Videoattivismo ieri ed oggi

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==Argomento:== Videoattivismo ieri ed oggi

==Descrizione:== Il confronto tra due testi relativi al videoattivismo, precisamente Senza chidedere permesso di Faenza e Videoattivismo di Thomas Harding consente una sorta di viaggio nel tempo nell’evoluzione non solo del fenomeno video, ma anche della società. Il paragone permette di individuare differenze, punti comuni, concetti che si sono trasformati: gli aspetti più interessanti in questo senso, riguardano soprattutto il diverso contesto in cui opera il videoattivista e la mutata concezione del mezzo. L’ambiente in cui opera la figura descritta da Faenza è locale: si parla di comunicazione nel caseggiato, nella scuola, nella fabbrica, perché per l’autore la battaglia per il cambiamento deve essere condotta nella realtà in cui si vive quotidianamente. Per il ‘videoattivista’ degli anni ’70, pensare in termini nazionali era difficile e addirittura impossibile confrontarsi su problemi di portata planetaria. Il videoattivista di Harding, invece, lavora anch’esso nell’ambito di una comunità e di un gruppo, ma è proiettato sui grandi temi della giustizia sociale e della difesa dell’ambiente considerati a livello globale. La presa di coscienza sui problemi del mondo (ecologia, diritti umani, conflitti armati) non è più appannaggio di pochi, ma fa parte della sensibilità di tutti ed è un tema veicolato quotidianamente dai mass-media. Il lavorare a livello locale, con comunità che hanno bisogno di risolvere problemi concreti, riporta all’idea di vincere tante piccole battaglie per arrivare a vincere la guerra; inoltre oggi anche le piccole realtà possano potenzialmente essere conosciute a livello planetario sia per l’aumento del flusso informativo, sia per la presenza della rete. Harding presenta esempi concreti di videoattivismo in cui è stato possibile filmare situazioni che potevano rimanere sconosciute: tra i tanti la strage nel 1993 del popolo degli Ogoni nel Delta del Niger, le cui riprese furono effettuate dagli Ogoni stessi, inviate di nascosto all’estero e trasmesse da CNN e da altre televisioni, scuotendo l’opinione pubblica; oppure il video del massacro di Aguas Blancos in Brasile nel 1995, in cui viene mostrato l’agguato dei poliziotti a dei contadini: anche in questo caso il video fu trasmesso in tv grazie all’intervento di AMNESTY INTERNATIONAL e scatenò polemiche e pressioni sul governo messicano. Gli esempi sono numerosi e in tutti si riscontra come la presenza della telecamera sia stata fondamentale per togliere il sopruso e la violenza dell’anonimato. Il carattere di globalità che interessa il videoattivismo attuale è legato altresì alla facilità di spostamento da un paese all’altro, soprattutto nel caso di eventi che catalizzano l’attenzione mondiale. un esempio in questo senso è l’esercito di videoattivisti italiani e non, che si riversarono a Genova nei giorni del G8 e che ebbero il ruolo fondamentale di fornire attraverso le loro telecamere la versione non ufficiale della vicenda.Nella concezione sul video da Faenza ad Harding, sebbene sia rimasta immutata la convinzione nelle forti capacità del mezzo, è cambiato profondamente il modo di considerarlo. Per Faenza, e ciò viene ribadito continuamente in Senza chiedere permesso, il videotape è un processo collettivo. Il fattore costo lo rendeva difficilmente accessibile al singolo, un po’ meno ad un gruppo, che tuttavia non poteva fare a meno, prima di affrontare la spesa, di riflettere sull’uso che ne voleva fare. A livello idealistico, era altresì decisiva l’influenza del concetto di partecipazione attiva. Porre l’attenzione al video, ai modi di usarlo per attuare forme di comunicazione alternative, presupponeva necessariamente un confronto costruttivo sul mezzo stesso. In venti anni la tecnologia si è sviluppata a ritmi frenetici. Le telecamere sono diventate davvero più maneggevoli e compatte, ridisegnando il concetto di qualità. L’avvento del digitale ha ridimensionato i supporti, eliminando in alcuni casi anche i problemi fisici di archiviazione e conservazione del materiale…pensiamo solo per un attimo alla differenza tra una videocassetta e un file! Un abisso! Soprattutto, le videocamere sono diventate accessibili nel senso più ampio del termine; non sono più un prodotto di nicchia, ma un vero e proprio elettrodomestico! “Il video quando nasce, è destinato unicamente al tempo libero del consumatore, per immortalare la vacanza o la giornata di festa in famiglia”. Le ripercussioni di questa situazione sul videoattivismo si riscontrano nella figura descritta da Harding: il videoattivista può essere un solitario. La collaborazione con un gruppo o una comunità nello stabilire una strategia d’azione rimane fondamentale anche nel presente. Harding insiste sul fatto che filmare senza uno scopo, nella maggior parte dei casi è inutile. L’individuo videoattivista emerge con delle caratteristiche proprie dal gruppo; spesso ne fa parte, ma se ne distingue proprio perché il video è il suo campo. I rapporti tra il mondo videoattivista e l’informazione ufficiale sono profondamente mutati. Nel momento in cui Faenza scriveva, come già detto, il sistema monopolistico della RAI cominciava a mostrare le prime crepe. La tv di stato era l’unica esistente ed era estremamente blindata a contenuti alternativi. Nel testo di Faenza, la tv è l’arma più potente del nemico, il sistema, e il conflitto che si innesca punta al video per attuare una comunicazione orizzontale da apporre alla massificazione televisiva. Le possibilità di inserirsi negli spazi istituzionali erano allora utopiche. Per trasmettere nei canali televisivi nazionali le strade possibili erano difficilmente praticabili: del resto non è cosa semplice prendere possesso degli studi televisivi e usare il loro trasmettitore o dotarsi di uno più potente! Più fattibile poteva risultare il trasmettere nei canali televisivi vuoti (allora ne erano occupati solo due), ma si configurava comunque una situazione di illegalità. A questi limiti all’accesso, si univa la qualità non broadcast dei videoregistratori in commercio, con standard qualitativi inaccettabili. Dal testo di Harding, invece, risulta una penetrazione delle due realtà. Far circolare il proprio lavoro sui canali ufficiali è un’opportunità reale: in questo caso il videoattivista, una volta verificato che l’uso della televisione risulta funzionale allo scopo della campagna, punterà l’attenzione a realizzare un video che risponda a determinati canoni. In particolare Harding sottolinea come un video, per essere appetibile per le televisioni, debba essere di qualità professionale e avere immagini uniche. Naturalmenteciò non è sempre vero in assoluto: se il videoattivista riuscisse a fare delle riprese elusive, anche se il video non fosse perfetto, ciò non impedirebbe l’interesse da parte della televisione ufficiale. Il mutamento del rapporto videoattivista-tv ha dato vita ad una situazione in cui risulta difficile capire chi tra i due soggetti usa l’altro. Se la televisione è interessata a video dai contenuti controversi, nella maggior parte dei casi lo fa per un’ambizione di pluralità informativa volta a raggiungere il maggior numero di utenti. Il videoattivista, a sua volta, è conscio del pericolo che il messaggio del suo lavoro possa essere manipolato. Ma se si mette in gioco lo fa perché comunque è consapevole del forte impatto emozionale che le immagini possono avere sull’opinione pubblica. Inoltre, la televisione permette di arrivare a fasce di utenza allargate, difficilmente raggiungibili in altro modo. Il problema della visibilità è di rilevanza fondamentale per il videoattivismo ieri come oggi. Negli anni Settanta i canali per veicolare i lavori video erano limitati sia numericamente che spazialmente. Si poteva mostrare il proprio lavoro nell’ambito della scuola, della fabbrica, di una piazza. Il limite di poter raggiungere una cerchia piuttosto ristretta di persone, diventava tuttavia una ricchezza nel favorire l’aggregazione e il confronto. Oggi il problema è opposto: la visibilità viene ricercata in un panorama affollato di informazioni e stimoli prodotti incessantemente dai mass-media. In questo flusso continuo il rischio è il contaminarsi di realtà e finzione. Con Internet si è fatto un passo ulteriore in questa direzione. Il web ha assunto un ruolo ambiguo nel processo di contaminazione tra fiction e informazione, rendendo i confini tra le due sfere sempre più labili ed incerti. La rete, se da un lato ha permesso l’accesso a fonti alternative di informazione rispetto a quelle ufficiali, ha altresì concretizzato una realtà in cui ogni utente può trasformarsi in potenziale produttore di informazione. La troppa informazione si rivela essere un limite all’informazione stessa. Così, nel contesto contemporaneo, più che un problema di visibilità, il videoattivista deve confrontarsi con un problema di credibilità.



==Bibliografia:== R. Faenza (a cura di), Senza chiedere permesso. Come rivoluzionare l’informazione, Milano, Feltrinelli, 1973

Harding Thomas (2003), Videoattivismo. Istruzioni per l’uso, a cura di Enrico Menduni, Roma, Editori Riuniti.


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