Estetica del virus: differenze tra le versioni

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Argomento:
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Dalla tesi di laurea del 2005 "Forme di vita elettroniche nel mondo dell'arte.Il virus informatico"
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(nota: nella versione originale, e in questa parte riportata, mai stampata e diffusa a scopo di lucro, ma esclusivamente per fini didattici e culturali, sono presenti tutte le note e tutti i riferimenti bibliografici da cui e per cui è nata questa tesi di laurea, se dovessero mancare ulteriori dettagli da me trascurati prego riferirli all'email:silphira@gmail.com o direttamente modificare o eliminare le parti, grazie per il contributo). Perciò anticiperò la bibliografia che è la parte più importante del lavoro:
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'''Concetto'''
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Ciò che è “scritto sul corpo” è un linguaggio da scoprire, misterioso; è una crittografia che, solo se è stato instaurato un canale comune tra le parti, può essere svelata e creare così la comunicazione. Il linguaggio crittografico è un sistema segreto di scrittura in cifra o codice[1] (critto, dal latino, significa nascosto) che ha bisogno di un ulteriore sistema linguistico acquisito per essere criptato o decifrato. Il codice sorgente[2] è un esempio di crittografia, poiché oltre a dover essere decifrabile, si trova “fisicamente” nascosto.
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Il codice sorgente è quello che “sta dietro”, per esempio, all’interfaccia e alle operazioni di un software, ad una pagina che vediamo, quando navighiamo su internet, ad un virus informatico o lo stesso sistema operativo che è installato sul computer. Per esempio, sappiamo, immaginando, che una semplice pagina web è fatta di immagini e testi scritti; in realtà è l’espressione o meglio la traduzione visiva  di un codice scritto in un linguaggio, per lo più sconosciuto all’utente medio di internet, che si chiama Html. Noi vediamo solo le immagini, i contenuti, ma nessuna traccia del codice, che rimane latente, ed un programma come il browser lo legge e lo traduce visivamente per noi, sotto forma di pagine colorate con cui interagiamo. Questa spiegazione può risultare utile per capire in modo semplice ciò che a livello del codice sorgente e quindi del linguaggio di programmazione, avviene in modo più complesso.
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Laddove  avviene un‘interferenza, all’interno di questo sistema, e il codice inizia a “farsi vedere”, diventando oggetto di se stesso, si svelano le sue potenzialità di critica, sociali ed estetiche. In particolare approfondirò le esperienze di alcuni artisti-programmatori che hanno considerato il codice sorgente e il fenomeno dei virus informatici come pratiche artistiche.
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Il virus informatico è “un programma che si auto-installa e auto-replica e che ha  lo stesso modus operandi dei virus biologici: attacca un organismo (un computer) installandosi all’interno del sistema e  diventa  attivo quando il programma viene eseguito”[3].
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La mia ricerca è partita da alcune considerazioni. Il fenomeno dei virus informatici è tale che ormai è riuscito ad essere presente nella quotidianità, dal momento che allo stesso modo è presente il computer e internet. Il virus informatico rappresenta il corto circuito del sistema, evidenzia e crea il problema laddove c’era sicurezza. E’ sovversivo, è un organismo autonomo e auto-riproducente tanto che l’intensità dell’ azione è paragonabile alle esperienze che le avanguardie artistiche di inizio secolo ebbero nei confronti del sistema dell’arte, proprio perché avvenne una rottura all’interno di un sistema che era ormai sicuro delle proprie certezze. Il virus viene studiato non solo dal punto di vista informatico ma può coinvolgere altri campi del sapere. Da questo punto di vista mi sono resa conto che il discorso era già stato avviato da tempo, sia da parte degli artisti sia da parte di critici, teorici e scienziati.
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La ricerca risulta interessante soprattutto quando si pensa al parallelismo tra il virus informatico e quello organico, e in termini più ampi, al sistema di modelli simbolici del mondo artificiale che l’uomo si è costruito, simulando il mondo naturale nel cercare di raggiungere tre obiettivi fondamentali: conoscenza, dominio e sicurezza[4].  Quando un virus informatico entra in un computer è come se invadesse la nostra sfera privata, anche se in realtà può infettare i file, non noi stessi.
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Importante è stata ed è la ricerca del materiale sul web e qui ho scoperto l’esistenza del sito www.digitalcraft.org. Digitalcraft e il suo gruppo di lavoro ha organizzato una mostra intitolata “I love you. Computer_virus_hacker_culture”, avvenuta nel gennaio del 2003 durante la  Transmediale 03 di Berlino, e che è stata riproposta nel 2004 a Copenaghen e negli U.S.A. Si tratta della prima esposizione interdisciplinare sul tema dei virus informatici. In particolare, riprendendo dall’introduzione del catalogo, la mostra intende dare luce al fenomeno dei virus su più livelli, dalla “minaccia“ economica, che rappresentano a livello sociale, agli impulsi estetici che influenzano la digital art, investigando sul potere artistico di questo fenomeno, dal momento che oltre ad avere una funzione, il codice sorgente del virus può essere considerato un nuovo linguaggio, che ha la sua estetica ed il suo metodo, con la sua forma logica  e il suo contenuto.
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La mostra “I love you“ ha  messo a confronto net.artists, programmatori, poeti del codice e ricercatori. In particolare prenderò in esame i gruppi artistici EpidemiC,  0100101110101101.org e la realizzazione dei virus  “Biennale.py” e “Bocconi.vbs”.
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Citando il lavoro del net.artist  Jaromil, per il contributo che ha dato, come  artista e programmatore, nella ricerca sul codice come metalinguaggio e produttore di senso, riporto le sue considerazioni a proposito della mostra “I love you”:
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“E’ a fronte di tali premesse che proviamo a considerare il fenomeno dei virus-software: al contempo ribelle atto poetico, sintomo politico e strutturale, tentativo di escursione della rete nella sua permeabilità; intelligenze artificiali che da sempre popolano l’universo digitale.”[5]
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Il primo capitolo della tesi, intitolato “Virus biologico / Virus informatico” tratterà questi due argomenti, seguendo le linee di definizione generale, senza entrare troppo nello specifico, a cui ci si può rifare grazie alla manualistica di settore, e che si ritrovano rispettivamente nei loro campi di studio, delineandone le invenzioni e le scoperte più rilevanti. A metà dello XX secolo si può rintracciare a livello temporale una sorta di ricerca parallela nei rispettivi campi dell’informatica e tecnologie e delle scienze biologiche, per usare un termine che possa racchiudere in se, diverse branche di studio tra cui la genetica, la citologia, la biologia, l’evoluzionismo, la chimica e la fisica.  L’invenzione del primo calcolatore elettronico con una maggior indipendenza dal punto di vista delle operazioni da eseguire e quindi con una maggiore programmabilità, l’Eniac, e la macchina di Neumann in seguito, dialoga a distanza con la scoperta nel 1953 della struttura e funzionamento del DNA. E' interessante notare come entrambe le scoperte si possono ritrovare nelle teorie sugli automi cellulari di Neumann, studi precedenti alla scoperta biologica. Nel secondo capitolo si apre un discorso più interdisciplinare, che prenderà in esame il concetto di virus attraverso gli studi sulla vita artificiale, cercando di chiarire se i virus informatici rientrano nella categoria. Per poter svolgere tale argomento bisogna affrontare inizialmente, che cosa s’intende per vita e quali sono le caratteristiche affinché si possa utilizzare l’aggettivo “vitale”. Il discorso può essere affrontato sul tema della natura e cultura, non più visti come antagonisti. “La naturalizzazione della cultura”, concetto espresso da Roland Barthes[6], comprende anche quello stato d’animo in cui l’aver paura di un virus tecnologico non vuol dire aver paura di un’epidemia reale, ma che può sembrare naturale provarlo. A questo punto il discorso si riallaccia al tema principale; una volta affermato che i virus informatici sono forme di vita elettroniche, alcuni artisti ne creano affianco alle opere d’arte, differenti dalle “performance” distruttive dei crackers, definiti da Castells, esperti informatici irrequieti, ansiosi di crackare codici, e distinti dagli Hackers e dalla programmazione creativa[7]. Il virus informatico a questo punto assume un significato simbolico di qualcosa che insinua il dubbio, di un terreno indefinibile; come quando qualcosa non si sa se è vivo o morto, ma che mette sicuramente in crisi il sistema, qualunque sia il tipo di sistema a cui ci si riferisce. E' interessante a tale proposito il saggio di Florian Cramer, “Language a virus?”[8], che parla di un potere, che si potrebbe definire virionico (da virione, la singola particella virale del virus biologico) del linguaggio in letteratura,  riscontrabile nelle pagine scritte di Borroughs. Per William Burroughs, la relazione tra i virus e il linguaggio vanno oltre l'idea che i virus possono essere creati con il linguaggio, o, come il concetto di “meme” di Dawkins[9], per il quale certi atti discorsivi abbiano un effetto contagioso. Per lui il linguaggio stesso è un virus:[10]
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“Ho frequentemente parlato di parola e immagine come virus o che agiscono come virus, e questo non è una paragone allegorico.”[11]
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Nell’ultima parte si arriva all’attuale momento di ricerca in cui si trovano i differenti campi di studio, ben mostrati dal lavoro che Digitalcraft ha fatto nella mostra, del 2003 “I love you. Computer_virus_hacker_culture”, di cui ho scritto in precedenza. L’esempio particolare di Digitalcraft ci porta a considerare l’importanza dei gruppi di lavoro contemporanei, che si possono definire anche “network”, i quali basano il lavoro sul contatto di rete, ovvero contatti fisici trasposti a livello virtuale o se vogliamo immateriale. Dalla nascita d'Internet sono tanti i network che hanno riunito diversi esponenti dei campi del sapere e ciò che traspare in un apparente caos “informazionale” è lo specchio dell’interdisciplinarietà di cui risente e vive l’intera attività della società postmoderna.
  
 
Bibliografia:
 
Bibliografia:
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- Wikiartpedia http://www.ecn.org/wikiartpedia/index.php
 
- Wikiartpedia http://www.ecn.org/wikiartpedia/index.php
 
- www.rhizome.org/carnivore
 
- www.rhizome.org/carnivore
 
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PROPOSTA DI UN’ ESTETICA DEL VIRUS
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'''NOTA'''
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Dalla tesi di laurea del 2005 "Forme di vita elettroniche nel mondo dell'arte.Il virus informatico"
3.1 ARTE DELLE NEOTECNOLOGIE: IL PROCESSO DIVENTA ARTE
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(nota: nella versione originale, e in questa parte riportata, mai stampata e diffusa a scopo di lucro, ma esclusivamente per fini didattici e culturali, sono presenti tutte le note e tutti i riferimenti bibliografici così tanti per cui è nata questa tesi di laurea, se dovessero mancare ulteriori dettagli da me trascurati prego riferirli all'email:silphira@gmail.com o direttamente modificare o eliminare le parti, grazie per il contributo).
 
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Il contesto in cui ci muoveremo nei prossimi paragrafi è il mondo dell’arte delle neotecnologie. L’arte e la scienza fanno parte di un mondo simbolico, che l’uomo si è progettato e costruito un po’ alla volta fino ad arrivare a creare un mondo culturale e artificiale in cui vivere, una natura seconda. Si è accresciuta la sua capacità di pensiero, grazie all’aiuto che le strumentazioni hanno dato allo studio e alla ricerca,strumenti di cui tuttora è circondato e con cui vive quotidianamente. Tale evoluzione, come ho precedentemente scritto, è molto più veloce di quella naturale, è legata al pensiero e alla capacità dell’uomo di ragionare sulla propria futuribilità. “L’avvento di ogni nuovo strumento (e le sue successive implementazioni) comporta sempre due volti: da un lato consente maggiori opportunità d’uso, di fruizione, libera da qualche compito, offre nuove possibilità; dall’altro istituisce nuovi vincoli, nuovi condizionamenti”81. Ogni strumento ha in se le possibilità di un suo uso estendibile al futuro, e porta con sé la creazione di un’etica, di una coscienza che non arriva immediatamente con l’invenzione dello strumento e che ha bisogno dei tempi di diffusione e di “accoglienza” da parte di molti. Ci sono alcuni che, preposti
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ad una attenta sorveglianza dei segnali che il mondo culturale invia, provano a riflettere ed a sperimentare personalmente i nuovi artefatti carpendone velocemente le tecniche di
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costruzione e di funzionamento, i pregi e i difetti,riutilizzandoli per farli assumere nuovi ruoli e significati.L’artista si è sempre posto come attento osservatore del
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presente, cercando di riflettere proprio su di esso “e nel contempo di tendere incessantemente a superarlo, a trascenderlo, a esorcizzarlo”. Tale arte, quella legata alle neotecnologie del proprio tempo, non riguarda solo la nostra epoca ma anche altri momenti della storia dell’espressione
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artistica, come l’avanguardia storica del Futurismo dell’inizio del XX secolo. Il futurismo ha elogiato il simbolo della nuova società, la macchina, e con essa la velocità ed ha ripreso in
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considerazione l’insieme di sensazioni che il corpo, immerso in questo spazio collassato83 e denso di elettricità, provava, rivalutando le capacità espressive e sensoriali di questo nuovo
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stato percettivo. Questo rinnovato ed incisivo utilizzo della sinestesia evidenzia la presenza di diverse espressioni e mezzi comunicativi, che i futuristi troveranno soprattutto nel campo
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dei suoni compresi i rumori, in contrasto con l’arte tradizionale e il primato esclusivo della vista. Ciò che avviene generalmente con le neotecnologie è da un lato una messa in crisi del sistema dell’arte in vigore, che le giudica rinnegandone la valenza artistica, e dall’altro una forte propensione al futuro visto in chiave di rinnovamento tecnologico. Quello che cambia è il medium, ovvero la neotecnologia legata al passo evolutivo delle scienze ad essa contemporanee che hanno contribuito al suo contesto di nascita;sicuramente il computer e l’invenzione di internet sono le ultime tecnologie che ci riguardano in prima persona. La cultura degli anni ’90 secondo Derrick de Kerckhove è “la cultura della profondità”. “La profondità è il risultato della
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moltiplicazione della massa per la velocità. Anche quando la TV e la radio ci portano in casa notizie ed informazioni in massa da ogni parte del mondo, ci sono tecnologie di investigazione,
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come il telefono e le reti telematiche, che ci permettono di raggiungere istantaneamente qualunque punto del globo e di interagire con esso. Questo è il fattore di “profondità”, la possibilità cioè di “toccare” quel punto e produrre un tangibile effetto su di esso, attraverso le nostre estensioni
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elettroniche.”84 Il centro attorno a cui sperimentano gli artisti sono i linguaggi comunicativi, e gli elementi della comunicazione su cui riflettere, come la ricezione dell’opera d’arte, o meglio, l’estensione dell’apparato sensoriale che non viene più stimolato in un senso unico ma, attraverso le trasformazioni dell’opera, viene moltiplicato tanto quante sono le visioni e le reazioni dell’osservatore. Internet, dove la comunicazione è a doppio senso, ha permesso l’attuazione vera e
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propria di una arte che fosse esperibile individualmente e allo stesso tempo collettivamente, spostando l’oggetto d’arte dal prodotto concluso e chiuso al processo artistico, di cui lo spettatore fa parte e ne rappresenta un elemento variabile ed interessante. La funzione dello spettatore, prima solo osservatore, si fa partecipativa, rientrando all’interno del processo artistico, a volte conferendogli il senso che era rimasto in sospeso. A questo punto non si parla più di opera “come oggetto meramente oggettuale ma di oggetto processuale,che si significano in rapporto all’osservatore, all’ambiente,mediante relazioni che sono in grado di instaurare con essi”.L’operazione d’arte tecnologica si apre alla metamorfosi ed al cambiamento, proprio perché è importante quello che succederà nell’evolversi di tale opera, e ciò che accadrà sarà sempre
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differente a seconda delle interazioni con il fruitore e l’ambiente. Attraverso gli strumenti tecnologici l’artista ha maggiori possibilità comunicative per esprimersi e per creare,
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e se da un lato il lavoro dell’artista è concettuale perché si basa sulle possibilità e sulla potenzialità di processi mentali che potranno avverarsi in reazione all’opera, dall’altro lato è
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un lavoro tecnologico nel senso di techné poiché l’artista impara a conoscere ed usare le nuove tecnologie che hanno un loro linguaggio di funzionamento, come il computer, e spesso ad
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integrarle tra loro. Perciò, le neotecnologie hanno portato con sé una rinnovata riflessione sull’arte, e nel caso delle reti telematiche, come internet, non esiste più un luogo di
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fruizione fisico ma l’opera, condivisa secondo le variabili del tempo e dello spazio tipiche del nuovo mondo virtuale, si fruisce come un processo di operazioni volatili di softwareness
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e non di fissità spaziale-temporale dell’hardware-ness.
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La Net Art riguarda proprio tali caratteristiche e in particolare ”almeno nella sua concezione originaria, ha sempre avuto poco a che fare con gallerie e musei più o meno virtuali.
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Essa si serve della rete non solo come destinataria, come veicolo di diffusione, ma eleva la comunicazione molti a molti in un ambiente tecno-sociale a oggetto della sua indagine,
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esplorandone incessantemente i limiti e le possibilità. Da semplice mezzo di distribuzione delle informazioni, la rete si fa dunque materiale e strumento di produzione”. E’
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interessante la suddivisione che Claudio Parrini ha dato delle pratiche artistiche in rete: ”Esaminando, anche storicamente, la questione si potrebbe individuare tre grandi aree che
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compongono il territorio telematico relativo specificamente alle pratiche artistiche in Internet: un area ben consolidata,un area trasformata in palude, e quella che pur essendo
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individuata non appare ancora chiara e definita, sulla quale proverò a focalizzare l’attenzione. La prima area è costituita dall’arte che si potrebbe definire estrema, nel senso che essa
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è difficilmente riconoscibile nel sistema dell’arte tipico:
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gallerie, musei, collezionisti, etc. Questo tipo di approccio artistico inizia intorno alla fine degli anni Ottanta attraverso l’esperienza dei BBSs (bacheche elettroniche), con
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la loro filosofia altamente interattiva, l’atteggiamento libero ed orizzontale, contro ogni criterio censorio; intendendo l’arte come apertura di spazi. Ci troviamo di fronte ad una
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decentralizzazione del soggetto. Questo stile artistico si sviluppa in seguito su Internet
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occupandosi sempre e soprattutto di tematiche di carattere etico-sociale-politico come la difesa della privacy, la ricerca, la sicurezza, la crittografia, la diffusione di
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software “aperto” (come Linux), il problema del copyright, il rapporto arte ed hackeraggio. Due esempi: la situazione europea rappresentata da Nettime (www.nettime.org), in Italia il gruppo
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StranoNetwork (www.strano.net). La seconda area è rappresentata dal momento artistico che
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coincide con l’esplosione di Internet (Internet nasce nel 1990 con la scrittura del linguaggio HTML, ma si “ufficializza” nel 1994-1995). E’ il fare arte inteso come “essere in Rete”, a prescindere dal “come e dal perché”. Tutti: artisti, critici, gallerie, musei, etc. realizzano le proprie pagine web e le mettono on-line, sognando facili glorie, solo per il fatto di
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essere ubiqui. E’ l’apice della mescolanza tra arte “bassa” e arte “alta” dove lo spostamento del singolo è rivolto verso luoghi di soggettività individuale. La mancanza di una
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riflessione teorica o quantomeno giustificativa al fatto di lanciarsi su Internet ha provocato degli effetti “bolla di sapone”, così come, qualche anno prima, accadde per la Realtà
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Virtuale. Dopo la massiccia pioggia di chimere questa area della Rete ha prodotto zone paludose dove le agognate aspettative si sono incagliate con il risultato di produrre
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siti web annaspanti, il più delle volte imbalsamati. Volendo citare qualche esempio è assai difficile visto l’enorme quantità esistente. Tra coloro i quali che attivamente hanno
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saputo interpretare lo spirito della Rete troviamo quei soggetti che lavorano seguendo il concetto di arte come pratica di networking. Il networking come capacità di adoperarsi nei
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circuiti telematici per realizzare modelli comunitari compartecipativi. Un’operazione di network relativa all’arte consiste nel costruire e mantenere in vita una comunità che abbia come interesse primario l’arte. E’ il creare-spaziocomune attorno a qualcosa (l’arte contemporanea), raccogliendo
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gli “abitanti”, disponendoli nello stato d’animo di potersi relazionare insieme ad essa, respingendo le dinamiche generaliste e televisive, che Internet sembra stia abbracciando
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sempre più. Creare-spazio-telematico sulle problematiche dell’arte da condividere in maniera coevolutiva; questo è il compito del networker che si occupa di arte. Qualche esempio:
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The Thing (www.thing.net), Rhizome (www.rhizome.org), in Italia
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Undo.Net (www.undo.net).”Roy Ascott, artista e teorico della comunicazione, considera il
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networking, l’operare in rete computerizzata, come la possibilità di eliminare delle dicotomie tra artista e spettatore, tra produttore e consumatore, implicando lo scambio di idee tra le persone e perciò il lavoro comune nella creazione di qualcosa che abbia un significato collettivo:“Ciò
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suggerisce nuove responsabilità sia per l’artista che per lo spettatore, così come nuove possibilità di attività creatrice,e certamente significa che il rapporto fra di essi è cambiato,
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e che i confini tra artista e pubblico sono sfumati”88. Diventano importanti come caratteri generali dell’arte delle neotecnologie i concetti di etica ed azione. Le avanguardie di
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metà secolo, in particolare le performance, la Body art, il Fluxus, e cioè una ripresa in maniera più forte e più critica nei confronti della società del corpo e del suo apparato
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sensoriale sia dell’artista sia del fruitore con risvolti fortemente sociali, non differenziano di tanto dalla nuova “arte della partecipazione”89 che ribadisce “l’importanza del
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corpo, la sua irriducibilità, la funzione fondamentale cognitiva, critica, comunicativa della sfera psicosensoriale: è il corpo, in realtà, il movente dell’arte interattiva e in
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generale degli artefatti neotecnologici, essi crescono e prosperano sulle sue funzioni, sia pure riducendolo ad unmodello simbolico, a corpo virtuale”90. Il senso di tale arte si
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distacca da quello tradizionale per i motivi di differenze che abbiamo riscontrato fino ad ora, perciò diventa più significativo parlare di arte della comunicazione, proprio
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perché l’oggetto non riguarda la rappresentazione in sé ma le comunicazioni e le sue modalità, non si rappresenta ma si presenta. Mario Costa scrive: “Il sopraggiungere di tecnologie
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completamente nuove dell’immagine, del suono, della spazialità del contatto…sta riconfigurando l’intero ambito dell’estetico e generando nuovi prodotti “artistici” e nuove forme di
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sensibilità”91. Sempre Mario Costa descrive i passaggi di “stato” di questa nuova estetica della comunicazione,teorizzata nel 1983 insieme a Fred Forest, intesa come un nuovo sentire fondato su una combinazione di arte tecnologia e scienza: ”Il campo dell’estetico subisce una vera e propria
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mutazione, e ciò che in realtà si verifica è il passaggio dalla produzione artistica alla messa in opera del sublime tecnologico”, inoltre” il ricercatore estetico che opera con le
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nuove tecnologie comunicazionali non mantiene in alcun modo il vecchio connotato dell’artista: egli non si esprime, non si serve di un linguaggio, non è attento alla qualità estetica
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delle forme, non ci parla del significato, egli invece progetta e mette in opera, per la prima volta nella storia dell’uomo, dei dispositivi tecnologici tali da produrre il sublime e da
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offrirlo alla riflessione contemplante. Molteplici sono i modi del sublime tecnologico individuati ed esplorati dagli artisti della comunicazione, ma tutti hanno a che fare con le nozioni
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della debolezza del soggetto e dell’eccesso naturale o tecnologico, e tutti alludono a quella nozione dello sconfinamento della dimensione estetica in quella etica che assieme alle altre appartiene all’essenza del sublime”
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3.2 LA BELLEZZA DEL CODICE SORGENTE
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Revisione 12:10, 17 Gen 2012



Concetto

Ciò che è “scritto sul corpo” è un linguaggio da scoprire, misterioso; è una crittografia che, solo se è stato instaurato un canale comune tra le parti, può essere svelata e creare così la comunicazione. Il linguaggio crittografico è un sistema segreto di scrittura in cifra o codice[1] (critto, dal latino, significa nascosto) che ha bisogno di un ulteriore sistema linguistico acquisito per essere criptato o decifrato. Il codice sorgente[2] è un esempio di crittografia, poiché oltre a dover essere decifrabile, si trova “fisicamente” nascosto. Il codice sorgente è quello che “sta dietro”, per esempio, all’interfaccia e alle operazioni di un software, ad una pagina che vediamo, quando navighiamo su internet, ad un virus informatico o lo stesso sistema operativo che è installato sul computer. Per esempio, sappiamo, immaginando, che una semplice pagina web è fatta di immagini e testi scritti; in realtà è l’espressione o meglio la traduzione visiva di un codice scritto in un linguaggio, per lo più sconosciuto all’utente medio di internet, che si chiama Html. Noi vediamo solo le immagini, i contenuti, ma nessuna traccia del codice, che rimane latente, ed un programma come il browser lo legge e lo traduce visivamente per noi, sotto forma di pagine colorate con cui interagiamo. Questa spiegazione può risultare utile per capire in modo semplice ciò che a livello del codice sorgente e quindi del linguaggio di programmazione, avviene in modo più complesso. Laddove avviene un‘interferenza, all’interno di questo sistema, e il codice inizia a “farsi vedere”, diventando oggetto di se stesso, si svelano le sue potenzialità di critica, sociali ed estetiche. In particolare approfondirò le esperienze di alcuni artisti-programmatori che hanno considerato il codice sorgente e il fenomeno dei virus informatici come pratiche artistiche. Il virus informatico è “un programma che si auto-installa e auto-replica e che ha lo stesso modus operandi dei virus biologici: attacca un organismo (un computer) installandosi all’interno del sistema e diventa attivo quando il programma viene eseguito”[3]. La mia ricerca è partita da alcune considerazioni. Il fenomeno dei virus informatici è tale che ormai è riuscito ad essere presente nella quotidianità, dal momento che allo stesso modo è presente il computer e internet. Il virus informatico rappresenta il corto circuito del sistema, evidenzia e crea il problema laddove c’era sicurezza. E’ sovversivo, è un organismo autonomo e auto-riproducente tanto che l’intensità dell’ azione è paragonabile alle esperienze che le avanguardie artistiche di inizio secolo ebbero nei confronti del sistema dell’arte, proprio perché avvenne una rottura all’interno di un sistema che era ormai sicuro delle proprie certezze. Il virus viene studiato non solo dal punto di vista informatico ma può coinvolgere altri campi del sapere. Da questo punto di vista mi sono resa conto che il discorso era già stato avviato da tempo, sia da parte degli artisti sia da parte di critici, teorici e scienziati. La ricerca risulta interessante soprattutto quando si pensa al parallelismo tra il virus informatico e quello organico, e in termini più ampi, al sistema di modelli simbolici del mondo artificiale che l’uomo si è costruito, simulando il mondo naturale nel cercare di raggiungere tre obiettivi fondamentali: conoscenza, dominio e sicurezza[4]. Quando un virus informatico entra in un computer è come se invadesse la nostra sfera privata, anche se in realtà può infettare i file, non noi stessi. Importante è stata ed è la ricerca del materiale sul web e qui ho scoperto l’esistenza del sito www.digitalcraft.org. Digitalcraft e il suo gruppo di lavoro ha organizzato una mostra intitolata “I love you. Computer_virus_hacker_culture”, avvenuta nel gennaio del 2003 durante la Transmediale 03 di Berlino, e che è stata riproposta nel 2004 a Copenaghen e negli U.S.A. Si tratta della prima esposizione interdisciplinare sul tema dei virus informatici. In particolare, riprendendo dall’introduzione del catalogo, la mostra intende dare luce al fenomeno dei virus su più livelli, dalla “minaccia“ economica, che rappresentano a livello sociale, agli impulsi estetici che influenzano la digital art, investigando sul potere artistico di questo fenomeno, dal momento che oltre ad avere una funzione, il codice sorgente del virus può essere considerato un nuovo linguaggio, che ha la sua estetica ed il suo metodo, con la sua forma logica e il suo contenuto. La mostra “I love you“ ha messo a confronto net.artists, programmatori, poeti del codice e ricercatori. In particolare prenderò in esame i gruppi artistici EpidemiC, 0100101110101101.org e la realizzazione dei virus “Biennale.py” e “Bocconi.vbs”. Citando il lavoro del net.artist Jaromil, per il contributo che ha dato, come artista e programmatore, nella ricerca sul codice come metalinguaggio e produttore di senso, riporto le sue considerazioni a proposito della mostra “I love you”: “E’ a fronte di tali premesse che proviamo a considerare il fenomeno dei virus-software: al contempo ribelle atto poetico, sintomo politico e strutturale, tentativo di escursione della rete nella sua permeabilità; intelligenze artificiali che da sempre popolano l’universo digitale.”[5] Il primo capitolo della tesi, intitolato “Virus biologico / Virus informatico” tratterà questi due argomenti, seguendo le linee di definizione generale, senza entrare troppo nello specifico, a cui ci si può rifare grazie alla manualistica di settore, e che si ritrovano rispettivamente nei loro campi di studio, delineandone le invenzioni e le scoperte più rilevanti. A metà dello XX secolo si può rintracciare a livello temporale una sorta di ricerca parallela nei rispettivi campi dell’informatica e tecnologie e delle scienze biologiche, per usare un termine che possa racchiudere in se, diverse branche di studio tra cui la genetica, la citologia, la biologia, l’evoluzionismo, la chimica e la fisica. L’invenzione del primo calcolatore elettronico con una maggior indipendenza dal punto di vista delle operazioni da eseguire e quindi con una maggiore programmabilità, l’Eniac, e la macchina di Neumann in seguito, dialoga a distanza con la scoperta nel 1953 della struttura e funzionamento del DNA. E' interessante notare come entrambe le scoperte si possono ritrovare nelle teorie sugli automi cellulari di Neumann, studi precedenti alla scoperta biologica. Nel secondo capitolo si apre un discorso più interdisciplinare, che prenderà in esame il concetto di virus attraverso gli studi sulla vita artificiale, cercando di chiarire se i virus informatici rientrano nella categoria. Per poter svolgere tale argomento bisogna affrontare inizialmente, che cosa s’intende per vita e quali sono le caratteristiche affinché si possa utilizzare l’aggettivo “vitale”. Il discorso può essere affrontato sul tema della natura e cultura, non più visti come antagonisti. “La naturalizzazione della cultura”, concetto espresso da Roland Barthes[6], comprende anche quello stato d’animo in cui l’aver paura di un virus tecnologico non vuol dire aver paura di un’epidemia reale, ma che può sembrare naturale provarlo. A questo punto il discorso si riallaccia al tema principale; una volta affermato che i virus informatici sono forme di vita elettroniche, alcuni artisti ne creano affianco alle opere d’arte, differenti dalle “performance” distruttive dei crackers, definiti da Castells, esperti informatici irrequieti, ansiosi di crackare codici, e distinti dagli Hackers e dalla programmazione creativa[7]. Il virus informatico a questo punto assume un significato simbolico di qualcosa che insinua il dubbio, di un terreno indefinibile; come quando qualcosa non si sa se è vivo o morto, ma che mette sicuramente in crisi il sistema, qualunque sia il tipo di sistema a cui ci si riferisce. E' interessante a tale proposito il saggio di Florian Cramer, “Language a virus?”[8], che parla di un potere, che si potrebbe definire virionico (da virione, la singola particella virale del virus biologico) del linguaggio in letteratura, riscontrabile nelle pagine scritte di Borroughs. Per William Burroughs, la relazione tra i virus e il linguaggio vanno oltre l'idea che i virus possono essere creati con il linguaggio, o, come il concetto di “meme” di Dawkins[9], per il quale certi atti discorsivi abbiano un effetto contagioso. Per lui il linguaggio stesso è un virus:[10] “Ho frequentemente parlato di parola e immagine come virus o che agiscono come virus, e questo non è una paragone allegorico.”[11] Nell’ultima parte si arriva all’attuale momento di ricerca in cui si trovano i differenti campi di studio, ben mostrati dal lavoro che Digitalcraft ha fatto nella mostra, del 2003 “I love you. Computer_virus_hacker_culture”, di cui ho scritto in precedenza. L’esempio particolare di Digitalcraft ci porta a considerare l’importanza dei gruppi di lavoro contemporanei, che si possono definire anche “network”, i quali basano il lavoro sul contatto di rete, ovvero contatti fisici trasposti a livello virtuale o se vogliamo immateriale. Dalla nascita d'Internet sono tanti i network che hanno riunito diversi esponenti dei campi del sapere e ciò che traspare in un apparente caos “informazionale” è lo specchio dell’interdisciplinarietà di cui risente e vive l’intera attività della società postmoderna.

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NOTA Dalla tesi di laurea del 2005 "Forme di vita elettroniche nel mondo dell'arte.Il virus informatico" (nota: nella versione originale, e in questa parte riportata, mai stampata e diffusa a scopo di lucro, ma esclusivamente per fini didattici e culturali, sono presenti tutte le note e tutti i riferimenti bibliografici così tanti per cui è nata questa tesi di laurea, se dovessero mancare ulteriori dettagli da me trascurati prego riferirli all'email:silphira@gmail.com o direttamente modificare o eliminare le parti, grazie per il contributo).