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(“Il Software è controllato dalla mente. Prendine una parte” di Arns Inke)
(“textz.com” di Arns Inke)
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Secondo Philip Galanter (2003), la generative art si riferisce a « qualsiasi arte in cui l’artista utilizza un sistema (come ad esempio un insieme di regole del linguaggio, un programma del computer, una macchina o altri interventi procedurali), che nasce piuttosto autonomamente e che contribuisce a creare, o da cui si origina un’opera d’arte completa». Pertanto, la generative art si riferisce ai processi che funzionano autonomamente o si organizzano da soli, in base alle istruzioni e alle regole prestabilite dall’artista. Il risultato è imprevedibile e, quindi, lo è meno il prodotto, frutto dell’intenzione del singolo, o della sua paternità rispetto al prodotto che deriva da condizioni di lavoro prestabilite, in quanto il processo dipende dal contesto tecnologico da cui esso ha origine. Secondo quanto scrive Philip Galanter, questa definizione di generative art (così come per altre definizioni) è totale, completa, di ampia misura e porta Galanter a concludere che la generative art è vecchia quanto la stessa arte. La caratteristica più importante di qualsiasi descrizione o tentata descrizione di generative art (nella musica elettronica e nella composizione algoritmica, nella grafica e nell’animazione del computer, sulla scena della marcia di protesta e nella cultura di Vj, nel design industriale e nell’architettura) è quella dei processi generativi utilizzati per negare l’intenzione. La generative art tratta soltanto i processi generativi (e a sua volta, del software o del codice) e per quanto sia possibile (se osservati come strumento pragmatico che non viene analizzato in sé) della creazione di un risultato imprevedibile. È proprio per questo motivo che il termine generative art non è adeguato per descrivere la software art.  
 
Secondo Philip Galanter (2003), la generative art si riferisce a « qualsiasi arte in cui l’artista utilizza un sistema (come ad esempio un insieme di regole del linguaggio, un programma del computer, una macchina o altri interventi procedurali), che nasce piuttosto autonomamente e che contribuisce a creare, o da cui si origina un’opera d’arte completa». Pertanto, la generative art si riferisce ai processi che funzionano autonomamente o si organizzano da soli, in base alle istruzioni e alle regole prestabilite dall’artista. Il risultato è imprevedibile e, quindi, lo è meno il prodotto, frutto dell’intenzione del singolo, o della sua paternità rispetto al prodotto che deriva da condizioni di lavoro prestabilite, in quanto il processo dipende dal contesto tecnologico da cui esso ha origine. Secondo quanto scrive Philip Galanter, questa definizione di generative art (così come per altre definizioni) è totale, completa, di ampia misura e porta Galanter a concludere che la generative art è vecchia quanto la stessa arte. La caratteristica più importante di qualsiasi descrizione o tentata descrizione di generative art (nella musica elettronica e nella composizione algoritmica, nella grafica e nell’animazione del computer, sulla scena della marcia di protesta e nella cultura di Vj, nel design industriale e nell’architettura) è quella dei processi generativi utilizzati per negare l’intenzione. La generative art tratta soltanto i processi generativi (e a sua volta, del software o del codice) e per quanto sia possibile (se osservati come strumento pragmatico che non viene analizzato in sé) della creazione di un risultato imprevedibile. È proprio per questo motivo che il termine generative art non è adeguato per descrivere la software art.  
 
Software art, d’altro canto, si riferisce a un’attività artistica che permette al software di riflettersi all’interno del suo mezzo (e aggiungere significato culturale al software). Non considera il software come un supporto pragmatico che sparisce dietro il prodotto da lui creato, ma si concentra sul codice da lui contenuto, anche se il codice non viene sempre rivelato esplicitamente o enfatizzato. Secondo Florian Cramer, rende visibile i significati sottintesi dal punto di vista estetico e politico di sequenze tecniche comandate apparentemente neutre. E si può basare su un certo numero di livelli di software: il livello di codice della fonte, il livello di algoritmo astratto o sul livello del prodotto creato da una data parte del codice. Questo si può vedere nell’ampia varietà di progetti che vanno dal Codeworks (che consiste nel solo codice ASCII e che in gran parte dei casi non può essere eseguito) e i browser sperimentali del web, i Webstalker (1997), fino ai programmi che si possono eseguire. Visto che il software rappresenta solo uno dei diversi materiali impiegati nella generative art, la software art può anch’essa contenere elementi della generative art, ma non deve essere per forza tecnicamente generativa. Di conseguenza, i termini generative art e software art non possono in nessun caso essere usati come sinonimi. Le due parole vengono piuttosto impiegate in contesti diversi, come cercherò di mostrare qui di seguito
 
Software art, d’altro canto, si riferisce a un’attività artistica che permette al software di riflettersi all’interno del suo mezzo (e aggiungere significato culturale al software). Non considera il software come un supporto pragmatico che sparisce dietro il prodotto da lui creato, ma si concentra sul codice da lui contenuto, anche se il codice non viene sempre rivelato esplicitamente o enfatizzato. Secondo Florian Cramer, rende visibile i significati sottintesi dal punto di vista estetico e politico di sequenze tecniche comandate apparentemente neutre. E si può basare su un certo numero di livelli di software: il livello di codice della fonte, il livello di algoritmo astratto o sul livello del prodotto creato da una data parte del codice. Questo si può vedere nell’ampia varietà di progetti che vanno dal Codeworks (che consiste nel solo codice ASCII e che in gran parte dei casi non può essere eseguito) e i browser sperimentali del web, i Webstalker (1997), fino ai programmi che si possono eseguire. Visto che il software rappresenta solo uno dei diversi materiali impiegati nella generative art, la software art può anch’essa contenere elementi della generative art, ma non deve essere per forza tecnicamente generativa. Di conseguenza, i termini generative art e software art non possono in nessun caso essere usati come sinonimi. Le due parole vengono piuttosto impiegate in contesti diversi, come cercherò di mostrare qui di seguito
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Walser.php e Makewalser.php ad opera del Progetto Gnutenberg textz.com, è una forma di software letterario politico o, più specificatamente, di un software attivista contro i diritti d’autore, sviluppatosi come reazione a uno dei più grandi scandali della letteratura in Germania dal 1945. Il nome del file walser.php non è solo una referenza ironica a walser.pdf, una versione elettronica del discusso romanzo di Martin Walser trasmesso per posta elettronica dalla casa editrice Suhrkamp e ritirato in seguito. Si tratta di uno scritto di Perl che prende 10.000 righe del codice base e usa un interprete Perl per generare una versione di testo ACSII dell’opera di Martin Walser, Tod eines Kritikers (Morte di una Critica). Se da un lato il codice base php non contiene il romanzo in una forma visibile o leggibile e può quindi essere liberamente distribuito e modificato sotto la Licenza Pubblica Generale GNU, questo può essere però solo eseguito con un permesso scritto da parte della Suhrkamp.
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Mentre l’esperimento di Espenschied e Freude riguardo alla filtrazione e alla censura dei contenuti di Internet evidenzia il potenziale praticamente infinito del software di controllare (ed essere controllato), walser.php offre una soluzione pratica con cui affrontare le restrizioni commerciali, in particolare quelle che cercano di ostacolare la libertà di informazione attraverso i sistemi di gestione dei diritti digitali (DRM). Se da una parte insert_coin crea una rappresentazione utopica temporanea della realtà manipolando il software, textz.com sviluppa con walser.php delle vere contromisure nella forma del software di tipo utopistico.
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Questi progetti sono generativi nel vero e proprio senso della parola. Cionostante, né insert_coin, né walser.php si adattano perfettamente alle definizioni di generative art, in quanto vengono correntemente utilizzati nel campo del design. Philip Galanter è sicuramente tra gli artisti della generative art più prolifici in questo momento, definisce la generative art come un processo che contribuisce alla creazione di un’opera d’arte completa. Celestino Soddu, direttore del laboratorio di design generativo al Politecnico di Milano, l’Università tecnica di Milano e l’organizzatore delle conferenze internazionali della Generative Art, descrive anche la generative art come uno strumento che permette all’artista o al designer di sintetizzare «una serie di eventi in continuo cambiamento e imprevedibili: immagini, oggetti industriali, architetture, opere musicali, ambienti e comunicazioni». L’artista potrebbe quindi produrre modifiche inaspettate durante lo sviluppo di un progetto per gestire la complessità in aumento dell’oggetto contemporaneo, dello spazio e del messaggio. Infine, anche il sito web Codemuse, definisce la generative art come un processo con parametri che l’artista dovrebbe provare fino a quando i risultati finali siano esteticamente piacevoli e/o in qualche modo sorprendenti. La generative art, il generative design, come mostrano queste citazioni, guardano principalmente ai risultati prodotti dai processi generativi. Coinvolgono il software in qualità di strumento pragmatico e generativo o supporto con cui raggiungere un certo risultato (artistico) senza bisogno di richiederlo allo stesso software. I processi generativi controllati dal software sono usati principalmente per evitare ogni fatto intenzionale e produrre l’inaspettato, l’arbitrario e la diversità continua. Sia il n_Gen Design Machine, l’entrata di Move Design al Festival 2003 Read_Me di Helsinki e la net.art Generator di Cornelia Sollfrank, che ha rigenerato la net art in un attimo a partire dal 1999, sono dei commenti ironici su quello che viene spesso confuso con il generative design.
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Insert_coin e walser.php vanno oltre queste definizioni di generative art e generative design, per quanto, paragonate al generative design che è più orientato al risultato (e anche paragonato a molte installazioni interattive degli anni ’90 che riducevano il software a scatole nere), sono più interessate ai processi codificati che generano risultati particolari o interfacce. Il loro interesse non si focalizza sul design, ma sull’uso del software e del codice come cultura, e di come la cultura venga realizzata con il software. A questo scopo, sviluppano il software sperimentale, un’opera autonoma (o processo) che si occupa del significato tecnologico, culturale e sociale del software e non soltanto in virtù della sua capienza come strumento con cui si generano le interfacce arbitrarie. Inoltre, gli autori del software sperimentale si preoccupano piuttosto della soggettività artistica, come mostra il loro uso di diversi linguaggi riservati e meno di quella che mostra la creatività meccanica e i metodi impiegati per formarla. Il codice può essere segreto, poetico, oscuro, ironico o disgregativo, non più valido o impossibile, può simulare o mascherare, possiede retorica e stile, può tenere un certo comportamento, come si legge dalla definizione enfatica del Transmediale 2001 dei membri della giuria tra cui Florian Cramer.

Revisione 23:53, 15 Giu 2006

Articolo spostato su Prophet Jane


Personaggio: [[

Jane Prophet

]]

Biografia: Jane Prophet was born in Birmingham in 1964. She graduated in Fine Art from Sheffield Hallam University (1987), completing PhD at Warwick University (1995). Among her past projects is the award-winnin website, TechnoSphere, which reflects her interest in complexity theory, landscape and artificial life: a real time 3D version is permanently exhibited at the National Museum of Photography, Film and TV, Bradford.

Sito web: http://www.janeprophet.com

Poetica: She uses new media technologies in the production of internet sites, CD-ROMs and large scale interactive installations. The award winning website, TechnoSphere, reflects her interest in landscape and artificial life. Installations like Swarm and Sarcophagus are object-based and though interactive, avoid the mouse and screen as an interface, focussing instead on the movement and actions of the audience. She is currently completing an artwork on a CD-ROM, The Internal Organs of a Cyborg which uses the format of the sci-fi graphic as a vehicle for exploring, with humour, the socio-economics of the cyborg.

Opere: 2004 Distinctions and Counterposes The Blot Series 1, 2, 7, 8 Staining Space Conductor Revisited 2003 40 White Chairs, 40 black buckets Cell The 'blot' series No.1, 2, 3, 4, 5, 6 2001 Decoy The Landscape Room 2000 Conductor The Fireman 1999 TechnoSphere installation 1998 The Internal Organs of a Cyborg Sarcophagus 1997 Swarm 1996 Pick a Card, Any Card 1995 TechnoSphere website Bibliografia: 2001 TechnoSphere: "Real" Time "Artificial" Life

       Leonardo: The Journal of the International Society for The Arts,
       Sciences & Technology.Vol 34, Number 4, MIT Press

2000 Sordid Sites: voyeurism and exhibitionism in

       The Internal Organs of a Cyborg
       by Sian Hamlett and Jane Prophet
       FELIX Magasine: Voyeurism Issue, Canada.

1999 Treason’s Script: Interactive narrative artwork on CDROM

       Performance Research: Online Vol 4 No 2 Summer 1999

1998 Imag(in)ing the CyborgDesire by Design: body, territory and

       new technologies. IB Taurus.

1996 Sublime ecologies and artistic endeavours: artificial life,

       interactivity and the internet Leonardo: The Journal of the 
       International Society for The Arts, Sciences and Technology. 
       Vol 29 Number 5 1996, MIT Press

Webliografia: http://www.ucl.ac.uk/slade/swarm/ http://www.cairn.demon.co.uk/biog.html http://beallcenter.uci.edu/shift/bios/prophet.html tutors/jane_prophet/prophet.htm http://www.safebet.org.uk/intervws/jane.htm http://www.wonderfulwebsite.net/docs/artscience/prophet.html http://www.wmin.ac.uk/mad/page-965

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La generative art è diventata un termine di moda nel corso degli ultimi due anni e ora viene impiegata in diversi contesti come le conferenze accademiche, le rappresentazioni di arti mediatiche, negli uffici degli architetti e nei congressi di design. Questa parola viene spesso utilizzata in modo tale che non ci sia distinzione dal termine software art, in quanto viene impiegata come un suo diretto sinonimo. La generative art e la software art sono ovviamente due terminologie legate fra loro, anche se nessuno conosce veramente quale sia il loro legame. Questo saggio tenta di fare un po’ di luce sul rapporto esistente fra la generative art e la software art. Secondo Philip Galanter (2003), la generative art si riferisce a « qualsiasi arte in cui l’artista utilizza un sistema (come ad esempio un insieme di regole del linguaggio, un programma del computer, una macchina o altri interventi procedurali), che nasce piuttosto autonomamente e che contribuisce a creare, o da cui si origina un’opera d’arte completa». Pertanto, la generative art si riferisce ai processi che funzionano autonomamente o si organizzano da soli, in base alle istruzioni e alle regole prestabilite dall’artista. Il risultato è imprevedibile e, quindi, lo è meno il prodotto, frutto dell’intenzione del singolo, o della sua paternità rispetto al prodotto che deriva da condizioni di lavoro prestabilite, in quanto il processo dipende dal contesto tecnologico da cui esso ha origine. Secondo quanto scrive Philip Galanter, questa definizione di generative art (così come per altre definizioni) è totale, completa, di ampia misura e porta Galanter a concludere che la generative art è vecchia quanto la stessa arte. La caratteristica più importante di qualsiasi descrizione o tentata descrizione di generative art (nella musica elettronica e nella composizione algoritmica, nella grafica e nell’animazione del computer, sulla scena della marcia di protesta e nella cultura di Vj, nel design industriale e nell’architettura) è quella dei processi generativi utilizzati per negare l’intenzione. La generative art tratta soltanto i processi generativi (e a sua volta, del software o del codice) e per quanto sia possibile (se osservati come strumento pragmatico che non viene analizzato in sé) della creazione di un risultato imprevedibile. È proprio per questo motivo che il termine generative art non è adeguato per descrivere la software art. Software art, d’altro canto, si riferisce a un’attività artistica che permette al software di riflettersi all’interno del suo mezzo (e aggiungere significato culturale al software). Non considera il software come un supporto pragmatico che sparisce dietro il prodotto da lui creato, ma si concentra sul codice da lui contenuto, anche se il codice non viene sempre rivelato esplicitamente o enfatizzato. Secondo Florian Cramer, rende visibile i significati sottintesi dal punto di vista estetico e politico di sequenze tecniche comandate apparentemente neutre. E si può basare su un certo numero di livelli di software: il livello di codice della fonte, il livello di algoritmo astratto o sul livello del prodotto creato da una data parte del codice. Questo si può vedere nell’ampia varietà di progetti che vanno dal Codeworks (che consiste nel solo codice ASCII e che in gran parte dei casi non può essere eseguito) e i browser sperimentali del web, i Webstalker (1997), fino ai programmi che si possono eseguire. Visto che il software rappresenta solo uno dei diversi materiali impiegati nella generative art, la software art può anch’essa contenere elementi della generative art, ma non deve essere per forza tecnicamente generativa. Di conseguenza, i termini generative art e software art non possono in nessun caso essere usati come sinonimi. Le due parole vengono piuttosto impiegate in contesti diversi, come cercherò di mostrare qui di seguito

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Walser.php e Makewalser.php ad opera del Progetto Gnutenberg textz.com, è una forma di software letterario politico o, più specificatamente, di un software attivista contro i diritti d’autore, sviluppatosi come reazione a uno dei più grandi scandali della letteratura in Germania dal 1945. Il nome del file walser.php non è solo una referenza ironica a walser.pdf, una versione elettronica del discusso romanzo di Martin Walser trasmesso per posta elettronica dalla casa editrice Suhrkamp e ritirato in seguito. Si tratta di uno scritto di Perl che prende 10.000 righe del codice base e usa un interprete Perl per generare una versione di testo ACSII dell’opera di Martin Walser, Tod eines Kritikers (Morte di una Critica). Se da un lato il codice base php non contiene il romanzo in una forma visibile o leggibile e può quindi essere liberamente distribuito e modificato sotto la Licenza Pubblica Generale GNU, questo può essere però solo eseguito con un permesso scritto da parte della Suhrkamp. Mentre l’esperimento di Espenschied e Freude riguardo alla filtrazione e alla censura dei contenuti di Internet evidenzia il potenziale praticamente infinito del software di controllare (ed essere controllato), walser.php offre una soluzione pratica con cui affrontare le restrizioni commerciali, in particolare quelle che cercano di ostacolare la libertà di informazione attraverso i sistemi di gestione dei diritti digitali (DRM). Se da una parte insert_coin crea una rappresentazione utopica temporanea della realtà manipolando il software, textz.com sviluppa con walser.php delle vere contromisure nella forma del software di tipo utopistico. Questi progetti sono generativi nel vero e proprio senso della parola. Cionostante, né insert_coin, né walser.php si adattano perfettamente alle definizioni di generative art, in quanto vengono correntemente utilizzati nel campo del design. Philip Galanter è sicuramente tra gli artisti della generative art più prolifici in questo momento, definisce la generative art come un processo che contribuisce alla creazione di un’opera d’arte completa. Celestino Soddu, direttore del laboratorio di design generativo al Politecnico di Milano, l’Università tecnica di Milano e l’organizzatore delle conferenze internazionali della Generative Art, descrive anche la generative art come uno strumento che permette all’artista o al designer di sintetizzare «una serie di eventi in continuo cambiamento e imprevedibili: immagini, oggetti industriali, architetture, opere musicali, ambienti e comunicazioni». L’artista potrebbe quindi produrre modifiche inaspettate durante lo sviluppo di un progetto per gestire la complessità in aumento dell’oggetto contemporaneo, dello spazio e del messaggio. Infine, anche il sito web Codemuse, definisce la generative art come un processo con parametri che l’artista dovrebbe provare fino a quando i risultati finali siano esteticamente piacevoli e/o in qualche modo sorprendenti. La generative art, il generative design, come mostrano queste citazioni, guardano principalmente ai risultati prodotti dai processi generativi. Coinvolgono il software in qualità di strumento pragmatico e generativo o supporto con cui raggiungere un certo risultato (artistico) senza bisogno di richiederlo allo stesso software. I processi generativi controllati dal software sono usati principalmente per evitare ogni fatto intenzionale e produrre l’inaspettato, l’arbitrario e la diversità continua. Sia il n_Gen Design Machine, l’entrata di Move Design al Festival 2003 Read_Me di Helsinki e la net.art Generator di Cornelia Sollfrank, che ha rigenerato la net art in un attimo a partire dal 1999, sono dei commenti ironici su quello che viene spesso confuso con il generative design. Insert_coin e walser.php vanno oltre queste definizioni di generative art e generative design, per quanto, paragonate al generative design che è più orientato al risultato (e anche paragonato a molte installazioni interattive degli anni ’90 che riducevano il software a scatole nere), sono più interessate ai processi codificati che generano risultati particolari o interfacce. Il loro interesse non si focalizza sul design, ma sull’uso del software e del codice come cultura, e di come la cultura venga realizzata con il software. A questo scopo, sviluppano il software sperimentale, un’opera autonoma (o processo) che si occupa del significato tecnologico, culturale e sociale del software e non soltanto in virtù della sua capienza come strumento con cui si generano le interfacce arbitrarie. Inoltre, gli autori del software sperimentale si preoccupano piuttosto della soggettività artistica, come mostra il loro uso di diversi linguaggi riservati e meno di quella che mostra la creatività meccanica e i metodi impiegati per formarla. Il codice può essere segreto, poetico, oscuro, ironico o disgregativo, non più valido o impossibile, può simulare o mascherare, possiede retorica e stile, può tenere un certo comportamento, come si legge dalla definizione enfatica del Transmediale 2001 dei membri della giuria tra cui Florian Cramer.