Estetica del virus

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Argomento

Estetica del Virus


Descrizione:

Ciò che è “scritto sul corpo” è un linguaggio da scoprire, misterioso; è una crittografia che, solo se è stato instaurato un canale comune tra le parti, può essere svelata e creare così la comunicazione. Il linguaggio crittografico è un sistema segreto di scrittura in cifra o codice[1] (critto, dal latino, significa nascosto) che ha bisogno di un ulteriore sistema linguistico acquisito per essere criptato o decifrato. Il codice sorgente[2] è un esempio di crittografia, poiché oltre a dover essere decifrabile, si trova “fisicamente” nascosto. Il codice sorgente è quello che “sta dietro”, per esempio, all’interfaccia e alle operazioni di un software, ad una pagina che vediamo, quando navighiamo su internet, ad un virus informatico o lo stesso sistema operativo che è installato sul computer. Per esempio, sappiamo, immaginando, che una semplice pagina web è fatta di immagini e testi scritti; in realtà è l’espressione o meglio la traduzione visiva di un codice scritto in un linguaggio, per lo più sconosciuto all’utente medio di internet, che si chiama Html. Noi vediamo solo le immagini, i contenuti, ma nessuna traccia del codice, che rimane latente, ed un programma come il browser lo legge e lo traduce visivamente per noi, sotto forma di pagine colorate con cui interagiamo. Questa spiegazione può risultare utile per capire in modo semplice ciò che a livello del codice sorgente e quindi del linguaggio di programmazione, avviene in modo più complesso. Laddove avviene un‘interferenza, all’interno di questo sistema, e il codice inizia a “farsi vedere”, diventando oggetto di se stesso, si svelano le sue potenzialità di critica, sociali ed estetiche. In particolare approfondirò le esperienze di alcuni artisti-programmatori che hanno considerato il codice sorgente e il fenomeno dei virus informatici come pratiche artistiche. Il virus informatico è “un programma che si auto-installa e auto-replica e che ha lo stesso modus operandi dei virus biologici: attacca un organismo (un computer) installandosi all’interno del sistema e diventa attivo quando il programma viene eseguito”[3]. La mia ricerca è partita da alcune considerazioni. Il fenomeno dei virus informatici è tale che ormai è riuscito ad essere presente nella quotidianità, dal momento che allo stesso modo è presente il computer e internet. Il virus informatico rappresenta il corto circuito del sistema, evidenzia e crea il problema laddove c’era sicurezza. E’ sovversivo, è un organismo autonomo e auto-riproducente tanto che l’intensità dell’ azione è paragonabile alle esperienze che le avanguardie artistiche di inizio secolo ebbero nei confronti del sistema dell’arte, proprio perché avvenne una rottura all’interno di un sistema che era ormai sicuro delle proprie certezze. Il virus viene studiato non solo dal punto di vista informatico ma può coinvolgere altri campi del sapere. Da questo punto di vista mi sono resa conto che il discorso era già stato avviato da tempo, sia da parte degli artisti sia da parte di critici, teorici e scienziati. La ricerca risulta interessante soprattutto quando si pensa al parallelismo tra il virus informatico e quello organico, e in termini più ampi, al sistema di modelli simbolici del mondo artificiale che l’uomo si è costruito, simulando il mondo naturale nel cercare di raggiungere tre obiettivi fondamentali: conoscenza, dominio e sicurezza[4]. Quando un virus informatico entra in un computer è come se invadesse la nostra sfera privata, anche se in realtà può infettare i file, non noi stessi. Importante è stata ed è la ricerca del materiale sul web e qui ho scoperto l’esistenza del sito www.digitalcraft.org. Digitalcraft e il suo gruppo di lavoro ha organizzato una mostra intitolata “I love you. Computer_virus_hacker_culture”, avvenuta nel gennaio del 2003 durante la Transmediale 03 di Berlino, e che è stata riproposta nel 2004 a Copenaghen e negli U.S.A. Si tratta della prima esposizione interdisciplinare sul tema dei virus informatici. In particolare, riprendendo dall’introduzione del catalogo, la mostra intende dare luce al fenomeno dei virus su più livelli, dalla “minaccia“ economica, che rappresentano a livello sociale, agli impulsi estetici che influenzano la digital art, investigando sul potere artistico di questo fenomeno, dal momento che oltre ad avere una funzione, il codice sorgente del virus può essere considerato un nuovo linguaggio, che ha la sua estetica ed il suo metodo, con la sua forma logica e il suo contenuto. La mostra “I love you“ ha messo a confronto net.artists, programmatori, poeti del codice e ricercatori. In particolare prenderò in esame i gruppi artistici EpidemiC, 0100101110101101.org e la realizzazione dei virus “Biennale.py” e “Bocconi.vbs”. Citando il lavoro del net.artist Jaromil, per il contributo che ha dato, come artista e programmatore, nella ricerca sul codice come metalinguaggio e produttore di senso, riporto le sue considerazioni a proposito della mostra “I love you”: “E’ a fronte di tali premesse che proviamo a considerare il fenomeno dei virus-software: al contempo ribelle atto poetico, sintomo politico e strutturale, tentativo di escursione della rete nella sua permeabilità; intelligenze artificiali che da sempre popolano l’universo digitale.”[5] Il primo capitolo della tesi, intitolato “Virus biologico / Virus informatico” tratterà questi due argomenti, seguendo le linee di definizione generale, senza entrare troppo nello specifico, a cui ci si può rifare grazie alla manualistica di settore, e che si ritrovano rispettivamente nei loro campi di studio, delineandone le invenzioni e le scoperte più rilevanti. A metà dello XX secolo si può rintracciare a livello temporale una sorta di ricerca parallela nei rispettivi campi dell’informatica e tecnologie e delle scienze biologiche, per usare un termine che possa racchiudere in se, diverse branche di studio tra cui la genetica, la citologia, la biologia, l’evoluzionismo, la chimica e la fisica. L’invenzione del primo calcolatore elettronico con una maggior indipendenza dal punto di vista delle operazioni da eseguire e quindi con una maggiore programmabilità, l’Eniac, e la macchina di Neumann in seguito, dialoga a distanza con la scoperta nel 1953 della struttura e funzionamento del DNA. E' interessante notare come entrambe le scoperte si possono ritrovare nelle teorie sugli automi cellulari di Neumann, studi precedenti alla scoperta biologica. Nel secondo capitolo si apre un discorso più interdisciplinare, che prenderà in esame il concetto di virus attraverso gli studi sulla vita artificiale, cercando di chiarire se i virus informatici rientrano nella categoria. Per poter svolgere tale argomento bisogna affrontare inizialmente, che cosa s’intende per vita e quali sono le caratteristiche affinché si possa utilizzare l’aggettivo “vitale”. Il discorso può essere affrontato sul tema della natura e cultura, non più visti come antagonisti. “La naturalizzazione della cultura”, concetto espresso da Roland Barthes[6], comprende anche quello stato d’animo in cui l’aver paura di un virus tecnologico non vuol dire aver paura di un’epidemia reale, ma che può sembrare naturale provarlo. A questo punto il discorso si riallaccia al tema principale; una volta affermato che i virus informatici sono forme di vita elettroniche, alcuni artisti ne creano affianco alle opere d’arte, differenti dalle “performance” distruttive dei crackers, definiti da Castells, esperti informatici irrequieti, ansiosi di crackare codici, e distinti dagli Hackers e dalla programmazione creativa[7]. Il virus informatico a questo punto assume un significato simbolico di qualcosa che insinua il dubbio, di un terreno indefinibile; come quando qualcosa non si sa se è vivo o morto, ma che mette sicuramente in crisi il sistema, qualunque sia il tipo di sistema a cui ci si riferisce. E' interessante a tale proposito il saggio di Florian Cramer, “Language a virus?”[8], che parla di un potere, che si potrebbe definire virionico (da virione, la singola particella virale del virus biologico) del linguaggio in letteratura, riscontrabile nelle pagine scritte di Borroughs. Per William Burroughs, la relazione tra i virus e il linguaggio vanno oltre l'idea che i virus possono essere creati con il linguaggio, o, come il concetto di “meme” di Dawkins[9], per il quale certi atti discorsivi abbiano un effetto contagioso. Per lui il linguaggio stesso è un virus:[10] “Ho frequentemente parlato di parola e immagine come virus o che agiscono come virus, e questo non è una paragone allegorico.”[11] Nell’ultima parte si arriva all’attuale momento di ricerca in cui si trovano i differenti campi di studio, ben mostrati dal lavoro che Digitalcraft ha fatto nella mostra, del 2003 “I love you. Computer_virus_hacker_culture”, di cui ho scritto in precedenza. L’esempio particolare di Digitalcraft ci porta a considerare l’importanza dei gruppi di lavoro contemporanei, che si possono definire anche “network”, i quali basano il lavoro sul contatto di rete, ovvero contatti fisici trasposti a livello virtuale o se vogliamo immateriale. Dalla nascita d'Internet sono tanti i network che hanno riunito diversi esponenti dei campi del sapere e ciò che traspare in un apparente caos “informazionale” è lo specchio dell’interdisciplinarietà di cui risente e vive l’intera attività della società postmoderna.

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NOTE

Dalla tesi di laurea del 2005 "Forme di vita elettroniche nel mondo dell'arte.Il virus informatico" (nota: nella versione originale, e in questa parte riportata, mai stampata e diffusa a scopo di lucro, ma esclusivamente per fini didattici e culturali, sono presenti tutte le note e tutti i riferimenti bibliografici così tanti per cui è nata questa tesi di laurea, se dovessero mancare ulteriori dettagli da me trascurati prego riferirli all'email:silphira@gmail.com o direttamente modificare o eliminare le parti, grazie per il contributo).