Art in the Information Age: Technology and Conceptual Art
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Autore: Shanken Edward http://artexetra.com
Tratto da: http://duke.edu/InfoAge.html. Originally published in SIGGRAPH 2001 Electronic Art and Animation Catalog, (New York: ACM SIGGRAPH, 2001): 8-15; expanded and reprinted in Art Inquiry 3: 12 (2001): 7-33 and Leonardo 35:3 (August, 2002): 433-38. Polish trans. in Kwartalnik Filmowy (Film Quarterly) 2001, No 3-4. Special Issue: New Media. Reprinted in Michael Corris, ed., Invisible College: Reconsidering “Conceptual Art” Cambridge: Cambridge University Press, 2004. Download from Leonardo: http://lbs.mit.edu/isast/articles/shanken.pdf (English .pdf)
Titolo Originale: Art in the Information Age: Technology and Conceptual Art
Traduzione di: Greta Baldanzi
Anno: 2001
L’arte nell’era dell’informazione: tecnologia e arte concettuale
Introduzione
Le affermazioni profetiche pronunciate da Marshall McLuhan verso la metà degli anni ‘60 anticipavano l'idea di mezzi elettronici in grado di creare un villaggio globale sempre più interconnesso, diffondendo anche la convinzione che l'era della tecnologia della macchina avrebbe presto lasciato il posto ad una nuova era della tecnologia dell’informazione. Avendo percepito questo tipo di cambiamento, il curatore e storico dell’arte K.G. Pontus Hultén allestì, nel 1968, una mostra presso il Museum of Modern Art di New York che risultò contemporaneamente nostalgica e futurista, centrata sulla tecnologia dell’arte e della macchina, dal titolo: “The Machine: As Seen at the End of the Mechanical Age‿. La mostra comprendeva opere che andavano dai disegni di Leonardo Da Vinci del XVI secolo, alle collaborazioni tra artisti e ingegneri contemporanei, vincitori di un concorso organizzato dalla Experiments in Art and Technology, Inc. (E.A.T.).(2) L’E.A.T. era nata dall’entusiasmo generato dalle “Nine Evenings: Theatre and Engineering‿, un festival delle produzioni tecnologicamente avanzate che l’artista Robert Rauschenberg e l’ingegnere Billy Klüver avevano organizzato a New York nell’ottobre 1966.(3) L’E.A.T. era un’associazione senza fini di lucro che mirava alla promozione delle collaborazioni tra artisti ed ingegneri, e che con le proprie competenze aveva contribuito alla progettazione dello spettacolare e multimediale Pepsi Pavilion all’Osaka World's Fair del 1970.(4) Nello stesso periodo l’American Pavilion di Osaka ospitò una mostra di progetti nati dalla collaborazione tra artisti e industrie, prodotti sotto l’egida dell’Art and Technology Program (A&T), una manifestazione organizzata tra il 1966 e il 1971 presso il County Museum of Art di Los Angeles dal curatore Maurice Tuchman.(5) Alcuni progetti promossi in quel periodo da E.A.T. e A&T avevano scopi molto ambiziosi, focalizzando la propria attenzione sull’uso artististico delle tecnologie dell’informazione, dei computer e delle telecomunicazioni.(6) L’esposizione di Jasia Reichardt, organizzata nel 1968 presso l’Institute of Contemporary Art di Londra, portava il titolo di “Cybernetic Serendipity‿ ed era tematicamente incentrata sul rapporto tra i computer e la creatività. La mostra, tuttavia, rimase legata agli aspetti materiali degli apparati tecnologici e dei relativi prodotti quali, ad esempio, i dispositivi robotici e gli applicativi per la computer grafica.(7) Jack Burnham approfondì l'analisi delle relazioni teoriche tra arte e tecnologia dell’informazione, giungendo a risultati mai ottenuti prima di allora. Nel 1970 egli curò l’esposizione “Software, Information Technology: Its New Meaning for Art‿ presso il Jewish Museum di New York. Questa mostra statunitense di arte e tecnologia rappresentò il primo grande tentativo di utilizzare un computer in un contesto museale. Le ambizioni tecnologiche di questa esposizione combaciavano con la visione concettualmente sofisticata di Burnham, secondo la quale esistevano dei parallelismi tra i programmi e i protocolli effimeri dei software elettronici, e le forme sempre più “smaterializzate‿ dell’arte sperimentale che si pensava funzionassero, metaforicamente, come i sistemi per l'elaborazione delle informazioni. Alla mostra furono esposte opere di artisti concettuali come Les Levine, Hans Haacke e Joseph Kosuth, i cui lavori furono posizionati accanto a dispositivi tecnologici come il sistema ipertestuale progettato da Ted Nelson e un modello di architettura interattiva elettronicamente controllato, messo a punto da Nicholas Negroponte e dall’Architecture Machine Group del MIT.(8) Quasi contemporaneamente alla “Software‿, al Museum of Modern Art di New York fu allestita la celebre mostra “Information‿ di Kinaston McShine, nonostante Burnham avesse sottolineato che "la Software era stata già organizzata ben nove mesi prima della Information".(9) Le due esposizioni condividevano diverse componenti della "Seventh Investigation (Art as Idea as Idea) Proposition One" di Kosuth (1970), e ognuna esibiva una diversa versione del "Visitor's Profile" di Haacke (1970). Sebbene “Information‿ non fosse esplicitamente una mostra tecnologica, il suo titolo suggeriva e diffondeva l’idea dell’arte come informazione (cosa che aveva già teorizzato Burnham nel suo saggio "Systems Esthetics" del 1968)(10) ed implicava la consapevolezza di una mutazione culturale di ampio respiro verso l’era dell’informazione.(11) Tuttavia, nonostante questi punti in comune e il fatto che l’arte concettuale si sia sviluppata in un periodo di intensa sperimentazione artistica e tecnologica, solo pochi studiosi hanno approfondito il rapporto esistente tra la tecnologia e l'arte concettuale. Senza dubbio, la letteratura storico-artistica ha tradizionalmente delineato alcune distinzioni categoriche tra l’arte concettuale e la tecnologia. Questo saggio tenta di riesaminare la relazione esistente tra tecnologia e arte concettuale, apportando alcune variazioni alle rigide delimitazioni disciplinari che non danno rilievo ai significativi parallelismi tra l’arte concettuale e la tecnologia. La prima parte riguarda le premesse curatoriali di Burnham per la mostra “Software‿ e analizza gli aspetti tecnologici delle opere esposte da Levine, Haacke e Kosuth. La seconda parte propone invece alcune possibili spiegazioni del perché l’arte concettuale sia stata considerata una categoria separata, se non addirittura antitetica, rispetto al rapporto tra arte e tecnologia. Pur senza tralasciare una panoramica tematica piuttosto ampia, l'analisi si focalizza sulle perplessità che lo storico dell'arte inglese Charles Harrison rivela in merito al rapporto arte e tecnologia, nei suoi scritti sull’arte concettuale.(12) La conclusione suggerisce che le corrispondenze evidenti tra questi due filoni artistici sono sufficienti per giustificare una riconsiderazione dei rapporti tra le due tendenze, intese come testimonianze di trasformazioni sociali su vasta scala: dall’era della macchina che ha caratterizzato la società industriale, all’era dell’informazione tipica della società post-industriale. Prima di procedere oltre, riportiamo alcune utili definizioni operative inerenti alla terminologia dell’Arte concettuale e dell’Arte e tecnologia, così da poter poi affrontare un'eventuale discussione sulle reciproche connessioni, al di là dei rigidi confini tracciati dalle attuali linee di pensiero. In opposizione al formalismo arcaico che era stato istituzionalizzato a partire dagli anni ‘60, l’Arte concettuale ha tentato di analizzare le idee sottolineando l'aspetto creativo e ricettivo dell'arte, anziché elaborando un'altra convenzione stilistica nell’avvicendarsi storico dei movimenti dell'avanguardia modernista. Gli artisti concettuali hanno approfondito lo studio delle reti dei significati e delle strutture della conoscenza che consentono all’arte di avere un senso. A tal fine, essi hanno spesso utilizzato il testo come espediente strategico per l’analisi degli interstizi tra il linguaggio visuale e quello verbale, considerati dei veri e propri sistemi semiotici. In questo senso, l’Arte concettuale si presenta come una pratica artistica meta-critica e auto-riflessiva, impegnata nella teorizzazione delle diverse possibilità di significato (compreso il proprio) dei contesti artistici multipli, senza esclusione per la sua storia, la critica, la storiografia, gli spazi espositivi, i mercati, e così via. Interrogandosi sul rapporto tra idee e arte, l’Arte concettuale ha ridimensionato l’enfasi che la tradizione aveva da sempre posto sulla materialità delle opere d'arte, dando invece grande risalto alla scoperta dei sistemi semantici che avrebbero consentito la trasmissione del significato.(13) L’Arte e tecnologia ha concentrato la propria attenzione sui materiali e/o sui concetti di tecnologia e scienza, che da da quel momento gli artisti avrebbero integrato nei propri lavori. L’analisi di questa corrente si focalizza, inoltre, sullo studio estetico delle forme visuali della scienza e della tecnologia, sull’applicazione della scienza e della tecnologia per la creazione di forme visuali, e sull’utilizzo delle teorie scientifiche e dei mezzi tecnologici sia per interrogare le prorpie applicazioni proscritte, sia per creare nuovi modelli estetici. In questo terzo caso, l’Arte e tecnologia, così come l’Arte concettuale, si configura come un processo meta-critico. Un processo che sfida i sistemi di conoscenza (e le modalità dell'apprendimento tecnologicamente mediate) che sono alla base dei metodi scientifici e dei valori estetici convenzionali, ed esamina le implicazioni sociali ed estetiche dei mezzi tecnologici che definiscono, impacchettano e distribuiscono le informazioni.
Art as Software (L’arte come software): Burnham, Levine, Haacke, Kosuth
Questo titolo per l'esposizione "Software‿ fu proposto a Burnham dall’artista Les Levine. Lo stesso Burnham aveva interagito direttamente con i software durante un progetto di ricerca presso il Center for Advanced Visual Studies del MIT, durante l’anno accademico 1968-69. Facendo riferimento a quell’esperienza, durante una conferenza pubblica tenuta nel 1969 presso il Guggenheim Museum di New York, Burnham espresse il proprio interesse nei riguardi delle modalità in cui “si sviluppa un dialogo tra i partecipanti, ossia tra il programma elettronico e il soggetto umano, in modo tale che entrambi riescono poi ad andare oltre la propria condizione iniziale".(14) Egli sostenne che tale comunicazione a doppio senso poteva rappresentare un modello per una "eventuale comunicazione bidirezionale" che sarebbe emersa in campo artistico.(15) Karl Katz, direttore del Jewish Museum, ascoltò la lezione di Burnham e lo invitò a curare un’esposizione. Seguendo i principi esposti in "The Aesthetics of Intelligent Systems," e negli articoli ad esso correlati quali "Systems Esthetics" (1968) e "Real Time Systems" (1969), Burnham progettò la “Software‿ come se si trattasse di un banco di prova per l’interazione tra il pubblico e i “sistemi informativi con i relativi dispositivi‿(16). Molte delle opere esposte si dimostrarono indubbiamente interattive e basate sulla comunicazione a doppio senso tra l’osservatore e l’oggetto esposto. Oltretutto, la “Software‿ si basava sulla concezione di "software" e di "tecnologia dell’informazione" intese come metafore dell’arte. Burnham concepì il "software" come un elemento equivalente ai principi, ai concetti estetici o ai programmi che stanno alla base dell’incarnazione formale degli oggetti d’arte reali, che a loro volta sarebbero simili all’"hardware". A tal proposito, egli interpretò l’‿arte post-formalista‿ (ovvero le pratiche artistiche sperimentali contemporanee, come l’Arte concettuale) come un’arte prevalentemente incentrata sull’aspetto elettronico della produzione estetica.(17) Nel suo articolo "Alice's Head" del 1970, Burnham si schierò a favore degli artisti concettuali americani come Kosuth, Robert Barry, e Douglas Huebler.(18) Alludendo al “sogghigno senza gatto‿ di “Alice nel paese delle meraviglie‿ di Lewis Carroll, lo storico dell’arte affermò che le opere di questi artisti potevano essere sprovviste di tutto, tranne che della materialità convenzionalmente associata agli oggetti d’arte. Così egli finì per presentare la “Software‿ in termini simili, ovvero come “un tentativo di produrre sensazioni estetiche senza l’interporsi dell’'oggetto'‿.(19) Burnham teorizzò questo mutamento estetico assimilandolo ad una trasformazione sociale più estesa, partendo da quello che McLuhan aveva indicato come l'“isolamento e il dominio della società da parte del senso visivo‿ (definito e limitato da una prospettiva unica), e arrivando ad una concezione del mondo basata sul feedback interattivo delle informazioni tra i vari sistemi e le loro componenti nei settori globali, in cui non esiste “alcuna distinzione logica tra la mente del percipiente e l’ambiente circostante‿.(20) Sul finire degli anni ‘60, Les Levine era uno degli artisti più all’avanguardia e interessati a sperimentare come il feedback interattivo dei sistemi informativi potesse rendere meno rigide le linee di demarcazione tra l’osservatore e l’ambiente. Egli presentò alla “Software‿ tre lavori, tra cui il "Systems Burn-Off X Residual Software" (1969).(21) La prima installazione, effettuata presso la Phyllis Kind Gallery di Chicago, era costituita da 1000 copie di ognuna delle 31 fotografie scattate da Levine all’apertura della mostra "Earth Works", largamente pubblicizzata e tenutasi ad Ithaca, New York, nel marzo 1969. Molti critici e addetti ai mezzi di comunicazione newyorkesi poterono utilizzare gratuitamente gli autobus cittadini per partecipare all’evento. La maggior parte delle 31.000 fotografie che documentarono l’evento mediatico fu “dislocata in ordine sparso sul pavimento e ricoperta di gelatina; alcune furono appiccicate alle pareti con della gomma da masticare; le restanti furono messe in vendita‿.(22) Sul catalogo della mostra “Software‿, Levine scrisse una frase che sottolineava la sua idea di software e il relativo rapporto con l’arte. Quell’affermazione enfatizzava il suo pensiero, secondo il quale la proliferazione dei mass-media stava trasformando la conoscenza in un’esperienza mentale di simulazioni e rappresentazioni di seconda mano: il software, in sostanza, era pensato in opposizione alle esperienze dirette, corporee, di prima mano e relative agli oggetti, ai luoghi e alle manifestazioni reali; in opposizione, cioè, all’hardware.
“Tutte le attività che non sono collegate alla massa materiale o dell’oggetto sono risultato di un software. Le immagini, ad esempio, sono hardware. Ma le informazioni relative a quelle stesse immagini sono software... In molti casi, un oggetto ha molto meno valore di un software riguardante l’oggetto stesso. L’oggetto è il punto terminale di un sistema. Il software è un sistema a struttura sempre aperta. L’esperienza di vedere qualcosa di prima mano non ha più valore in una società controllata dal software, in quanto i media innalzano il livello energetico dell'osservazione. Non ci chiediamo mai se le cose che accadono alla radio o alla tv sono realmente accadute. Per affermare che esse esistono, a noi basta poter confrontare gli avvenimenti mentalmente attraverso i mezzi elettronici… Allo stesso modo, quasi tutta l'arte oggi prodotta consiste, in definitiva, in informazioni sull'arte‿.(23)
Levine concepiva ognuna delle 31.000 foto come effetti residuali o "burn-off" (una sorta di fusione) del sistema informativo che egli aveva creato: una rappresentazione materiale del software. In altri termini, il "Systems Burn-Off" era una grafica che produceva informazioni (software) sull’informazione prodotta e divulgata dai media (software) sull’arte (hardware). Si offriva una critica del sistema processuale attraverso cui gli oggetti artistici (hardware) vengono trasformati dai media in informazioni sugli oggetti artistici (software). Nonostante egli affermasse che quasi tutta l’arte “finiva per essere informazione sull’arte‿, il "Systems Burn-Off" concepiva l’arte come informazione sull’informazione sull’arte, aggiungendo un livello di complessità e di riflessività a quel ciclo di trasformazioni che interessa la cultura mediatica.(24) A tal proposito, mentre l'Arte e tecnologia utilizzava la tecnologia in modo esplicito, nella costruzione dei progetti Earth Art (come quelli fotografati da Levine per il "Systems Burn-Off") la tecnologia veniva impiegata implicitamente. Per citare un esempio classico, lo "Spiral Jetty" (1969-70) di Robert Smithson richiese l’impiego di indagini mediante aerofotografia e di attrezzature dell’industria pesante per spostare 6.650 tonnellate di materiale.(25) Dato che lo stretto legame dell'Earth Art con la specificità del luogo rendeva l’esperienza diretta possibile solo agli abitanti del posto e ad un ristretto gruppo di appassionati, Levine spostò l’attenzione su un altro aspetto implicitamente tecnologico dell’opera: il processo con cui il mezzo prima trasforma l'opera stessa in informazione e poi la distribuisce. Il "Systems Burn-Off" può essere collegato alle installazioni video interattive di Levine, come "Iris" (1968) e "Contact: A Cybernetic Sculpture" (1969). In questi lavori, le video camere catturavano diverse immagini dell’osservatore o degli osservatori, che venivano poi restituite su un gruppo di schermi con dei valori di ritardo o altri tipi di distorsioni. Come Levine osservò, "'Iris' ... trasforma l’osservatore in informazione ... 'Contact' è un sistema che sintetizza l’uomo e la sua tecnologia... le persone sono il software".(26) Mentre questi lavori richiedevano l’esperienza diretta e corporea dei partecipanti, l’interesse primario dell’artista riguardava l’esperienza del vedere se stessi come informazioni, cioè trasformati in software.
Quando vediamo noi stessi guardando lo schermo della tv, noi non vediamo noi stessi in carne ed ossa ma un’immagine del corpo, un’immagine del nostro sé. Quindi è più rappresentativa non del corpo, ma dell’apparenza: come rappresentiamo, come siamo rappresentati, come appariamo. Non credo che queste opere abbiano la capacità di conservare alcuna caratteristica della reale natura corporea che il corpo ha veramente... Quel lavoro era un sistema di trasformazione che proiettava il concetto dell’immagine in qualche altra zona.(27)
A questo riguardo, Levine affermò provocatoriamente che "La simulazione è più reale della realtà. La realtà è una gerarchia sovrastimata".(28) Per Levine, come per altri artisti sperimentali che lavoravano sull’intersezione tra l’Arte concettuale e l'Arte e tecnologia, la particolare manifestazione visiva dell’opera d’arte come oggetto era secondaria rispetto all’espressione di un’idea che diventava realtà grazie alla sua simulazione. In "Systems Burn-Off" Levine utilizzò una metafora tecnologica per creare un’arte che non fosse costituita da mezzi tecnologici ma che sottolineasse quanto i media trasformino la peculiarità di un soggetto artistico nell'uniformità generica, tipica delle informazioni giornalistiche. Utilizzando videocamere e schermi televisivi, "Iris" e "Contact" rivelarono, similmente, come i media trasformassero il corpo in immagine, creando una condizione di conoscenza - in questo caso auto-conoscenza - basata sulla simulazione.(29) Se nel 1967 l’artista Sol Lewitt affermava che "I nuovi materiali sono una delle grandi calamità dell’arte contemporanea",(30) nel 1968 egli scriveva che "Poiché nessuna forma è intrinsecamente superiore ad un’altra, l’artista può utilizzare qualsiasi forma ... indifferentemente".(31) Contravvenendo alle sue prime affermazioni e sostenendo le ultime, Levine si rese conto che il proprio uso della tecnologia dei mass media era valido parimenti all’utilizzo che egli faceva di qualsiasi altro mezzo, tradizionale o innovativo. Come Levine, anche altri artisti concettuali, come Hans Haacke, aderirono al principio che sosteneva l’equivalenza dei mezzi nella produzione delle opere d’arte, tecnologia e mass media inclusi. Haacke è forse più conosciuto per le sue critiche politicamente indirizzate, riguardanti le potenti relazioni tra istituzioni artistiche, industria, apparato militare e politico. Tuttavia, è emblematico che il lavoro di Haacke dei primi anni ‘60 abbia preso le mosse dalla scultura cinetica. Proprio come scultore cinetico, infatti, egli fu inserito in una serie di importanti mostre della Nouvelle Tendence (Ulm, Londra, Amsterdam, Berlino, Gelsenkirchen, Venezia, Philadelphia e Washington, D.C.) (32) e si auto-definì come una "specie di associato minore" al gruppo Zero tedesco.(33) Le opere di questo periodo, come le sue Condensation Boxes, in plexiglas o in plexiglas e acciaio, rivelarono evidenti similitudini con l’Arte minimale nelle loro forme semplificate, riduttive, così come nei materiali industriali. Esse contenevano anche uno spunto cinetico che le metteva direttamente in relazione con gli elementi del movimento e della trasformazione tipici dell’Arte e tecnologia. È forse per questa ragione che la Howard Wise Gallery, il primo locale commerciale destinato alla presentazione di Arte e tecnologia, ospitò mostre personali di Haacke nel 1966, nel 1968 e nel 1969. Negli stessi anni, le prime opere di Haacke si basarono sul dinamismo dei sistemi naturali. Questa relazione con l’idea dei sistemi inseriti nel contesto artistico (che egli elaborò più tardi interrogandosi sull’arte come sistema) era parte integrante dei diversi filoni dell’Arte concettuale e processuale, così come dell’Arte e tecnologia. In questo ultimo caso, non solo esistevano singoli artisti che sperimentavano l’arte mediante diversi approcci sistematici, ma anche mostre come Nine Evenings, Software ed A&T che incoraggiavano artisti ed istituzioni artistiche a confrontarsi e a collaborare con i sistemi dell’industria e della tecnologia. Haacke, che era stato grande amico di Burnham dal 1962, contribuì alla Software con due opere: "Visitor's Profile" e "News." Questi lavori facevano parte della serie "Real Time Systems" dello stesso artista, ispirata in parte dalle conversazioni con Burnham (che lo introdusse al concetto di sistemi biologici aperti sviluppato da Ludwig Von Bertalanffy), e in parte dalle teorie cibernetiche di Norbert Wiener.(34) L’articolo di Burnham, "Real Time Systems", distingueva il “tempo ideale‿ dal “tempo reale‿ rispetto all’arte.(35) Nel tempo ideale la contemplazione estetica della bellezza avviene nell'isolamento teoretico dalle contingenze temporali del valore, mentre nel tempo reale il valore scaturisce dallo scambio informativo immediato, interattivo e necessariamente contingente. "News" (1969) era costituito da diverse macchine telescriventi che offrivano un flusso costante di informazioni su avvenimenti locali, nazionali e internazionali, stampate su rotoli di carta continui. A livello visivo, questi lavori sembravano riunire la scultura minimalista e post-minimalista di Robert Morris, Richard Serra, Barry Le Va ed Alan Saret, in cui materiali come il feltro, il piombo e la gomma venivano impiegati in strutture lineari all’interno dello spazio della galleria. Nella sua discussione inerente ai sistemi in tempo reale, Burnham faceva riferimento ad un pezzo (probabilmente "Visitor's Profile" per la Sofware) che Haacke stava progettando "per un museo" che avrebbe prodotto una "produzione continua di informazioni statistiche sui visitatori, basata su un piccolo computer munito di processore e schermo".(36) Questa versione elettronica di "Visitor's Profile" era ovviamente più tecnologicamente avanzata rispetto alle versioni manuali esposte alla Howard Wise Gallery nel 1969 e alla mostra Information del 1970. Era, però, anche molto più complessa nella sua varietà di quesiti politicamente provocatori e nella compilazione dei relativi risultati istantanei e statistici. Il questionario era praticamente identico a quello che Haacke aveva proposto per la sua mostra personale al Guggenheim Museum nel 1971, poi annullata dallo stesso museo.(37) L’installazione era costituita da una telescrivente provvista di monitor e collegata ad un computer time-sharing. Il computer era stato programmato per effettuare un confronto incrociato dei dati demografici relativi al pubblico di frequentatori del museo (età, sesso, livello d'istruzione, e così via) e delle loro opinioni in merito ad una serie di argomenti, con domande che andavano da "Il consumo di marijuana dovrebbe essere legalizzato, punito moderatamente o punito severamente?" a "Se lei fosse indocinese, simpatizzerebbe con l’attuale regime di Saigon?". Considerando che i dati statistici ottenuti con le altre versioni del "Visitor's Profile" venivano catalogati tutti i giorni, Haacke notò che nel catalogo Software:
“La velocità di processo del computer fa sì che il calcolo statistico di tutte le risposte sia aggiornato e disponibile in qualsiasi momento. I dati, in continua variazione, vengono proiettati su uno schermo gigante, in modo che possano essere accessibili ad un elevato numero di persone. Si ottiene, dunque, un profilo statistico dei visitatori della mostra basato sulle loro stesse informazioni‿.(38)
In merito alle componenti tecnologiche del lavoro di Haacke, Burnham scrisse: "Due anni fa Haacke si sarebbe opposto all’utilizzo di questo tipo di tecnologia; oggi, lavorando a stretto contatto con gli eventi, la stessa tecnologia diventa una necessità."(39) Haacke amplificò questo concetto ribadendo l’importanza per gli artisti di usare qualsiasi materiale o tecnica necessaria per rispondere sistematicamente alle problematiche della società contemporanea ee evidenziando il panorama piuttosto ampio dei contesti informazionali:
“L’attività dell’artista necessita la sua implicazione diretta in quasi tutti gli aspetti ... Non si avrebbe una visione completa della situazione se si affermasse che l’attività dell’artista consiste nello stabilire come lavorare con questo o quel materiale... e che tutto il resto dovrebbe essere lasciato ad altre professioni ... L’obiettivo generale delle informazioni che egli riceve quotidianamente è un obiettivo che riguarda tutto il suo contesto. Un artista non è un sistema isolato ... egli deve interagire continuamente con il mondo che lo circonda...‿.(40)
Come Levine, Haacke non utilizzò la tecnologia come uno strumento fine a se stesso, quanto piuttosto come uno strumento al servizio delle idee sulle quali si basava la sua pratica artistica. Questi artisti, dunque, cercarono di evitare di cadere vittime del pericolo che Lewitt aveva paventato parlando dei nuovi materiali: "rendere la fisicità dei materiali così importante da farne l’idea centrale del lavoro (un'altra versione dell'espressionismo)".(41) Nei primi lavori tecnologicamente avanzati di Haacke, come il "Photo-Electric Viewer-Programmed Coordinate System" (1968?) la tecnologia era impiegata come mezzo per consentire all’arte di diventare un sistema reattivo, in tempo reale, che "si integra con l’ambiente in una relazione che può essere meglio compresa come 'sistema' di processi interdipendenti".(42) Allo stesso modo, nella versione Software del "Visitor's Profile", il computer doveva permettere all’opera di ricevere, processare e distribuire le informazioni istantaneamente. Il lavoro poteva interagire con i partecipanti in tempo reale, raggruppando e valutando reattivamente le informazioni sulla relazione sistematica tra arte e società. A tal proposito, il lavoro di Haacke aveva delle affinità con gli obiettivi concettuali dei sistemi in tempo reale attualizzati nelle opere di molti artisti di Arte e tecnologia. Per elencare solo alcuni esempi, si possono citare le serie di sculture cibernetiche "CYSP" di Nicholas Schöffer prodotte nella metà degli anni ‘50, le sculture robotiche interattive di James Seawright della metà degli anni ‘60 e gli ambienti di "realtà artificiale" di Myron Kreuger diffuse nei primi anni ‘70. Va detto che la versione Software del "Visitor's Profile" non funzionò, a causa di avarie del programma che resero inutilizzabile il computer time-sharing DEC PDP 9, preso in prestito dal Jewish Museum. Mentre l’idea di base del pezzo rimaneva percorribile e poteva essere attuata facilmente e in modo affidabile con un semplice personal computer, il fallimento della versione computerizzata del "Visitors Profile" scoraggiò Haacke dal successivo utilizzo di dispositivi tecnologici.(43) L’esperienza fallimentare di Haacke non rappresentava un’eccezione: le problematiche tecniche erano sorte durante la maggior parte delle mostre di Arte e tecnologia, a cominciare dalle Nine Evenings. Quando i costi di manutenzione tecnica necessari per la mostra superarono abbontantemente quelli preventivati, lo Smithsonian Institute si oppose all’esposizione di Cybernetic Serendipity, già costato parecchio per le ingenti spese di trasporto verso gli Stati Uniti. Fino a tempi recenti, le barriere tecnologiche, il costo e l’inaffidabilità dei mezzi scoraggiavano molti artisti dalla sperimentazione tecnologica, contribuento ad una generale disillusione nei confronti dell’Arte e tecnologia. Così come Levine e Haacke, anche Kosuth utilizzò i mass media per la produzione dei suoi lavori. Tuttavia, diversamente da quegli artisti, Kosuth non fece uso esplicito della tecnologia e non utilizzò, ad esempio, video, computer o telecomunicazioni. Ciò nonostante, il suo contributo alla Software, come il suo approccio alla produzione artistica in generale, può essere interpretato come corrispondente ad un modello tecnologico di processamento delle informazioni. Come si è detto, Kosuth espose gli elementi del suo "Seventh Investigation (Art as Idea as Idea) Proposition One" (1970) alla Software.(44) Quest’opera utilizzava lo stesso testo ponendolo in diversi contesti internazionali: un cartellone pubblicitario in inglese e in cinese nel sobborgo di Chinatown della bassa Manhattan, un annuncio sul Daily World ed uno striscione a Torino (in italiano, che fu provvisoriamente esposto alla mostra Information del Museum of Modern Art.) Il testo era composto da una lista di sei frasi:
[1] assumere spontaneamente un assetto mentale.
[2] saltare volontariamente da un aspetto della situazione ad un altro.
[3] ricordarsi contemporaneamente vari aspetti.
[4] afferrare l’essenziale di un tutto; suddividere l’intero in parti e isolarle volontariamente.
[5] generalizzare; astrarre le proprietà comuni; progettare il futuro non razionalmente; assumere un atteggiamento aperto al 'puro possibile' e pensare o agire simbolicamente.
[6] separare il nostro ego dal mondo esterno.(45)
Le frasi di Kosuth inserite nel catalogo Software esaltavano la sua convinzione sul fatto che l’opera non può essere ridotta ad un'immagine mentale, esistendo come informazione svincolata da qualsiasi iconografia.
“Gli elementi che utilizzo nelle mie frasi sono costituiti da informazioni. I gruppi di tipologie informative esistono spesso come 'posizionamenti' che si accoppiano in modo tale che la padronanza iconica è molto difficile, se non impossibile. Ma la struttura di questi accoppiamenti di tendenze non è l’'arte'. L’arte consiste nella mia azione di posizionare questa attività (l’indagine) in un contesto artistico (cioè arte come idea come idea)‿.(46)
Questo atteggiamento precludeva la presenza della tecnologia nelle opere di Kosuth, a meno che essa non venisse impiegata in modo da non risultare iconica, come si può dire che accadesse nei lavori di Levine e Haacke.(47) Applicando la metafora del software di Burnham, l’opera d’arte non era il cartellone pubblicitario o gli altri elementi visibili del testo (hardware), quanto piuttosto una manifestazione delle domande filosofiche di Kosuth (software) poste nella cornice dell’arte visuale; in questo caso, quindi, le mostre Software e Information. Le affermazioni che l’artista inserì nel suo catalogo, suggerirono un concetto di "arte" basato sulla sua ricerca, in contesto artistico, inerente al rapporto tra le idee, i veicoli che ne consentono l'espressione, e le reti semantiche grazie alle quali le idee stesse possono avere un significato.(48) Considerato che Kosuth non ha mai utilizzato i mezzi tecnologici nella sua produzione artistica, né si è mai espresso direttamente nei confronti del rapporto tra tecnologia e arte, è piuttosto difficile appurare la qualità tecnologica del suo lavoro. Ad ogni modo, il suo utilizzo della fotografia e dei mass media può essere rapportato, nel complesso, all’impiego di materiali e tecniche industriali che ebbe origine con movimenti legati alla tecnologia come il Costruttivismo, il Futurismo e il Bauhaus all’inizio del XX secolo e che vide una larga diffusione dopo la seconda guerra mondiale. Nell’ambito della Software, inoltre, la "Seventh Investigation" di Kosuth si prestava ad un’interpretazione legata alla metafora di Burnham sull’arte come sistema di processo delle informazioni. Burnham aveva tracciato, oltretutto, un parallelismo tra il modo in cui il software controlla l'hardware del computer e il modo in cui le informazioni controllano l'attività della mente umana.(49) Da questo punto di vista, i suggerimenti di Kosuth funzionerebbero come vere e proprie istruzioni per la mente dell’osservatore.(50) Con la differenza che, mentre il sofware elettronico intrattiene un rapporto strumentale con le fasi di coordinamento delle operazioni dell’hardware, i suggerimenti dell’artista sono invece delle meta-analisi delle componenti fenomenologiche e linguistiche del significato. In altre parole, essi richiedono all’osservatore di esaminare il processo di elaborazione delle informazioni, durante le fasi del processo stesso. Sebbene Kosuth non abbia definito dei modelli elettronici per l’elaborazione delle informazioni, le sue ricerche seguivano un filo logico che rivelava affinità con quel modello e, allo stesso tempo, implicava un’auto-riflessività che andava al di là di quel modello stesso. Nella stesura di proposizioni che richiedevano agli osservatori di analizzare il funzionamento cognitivo delle proprie menti in relazione alI’elaborazione delle informazioni e alla creazione del significato, la "Seventh Investigation" di Kosuth cercava di approfondire come e perché ciò che egli chiamava "il gioco del linguaggio" dell’arte aveva luogo all’interno di una cornice culturale più allargata. Questo atteggiamento critico può essere considerato come costitutivo dell'informazione della società nell'era dell'informazione in genere, e nel clima di mutazione che evolveva dal contesto economico industriale a quello post-industriale. Qui il significato semantico e il valore materiale non sono integrati negli oggetti, nelle istituzioni o negli individui, nella stessa misura in cui essi sono invece distinti e separati nella produzione, nella manipolazione e nella diffusione dei segni.
L’opposizione ai parallelismi tra l’Arte concettuale e l’Arte e tecnologia
In “Art into Ideas‿ Robert C. Morgan sosteneva che i lavori di Burnham avessero evidenziato “la sensazione che l’arte era passata dall'oggetto all'idea, dalla definizione materiale dell'arte alla definizione di un sistema di pensiero‿. Morgan descriveva, inoltre, l’Arte concettuale come “un metodo significativo ed innovativo o un tipo (non uno stile) di pratica artistica alla vigilia dell’era informazionale‿, ed evidenziava un “fenomeno socioeconomico parallelo... la penombra tra l’industria e la postindustria".(51) Burnham aveva già delineato un parallelismo simile in "Systems Esthetics", connesso al mutamento industriale, dal controllo della produzione al controllo dell'informazione che John Kenneth Galbraith aveva descritto nel suo “The New Industrial State‿. Tuttavia, in "Systems Esthetics", in "Real Time Systems," (1969), in "The Aesthetics of Intelligent Systems" (1969) e alla mostra Software, Burnham evidenziò parallelismi espliciti tra l’Arte concettuale e gli sviluppi nella teoria dei sistemi, nonché nell’elaborazione delle informazioni elettroniche. Secondo Burnham, questi progressi scientifici e tecnologici erano inseparabili dai travolgenti mutamenti sociali che Galbraith e altri stavano identificando e prevedendo. Morgan ha il merito di aver compreso l'importanza delle teorie di Burnham sull’Arte concettuale e di aver ribadito la loro centralità nel contesto storico. Va detto, ad ogni modo, che il suo allineamento alla posizioni di Burnham cessa nel momento in cui quest'ultimo traccia un netto parallelismo tra l’Arte concettuale e l’Arte e tecnologia. Prendendo le distanze da tale similitudine, Morgan si ritrova in ottima compagnia, in quanto nessun artista dai tempi di Burnham aveva enfatizzato tale connessione e quasi tutti avevano tentato di rigettarla. Tuttavia, non è chiaro come la relazione che Morgan riconosce tra l’Arte concettuale, l’era dell’informazione e la società post-industriale possa essere spiegata senza ricorrere alle particolari tecnologie che si stavano sviluppando in quel periodo. Se quelle connessioni verranno tracciate (e sembra proprio che ciò stia per accadere), allora ritengo che sarà necessario fare riferimento , come fece Burnham, agli sviluppi scientifici e tecnologici che hanno contribuito ai grandi cambiamenti culturali e sociali. In ogni caso, si può ben comprendere perché l’Arte concettuale e l’Arte e tecnologia siano state considerate delle pratiche artistiche separate e distinte. Verso i primi anni ’70, l’interesse del pubblico nei confronti dell’Arte e tecnologia stava decisamente scemando, mentre l’attenzione verso l’Arte concettuale risultava in crescita. L’Arte e tecnologia, che aveva tracciato un utile sentiero per le sperimentazioni estetiche degli artisti della Pop Art, dell’Environmental Art, Fluxus, Happenings, Arte processuale e Video Art nel corso degli anni ‘50 e ‘60, non sembrava più una strada percorribile per molti artisti degli anni ‘70.(52) La Video Art, che prima era stata parte dell’Arte e tecnologia, divenne un filone artistico autonomo. Lo scetticismo generale nei confronti dell'industria bellica dopo il maggio del 1968 e con la guerra in Vietnam in corso, la Guerra Fredda e le tematiche ecologiche sempre più pressanti, contribuirono a rendere problematico l’utilizzo artistico della tecnologia e la produzione di oggetti estetici in genere, in un contesto capitalistico e merceologico.(53) L’Arte concettuale, d’altro canto, con il suo attacco all’oggetto modernista, divenne sempre più centrale nelle dissertazioni artistiche che riguardavano il Post-minimalismo come la Performance, l’Installation o la Land-Art.(54) Nel 1974 l’Arte concettuale, in effetti, era stata così ben integrata nel mercato artistico internazionale che Sarah Charlesworth, Michael Corris, Joseph Kosuth e Mel Ramsden fondarono “The Fox‿, (1975-6),(55) con l’intento di 'dare vita ad una sorta di comunità di pratica [per] la rivalutazione dell’ideologia'.(56) Le divergenti opinioni della critica e del pubblico in merito all'Arte concettuale e all’Arte e tecnologia all’inizio degli anni ‘70 contribuirono ad esacerbare le distinzioni tra queste due tendenze artistiche, anziché evidenziarne le eventuali continuità. Come logica conseguenza, artisti, critici, rivenditori, curatori e collezionisti che avevano investito in un'Arte concettuale internazionalmente prestigiosa, prendevano le distanze da qualsiasi collegamento con l'Arte e tecnologia che, per le ragioni sopra citate, era divenuta sempre più periferica rispetto alle tematiche artistiche contemporanee. Sarebbe errato, tuttavia, sottovalutare la condivisione di affinità tra gli artisti concettuali e artisti come Schöffer, Takis e Tinguely, che, come altri artisti di metà secolo legati all’Arte e tecnologia, erano interessati al processo, all’interazione in tempo reale e ai sistemi dinamici. Ad ogni modo, le accuse che derivavano dal ritenere l’Arte e tecnologia dominata dalla materialità e dallo spettacolo delle strutture meccaniche (che erano anatemi per il progetto dell’Arte concettuale) non erano infondate. Allo stesso tempo, gli artisti che avevano unito un acquisito interesse verso le idee tecnologiche ad un approccio fondamentalmente concettuale alla produzione artistica, non si riconoscevano facilmente nella categoria dell’Arte e tecnologia. Roy Ascott, ad esempio, l'artista britannico più strettamente legato all'Arte cibernetica inglese, era stato escluso dalla “Cybernetic Serendipity‿ in quanto il suo utilizzo della cibernetica seguiva un approccio fondamentalmente concettuale.(57) Di converso, mentre il suo saggio "The Construction of Change" del 1964 fu citato nel frontespizio come un inno per i seminali di Lucy Lippard “Six Years: The Dematerialization of the Art Object from 1966-1972", l’anticipazione e il contributo di Ascott alla formazione dell’Arte concettuale in Inghilterra non furono debitamente riconosciuti, forse (e ironicamente) perché il suo lavoro era troppo legato all’Arte e tecnologia. A tal proposito, l’utilizzo da parte di Ascott del thesaurus nel 1963 tracciò un parallelismo evidente tra le qualità tassonomiche dei linguaggi verbali e visuali; un concetto che sarebbe stato ripreso nella Second Investigation di Joseph Kosuth, in “Proposition 1‿ (1968) e nell’opera di Mel Ramsden “Elements of an Incomplete Map‿ (1968).(58) In questo modo, le eredità dell’Arte e tecnologia e dell’Arte concettuale erano sostanzialmente opposte e complicavano la fluidità tra le due categorie creando dei vuoti là dove sarebbe stato possibile individuare interessanti similitudini. L’esempio di Ascott, in ogni caso, dimostra le significative intersezioni tra l’Arte concettuale e l’Arte e tecnologia, negando la supposta tradizionale autonomia di queste due categorie storico-artistiche. L’influente saggio di Sol Lewitt "Paragraphs of Conceptual Art" (1967), esemplifica ulteriormente tali complicazioni e contraddizioni. Nel secondo paragrafo Lewitt descrive l’Arte concettuale come un processo finto-meccanico: "Nell’Arte concettuale l’idea del concetto è l’aspetto più importante dell’opera ... [l’] idea diventa una macchina che produce arte." Diversi paragrafi più avanti, però, egli sottolinea che "I nuovi materiali sono una delle grandi calamità dell’arte contemporanea ... Il rischio consiste, credo, nel rendere la fisicità dei materiali così importante da farne l’idea centrale del lavoro (un'altra versione dell'espressionismo)".(59) Indipendentemente da ciò che della sua idea di unificare arte e tecnologia è poi stato considerato rilevante – come la capacità, tra le altre cose, di "creare un ambiente più umano" o di lanciare una sfida alle convenzioni formali del Modernismo – L’Arte e tecnologia fu percepita da molti artisti, critici e storici come affondata dalla “fisicità dei materiali‿ (per dirla con le parole di Lewitt) che dominavano “l’idea dell'opera‿. Indubbiamente, nella sua introduzione all’Arte concettuale, Ursula Meyer aveva condiviso la metafora tecnologica di Burnham scrivendo che "L’Arte concettuale è diametralmente opposta all’arte dell’hardware".(60) Lo stesso Burnham riconobbe la "superficialità chic che aleggiava su molte opere cinetiche e sui cosiddetti 'light events'", notando anche che "nella galleria di Haacke c’era ... molto del locale alla moda Howard Wise".(61) Tuttavia, questa sensazione era più che altro diffusa in certi circoli dell’Arte concettuale come quelli legati all’Arte e linguaggio, in cui l’opposizione al formalismo degli oggetti modernisti (e alla loro funzione di merci di rinforzo all'ideologia capitalista) costituiva un tema di forte interesse. Da questa prospettiva anti-formalista, le campane e i fischietti dell’Arte e tecnologia sembravano sfarzosi, espressionistici, eccessi commerciali estranei e antitetici rispetto alla ricerca estetica delle idee sovrastrutturali che costituivano il programma dell’Arte concettuale. Uno dei più eminenti promotori di questa teoria è lo storico dell’arte Charles Harrison. Considerato l'importante contributo alle dissertazioni sull'Arte concettuale, il suo lavoro in questo ambito merita un'attenta e accurata analisi. Harrison ha scritto che "il riavvicinamento tra arte e tecnologia ... tendeva a soffrire di una banale equazione tra 'modernità' e sviluppo scientifico e meccanico. Esso tendeva anche alla cooptazione da parte delle tecnologie più rappresentative utilizzate".(62) Harrison ha inoltre affermato che in questo periodo di esperimenti nell’Arte e tecnologia e nella Cybernetic Serendipity, "alcuni pensavano che il fascino del disegno e della tecnologia potesse essere efficacemente iniettato nel modernismo artistico. Lo stivale, però, stava sull’atro piede".(63) Ad ogni modo, Harrison fu obbligato a riconoscere l’interesse nell’Arte e tecnologia condiviso dai soci fondatori di Arte e linguaggio, ovvero David Bainbridge e Harold Hurrell. Egli evidenziò il fatto che nel 1967, presso l’Architectural Association di Londra, essi avevano organizzato l’Hardware Show, da lui descritto come un evento riguardante “tanto la mobilia 'personalizzata', quanto le installazioni 'elettromagnetiche'". A parte l’Hardware e gli “interventi‿ di Hurrell che "inserivano i concetti ... derivati dalla pratica ingegneristica ... nelle disquisizioni sull’Arte e linguaggio degli anni ‘70", Harrison sosteneva che "le affinità tra Pop Art e Arte e tecnologia non furono mai parte integrante del programma di Arte e linguaggio"64 e mai “meglio corredate di distrazioni croniche, rispetto alle ben più interessanti e complesse problematiche dell’arte moderna".(65) Se da un lato la Pop Art e l’Arte e tecnologia in qualche modo si sovrapponevano, dall’altro esse rappresentavano anche due lasciti molto differenti. Riunificandole, Harrison finì per ridurre le loro singole peculiarità e i loro singoli obiettivi ad un minimo comun denominatore. Relativamente agli aspetti speculativamente più sofisticati dell’Arte e tecnologia (cioè al suo rapporto con il processo e i sistemi, la relazione tra le strutture tecnologiche ed estetiche della conoscenza, e uno scambio di informazioni interattivo e a doppio senso), questi concetti possono essere considerati strettamente connessi agli aspetti dell’Arte concettuale. Come indicato precedentemente, il lavoro di Levine e Haacke impiegava la tecnologia per stabilire degli agganci con questo tipo di problematiche. Utilizzando come punto di partenza la metafora tecnologica sulla relazione tra hardware e software, in "System's Burn-Off" Levine analizzava come la tecnologia trasformasse gli oggetti in informazioni all’interno del contesto artistico, mentre "Iris" e "Contact" cercavano di trasformare l’osservatore in informazione. Le "News" di Haacke segnavano un cambiamento del contesto relativo alla produzione sistematica delle informazioni dei media in tempo reale, dagli uffici editoriali del giornale locale al museo, mentre "Visitor's Profile" era stato concepito per effettuare uno scambio interattivo di informazioni in tempo reale tra i visitatori del museo, i dati demografici incrociati e le opinioni politiche. Entrambe le opere interattive di questi artisti tentavano di sfidare la relazione convenzionale soggetto-oggetto tra l'osservatore attivo e l'opera d'arte passiva che caratterizza non solo il modernismo, ma l'intera storia dell'arte occidentale. Allo stesso modo, l’opera di Kosuth può essere concepita come un lavoro a metà tra la mente umana e l’attività cognitiva elettronica, relativamente all’elaborazione delle informazioni, e quindi in grado di trasformare il soggetto della contemplazione estetica da un oggetto d’arte ai processi mentali dell’osservatore e i sistemi semantici che strutturano il significato. Così come per la relazione tra la tecnologia e le opere di Arte e linguaggio, molti dei temi prima menzionati erano evidenti in "Cybernetic Artwork that Nobody Broke" (1969) di Hurrell,(66) nell’installazione elettronica di Bainbridge per "Lecher System" (1969-70),(67) e in "Key to 22 Predicates: The French Army" (1967)(68) di Terry Atkinson e Michael Baldwin. Poiché tutti questi lavori dei membri di Arte e linguaggio erano pervasi di ironia, le loro componenti tecnologiche dovevano essere interpretate come parodie degli apparati scientifici della conoscenza e della loro applicazione acritica all’arte. Ma sfidando la concezione dei primi, intesi come "i sistemi della conoscenza (e le modalità dell’apprendimento tecnologicamente mediate) che strutturano i metodi scientifici e i valori estetici convenzionali", questi lavori degli appartenenti ad Arte e linguaggio sono simili per una comunanza vitale con gli obiettivi di Arte e tecnologia sottolineati nell’introduzione. Senza dubbio, l’interrogazione critica sulle implicazioni sociali della tecnologia caratterizza – fin dagli ultimi anni ‘50 - un’ampia varietà di indagini artistiche nel campo dell’Arte e tecnologia. Tra le opere più significative, ricordiamo la teoria dell’arte auto-distruttiva di Gustav Metzger (1959), "Homage to New York" (1960) di Tinguely, il Robot K-456 (1964) di Nam June Paik e Shuya Abe, e "Kisses Sweeter than Wine" (1966) di Oyvind Fahlstrom. Il lavoro di Stelarc e dei Survival Research Laboratories iniziato nella metà degli anni ‘70 prosegue nella stessa direzione di questo utilizzo critico della tecnologia da parte degli artisti. Harrison equiparava la tecnologia all’estetica meccanica del modernismo americano. Proseguendo sulla scia di Marcel Duchamp e del suo congedo dall’"arte retinica", egli considerava i dispositivi cinetici e altri congegni comunemente legati all'Arte e tecnologia, come convergenti verso la "dissertazione dell’osservatore" tipicamente modernista. Poiché il modernismo rappresentava l’ambito trincerato dell’autorità e del potere nel mondo artistico che Arte e linguaggio mirava strategicamente a decostruire, i riferimenti tecnologici si ponevano potenzialmente in contraddizione con il progetto del gruppo. Harrison non riuscì a capire i modi in cui l’uso della tecnologia da parte degli artisti era stato fondamentale non solo per la tecnologia stessa, ma anche per l’estetica modernista. Di conseguenza, i suoi scritti sembrano piuttosto apologetici quando trattano di opere come il "Cybernetic Artwork" di Hurrell e il "Lecher System" di Bainbridge, da lui descritte come "flagellanti i prodotti della ricerca di strumenti pratici e intellettuali, che non erano stati ancora compromessi e resi eufemistici con un utilizzo di tipo modernista".(69) Contemporaneamente, l'analisi di Harrison su "Index" (1972),(70) un sistema per la collaborazione tra i gruppi di Arte e linguaggio che può essere considerato come un sistema ipertestuale manuale, citava l’opera dello scienziato informatico Marvin Minsky. Harrison si riferiva esplicitamente ai settori dell’intelligenza artificiale e a ciò che era noto con il nome di neurofilosofia, che secondo lui erano simili agli approcci sistematici di due tipi di Arte concettuale:
“L’analogia tra questi sistemi ... serve a distiguere tra ... il prodotto intellettuale confezionato, in cui le idee venivano trattate come oggetti immutabili e il mondo artistico come un sistema in cui questi oggetti ovevano essere installati; [e] le opere che richiedevano ... che non solo esse stesse, ma anche le strutture in cui esse erano posizionate fossero viste come problematiche, in modo che le mutue relazioni tra 'opera' e 'struttura' potessero essere rese dinamiche e trasformabili‿.(71)
Mentre Harrison affermava che il lascito di Arte e tecnologia non era mai stato parte del programma di Arte e linguaggio, questo passaggio è a sua volta debitore nei confronti della cibernetica e della teoria dei sistemi: una bizzarra contraddizione. In effetti, questa descrizione degli approcci sistematici dell’Arte concettuale suona estremamente simile alle idee che Burnham teorizzava negli ultimi anni ‘60 per analizzare la sistematica relazione tra la tecnologia e l’Arte concettuale, poi esemplificata nella Software. Nel saggio del suo catalogo, ad esempio, Burnham scrisse:
“Utilizzata in formato artistico, ogni nozione di software induce a riconsiderare le nostre nozioni storiche di arte... I contesti prestano il significato alle opere d’arte o alle idee dell’arte: essi "incorniciano" l’opera, così da farla parlare... Per gli osservatori sofisticati, i contesti vengono trasportati implicitamente attraverso le precedenti esperienze. Quindi molte delle opere esposte alla Software avevano a che fare con le relazioni concettuali e processuali che ... scardinano le normali aspettative della percezione e le abitudini che gli osservatori portano con sé ad ogni mostra d’arte‿.(72)
Negli scritti di Harrison, l’assenza di qualsiasi riferimento alle teorie di Burnham sull'Arte concettuale o alla mostra Software rappresenta un’omissione significativa. Può, tale svista, aiutarci a comprendere la difficoltà di Harrison nel riconoscere l'importanza della scienza e della tecnologia come una componente speculativa e materiale all’interno di un'ampia gamma di pratiche dell'Arte concettuale, dall'Arte e linguaggio fino alla Software? È difficile immaginare che Harrison, da intellettuale colto ed esperto quale era, primo editore dello Studio International e collaboratore all’Artforum, non avesse familiarità con gli scritti di Burnham. Di certo Burnham e Harrison disapprovavano alcuni temi fondamentali dell’Arte concettuale, specialmente quelli relativi al suo rapporto con la tecnologia.(73) Nella sua relazione su Arte e linguaggio, Harrison si mostrò restio alla tecnologia, che considerava separata dall'Arte concettuale, e delineò i fondamenti filosofici e politici delle sue sfide lanciate verso le teorie estetiche del modernismo.(74) Ma limitando la disapprovazione alle nozioni di materialità e produzione dilagate prima della guerra e alle tematiche estetiche del formalismo modernista, la storia dell’Arte e linguaggio e dell’Arte concettuale di Harrison è inutilmente limitata nelle sue implicazioni e non riesce a definire la relazione tra l’arte sperimentale del XX secolo e l’era dell’informazione della società post-industriale. Oltre ai rilevanti temi filosofici, politici ed estetici, una valutazione più completa dell'arte del secondo dopoguerra deve anche prendere in considerazione le specifiche teorie scientifiche e tecnologiche, oltre agli sviluppi di costruzioni sociali più ampie che hanno impattato tutti gli aspetti della cultura materiale. Di certo, tali idee tecnologiche non erano presenti solo nelle pratiche artistiche degli appartenenti ad Arte e linguaggio, ma si insinuavano anche nell’interpretazione di Harrison in merito all’opera del gruppo.
Conclusione
Le continuità tra Arte e tecnologia e Arte concettuale sono più facilmente rilevabili ad una distanza storica di tre decenni, ossia lontano dalle discussioni politico-estetiche del tempo. I progressi nel campo dell’elettronica, del calcolo, delle telecomunicazioni e soprattutto l'avvento di Internet hanno fornito agli artisti strumenti che permettono loro di investigare la convenzionale materialità degli oggetti d’arte con modalità impensabili fino a trent’anni fa. Questa prospettiva mette anche in rilievo come la speculazione critica non sia stata in grado di conciliare il modo in cui il lavoro di un artista poteva essere avvicinato contemporaneamente sia all’Arte e tecnologia, sia all’Arte concettuale. Haacke, ad esempio, espose all'Howard Wise Gallery e le caratteristiche della sua opera emergono prevalentemente nelle monografie chiave sull’Arte cinetica e sull’Arte e tecnologia.(75) Ciò nonostante, il suo lavoro è stato canonizzato fondamentalmente nel contesto dell’Arte concettuale.(76) Altri artisti, come Ascott, sono rimasti contemporaneamente visibili e invisibili a qualsiasi filone artistico durante tutti gli anni '70, a causa delle affinità con entrambi.(77) La concezione e la storicizzazione critica di Haacke e Ascott gettano meno luce sul loro lavoro di quanto facciano in merito ai meccanismi istituzionali che hanno creato e rinforzato distinzioni categoriche fra Arte e tecnologia e Arte concettuale, a costo di identificare le continuità tra queste. Rispettando le differenze fra queste tendenze artistiche, e comprendendo contemporaneamente alcuni dei filoni teorici comuni che i due artisti hanno condiviso, è possibile formulare una panoramica più completa dell’arte negli anni '60 e nel periodo del secondo dopoguerra. Una simile delineazione storica aiuterà a capire come la cibernetica, la teoria delle informazioni e quella dei sistemi costituivano modelli intellettuali di base che, in combinazione con l'avvento dell’informatica digitale e delle telecomunicazioni, hanno giocato un ruolo significativo nella trasformazione della società. Come scrisse Burnham nel 1970,
"La tecnologia per il trattamento delle informazioni influisce sui nostri concetti relativi alla creatività, alla percezione e ai limiti dell’arte... ... probabilmente, l’ambito dei computer e di altri dispositivi per la telecomunicazione non si limiterà a produrre opere d'arte; ma essi diverranno, in realtà, strumentali nella ridefinizione dell'intera area della conoscenza estetica ".(78)
Note
Questo saggio costituisce una parte della tesi di dottorato dell’autore in Storia dell’Arte presso la Duke University, dal titolo “In Forming Software: Experimental Art, Information Technology, Structuralism, and Postmodernity‿. Una parte delle ricerche condotte per questa dissertazione è stata finanziata da una borsa di studio in Arte americana offerta dal LUCE/American Council of Learned Societies, conseguita nell'anno accademico 1998-99. Vorrei ringraziare Jack Burnham, Joseph Kosuth, Les Levine e Hans Haacke per i loro generosi consigli e spunti inerenti alla Software e al rapporto tra la tecnologia e l’Arte concettuale. Sono grato a Kristine Stiles per aver letto e riletto questo testo e per i suoi preziosi suggerimenti redazionali. Questo saggio è dedicato a mio fratello, Andrew Shanken, con il quale mi congratulo per il conseguimento del suo Ph.D. in storia dell’arte.
(2) Dato il grande successo del concorso MOMA, i numerosi altri progetti d'equipe hanno dato luogo ad una mostra sussidiaria, Some More Beginnings, che l’E.A.T. ha organizzato al Brooklyn Art Museum, contemporaneamente all’esposizione “The Machine‿. Ved. K.G. Pontus Hultén, The Machine: As Seen at the End of the Mechanical Age. New York: Museum of Modern Art, 1968. Si veda anche “Experiments in Art and Technology‿, Some More Beginnings, New York: Experiments in Art and Technology, 1968.
(3) “Nine evenings‿ rappresentò il culmine delle collaborazioni tra artisti/ballerini, come Rauschenberg, che erano legati al Judson Dance Theater, e ingegneri, come Klüver, che proveniva dai Bell Laboratories. Se è possibile assegnare ad un singolo evento il ruolo di scintilla in grado di accendere l’interesse dell’America verso l'idea di unire l'arte alla tecnologia negli anni '60, questo evento non può essere che Nine evenings.
(4) Ved. Billy Klüver, Julie Martin e Barbara Rose, eds ., Pavilion. New York: Dutton, 1972.
(5) Ved. Maurice Tuchman, A Report on the Art and technology Program of the Los Angeles County Museum of Art, 1967-1971.
(6) Molti degli artisti che hanno presentato delle proposte alla A&T intendevano utilizzare i computer, ma gli sponsor aziendali erano restii a concedere loro l’uso dei propri macchinari, ad eccezione della Information International, Inc., che collaborò con Jackson MacLow aiutandolo a creare composizioni poetiche generate dal computer. Ved. Tuchman, A Report: 19, 201-23. Per quanto concerne i progetti legati alle telecomunicazioni, nel luglio del 1971 la E.A.T. organizzò "Utopia Q&A", un progetto internazionale su telescrivente che coinvolse soggetti residenti a New York, Tokyo, Ahmedabad e Stoccolma, e che consentì lo scambio di informazioni riguardanti i cambiamenti che essi prevedevano si sarebbero verificati nella cultura e nella società nel giro di dieci anni. Archivi E.A.T.: 67:1, Getty Research Institute, Los Angeles.
(7) Jasia Reichardt, ed ., Cybernetic Serendipity: The Computer and the Arts. Londra: Studio International, 1968.
(8) Ved. Judith Benjamin Burnham, ed., Software, Information Technology: Its New Meaning for Art. New York: The Jewish Museum, 1971. L'esposizione ospitò un gruppo di partecipanti celebri legati a Process, Performance e diverse correnti di Arte concettuale, tra cui Robert Barry, Douglas Huebler, Agnes Denes, Sonia Sheridan, Alan Kaprow, Vito Acconci, David Antin, John Giorno, John Baldessari, John Goodyear, Ted Victoria e Donald Burgy.
(9) Jack Burnham, "Problems of Criticism" Artforum 9:5 (gennaio 1971), ristampato in Gregory Battcock, ed ., Idea Art: A Critical Anthology (New York: (Dutton, 1973): 50. “Information‿ si tenne tra il 2 luglio e il 20 settembre, “Software‿ si tenne tra il 16 settembre e l'8 novembre.
(10) Jack Burnham, "Systems Esthetics" Artforum 7:1 (settembre 1968): 30-35. Burnham tenne anche una serie di lezioni sul tema "An Introduction to Systems Aesthetics" presso la Stanford University, nel maggio 1969. Non intendo affermare che Burnham sia stato il primo scrittore a considerare l'idea di arte come informazione, ma sostengo che egli si sia identificato in quel concetto poiché le sue teorie in merito apportarono una sostanziale chiarezza a quella tematica, rilevandone l’importanza.
(11) Data l’intenzionale natura "vasta e informale" dell’evento, che comprendeva il lavoro di quasi 100 artisti provenienti da tutto il mondo (molti dei quali legati all’Arte concettuale), il titolo "information" poteva funzionare solo come vaga generalizzazione di tendenze artistiche emergenti negli anni '60. McShine, forse saggiamente, non tentò una teorizzazione coerente dei disparati contributi costituenti questo "'rapporto internazionale' dell'attività degli artisti più giovani", suggerendo di considerarlo una "introduzione all’opera, dalla quale sarebbero probabilmente emerse molte delle riflessioni estetiche degli anni '70". Ved. Kinaston McShine, "Acknowledgements" Information. (New York: Museum of Modern Art, 1970): 1.
(12) Come Burnham, Harrison fu estremamente vicino agli impulsi dell’Arte concettuale e i suoi scritti, come quelli della sua controparte americana, confermano rispetto e risposta. Harrison incontrò per la prima volta i quattro fondatori di Arte e linguaggio nel 1969, lo stesso anno in cui egli scrisse il saggio di catalogo "Against Precedents" per l'esposizione londinese “When Attitudes Became Form‿, punto di riferimento per tutte le mostre di Arte concettuale. Egli divenne un membro attivo di Arte e linguaggio nel 1971, unendo la sua esperienza professionale come storico dell’arte con la pratica artistica. Dopo un’educazione artistica di tipo formale, Burnham creò sua prima scultura di luce nel 1954 e la sua prima scultura cinetica programmata nel 1959. Conseguì un MFA in scultura alla Yale nel 1961 e più tardi unì le sue intuizioni di artista legato alla tecnologia, con la sua vocazione autodidatta di critico e storico dell’arte. Grande amico di Hans Haacke dal 1962, egli si legò anche al gruppo di artisti concettuali rappresentati dal gallerista newyorkese Seth Sieglaub. Poiché esula dall’intento di questo saggio discutere le perplessità teoriche inerenti ad uno storico dell’arte che fa arte e ad un artista che scrive storia dell’arte, specialmente in riferimento a Harrison, a Burnham e alle pratiche testuali dell’Arte concettuale, questo problema occuperà maggiore spazio nella mia tesi di dottorato. Basti dire che considero le opere di Burnham come una referenza che gli valse la nomina di studioso esperto di storia dell’arte.
(13) Kristine Stiles, storica dell’arte, ha notato che molti artisti concettuali, specialmente Mel Bochner e altri di Arte e linguaggio, riconoscevano la contraddizione della cosiddetta "dematerializzazione" dell'oggetto d’arte teorizzata da Lucy Lippard e da John Chandler nel loro importante articolo "The Dematerialization of Art" su Art International (febbraio 1968) e nuovamente inserito nel testo di Lippard “Six Years: The Dematerialization of the Art Object1966-1972‿ (1973). Stiles sottolinea come la "dematerializzazione dell’arte" possa essere vista meglio come una "strategia per riposizionare l'arte rispetto alla politica: non un cambiamento del materiale in sé, ma un cambiamento dal valore di un’opera intesa come oggetto di scambio commerciale al valore della stessa opera intesa come oggetto di interscambio estetico e politico". Ved. Kristine Stiles, "Language and Concepts" in Kristine Stiles e Peter Selz, eds ., Theories and Documents of Contemporary Art: A Sourcebook of Artists' Writings, (Berkeley: University of California Press, 1996): 804-816; e Mel Bochner, "Book Review" Artforum 11:10 (giugno, il 1973), ristampato in Stiles e Selz, Theories e Documents 828-32.
(14) Jack Burnham, "The Aesthetics of Intelligent Systems" in Edward Fry, Intro., On the Future of Art, (New York: Viking, 1970): 119.
(15) Ibid.
(16) Jack Burnham, "Notes on Art and Information Processing" Software: 10
(17) Si veda il mio, "The House That Jack Built: Jack Burnham's Concept of Software as a Metaphor for Art," Leonardo Electronic Almanac 6:10 (novembre 1998) pubblicato anche online all’indirizzo <http://mitpress.mit.edu/e-journals/LEA/ARTICLES/jack.html>
(18) Jack Burnham, "Alice's Head," Artforum 1970, ristampato in Jack Burnham, Great Western Salt Works. New York: George Braziller.
(19) Jack Burnham. Corrispondenza privata con l’autore, 23 aprile 1998.
(20) Jack Burnham, "Alice's Head" Great Western Salt Works: 47.
(21) Le altre due opere erano "A.I.R." (1968-70) e "Wire Tap (1969-70). A.I.R., acronimo di "Artist In Residence", era nata come collegamento video in tempo reale con lo studio di Levine, in modo che i frequentatori del museo potessero osservare l’artista all’opera, minuto per minuto, su schermi televisivi disposti in cerchio attorno all’osservatore. A causa delle ristrettezze finanziarie, l’allestimento effettivo impiegò dei nastri preregistrati che riproducevano l’artista nel suo studio. "Wire Tap" era costituita da conversazioni telefoniche dal vivo tra l’artista e chiunque l’avesse chiamato in quel determinato momento, diffuse mediante altoparlanti 12" x 12".
(22) Burnham, Software: 60.
(23) Les Levine, dichiarazione dell’artista, Software: 61.
(24) Questo ciclo di trasformazioni non si esaurisce qui. La riproduzione di immagini del "Systems Burn-Off" nel catalogo della Software aggiunse un altro livello al ciclo, creando informazione sull’arte come informazione sull’informazione sull’arte. E la mia discussione in merito rappresenta l’informazione sull’informazione sull’arte come informazione sull’informazione sull’arte.
(25) Daniel Wheeler, Art Since Mid-Century: 1945 to the Present (Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall, 1991): 263.
(26) Levine citato in Gene Youngblood, Expanded Cinema. (New York: E.P. Dutton and Co., Inc, 1970): 340.
(27) Les Levine, Telephone interview with the author, January 21, 1999.
(28) Ibid.
(29) Ibid. La similitudine tra il lavoro di Levine e la teoria del sociologo francese Jean Baudrillard sui simulacri, fu evidenziata dallo stesso artista.
(30) Sol Lewitt, "Paragraphs on Conceptual Art," (1967) Artforum 5:10 (giugno 1967): 79. Ristampato in Stiles and Selz, Theories and Documents: 822-6.
(31) Sol Lewitt, "Sentences on Conceptual Art" 0-9 (gennaio 1969). Ristampato in Stiles and Selz, Theories and Documents: 826-7.
(32) Jack Burnham, Hans Haacke: Wind and Water Sculpture" Trimestrale (Evanston: Northwestern University Press, 1967): 3.
(33) Hans Haacke, Interview with the author, January 2, 1999.
(34) Ibid. Le idee di Bertalanffy sono state enunciate in “General Systems Theory: Foundations, Development, Application‿, New York: George Braziller, 1968. Si veda anche l’opera di Wiener “Cybernetics: or, Control and Communication in the Animal and the Machine‿. Cambridge: MIT Press, 1948. Molti artisti si avvicinarono a questi concetti grazie all’opera di Burnham “Beyond Modern Sculpture: The Effects of Science and Technology on the Sculpture of This Century‿, New York: George Braziller, 1968, in cui erano presenti riferimenti alle teorie biologiche protocibernetiche di Bertalanffy risalenti agli anni ’30, alle teorie cibernetiche di Wiener, Stafford Beer, Ross Ashby e Gordon Pask, nonché ai principi di teoria dell’informazione elaborati da Claude Shannon. Per altri approfondimenti riguardanti l’influenza esercitata da Burnham sugli artisti, si veda Simon Penny, "Systems Aesthetics + Cyborg Art: The Legacy of Jack Burnham," Sculpture Magazine 18:1 (gen-feb 1999). Pubblicato online all’indirizzo http://www.sculpture.org/documents/scmag99/burnham/sm-burnh.htm (22 giugno, 1999).
(35) Jack Burnham, "Real Time Systems," Artforum (settembre 1969): 49-55, ristampato in Great Western Salt Works. 27-38.
(36) Ibid: 30.
(37) Brian Wallis, ed., Hans Haacke: Unfinished Business, Cambridge: MIT Press, 1986: 82-7; e, nello stesso volume, Rosalyn Deutsche, "Property Values: Hans Haacke, Real Estate, and the Museum": 20-38.
(38) Hans Haacke, dichiarazione dell'artista in Software: 34.
(39) Jack Burnham, "Real Time Systems" Great Western Salt Works: 30.
(40) Hans Haacke, da una discussione presentata al congresso annuale dell’Intersocietal Color Council, aprile 1968. Citata in Jack Burnham, "Real Time Systems," Great Western Salt Works: 30-31.
(41) Sol Lewitt, "Paragraphs on Conceptual Art," in Stiles and Selz, Theories and Documents: 825. Se Levine e Haacke ebbero o meno ragione a tal proposito è ancora oggi materia di discussione.
(42) Hans Haacke, dichiarazione dell'artista in Hans Haacke, catalogo dell’esibizione, New York:: Howard Wise Gallery, 1968, citato in Jack Burnham, "Systems Esthetics": 35.
(43) Hans Haacke, Interview with the author, January 2, 1999.
(44) Ciò che Kosuth mise realmente in mostra al Jewish Museum non è mai stato chiarito. Inoltre, Kosuth ricorda che gran parte del materiale (cartelle a fogli mobili riempite di frasi, informazioni e documentazioni) fu "preso in prestito" da un frequentatore della mostra per un lungo periodo di tempo, per poi essere restituito, finalmente, al museo. Joseph Kosuth, Discussion with the artist, April 5, 1999, Durham, NC.
(45) Ved. Joseph Kosuth, "Seventh Investigation (Art as Idea as Idea) Proposition One" illustrated in Software: 69.
(46) Joseph Kosuth, dichiarazione dell'artista, Software: 68.
(47) La riproduzione fotografica del cartellone pubblicitario aveva finito per rappresentare la Seventh Investigation, riducendola, almeno ad un livello superficiale, ad un’icona riconoscibile a quanti non avevano studiato l’opera abbastanza in profondità o continuavano a vedere l’arte in quei termini. Allo stesso tempo, come la maggior parte degli artisti concettuali, Kosuth necessita che l'"hardware" veicoli i concetti del suo “software"; da qui la critica verso la cosiddetta arte "dematerializzata".
(48) Per ulteriori approfondimenti sulla teoria di Kosuth riguardante l’Arte concettuale, si veda Joseph Kosuth, Art After Philosophy and After: Collected Writings, 1966-90, Gabriele Guercio, ed. Cambridge: MIT Press, 1991.
(49) Burnham, "The Aesthetics of Intelligent Systems."
(50) Un ulteriore parallelismo potrebbe essere tracciato tra gli eventi di artisti come George Brecht e Yoko Ono, e i progetti di Kosuth che potevano essere interpretati come eventi per la mente.
(51) Robert C. Morgan, Art into Ideas, (New York: Cambridge University Press, 1996): 2-3.
(52) Il quotidiano Leonardo, fondato dall’artista/scienziato Frank Malina nel 1967, testi eccellenti come l’opera di Jonathan Benthall Science and Technology in Art Today (1972) e soprattutto quella di Douglas Davis Art and the Future(1973), contribuirono a mantenere vivo l’interesse per l’interdisciplinarietà tra arte, scienza e tecnologia. Tuttavia, gran parte di quella ricerca divenne una ricerca autonoma (come la Video Art) e legata ad altri movimenti, oppure ripresa dal palco centrale del mondo dell’arte contemporanea per essere trattata nei contesti eclettici di certi dipartimenti universitari del MIT, del Carnegie-Mellon, dell’Art Institute di Chicago, della University of Illinois di Chicago e della Ohio State University. Ulteriori studi su come il mondo accademico con le proprie ricerche possa aver contribuito allo sviluppo di Arte e tecnologia negli anni ’70 e ’80, sarebbero auspicabili e apporterebbero notevoli contributi in questo campo. Un altro segno del decrescente interesse verso Arte e tecnologia è riconoscibile nella chiusura, avvenuta nel 1971, della Howard Wise Gallery di New York, il più importante punto di riferimento commerciale per le esposizioni di Arte e tecnologia negli anni '60. Wise decise di dedicare tutte le sue energie alla Video Art, dando vita alla Electronic Arts Intermix, un’associazione senza scopo di lucro tuttora attiva a New York.
(53) Credo che le aspettative del pubblico fossero esageratamente alte nei riguardi delle più importanti esposizioni di Arte e tecnologia organizzate tra il 1966 e il 1971. Le tecnologie alle quali gli artisti avevano accesso erano piuttosto primitive, ingombranti, inaffidabili e costose, se confrontate con quelle che sarebbero poi state utilizzate vent'anni più tardi, con l'avvento dei personal computer. I primi progetti rilevavano continue avarie e, in ogni caso, come notò McShine, non erano in grado di competere con le recenti realizzazioni tecnologiche estremamente spettacolari come l’allunaggio di Apollo 11. Arte e tecnologia sembrava aver fallito nel mantenere la promessa di una visione estetica moderna ed efficiente di un futuro tecnologicamente avanzato; promessa che era stata ingigantita dal settore emergente della grafica pubblicitaria professionale. La Software, ad esempio, fu reclamizzata dalle relazioni pubbliche dell'azienda Ruder & Finn, che offriva anche consulenze alla A&T.
(54) L’interesse dell’opinione pubblica verso l’Arte concettuale era cresciuta costantemente fin dalla metà degli anni ’60, quando gli artisti, i curatori e i critici diedero inizio al processo di storicizzazione di una vasta gamma di tendenze artistiche internazionali includendole complessivamente sotto la definizione di “Arte concettuale‿. Il 1969 fu un’annata spartiacque. L’attivista/gallerista Seth Sieglaub organizzò la prima esposizione esclusivamente dedicata all’Arte concettuale, che si tenne tra il 5 e il 31 gennaio 1969 presso una galleria provvisoria di New York. Kosuth pubblicò il suo saggio definitivo in tre parti "Art After Philosophy" e diede alle stampe il primo numero di Art-Language: The Journal of Conceptual Art, prodotto dall’associazione britannica Art & Language. L’esposizione dello storico dell’arte svizzero Harald Szeeman “When Attitudes Became Form‿ si aprì al Kunsthalle, Berna (22 marzo - 27 aprile) per poi spostarsi all’ICA di Londra. Wim Beeren organizzò una mostra concorrente dal titolo “Op Losse Schroeven‿ (Cavicchi quadrati in buchi rotondi) presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam (15 marzo – 27 aprile). Germano Celant pubblicò Arte Povera: Conceptual, Actual or Impossible Art (London: Studio Vista). Hans Strelow e il gallerista tedesco Konrad Fischer organizzarono “Prospect 69‿ presso la Düsseldorf Kunsthalle, mentre Fisher e Rolf Wedewer allestirono “Konzeption – Conception‿ allo Städtisches Museum di Leverkusen. Nel 1970, il New York Cultural Center ospitò “Conceptual Art and Conceptual Aspects‿; MOMA allestì “Information‿, e il Jewish Museum tenne la “Software‿. Nel 1970, lo storico dell’arte inglese Charles Harrison organizzò “Idea Structures‿ presso il Camden Arts Center e nel 1971 allestì “The British Avant Garde‿ presso il New York Cultural Center. Come già aveva notato Stiles, nel 1972, Fischer e Szeeman contribuirono a "curare i vari aspetti di quelli che fu la pietra miliare delle esposizioni di arte concettuale e performante che sovrastò Documenta 5." (Stiles, 909) “Conceptual Art‿ di Ursula Meyer, una compilazione di affermazioni, saggi, opere e interviste degli artisti concettuali, fu pubblicata nel 1972; e nel 1973 Gregory Battcock pubblicò “Idea Art: A Critical Anthology‿.
(55) Michael Corris, Correpondence with the author, July 31, 1999
(56) Stiles, "Language and Concepts" Theories and Documents: 808.
(57) Jasia Reichardt, interview with the author, July 30, 1998, London.
(58) Inoltre, poiché il diagramma di Ascott era complessivamente testuale, egli dichiarò espressamente per iscritto la sua intenzione di utilizzare il testo nell’arte e come arte. Per altri approfondimenti su Ascott, si veda il mio "From Cybernetics to Telematics: The Art, Theory, and Pedagogy of Roy Ascott" in Edward A. Shanken, ed., “Is There Love in the Telematic Embrace: Visionary Theories of Art, Technology, and Consciousness di Roy Ascott. Berkeley: University of California Press‿, in distribuzione dal 2000.
(59) Sol Lewitt, "Paragraphs on Conceptual Art," Stiles and Selz, Theories and Documents: 825.
(60) Ursula Meyer, Conceptual Art, New York: Dutton, 1972): xvi.
(61) Jack Burnham, "Steps in the Formulation of Real-Time Political Art" in Kaspar Koenig, ed., Hans Haacke: Framing and Being Framed, 7 Works 1970-75, (Halifax: The Press of the Nova Scotia College of Art and Design, 1975): 128-9.
(62) Charles Harrison, "A Kind of Context," in Essays on Art & Language (London: Basil Blackwell, 1991): 17.
(63) Ibid: 260, fn 25.
(64) Ibid: 261, fn 30
(65) Charles Harrison, "The Late Sixties in London and Elsewhere" Hillary Gresty, ed., 1965-1972 - When Attitudes Became Form, (Cambridge: Kettle's Yard Gallery, 1984): 10-11.
(66) Questo programma spurio per computer che doveva creare il colore interattivamente, non consentì all'utente di interagire, a parte la banale rigidità dell'inserimento binario. Se l’utente digitava un numero diverso da 0 e 1, il programma restituiva il messaggio: "YOU HAVE NOTHING, OBEY INSTRUCTIONS!" ["NON HAI NULLA, OBBEDISCI ALLE ISTRUZIONI!"] Se l’utente inseriva un carattere non numerico, “The Cybernetic Art Work That Nobody Broke‿ (L’opera cibernetica che nessuno danneggiò) rispondeva che c’era un "ERROR AT STEP 3.2." ["ERRORE AL PUNTO 3.2"] Ibid: 58.
(67) Quest’opera giustappose una "'morfologia scultorea' ad una 'morfologia elettromagnetica.'" L’esperienza percettiva dell’interazione con l’aspetto scultoreo del sistema doveva, nelle intenzioni, incrementare la conoscenza sugli aspetti elettromagnetici del sistema stesso; aspetti che, a loro volta, avrebbero creato conoscenza in merito agli aspetti scultorei. Ved. Terry Atkinson, David Bainbridge, Michael Baldwin, e Harold Hurrell, "Lecher System" Studio International 180:924 (July/Aug 1970), ristampato nell’opera di Ursula Meyer, Conceptual Art: 22-25.
(68) In questo lavoro, Terry Atkinson e Michael Baldwin crearono degli acronimi per French Army (FAA), Collection of Men and Machines (CMM), e Group of Regiments (GR), per poi descriverne le reciproche interrelazioni: Il FA è considerato uguale al CMM, uguale al GR e il GR è uguale al CMM come (ad esempio) 'un nuovo ordine' FA (es. morfologicamente, appartenente ad un'altra classe di oggetti): per la proprietà transitiva, il FA è uguale al CMM, uguale a 'quello dalla nuova forma/dal nuovo ordine'. Tale passaggio ironico riduce all’assurdo quel tipo di relazione sistematica tra gli individui, i gruppi e le istituzioni, che è caratteristica della cibernetica e delle armi. Ved. Harrison, Essays on Art & Language: 52.
(69) Ibid: 56.
(70) "Index" ebbe diverse esposizioni, tra cui una parte di Index 4 costituita da una scrivente per computer. Numerose esemplificazioni dell’opera possono essere ricollegate all’hypertext (ipertesto), un sistema testuale elettronico in cui i soggetti navigano attraverso una narrazione non lineare mediante un processo di tipo associativo. Ibid: 72.
(71) Ibid: 72-3. Harrison non utilizza il termine "neurofilosofia" che indica un campo recentemente delineato e che incentra la ricerca su ciò che egli definisce la "teorizzazione della mente e della memoria."
(72) Burnham, "Notes on Art and Information Processing" Software: 12.
(73) Per non rischiare di nobilitare le teorie di Burnham sull’arte manifestando apertamente il proprio disaccordo, Harrison evitò di riferirsi a lui esplicitamente. Come accadde per l’americana Rosalind Krauss (studiosa di critica e di storia), tale esclusione contribuì a creare un programma critico per i quotidiani artistici più influenti che minimizzò i contributi di Burnham alla storiografia dell’arte.
(74) Alcune distinzioni che egli tracciò tra Arte e linguaggio e "il normale lavoro dell' ... Arte concettuale" come l’idea che "era l’atteso prodotto finale dell'artista [concettuale] che attirava l’attenzione maggiore" contraddicono gli obiettivi affermati della "normale ... arte [o dei comuni artisti] concettuale[i]" come Robert Barry e Douglas Huebler, dei quali Burnham trattò in "Alice's Head." Ved. Harrison, Essays: 51
(75) Si veda, ad esempio, Frank Popper, Origins and Development of Kinetic Art. Trad. Stephen Bann. Greenwich, CT: New York Graphic Society, 1969; Jack Burnham, Beyond Modern Sculpture; Douglas Davis, Art and the Future: A History/Prophecy of the Collaboration between Science, Technology and Art. New York: Praeger, 1973.
(76) Si veda, ad esempio, il risalto di Haacke in molti numeri di October Magazine. Ved. anche Wheeler, Art Since Mid-Century; Meyer, Conceptual Art; and Morgan, Art into Ideas.
(77) Quando il computer e le telecomunicazioni divennero accessibili ai civili, Ascott fu uno dei primi artisti ad utilizzare tali tecnologie a scopi estetici e a farsi una reputazione esclusiva di teorico e praticante pioniere dell’Arte telematica. L’Arte telematica raggiunse uno stato di dematerializzazione tecnologicamente mediata, indicato da Ascott in termini derridiani come "pura differenza elettronica". Ved. Roy Ascott, "Is There Love in the Telematic Embrace" Art Journal 49:3 (Autunno, 1990): 241-7. Celato tra le tematiche teoretiche riguardanti il processo, i sistemi e le strutture linguistiche della comunicazione, il lavoro di Ascott è in corso di canonizzazione nel regno della Media Art: il filone che sembra succedere ad Arte e tecnologia.
(78) Burnham, "Notes on Art and Information Processing" Software: 11.