Agnetti Vincenzo

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Vincenzo Agnetti

(Milano, 14 settembre 1926. Milano 2 settembre 1981)

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Pittore, saggista, scrittore, teorico. L’arte concettuale che dominò la scena internazionale fra i Sessanta e i Settanta non riscosse nella cultura estetica italiana, votata al culto della forma, accoglienza favorevole. Pionieristica e appartata è stata dunque l’esperienza di uno dei suoi maggiori protagonisti. Una recente mostra – presentata da Marco Meneguzzo – ne ha rilanciato la singolare avventura di vita (con frequenti viaggi per “sparire”) e di arte “obsoleta” (titolo di un suo romanzo pubblicato nel 1968).

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Nasce a Milano nel 1926.

Si diploma al Liceo Artistico di Brera e frequenta la Scuola del Piccolo Teatro.

Li, appena ventenne, conosce Bruna Soletti, la donna che rimarrà sua compagna e collaboratrice per tutta la vita.

Ancor giovanissimo inizia le prime esperienze artistiche nel campo della pittura informale e della poesia, di cui non è rimasta traccia se non nelle sue parole:

"Quello che ho fatto, pensato e ascoltato l'ho dimenticato a memoria: è questo il primo documento autentico".

Il concetto del dimenticato a memoria rappresenta e unifica la prima fase dell'opera e della vita di Agnetti, che ci è stata sottratta alla vista e all'udito ma che possiamo apprezzare come sottesa al suo percorso artistico.

Sono infatti dimenticate a memoria tutte le esperienze più importanti della sua vita affettiva e lavorativa che emergono come risultanti artistiche di un processo occulto.

Negli anni a cavallo tra i 50 e i 60 frequenta Castellani e Manzoni coi quali condivide ideali, progetti e aspirazioni artistiche.

Dopo un breve periodo nel campo dell'informale, comincia ad identificare l'arte nell'assenza, nel rifiuto del dipingere, ma è presente nel panorama culturale con scritti e riflessioni inerenti all’arte.

Dal 62 al 67 Si trasferisce prima a New York e successivamente in Argentina lavorando nel campo dell'automazione elettronica.

I rapporti con gli amici e il mondo artistico milanese rimangono affidati alle lettere.

Durante il suo soggiorno in Argentina Il “rifiuto di dipingere” diventa, più in generale, consapevolezza della impossibilità del comunicare.

"Quel periodo nel suo insieme io lo chiamavo liquidazionismo: nei casi migliori arte no."

Arte no è il rifiuto di dipingere, è la presenza a costo della crisi psicologica, è la presa di coscienza, sono i viaggi, il lavoro basso, sordo, per una libertà vera, essere rivolto verso nuovi orizzonti.

Esprime la crisi di una cultura fondata sulla memoria che dovrebbe piuttosto coltivare – scrive – “l’apprendimento del dimenticare”.

Sono ancora anni di preparazione durante i quali Agnetti è coinvolto in un'operazione di scrittura ponderosa.

Di qui aforismi sul filo dell’assurdo incisi su lastre di bachelite nera (“Assiomi”), scritte tracciate su feltri, pagine illeggibili di libro sigillato in un contenitore di plastica e appoggiato su una duna di sabbia (“Apocalisse nel deserto”).

Alla pratica dell’arte Agnetti giunge nel 1967 dopo esperienze di scrittura critica e narrativa, dalla frequentazione intellettuale con la giovane avanguardia milanese, e da una intensa corrispondenza, a partire dal 1962 specie con l’editore Schweiller.

Di nuovo a Milano riprende e intensifica l'amicizia con Vanni Sheiwiller, nata nel '58 quando aveva scritto il suo intervento per le "Tavole di Accertamento" di Piero Manzoni (l 962) e destinata a durare per più di venti anni.

Nel 67 appena tornato in Italia riprende l'attività con una mostra, Principia, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara in cui attraverso una scrittura permutabile su grande quadro propone una sorta di arte concettuale intesa come pura analisi di concetti, proposizioni e teoria operante. Le mostre degli anni successivi Oltre il Linguaggio del 69, Assiomi del 70, Proposizioni del 72.

Nel 1968 inaugura con il romanzo "Obsoleto" la collana Denarratori di Sheiwiller.

Scritto tra il '63 d il '65, questo romanzo vuole essere il recupero di ciò che è caduto in disuso ed è annullato e in tal senso assume il significato di cerniera tra le due grandi fasi della sua vita.

Questo segna l'inizio di un lavoro di riflessione sul linguaggio che travalica il discorso critico ed epistemologico per entrare nel dominio dell'arte.

Intanto Agnetti è ripartito, prima in Norvegia e poi in Quatar, ormai le assenze sono più brevi ed egli è comunque entrato nel dominio della visibilità artistica, come testimoniano la sua ininterrotta produzione e le lettere all'amico Scheiwiller, pubblicate dallo stesso nel 1981.

Nel 72 partecipa a Documenta 5 di Kassel con High Fidelity, analisi sull'ellettroencefalografo.

Ha partecipato alle Biennali di Venezia del 74, 76 e 78, alla Quadriennale di Roma e alla Biennale di S. Paolo del 73.

Muore a Milano nel 1981 a soli 55 anni.


Come opera moltiplicata si ricorda il multiplo allegato a Tesi del 1972.

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