Cyberpunk (di Antonio Caronia su Cyborg)

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Cyborg

Autore:Antonio Caronia


Tratto da: Presumibilmente pubblicato su "Cyborg"

Anno:

1991


Testo dell'articolo

"Il matrimonio tra ragione e incubo che ha dominato il XX secolo ha generato un mondo sempre più ambiguo. Il paesaggio delle comunicazioni è attraversato dagli spettri di sinistre tecnologie e dai sogni che il denaro può comprare. (...) Ciò che i nostri figli hanno da temere realmente non sono le au¬tostrade del domani, bensì il nostro sottile piacere nel calcolare i più eleganti parametri delle loro morti. Documentare i disagevoli piaceri del vivere in questo glauco paradiso è divenuto sempre più il compito precipuo della fantascienza". James G. Ballard indicava questo ambizioso e antieroico obiettivo nel 1974, in una lucidissima e ormai famosa prefazione al suo romanzo Crash. Dieci anni dopo usciva il romanzo che rivelava al pubblico il suo più ge¬niale discepolo, William Gibson: il romanzo era Neuromancer, e con esso nasceva il movimento più innovativo e rivoluzionario che la fantascienza avesse conosciuto dai tempi della New Wave, il cyberpunk. Questo nome non se lo scelsero i giovani, poco più che ventenni, che si riconobbero nell'insofferenza per una fantascienza ingobbita negli stereotipi: Bruce Sterling, Rudy Rucker, Lewis Shiner, John Shirley e altri scrittori preferirono chiamarsi Mirrorshades Movement, e in effetti Mirrorshades (occhiali a specchio) fu il nome dell'antologia che, nel 1986, costituì il loro manifesto. Ma il nuovo nome, coniato dal critico Gardner Dozois, ebbe fortuna e finì per imporsi, anche se creò non pochi equivoci. Su ciò che costituisse la vera essenza del cyber¬punk, sulla lista degli scrittori che andassero compresi sotto quella denominazione, sulla loro effettiva originalità e valore, la polemica si aprì immediatamente, e per certi versi dura tuttora. Proviamo a esaminarne i temi principali. Se accettiamo la definizione di Bruce Sterling, cyberpunk è "l'integrazione del mondo high tech e della cultura pop, specialmente nel suo aspetto underground". Che cosa significa questo? Significa un'ambientazione in un futuro non lontano, le cui caratteristiche ipertecnologizzate e disin¬cantate sono già ben visibili oggi; una sensibilità accentua¬ta e precisa verso il cambiamento tecnologico e il mondo dell'immagine; un'attenzione acuta al mondo gio¬vanile e alla cultura pop; una nuova capacità di rappre¬sentare in modo intenso e glaciale le infinite superfici della vita contemporanea. La forma che questi temi possono assumere varia a seconda della sensibilità degli autori: in Gibson, in Marc Laidlaw, in Richard Kadrey c'è una esplicita contaminazione con la tradizione del nero e della hard boiled school, Bruce Sterling e Lewis Shiner preferiscono battere le piste dell'affresco fantapolitico, Rudy Rucker si cimenta più volentieri con il paradosso scientifico e tecno¬logico, John Shirley e Walter Jon Williams costruiscono ro¬manzi d'azione il cui riferimento principale sono i comportamenti giovanili. Tuttavia alcuni temi e alcune figure comuni sono emerse ben presto, e hanno rapidamente influenzato molti altri autori, al di fuori dei confini iniziali del "Movimento", come Lucius Shepard e Kim Stanley Robinson. Questi temi possono essere tutti in qualche modo ricondotti a un discorso che ha attraversato la migliore fantascienza fin quasi dalle sue origini, ma che affondava le sue radici già nella tradizione del romance americano dell'Ottocento, con Poe, Hawthorne e Melville: le trasformazioni del corpo fisico dell'individuo borghese in relazione alle trasformazioni del corpo sociale. Il tema fondamentale del cyberpunk è in effetti la questione del nuovo statuto del corpo nella società dell'informazione. Il dispositivo corporeo, che è da sempre per l'uomo la più palpabile garanzia di identità e il legame più immediato con la natura, viene trasformato dall'irruzione della microelettronica e dalle nuove prospettive dell'ingegneria genetica. La metamorfosi somatica e neuronale che ne deriva modifica la percezione del corpo e dell'io, costringe a una nuova antropologia. Dal rapporto sempre più stretto con la macchina e le sue prestazioni nascono nuove figure di esseri artificiali, di ibridi. Nella fantascienza degli anni Qua¬ranta e Cinquanta la preminenza della figura del robot nelle sue varie sfaccettature (la macchina enigmatica ma "buona" di Asimov, la nuova creatura sfruttata e pretettiva di Simak, l'esecutore impeccabile ma ottuso di Sheckley) si¬gnificò un tentativo di oggettivazione del problema: le con¬traddizioni specificamente umane venivano proiettate al di fuori dell'uomo, su questa nuova figura di ambiguo compagno. Il cyberpunk, con la centralità della figura del cyborg, l'organismo cibernetico risultante dall'ibridazione fra uomo e macchina, fra carne e circuiti, segna invece l'assunzione piena all'interno dell'uomo di queste contraddizioni, di questi sogni, e del nuovo destino, tragico e paradossale, che preparano per la specie. Se vogliamo usare un punto di riferimento cinematografico è Videodrome, più ancora di Blade Runner, che ci fornisce le immagini più sconvolgenti di questa "nuova carne" nella quale già da oggi i nostri corpi cominciano a vivere. Da questo punto di vista il cyberpunk ha indubbiamente degli antecedenti, che Gibson e Sterling - bisogna dire - non hanno mai cercato di nascon¬dere. In primo luogo Ballard: basti pensare all'accoppiamento invasivo e violento di uomo e macchina in Crash, alla violenza con la quale l'immaginario si struttura attorno all'accoppiata di tecnologia e morte in The Atrocity Exhibition : sono lezioni stilistiche e tematiche che Gibson in primo luogo ha dimostrato di avere ben assimilato. Poi Samuel Delany, un autore che già alla fine degli anni Ses¬santa era emerso come uno dei prodotti più maturi e raffi¬nati della New Wave fantascientifica versione americana: lo scenario di Dhalgren, per fare solo un esempio, è certo del cyberpunk ante litteram, con Bellona, città immaginaria en¬demicamente in preda ai riots, in cui le bande giovanili co¬esistono con brandelli di una vita urbana più tradizionale e il linguaggio arranca dietro alla complessità del sociale. Ma sullo sfondo stanno due altre grandi figure di maestri, William S. Burroughs e Thomas Pynchon, esempi diversi ma cospiranti della produttività di una concezione visonaria e "paranoizzante" della scrittura. Il cyberpunk ha prodotto ben presto le sue figurazioni mitiche, i simboli di quella integrazione dell'alta tecnolo¬gia e della cultura pop di cui parla Sterling. Gli occhiali a specchio, per esempio, dietro a cui l'eroe (o antieroe) cyberpunk può nascondere la sua esaltazione, la sua tri¬stezza, la sua follia: un dispositivo così forte che finisce per impiantarsi direttamente nel corpo, diventare una protesi, sostituire gli occhi e consentire visioni da macchina, proibite al normale essere umano. E poi il ciberspazio , una matrice di dati situata dall'altra parte del monitor del computer che costituisce un vero e proprio mondo. Questo è lo scenario predominante della trilogia di Gibson, Neuromancer (Neuromante), Count Zero (Giù nel ciberspazio) e Mona Lisa Overdrive: a questo spazio possono accedere direttamente i "cowboy della consolle", hacker del futuro che possono entrare direttamente in questo "spazio virtuale" e da lì manovrare il software, entrare nella banche dati delle grandi imprese, bruciare fortune fi¬nanziarie in una notte o trafugare segreti industriali in un minuto. I lettori di riviste di informatica non faranno fa¬tica a riconoscere in questa invenzione di Gibson una straordinaria anticipazione di quei sistemi cibernetici, le cosiddette "realtà virtuali" appunto, che consentono di muoversi e agire in ambienti fittizi e simulati conservando, a mezzo di appositi dispositivi collegati al computer (casco, guanto, tuta) l'integrità delle proprie funzioni sensoriali. Ma tutto ciò non ha niente a che fare con una esaltazione acritica e beota dell'onnipotenza della tecnolo¬gia. Le sedute alla consolle, i viaggi nel ciberspazio sono esaltanti ma anche faticosi, pericolosi. Gli antieroi di questi romanzi, Case in Neuromancer, Bobby Newmark in Count Zero, Mona in Mona Lisa Overdrive, Molly, la street samurai cyborg che compare nel primo e nel terzo romanzo, non sono dei tranquilli funzionari dell'informatica, ma dei giovani spaesati e induriti dalla vita labirintica delle megalopoli, dei nuclei di resistenza opaca (che a poco a poco si attiva e si radicalizza) alla politica cinica e spietata delle cor¬poration giapponesi, le zaibatsu che nel mondo di Gibson dominano onnipresenti lo spazio del potere. Quello che Gib¬son mostra con straordinaria efficacia (ed è una della caratteristiche che più lo hanno fatto amare nell'underground mondiale) è la coesistenza dell' high tech e del junk, dello scarto industriale o addirittura pre-in¬dustriale, che viene costantemente prodotto e reimmesso nel circuito del consumo a volte dalle multinazionali, più spesso dall'inventività e dall'ironia depistante degli out¬sider. Ecco Rubin, il "gomi no sensei", lo straordinario scultore maestro dei rifiuti del racconto "Winter Market" (Il mercato d'inverno, in: La notte che bruciammo Chrome), o il deus ex machina di Neuromancer e Count Zero, Finn, traffi¬cante in ogni sorta di aggeggi elettronici. "E' la prima volta che una generazione di scrittori di fan¬tascienza non matura solo all'interno di una tradizione let¬teraria, ma in un mondo che è fantascientifico per davvero" scrive Sterling nella citata introduzione a Mirrorshades. "Per questa generazione le tecniche della hard science fic¬tion - l'estrapolazione, le conoscenze tecnologiche - non sono solo delle fonti di ispirazione per la scrittura, ma dei veri e propri strumenti per la vita quotidiana". Per questo straordinario intreccio di realtà e fiction, di sim¬bolico e di immaginario, di stile e di politica, il cyber¬punk è un buon viatico per questi anni di passaggio e di trasformazione.

Augmented reality:

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