Alieni nello spazio qualunque

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Caronia Antonio
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Titolo:

Alieni nello spazio qualunque

Autore:

Caronia Antonio

Anno:

1990

Luogo:

Genova

Sito web:

Descrizione:

Se siete convinti , come ha scritto Guido Almansi, che coniugare la geometria con il sesso sia "stilisticamente sbagliato" e conduca a una "stravaganza spiacevole e irri¬tante", il cyberpunk non fa per voi. La temperatura di questi libri non si misura sulla ragionevolezza degli as¬sunti nè sulla verosimiglianza delle situazioni nè sul grado di "approfondimento psicologico" dei personaggi. Eppure essi contengono implicitamente le analisi più precise della re¬altà americana di oggi, gli sguardi più lucidi sulla con¬dizione umana nell'età dell'iper-informazione, e i loro per¬sonaggi e le loro pagine si ritagliano uno spazio ab¬bagliante, a presa rapida, nella nostra memoria. Quando William Gibson pubblicò nel 1984 il suo primo romanzo, Neuromancer (Neuromante, Editrice Nord) apparve chiaro che quel libro esprimeva una sensibilità singolare verso il cambiamento tecnologico e il mondo dell'immagine, un'attenzione inedita al mondo giovanile e alla cultura pop, una nuova capacità di rappresentare in modo intenso e a prima vista distaccato le infinite superfici della vita con¬temporanea. Neuromancer usciva in una collana di fanta¬scienza: era una scelta che affermava a un tempo l'adesione a una tradizione di cultura popolare (per quanto idiosin¬cratica, esclusiva e con una punta di snobismo, come appunto la fantascienza) e il suo distacco dai modelli commercial¬mente più diffusi, in quel genere, nel corso degli anni Ses¬santa e Settanta. Neuromancer in effetti fu un pugno nello stomaco per il mondo sonnacchioso della fantascienza ameri¬cana e mondiale: vinse tutti i premi disponibili quell'anno e suscitò entusiasmo e riflessione anche al di fuori. In¬torno ad esso si catalizzò rapidamente un gruppo di giovani scrittori (Bruce Sterling, Rudy Rucker, Lewis Shiner, John Shirley e altri) che condividevano l'insofferenza di Gibson per una fantascienza ingobbita negli stereotipi o in uno stanco modernismo. Due anni dopo usciva l'antologia Mirror¬shades (Occhiali a specchio), che rappresentò l'atto di nascita del nuovo movimento. "E' la prima volta che una ge¬nerazione di scrittori di fantascienza non matura solo all'interno di una tradizione letteraria, ma in un mondo che è fantascientifico per davvero" scriveva Sterling nell'introduzione. "Per questa generazione le tecniche della hard science fiction - l'estrapolazione, le conoscenze tec¬nologiche - non sono solo delle fonti di ispirazione per la scrittura, ma dei veri e propri strumenti per la vita quo¬tidiana". Nei romanzi successivi, Count Zero (Giù nel ciberspazio, Mondadori) e Mona Lisa Overdrive (annunciato sempre da Mondadori per i primi mesi del prossimo anno), Gibson si confermava il talento letterario più brillante di quello che ormai era stato definito il movimento "cyberpunk". Le due immagini che si imposero fra tutte quelle create dal movimento, gli occhiali a specchio (indossati o impiantati a difesa contro lo sguardo della normalità) e il ciberspazio (uno spazio virtuale, una ma¬trice situata dall'altra parte del monitor del computer a cui possono accedere, muovendovisi come se fosse reale, i "cowboy della consolle", gli hacker del futuro), sono sim¬boli forti di quella che, secondo Sterling, è la caratteri¬stica principale del movimento: "l'integrazione del mondo high tech e della cultura pop, specialmente nel suo aspetto underground". Nella versione gibsoniana del cyberpunk questo non si traduce però, come si potrebbe credere, in una esaltazione dell'onnipotenza della tecnologia: le sedute alla consolle, i viaggi nel ciberspazio sono esaltanti ma anche faticosi, pericolosi. Gli anti-eroi di questi romanzi, Case in Neuromante, Bobby Newmark in Count Zero, Mona in Mona Lisa Overdrive, Molly, la street samurai cyborg che compare nel primo e nel terzo romanzo, non sono dei tran¬quilli funzionari dell'informatica, ma dei giovani spaesati e induriti dalla vita labirintica delle megalopoli, dei nu¬clei di resistenza opaca (che a poco a poco si attiva e si radicalizza) alla politica cinica e spietata delle corpora¬tion giapponesi, le zaibatsu che nel mondo di Gibson domi¬nano onnipresenti lo spazio del potere. Quello che Gibson mostra con straordinaria efficacia è la coesistenza dell' high tech e del junk, dello scarto industriale o addirittura pre-industriale, che viene costantemente prodotto e reimmesso nel circuito del consumo a volte dalle multi¬nazionali, più spesso dall'inventività e dall'ironia depi¬stante degli outsider. Ecco Rubin, il gomi no sensei, lo straordinario scultore maestro dei rifiuti del racconto Win¬ter Market (Il mercato d'inverno, in: La notte che bruciammo Chrome, Urania 1110), o il deus ex machina di Neuromancer e Count Zero, Finn, trafficante in ogni sorta di aggeggi elet¬tronici. L'editoria italiana non ha mostrato molta attenzione per il cyberpunk. A parte Gibson, di cui è stato tradotto prati¬camente tutto (ma sembra che le tirature siano ormai esaurite), di Sterling, per esempio, abbiamo Schismatrix (La matrice spezzata, Editrice Nord), tentativo non del tutto riuscito di scrivere una storia futura centrata sulla compe¬tizione tra sostenitori dell'elettronica e della biotecnolo¬gia: ma non abbiamo il precedente e più interessante The Ar¬tificial Kid. Non abbiamo Software di Rudy Rucker, nè la se¬rie di Eclipse di John Shirley, né la serie marziana di Lewis Shiner, Frontera: per non parlare di autori meno noti ma interessanti come Marc Laidlaw o Walter Jon Williams. Fra qualche mese è possibile che colmi in parte questa lacuna una edizione aggiornata di Mirrorshades, che presenterà rac¬conti cyberpunk "storici" e più recenti accanto ad altri di autori come Robinson e Shepard che, pur non essendo classi¬ficabili come tali, sono stati sicuramente influenzati da quel clima: è annunciata da Sugarco. Tutto lascia credere che il tema fondamentale del cyber¬punk sia il discorso sui nuovi statuti del corpo nella so¬cietà dell'informazione, sull'irruzione dell'artificiale nel dispositivo corporeo, che è insieme la più palpabile garanzia di umanità e il legame più immediato con la natura. Gibson e compagni registrano il fenomeno in modo acuto, ma avanzano anche qualche ipotesi sulle conseguenze etiche di queste trasformazioni somatiche e neuronali. Da questo punto di vista non è un movimento che nasce dal nulla: oltre alle fonti di esperienza diretta, che Gibson ha più volte messo in luce ("Il mio ciberspazio è simile a qualcosa che sta già succedendo" ha dichiarato una volta) non possono mancare gli antefatti a livello della scrittura, dentro e fuori la fan¬tascienza: e anche di questo Gison ha parlato esplicita¬mente. Non c'è dubbio, per esempio, che scenari sorprenden¬temente simili a quelli cyberpunk fossero già stati presen¬tati negli anni settanta da un autore come Samuel Delany, che da noi non ha mai avuto né il successo né l'attenzione che meritava. Forse in qualche vecchio scaffale di un Re¬mainder's si potrà trovare una copia di Triton (Editore Ar¬menia) o meglio ancora di Dhalgren (Libra), storia di una città immaginaria endemicamente in preda ai riots, in cui le bande giovanili coesistono con brandelli di una vita urbana più tradizionale e il linguaggio arranca dietro alla com¬plessità del sociale. E non si può negare che l'accoppiamento invasivo e violento di uomo e macchina ispi¬rasse già nel 1973 la visionarietà di James Ballard in Crash (del romanzo, tradotto quest'anno per Rizzoli, si è già par¬lato più volte su questo giornale) e in The Atrocity Exhibi¬tion in anni ancora precedenti: in questa straordinaria e complessa antologia, che aspetta ancora una traduzione ita¬liana, la violenza con la quale l'immaginario si struttura attorno all'accoppiata di tecnologia e morte produce una lezione stilistica e tematica che Gibson ha dimostrato di avere ben assimilato. Quanto agli altri due padri del cyber¬punk, William Burroughs e Thomas Pynchon, scrittori entrambi definiti dalla critica spesso e volentieri "paranoici", bisogna dire che mai come in questi casi la paranoia ha ge¬nerato uno sguardo così preciso, chirurgico e struggente sull'uomo del XX (e forse del XXI) secolo.

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