Volando volando nella fantasia

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Titolo:

Volando volando nella fantasia

Autore:

Caronia Antonio

Anno:

1992

Luogo:

Genova

Sito web:

Descrizione:

Il mondo delle "realtà virtuali" esiste da meno di dieci anni, eppure promette di diventare la novità più sconvolgente e gravida di conseguenze del prossimo XXI se¬colo. Chi indossa gli speciali "occhiali" montati su un elmetto e il data glove, il guanto dotato di sensori, si trova proiettato in un mondo inesistente nel senso usuale del termine, eppure realistico: il livello di realismo forse non è ancora completo se si guarda alla rifinitura e alla precisione dei dettagli, ma è sorprendente dal punto di vista delle capacità di trasformazione e di azione che l'ambiente sintetico offre. Supponiamo di trovarci in un prato: qualche collina in lontananza, una casetta sulla sinistra, un gruppo di alberi sulla destra. Forse non riuscirò a scorgere i singoli fili d'erba, ma se ruoto la testa vedo esattamente quello che vedrei se quel prato fosse reale: gli alberi, la casa, appaiono e scompaiono dal mio campo visuale a seconda della direzione in cui ruoto la testa rivestita dall'elmo. Sento il rumore del vento dietro di me e un frinire di cicale proveniente dagli alberi. E se sposto la mano vedo un'altra mano artificiale in questo mondo di favola che ripete esattamente i movimenti della mia, e sposta oggetti, li raccoglie, li lancia, mentre la mia vera mano infilata nel guanto sente il peso e la resistenza degli oggetti. Non è un mondo realistico? Sì e no. Provo a alzare la mano col dito indice teso, e improvvisamente il prato si allontana sotto di me, scorre via mentre il mio campo visuale si allarga: sto volando, e posso dirigere e controllare il mio movimento orientando la mano, improvvisamente promosso a Superman. Posso arrivare dove voglio, posso andare in qualunque posto.

In qualunque posto, s'intende, che il programmatore abbia inserito in questo mondo sintetico. Perché naturalmente il mio corpo reale è sempre fermo accanto alla macchina, ma i miei occhi, le mie orecchie, i miei polpastrelli ricevono informazioni elaborate dal computer, e io sto vivendo a tutti gli effetti in un mondo virtuale appunto, o artificiale, come altri preferiscono dire. E' un mondo fatto di informazioni create e processate dal computer, che come un servitore fedelissimo crea letteralmente dalle otto alle venti immagini al secondo per rispondere ai movimenti della mia testa e della mia mano, per simulare un mondo e darmi l'illusione che sia come quello che vedo tutti i giorni, oppure diverso, fantastico, un sogno o un incubo, un'utopia o un inferno. Dal punto di vista concettuale, le realtà virtuali non rappresentano nulla di veramente nuovo. Da sempre l'uomo è abituato a operare con dei sistemi di simulazione, a costruirsi dei modelli della realtà per comprenderla e operare su di essa. E non solo nella scienza o nella letteratura, che ovviamente operano per modelli. Che cos'è, per esempio, il bilancio di una azienda se non una simulazione della sua complessa attività, un modello che consente agli amministratori di controllarla e dirigerla? E da quando si sono sviluppati i computer, il campo della simulazione si è improvvisamente allargato a dismisura. Il computer non ha fatto altro che introdurre dei nuovi livelli e dei nuovi potentissimi strumenti di simulazione: ancora una volta, non solo nei suoi usi più sofisticati, ma in quelli più correnti e quotidiani. Io adesso sto scrivendo questo articolo battendo sulla tastiera di un computer, usando un programma che crea sul monitor una simulazione, un modello del foglio di carta su cui avrei scritto fino a cinque o sei anni fa, ed è un modello su cui posso compiere tutte le operazioni che potrei fare con un foglio di carta (cancellare, ribattere, ricopiare, spostare parole e righe da una posizione all'altra) in modo molto più veloce e efficiente.

Certo, un salto di qualità nelle realtà virtuali c'è, eccome. Un conto è disegnare, con l'aiuto di uno dei tanti programmi di CAD (Computer Aided Design), un pezzo meccanico, l'interno di una casa, il quartiere di una città, poi guardarlo sullo schermo e procedere a tutte le modifiche e i miglioramenti desiderati. Un conto è invece entrare dentro quel pezzo meccanico, quella casa, quel quartiere, e muovercisi, interagire, viverci "al naturale". Le applicazioni delle realtà virtuali spaziano nei campi più svariati. Se il settore dei videogiochi è quello che finora ha destato più sensazione (pensate all'impressione di vivere una gara automobilistica dall'interno della macchina, o una battaglia aerea da dentro la carlinga), altrettanto importanti sono le applicazioni in campo professionale e scientifico. Tutta l'attività di progettazione, "dal cucchiaio alla città" (per citare il titolo di una storica mostra), potrebbe essere radicalmente rinnovata dalle realtà virtuali, che intanto cominciano ad essere ampiamente usate nella fase terminale del progetto, quella della verifica e della presentazione al committente. Se l'architetto e il designer, infatti, possono benissimo immaginare e anticipare l'aspetto effettivo dell'oggetto, della casa o del quartiere partendo dai disegni bi o tridimensionali, la stessa facilità non la ha l'utente: ma adesso egli può vivere dentro la simulazione virtuale della casa o del quartiere, sperimentando sensazioni analoghe a quelle che proverà quando il progetto sarà realizzato. L'esempio più eclatante di questa applicazione è a tutt'oggi l'atelier della Matsuhita in Giappone, dove una "cucina virtuale" consente ad ogni acquirente di sperimentare in modo realistico il tipo e la disposizione di mobili ed elettrodomestici.

Applicazioni più ampiamente sperimentate, alla Nasa e altrove, sono quelle della cosiddetta "telepresenza". Qui si va dai sistemi più completi e inte¬rattivi di videoconferenza, alla telerobotica (i movimenti dell'operatore umano vestito di guanti e tuta sono ripetuti da un robot che opera in un ambiente lontano o pericoloso), alla micromanipolazione. Questo è forse uno dei campi più affascinanti: si tratta di amplificare e controllare movi¬menti quasi impercettibili in ambienti troppo piccoli per poter essere visti a occhio nudo o molto delicati. L'esempio più eclatante è quello della microchirurgia (oculistica, vascolare, neurochirurgia). Non si tratta, naturalmente, di sostituire alla mano del chirurgo una mano artificiale, ma di aiutare l'uomo a manipolare strumenti che, per la loro piccolezza, sarebbe impossibile guidare direttamente con la mano. Già ora esistono sistemi di questo tipo, in cui il chirurgo osserva l'azione dei microstrumenti in un video che ingrandisce l'area dell'operazione. E' evidente il vantaggio per il chirurgo di poter vedere ciò che fa direttamente da¬vanti ai suoi occhi, all'interno di un casco stereoscopico. Il chirurgo, utiliz¬zando una TAC inserita in una realtà virtuale, potrebbe fare una prova generale dell'operazione prima di eseguirla sul paziente, ma potrebbe anche eseguire l'operazione direttamente in una realtà virtuale, come se fosse a diretto contatto della piccolissima area in¬teressata e come se le sue dita avessero la dimensione della zona da operare. E anche nel campo della ricerca scientifica le realtà virtuali si stanno dimostrando utilissime, per esempio nel campo della chimica: lo scienziato può manipolare direttamente modelli virtuali di molecole, rendendosi conto della maggiore o minore adattabilità degli atomi per mezzo delle sensazioni tattili o dei cosiddetti "ritorni di forza".

E tuttavia il fascino di questi nuovi mondi non si riduce a una serie di applicazioni tecniche, per quanto meravigliose e innovative. Chiunque ab¬bia indossato il casco e la tuta, anche per breve tempo, avuto l'impressione di essere entrato in un mondo in cui i sogni si realizzano, in cui la potenza oggettiva del calcolo e della tecnica possono convi¬vere con le fantasie più individuali e più segrete. Sarà un caso che l'idea di un mondo del genere, un mondo oggettivo ma segreto, esistente al di là dello schermo del computer, sia stata formulata per la prima volta dagli scrittori di fantascienza? In effetti è William Gibson che ha inventato il nome che ha avuto più fortuna fra quelli proposti per i sistemi di realtà virtuale: ciberspazio. Il ciberspazio di Gibson (che compare nei racconti della sua antologia La notte che bruciammo Chrome e nella trilogia di romanzi Neuromante, Giù nel cyberspazio e Monna Lisa cyberpunk, tutti editi in Italia da Mondadori tranne Neuromante che è della Nord) non è ovviamente la stessa cosa di una realtà virtuale: in quest'ultima, come abbiamo visto, il collegamento tra corpo e computer è sensoriale, in Gibson è direttamente mentale, neuronale; le realtà virtuali sono costruite dal programma¬tore, mentre il ciberspazio sembra avere una sua esistenza au¬tonoma, è più che altro la visualizzazione dell'organizzazione dei dati interna al computer. Ma le analogie rimangono impressionanti, e sono state riconosciute dagli stessi scienziati: in entrambi i casi, nella fantasia di Gibson come nella realtà della ricerca, il computer non è più un mondo con cui possiamo entrare in contatto dall'esterno, ma può diventare la nostra esperienza sensori¬ale primaria.

Le realtà virtuali, insomma, lungi dall'essere uno strumento di isolamento e di fuga dalla realtà "reale", possono arricchire la comunicazione fra gli esseri umani in modo imprevedibile, saltando barriere linguistiche, limitazioni fisiche e psicologiche. Potrebbero diventare una specie di droga del futuro? E' possibile, ma improbabile. Timothy Leary, leader della controcultura degli anni Sessanta, un personaggio che di droghe se ne intende, ha detto che le realtà virtuali hanno tutti i pregi che aveva l'LSD senza averne la più terribile controindicazione, l'assuefazione e i pericolosi effetti a livello fisico. Per il momento c'è solo una lieve sensazione di stordimento al momento dell'uscita dal mondo virtuale, se la permanenza è stata più lunga di qualche minuto. Un effetto che forse i ragazzi di oggi, già abituati a dosi massicce di videogiochi, non provano neppure.

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