste e le incongruenze surrealiste sono rese normalità della rappresentazione mentre la manipolazione del segnale elettronico è in grado di suscitare un universo di sollecitazioni sensoriali: si potrebbe quasi dire che il video ha assunto nella stessa tecnologia l’intera storia dell’arte moderna, dal divisionismo al cubismo, al futurismo, fino al cinema sperimentale, alla body arte, al concettuale. Il fatto nuovo del video, è il particolare rapporto con il tempo che struttura dall’interno questa tecnologia. Già con il cinema l’immagine si era trasformata da medium dello spazio a medium del tempo, ma solo nel video la temporalità dell’immagine scorre parallela a quella della vita (con la tele-visione è nato il tempo reale). I nuovi media rimettono in gioco la prospettiva quattrocentesca dal suo interno. Attraverso la fotografia, il cinema e la televisione, la capacità visiva dell’uomo è notevolmente accresciuta. Ponendo in crisi i concetti tradizionali legati alla rappresentazione, cambia il rapporto tra l’immagine e la realtà. Alla logica della riproduzione verosimile e soggettiva si sostituisce quella della finzione verosimile e oggettiva. La prospettiva tecnologica porta alla creazione di un nuovo tipo di illusione, basata su una complessa frammentazione dello spazio e non sull’ordine proporzionato e armonico del suo insieme.


Il dispositivo video

Alta/bassa definizione

Il mondo digitale

Il digitale ha operato una vera e propria rivoluzione nella relazione tra immagine e realtà e quella tra rappresentazione e autore della stessa. Non c’è più un rapporto diretto tra realtà ed immagine con il conseguente collasso dell’autore sulla sua rappresentazione. Nel digitale non c’è più il punto di vista ma dei contesti visivi non vi è più un occhio ma un continuo processo. L’ottica ha ceduto la mano alla visione virtuale, provocando l’emersione di un mondo metavisivo in cui le immagini possono essere prodotte o simulate dal nulla. Questa nuova tecnologia cancella la relazione tra immagine e realtà. L’immagine digitale non è più la testimonianza della realtà, compiuta attraverso la trascrizione della luce, ma è un’interpretazione di questa realtà, elaborata e filtrata da n linguaggio, quello della matematica. L’immagine è un’immagine di sintesi e la realtà non è riprodotta, è creata. Il nuovo mondo dell’immagine digitale mostra chiaramente ed evidentemente quella che è sempre stata la vera natura dell’immagine: il suo appartenere ad un mondo mentale, ovvero, il suo dare luogo a uno spazio concettuale. Dato che l’unico referente dell’immagine, nel trattamento del digitale, è l’immagine stessa, essa si trasforma di conseguenza in un oggetto a sé stante. L’immagine digitale può essere ruotata, allungata, deformata, flessa, allontanata ciò fa si che la sua non sia una rappresentazione bidimensionale ma tridimensionale. La possibilità di reinventare gli spazi attraverso la grafica tridimensionale.


L’astratto elettronico

Alcuni artisti hanno lavorato sulla manipolazione del segnale elettrico puro. La tecnologia video permette, infatti, la creazioni di immagini e suoni video in maniera automatica , manipolati attraverso la manipolazione dei flussi di energia senza l’intervento della telecamera. Sono opere realizzate con sintetizzatori, colorizzaroti, elaboratori, in cui gli automatismi delle macchine creano configurazioni diverse e innumerevoli giochi cromatici. In questo caso il dispositivo tecnologico è


Video e il media televisivo

In opposizione all'uso massificante della televisione, il video-tape diventa un mezzo di controinformazione di carattere sociale e politico, gestito da gruppi emergenti nei movimenti di contestazione della fine degli anni settanta. La TV è autogestita dagli artisti, nel 1967 la fondazione Rockefeller mette a disposizione i fondi per far nascere un programma televisivo a circuito cittadino l'WGBH di Boston, successivamente nascono la WNET di New York e la KQUED TV di San Francisco. Negli Stati Uniti e in Canada nascono i collettivi video, dove le apparecchiature e le conoscenze tecniche sono messe in comune per la realizzazione di progetti, documentazioni e ricerche. I nomi più noti sono Video freex, People's Theater, Global Villane, Raidance Corporation, Ant Farm ecc… Dal 1970 a New York apre "The Kitchen", un centro multimediale in proprio, fondato dai Vasulka e Bill Etra; vista la limitatissima libertà concessa agli artisti e il disaccordo tra la televisione commerciale e il video militante. Nello stesso anno accanto alle stazioni televisive si affiancano gruppi politici: Ira Schneider fonda Radical Softwar, la rivista del movimento underground americano dove sono spiegati i metodi d'uso alternativo e politico del video-tape e nel 1971 viene pubblicato "Guerrilla Television", manifesto del video di movimento scritto da Micheal Shamberg. L'obiettivo della video Guerrilla è quello di offrire un'informazione differente da quella distribuita dai canali commerciali. C'è l'esigenza di costruire una televisione decentralizzata fatta dalla dalla gente per la gente, dando coì una visione reale, dall' interno , introducendosi in ambienti dove il cameraman delle stazioni commerciali, dotato di un equipaggiamento professionale ed ingombrante è tenuto lontano. I loro lavori offrono così una visione reale del caos e delle battaglie politiche, svalutando allo stesso tempo le fasulle trasmissioni del potere. Si arriva a leggere e vedere le cose direttamente senza la mediazione del regista; si vuole dare una testimonianza senza interferire su ciò che è documentato. Il montaggio, infatti, spesso è assente o talvolta costruito in macchina. Il mezzo diventa un obiettivo di lotta e s'impone come lavoro creativo e politico. Chi lavora nel video, lavora contro la televisione (la televisione come istituzione non come linguaggio). Negli anni ottanta c'è una maturazione, nessun videoartista si è sentito più di dover dichiarare che lavora contro la televisione. Spesso si è tenuto a distinguere tra video e televisione ma ad affermare anche che la televisione può essere un canale approfondito per la circolazione e la ricerca video. La televisione ha cominciato a guardare con maggiore curiosità e interesse alla produzione videografica, inserendo nei suoi palinsesti realizzazioni sperimentali di artisti. Troviamo un modello di opera d'arte collettiva nella realizzazione dello spagnolo Antoni Muntadas : "The file Room" del 1993/94. Questa è una delle più precoci sperimentazioni d'artista su Internet. Il progetto ha come obiettivo principale la discussione sull'idea di censura culturale; oggetto di importanti battaglie civili. Questo progetto è nato da un episodio vissuto direttamente dall'artista: la Tv Spagnola gli commissionò un programma televisivo ma questo poi non fu mai trasmesso. L'artista sentendosi frustrato per essere stato soggetto ad una forma di censura pensò che fosse importante reagire creando un lavoro che allontanasse la sua frustrazione e al tempo stesso desse ad altre persone la possibilità di parlare di altri episodi di censura. Infatti questo progetto ha ragione di esistere solo come lavoro collettivo di un work in progress e basato sulla libertà d'informazione. L'archivio è tuttora attivo e accessibile all' indirizzo www.thefileroom.org; è stato realizzato nel corso di questi anni grazie al continuo apporto degli utenti impegnati nella segnalazione di tutti i casi noti di censura culturale della storia.



Video, televisione e cinema a confronto

Differenze essenziali esistono anche tra le procedure del montaggio cinematografico e quelle del montaggio elettronico che oltre a poter più agevolmente intervenire sulla dimensione del tempo attraverso più rapidi sezionamenti della sequenza, rallentamenti e accelerazioni, consente nel fondamentale processo di post-produzione di intervenire sulla stessa immagine di ripresa. In questo modo risulta possibile operare sia sul versante temporale sia su quello di una manipolazione strutturale dell’immagine e dell’audio. Conseguenza dell’assenza di un reale fuoricampo e della contemporanea sovradeterminazione di una temporalità continua, è il potenziamento di una tipica attitudine descrittiva. Si è potuto così parlare di una prevalenza narratica nel dispositivo audiovisuale elettronico, almeno nel senso di un uso proprio delle risorse del mezzo. La manipolazione di una temporalità agita, tipica dello svolgimento cinematografico, e simbolicamente efficace, nel video si organizza in una permutazione continua del soggetto di rappresentazione. La struttura dell’immagine video, sempre dichiarata, viene a confrontarsi così in ogni momento con l’architettura del tempo, per quanto trasferito, frantumato o estenuato questo possa apparire. La particolare disposizione strutturale dell’immagine video è stata vivamente sollecitata da molti sperimentatori. Le caratteristiche strutturali dell’immagine video e l’assetto narratico del dispositivo audiovisuale elettronico influenzano i modelli di performatività artistica che utilizzano le risorse del nuovo medium. Le dimensioni del tempo reale consente rispecchiamenti ed estenuazioni nella durata di gesti che acquistano valore significativo ed efficacia sul piano comunicativo e simbolico. La possibilità di registrazione e analisi speculari degli atteggiamenti del corpo, tuttavia distanziate nella lucente virtualità dell’immagine video, di iterazione e istantanee scomposizioni dell’associazione suono-immagine, e infine di produttive connessioni linguistiche con altri media e apparati, conferiscono specificità e plasticità a queste manifestazioni di perfomatività. In tale prospettiva va anche considerata l’espansione di un fenomeno come la videoperformance, diffuso soprattutto alla metà degli anni settanta, nel quale linguaggi del corpo, percezione di una temporalità soggettiva dialetticamente rapportata al tempo reale e conclusiva rappresentazione simbolica convivono in una sintesi efficace.


Bibliografia

  • "L'immagine video" di Fagone Vittorio, ed. Feltrinelli, Milano, 1990
  • "Definizione Zero" di Fadda Simonetta, ed. Costa & Nolan, 1999


Webliografia