Cyberpunk (di Antonio Caronia)
Autore:Antonio Caronia
Tratto da: Prima versione non pubblicata di “I cowboy del computer”, L’europeo n. 31, 4 agosto 1990.
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Testo dell'articolo
"Misero un segugio esplosivo sulle tracce di Turner a Nuova Delhi, sintonizzato sui suoi feromoni e sul colore dei capelli. Turner non lo vide arrivare. L'ultima cosa che vide dell'India fu la facciata rosa di un posto chiamato KhushùOil Hotel. E dal momento che aveva un buon agente, aveva anche un buon contratto. E dal momento che aveva un buon con¬tratto, arrivò a Singapore un'ora dopo l'esplosione. La maggior parte di lui, almeno". Così inizia Count Zero, secondo romanzo di William Gibson, lo scrittore americano che negli anni Ottanta ha rivoluzionato temi e scrittura della fanta¬scienza: lo ha appena pubblicato in Italia Mondadori, col titolo Giù nel ciberspazio, tradotto da Delio Zinoni. Quelle prime battute definiscono già l'atmosfera del libro, un mi¬xing di azione serrata e di futuro dominato da una tecnolo¬gia non certo reale ma sottilmente riconoscibile. E' lo stile che il critico Gardner Dozois ha chiamato "cyberpunk", con un neologismo azzecato che rapidamente si è imposto, anche al di fuori della fantascienza. Cyberpunk indica dunque un gruppo di scrittori americani, oggi fra i trentacinque e i quarant'anni, che all'inizio degli anni Ottanta si trovarono a scrivere, ognuno per proprio conto, delle opere accomunate da un'attenzione inedita al mondo giovanile e alla cultura pop, da una sensibilità accentuata verso il cambiamento tecnologico e il mondo dell'immagine, da una nuova capacità di rappresentare in modo intenso e a prima vista distaccato le infinite superfici della vita contempo¬ranea. William Gibson, Bruce Sterling, Rudy Rucker, Lewis Shiner, John Shirley non si conoscevano: ma quando Gibson pubblicò nel 1984 il suo primo romanzo, Neuromancer, apparve chiaro a tutti loro che quel libro esprimeva in modo singo¬lare una sensibilità comune, che anche il pubblico ri¬conobbe, più fuori, forse, che dentro i confini del piccolo mondo della fantascienza. Due anni dopo Sterling poteva pubblicare l'antologia Mirrorshades (Occhiali a specchio), che rappresentò l'atto di nascita del nuovo movimento. Nell'introduzione a questa raccolta di racconti Sterling spie¬gava così la sua genesi: "E' la prima volta che una ge¬nerazione di scrittori di fantascienza non matura solo all'interno di una tradizione letteraria, ma in un mondo che è fantascientifico per davvero. Per questa generazione le tecniche della hard science fiction - l'estrapolazione, le conoscenze tecnologiche - non sono solo delle fonti di ispirazione per la scrittura, ma dei veri e propri strumenti per la vita quotidiana". I cyberpunk non disconoscono il loro debito verso la letteratura che li ha preceduti: nella fan¬tascienza soprattutto James Ballard, Harlan Ellison, Alfred Bester, Samuel Delany; al di fuori, le costruzioni visio¬narie e le pagine tormentate di William Burroughs, la narrativa fantastica e segreta di Thomas Pynchon. Ma non si stancano di ricordare che la loro ispirazione viene prevalente¬mente da quanto accade attorno a loro, che la loro opera va considerata l'espressione a livello letterario di un fenomeno sociale più ampio, "l'integrazione" (dice sempre Sterling) "del mondo high tech e della cultura pop, specialmente nel suo aspetto underground". Due immagini si staccano fra tutte quelle create dai cy¬berpunk: gli occhiali a specchio, una difesa che l'eroe cy¬berpunk adotta contro lo sguardo della normalità, indossan¬doli o addirittura facendoseli impiantare addosso, una protesi visiva che diventa parte del suo corpo; e quella che rimane la più fortunata e la più complessa invenzione di Gibson, il "ciberspazio". Con questo termine Gibson indica uno spazio virtuale, una matrice situata dall'altra parte del monitor del computer che ne contiene e ne organizza tutti i dati: a questo spazio possono accedere, muovendosi come se fosse reale, i "cowboy della consolle", veri e pro¬pri hackers del futuro che collegano la propria mente con quella del computer e manovrano così direttamente il soft¬ware, senza passare per la tastiera. Come gran parte dell'universo futuro di Gibson, che non è uno specialista di informatica e fino a qualche anno fa neppure usava il com¬puter, anche questa idea deriva dalle sue osservazioni della vita quotidiana. "Il mio ciberspazio è simile a qualcosa che sta già succedendo" ha dichiarato una volta. "Guardate l'intensità e la fissità dei ragazzi che giocano a un videogame: c'è un flusso di particelle, qualcosa di simile a un circuito di feedback. Dei fotoni escono dallo schermo e entrano negli occhi del ragazzo, i neuroni si muovono nel suo cervello, fanno muovere le sue mani e gli elettroni si muovono nel computer in un certo modo. Ma altre volte, par¬lando con la gente che si occupa di computer, ho avuto la sensazione che tutti siano convinti dell'esistenza di qual¬cosa oltre lo schermo: certo, nessuno lo ammette, è più una sensazione che una convinzione razionale. Ecco, io mi sono limitato a mettere insieme tutto questo e a trarne qualche conseguenza". In effetti il ciberspazio ha già cominciato a migrare dalle pagine di Neuromancer e di Count Zero nella realtà: nella Silicon Valley sono già più d'una le imprese che hanno costruito prototipi di sistemi capaci di simulare, con tecnologie informatiche, delle vere e proprie realtà virtuali, insiemi di dati sensoriali coerenti che non esi¬stono se non nel software e nella mente dell'utente. Au¬todesk ha costruito una bicicletta che consente a chi la inforca di girare per una città immaginaria, e addirittura, se il ritmo della pedalata È sufficientemente elevato, di alzarsi in volo. VPL ha già messo in vendita (a 250.000 $) RB2, cioè Reality Built for Two (realtà costruita per due), grazie alla quale una coppia di utenti equipaggiata con un casco e un paio di "data-guanti" può esplorare da ferma le realtà più bizzarre: ma la stessa ditta ha già allo studio una "cibertuta", che darà sensazioni simulate ancora più rea¬listiche. Da parte loro, le riviste futurologicoùtecno¬logiche underground, titoli come Reality Hackers, Worm, Mondo 2000, hanno trovato nei romanzi di Gibson uno stru¬mento di identità culturale, facendo del nuovo termine una bandiera. "I cyberpunk sono i difensori e i guardiani delle libertà individuali: per questo il Grande Fratello fa di tutto per schiacciarli" scrive Reality Hackers. E Tymothy Leary, ex leader studentesco e propagandista del LSD, ha ar¬ruolato i cyberpunk nella schiera dei ribelli che, da Prome¬teo in poi, hanno combattuto per il libero pensiero.
Il fenomeno cyberpunk appare insomma complesso. E' la prima volta che un gruppo di scrittori di fantascienza ri¬vela legami così profondi con altri fenomeni culturali, la musica, le arti performative, per esempio. Basta ricordare il gruppo californiano Survival Research Laboratories guidato da Mark Pauline, e le loro macchine semoventi costruite con rottami che sparano, si incendiano, si scon¬trano fra di loro. Se dal punto di vista letterario il cy¬berpunk appare (se non altro per gran parte dei loro riferi¬menti) un episodio rilevante del romanzo postmoderno, se dal punto di vista del costume risente dello sviluppo e della diffusione delle nuove tecnologie, dal punto di vista so¬ciale e politico è forse l'avvisaglia di una nuova fase di radicalismo nella società americana (c'è chi ha osservato che i movimenti di opposizione sociale in quel paese si pre¬sentano con periodicità circa trentennale). E in effetti gli eroi della narrativa cyberpunk sono sempre degli emarginati, che abitano gli interstizi della società, e anche se lavo¬rano di quando in quando per le grandi corporations non vi si subordinano: l'uso della tecnologia, contrariamente a quanto succedeva in passato, non genera integrazione nel sistema. E in Italia? Tre anni fa, quando l'editrice spe¬cializzata Nord pubblicò Neuromancer (Neuromante, in una traduzione per la verità molto deludente), l'opera passò quasi inosservata. Oggi l'interesse sembra crescere. Nel mondo editoriale, dopo questo Giù nel ciberspazio, Sugarco annuncia una antologia di racconti cyberpunk; per l'autunno si preparano convegni, si cerca di assicurarsi la presenza di Gibson in Italia. Ma quanto la nostra realtà industriale, produttiva, sociale, culturale è pronta a recepire (accettandolo o respingendolo) il discorso cyberpunk?
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