Art in the Information Age: Technology and Conceptual Art

Tratto da EduEDA
Jump to: navigation, search

Autore: Shanken Edward http://artexetra.com

Tratto da: Leonardo 35:3 (August, 2002): 433-38. An abridged version first appeared in SIGGRAPH 2001 Electronic Art and Animation Catalog, (New York: ACM SIGGRAPH, 2001): 8-15. Expanded version reprinted in Art Inquiry 3: 12 (2001): 7-33. Translated into Polish in Kwartalnik Filmowy (Film Quarterly) 2001, No 3-4. Special Issue: New Media. Reprinted in Michael Corris, ed., Invisible College: Reconsidering “Conceptual Art” Cambridge: Cambridge University Press, 2004. Download from Leonardo: http://lbs.mit.edu/isast/articles/shanken.pdf (English .pdf)

Titolo Originale: Art in the Information Age: Technology and Conceptual Art

Traduzione di: Greta Baldanzi

Anno: 2001

L’arte nell’era dell’informazione: tecnologia e arte concettuale



Introduzione

Le affermazioni profetiche pronunciate da Marshall McLuhan verso la metà degli anni ‘60 anticipavano l'idea di mezzi elettronici in grado di creare un villaggio globale sempre più interconnesso, diffondendo anche la convinzione che l'era della tecnologia della macchina avrebbe presto lasciato il posto ad una nuova era della tecnologia dell’informazione. Avendo percepito questo tipo di cambiamento, il curatore e storico dell’arte K.G. Pontus Hultén allestì, nel 1968, una mostra presso il Museum of Modern Art di New York che risultò contemporaneamente nostalgica e futurista, centrata sulla tecnologia dell’arte e della macchina, dal titolo: “The Machine: As Seen at the End of the Mechanical Age‿. La mostra comprendeva opere che andavano dai disegni di Leonardo Da Vinci del XVI secolo, alle collaborazioni tra artisti e ingegneri contemporanei, vincitori di un concorso organizzato dalla Experiments in Art and Technology, Inc. (E.A.T.).(2) L’E.A.T. era nata dall’entusiasmo generato dalle “Nine Evenings: Theatre and Engineering‿, un festival delle produzioni tecnologicamente avanzate che l’artista Robert Rauschenberg e l’ingegnere Billy Klüver avevano organizzato a New York nell’ottobre 1966.(3) L’E.A.T. era un’associazione senza fini di lucro che mirava alla promozione delle collaborazioni tra artisti ed ingegneri, e che con le proprie competenze aveva contribuito alla progettazione dello spettacolare e multimediale Pepsi Pavilion all’Osaka World's Fair del 1970.(4) Nello stesso periodo l’American Pavilion di Osaka ospitò una mostra di progetti nati dalla collaborazione tra artisti e industrie, prodotti sotto l’egida dell’Art and Technology Program (A&T), una manifestazione organizzata tra il 1966 e il 1971 presso il County Museum of Art di Los Angeles dal curatore Maurice Tuchman.(5) Alcuni progetti promossi in quel periodo da E.A.T. e A&T avevano scopi molto ambiziosi, focalizzando la propria attenzione sull’uso artististico delle tecnologie dell’informazione, dei computer e delle telecomunicazioni.(6) L’esposizione di Jasia Reichardt, organizzata nel 1968 presso l’Institute of Contemporary Art di Londra, portava il titolo di “Cybernetic Serendipity‿ ed era tematicamente incentrata sul rapporto tra i computer e la creatività. La mostra, tuttavia, rimase legata agli aspetti materiali degli apparati tecnologici e dei relativi prodotti quali, ad esempio, i dispositivi robotici e gli applicativi per la computer grafica.(7) Jack Burnham approfondì l'analisi delle relazioni teoriche tra arte e tecnologia dell’informazione, giungendo a risultati mai ottenuti prima di allora. Nel 1970 egli curò l’esposizione “Software, Information Technology: Its New Meaning for Art‿ presso il Jewish Museum di New York. Questa mostra statunitense di arte e tecnologia rappresentò il primo grande tentativo di utilizzare un computer in un contesto museale. Le ambizioni tecnologiche di questa esposizione combaciavano con la visione concettualmente sofisticata di Burnham, secondo la quale esistevano dei parallelismi tra i programmi e i protocolli effimeri dei software elettronici, e le forme sempre più “smaterializzate‿ dell’arte sperimentale che si pensava funzionassero, metaforicamente, come i sistemi per l'elaborazione delle informazioni. Alla mostra furono esposte opere di artisti concettuali come Les Levine, Hans Haacke e Joseph Kosuth, i cui lavori furono posizionati accanto a dispositivi tecnologici come il sistema ipertestuale progettato da Ted Nelson e un modello di architettura interattiva elettronicamente controllato, messo a punto da Nicholas Negroponte e dall’Architecture Machine Group del MIT.(8) Quasi contemporaneamente alla