Guattari Felix

Tratto da EduEDA
Jump to: navigation, search
Guattari Felix

Personaggio o Gruppo:

Guattari Felix

Biografia:

Nato nel 1930 a Villeneuve-les-Sablons a pochi chilometri da Parigi e formatosi nella capitale, lavorò per circa quaranta anni nella clinica psichiatrica d’avanguardia di La Borde da lui stesso fondata. La sua opera più esplosiva e significativa "L’antiedipo", opera scritta a quattro mani col filosofo Gille Deleuze, nasce nel 1972, in quell’ ambiente post-sessantottesco, intriso di effervescente creatività, di speranze e di rivoluzione. "Gauchiste" dell’estrema sinistra, sposò nel suo pensiero critico psicoanalisi e marxismo. Guattari eterno ribelle, rimase imbrigliato anche in vicende politiche italiane riguardanti l’Autonomia degli anni ’80 a causa della sua amicizia con Toni Negri, spesso era ospitato nelle assemblee del movimento italiano e fu molto attivo nel denunciare l’avanzata della "restaurazione" in Italia. Ma sono cose di tanti anni fa. Mentre troviamo oggi più che mai stimolante la sua denuncia fondamentale: la critica all’Edipo e a tutto il lato riduzionistico della vita che la teoria freudiana implica.

Sito web:

http://oldlists.village.virginia.edu/~spoons/d-g_html/

Poetica:

Psicoanalista e filosofo di frequentazione lacaniana, rappresentò negli anni ’70 insieme al filosofo Gille Deleuze un grosso punto di riferimento per quanti avvertivano i limiti e le strumentalizzazioni ideologiche a cui si prestava il pensiero freudiano. Guattari rifiutò sempre di definire scienza la psicoanalisi. In essa egli, con Deleuze, ravvisava una pseudoscienza che, ammantata di sapere neutro, offriva i suoi favori in cambio di una conferma istituzionale e sociale, al nascente capitalismo. Favori che consistevano nel porsi essa quale strumento legittimante, come "naturali" e "normali", i rapporti umani prodotti dal contesto storico-economico. "La psicoanalisi, sotto l’apparenza di una scienza, propone come norme insormontabili i procedimenti stessi della soggettivazione borghese; ossia il mito di una necessaria castrazione del desiderio, la sottomissione al triangolo edipico, un’interpretazione significante di ogni situazione che tenda a tagliarla dalle sue implicazioni sociali reali". Guattari riconosce nell’inconscio e nel metodo psicoanalitico, tendente a liberare la "parola isterica", le grandi scoperte essenziali e rivoluzionarie del pensiero freudiano. "Ma tutta la storia della psicoanalisi è consistita nell’operare una nuova chiusura di queste scoperte e ha condotto a una misconoscenza della logica specifica del desiderio". "L’inconscio è del tutto positività, è una logica di flussi e di intensità che non sono determinati, controllati dalla rappresentazione (...) Si cosificano gli enunciati, il bambino vuole uccidere suo fratello, desidera la madre, è responsabile, è un criminale, è incestuoso: che lo sappia o no, il suo comportamento rientra nel campo della legge. Così tutti i poli (il bambino, il fratello, la madre) si sono cristallizzati nel campo della rappresentazione (...) . Tutta la realtà è compressa nel campo meccanicistico dei valori binari: il bene-il male, il ricco-il povero, l’utile-l’inutile, ecc.... Ma l’inconscio non conosce queste categorie binarie, non conosce né l’amore né l’odio, per esso tutto è possibile nello stesso tempo, gli enunciati possono portare in parecchie direzioni a un tempo. Tutta la genetica psicoanalitica conduce a considerare che, finché un soggetto non è sottomesso a quel sistema dicotomico e manicheistico, non è normale (...) E’ dunque in partenza che la psicoanalisi ha condannato il desiderio inconscio. L’inconscio è ad essa apparso come qualcosa di bestiale, di pericoloso (..) L’energia libidica deve convertirsi nel sistema manicheistico dei valori dominanti, deve investire le rappresentazioni normali." Il suo linguaggio, come del resto quello di tutta l’area lacaniana, è secondo noi insufficiente a soddisfare il "sacro bisogno di Simbolo", il quale, proprio perché negato e rimosso dagli intellettuali cosiddetti di sinistra, (essi stessi preda del funzionamento dicotomico), è stato sempre e solo "demonizzato" e consegnato all’idealismo più deleterio. Ciononostante non si può non riconoscere la modernità di un pensiero basato su interconnessioni multiple e simultanee: "L’idea di un con-catenamento collettivo, di un investimento collettivo della libido su parti del corpo, su gruppi di individui, costellazioni di oggetti e di intensità, su macchine d’ogni specie farebbe uscire il desiderio da questa oscillazione tra il triangolo edipico e il suo crollo nella pulsione di morte per aprirlo su molteplicità sempre più larghe, sempre più aperte al campo sociale".

In uno dei suoi testi scrive «L'intelligenza e la sensibilità sono oggetto di un'autentica mutazione, determinata dalle nuove macchine informatiche che s'insinuano sempre di più nei meccanismi della sensibilità, del gesto e dell'intelligenza. Assistiamo oggi a una mutazione della soggettività ancora più importante di quella determinata dall'invenzione della scrittura e della stampa...» (op. cit. in Mattelart Armand, La Società dell'Informazione, Einaudi).

Opere:

Deleuze e Guattari è un’opera vorticosa, debordante, dove il pensiero dei due incontra la biologia, l’antropologia, la psicoanalisi, la storia, la geografia, la letteratura, in una sintesi di smisurata potenza teoretica. Rizoma, liscio e striato, molare e molecolare, deterritorializzazione, decodificazione, ritornello, corpo senza organi, macchina da guerra sono alcuni dei nomi delle forze concettuali che si dispiegano nel dinamicizzarsi dei piani teorici di Deleuze e Guattari. Piani che proiettano in una realtà virtuale, un cosmo del pensiero dove si può divenire animale, musica, collettivo, territorio, desiderio, codice, segno. Una scrittura e una filosofia complesse ma dal pathos immediato, che uniscono un irruente dispositivo teoretico a una retorica intuitivamente affascinante. Senza dilungarsi in premesse, giustificazioni, motivazioni o discorsi sul metodo (quello che forse era stato fatto nell’Antiedipo, critica "kantiana" dell’inconscio), gli Autori di Millepiani mettono in gioco il molteplice puro in una logica del divenire che si disperde felicemente lungo tutto il libro. Un’idea del non–metodo può esemplificarsi nel fatto che Millepiani è costituito da 14 piani, che possono essere letti in ordine casuale, indipendentemente, più un ultimo piano, il quindicesimo, una conclusione–glossario, da leggersi alla fine. L’obiettivo critico di Millepiani è il concetto come riduzione statica del divenire, castrazione della realtà, sussunzione mortifera del molteplice nell’uno. Come scriveva Kojève sulla scia di Hegel, il nome uccide la cosa nel momento in cui la eleva all’universalità del concetto. Se Deleuze e Guattari sono antihegeliani, è proprio in quanto tentano il movimento opposto: un gesto di dispersione della teoria verso l’irriducibilità della realtà. Nietzsche sosteneva che il filosofo moralizza il divenire, non tollera l’accadere e lo imprigiona nell’angusto spazio delle sue categorie. Così per gli Autori di Millepiani Freud è colui che vede "solo un lupo", che spiega il caso dell’"uomo dei lupi" riducendolo all’apparato psicoanalitico dominato dall’Edipo, perdendone di vista l’essenziale pluralità di significati. "Scoperta appena la più grande arte dell’inconscio, quest’arte delle molteplicità molecolari, Freud non esita a tornare alle unità molari, ritrovando i suoi temi familiari, il padre, il pene, la vagina, la castrazione…, ecc." (p. 68).


Nel 1972 questo libro ebbe un successo immediato, e nella misura in cui i libri possono influire sulle situazioni, determinare orientamenti, risultare persino militanti, potremmo dire che esso ebbe un certo peso sul fianco frikkettone di quello strano movimento che fu il Settantasette. Da un lato istanze evanescenti, le radio come Radio Alice, la macchina libertaria e desiderante, ma amorfa e "senza organi", 'rizomatica e non genealogica' che si mette giocosamente e pacificamente in moto riempiendo le strade di giochi, di rappresentazioni, di teatro dell'improvviso, di musiche, di multicolori indiani metropolitani. Dall'altra i sinistri bagliori del piombo, l'autonomia, e le aree contigue al terrorismo delle BR, qualcosa di realmente eversivo. Questo libro, ovviamente, non aveva nulla a che fare con l'ideologismo dell'autonomia. Aveva però un certo riscontro tra i creativi, al punto che si può immaginare, se non l'avessero scritto loro, Deleuze e Guattari, qualcosa di simile si sarebbe scritto da solo, con il concorso delle voci e dei graffiti, di quelli che ricreavano e riproducevano la soggettività perduta nelle strade, cominciando dal travestimento e dalla provocazione. L'Anti-Edipo è la sintesi dell'uso disinvolto di tre linguaggi: Nietzsche, Freud/Lacan, Marx. La loro fusione ne produce un quarto, che è il linguaggio di Deleuze e Guattari, che a sua volta è prossimo ( o meglio, prossemico) a quello di Foucault. Dissentiamo da chi ha osservato che il libro evidenzi un'opposizione tra coscienza e desiderio, perché alla fine ci troviamo, anche se forse contro la stessa volontà degli autori, con una nuova coscienza del desiderio, con un'apertura al desiderio degli altri, che tanto certifica chi sono veramente gli altri, che è qualcosa di non completamente inutile: una chiacchiera produttiva di comprensione. Ciò mette immediatamente in evidenza che le domande utilitaristiche del tipo "che cosa vuol dire" e "a che serve" intorno alle operazioni deleuziane hanno unicamente un posizionamento postumo. Ad oltre trentanni dall'uscita del libro, forse non abbiamo ancor chiaro che cosa voleva dire, ma " a cosa è servito?" si potrebbe cominciare a rispondere. Non certo a produrre una nuova scienza, la schizoanalisi, progetto del resto fallimentare in partenza per mancanza vistosa di capitali e di progetti chiari. La schizoanalisi fu solo, in senso deteriore, una moda per abusare del linguaggio, costruendo castelli di concetti senza un senso, una molteplicità di relazioni prive di referente, da parola senza senso ad altra parola senza senso. Portava nel linguaggio un algebra delle incognite senza quantità e qualità, intersecava piani senza definirne nemmeno uno. Era, insomma, una geometria del caos senza la volontà di trovare almeno un'ascissa ed un'ordinata, dicesi almeno una. Ma, su un altro piano, essa rese espliciti i limiti della ragione classica e la sua difficoltà di comprendere cosa stava accadendo nel sottosuolo delle generazioni che nel '74, nel '75, nel '76 e via enumerando, avrebbero varcato la soglia del diciottesimo anno, trovandosi d'un tratto adulti e responsabili, senza poter allo stesso tempo dire di aver vissuto altro che virtualmente, altro che desideri reali in un mondo virtuale incapace di soddisfarli. Su questo piano, Deleuze e Guattari, non avevano tanto torto ad affermare che "l'inconscio non significava più nulla." Tutti ormai sapevano che secondo Freud esiste un inconscio e che secondo Jung non è solo spazzatura. Tutti masticavano le teorie di Reich, tutti avevano sentito di Marcuse. In altre parole: il fatto stesso di sapere mette fuori gioco l'efficacia pratica delle psicologie del profondo, le quali per funzionare necessitano, come la religione, di una sacralità auratica, di misteriose pratiche da iniziati. Devono suggestionare, incutere timore e rispetto. Una volta descritte e svelate queste pratiche, crolla tutto il sistema. Da un lato il soggetto sottoposto ad analisi può difendersi, mentire, giocare sul lettino come un topo molto svelto con un gatto un po' maldestro; dall'altro l'analista non può che prendere atto dei ripetuti scacchi. Non sa dove vuole condurre il paziente, se alla ribellione od al consenso, non sa in che consiste la guarigione, se non in quel punto minimale in cui cessano i tremori, si abbassa la pressione, il soggetto ha il coraggio di uscire di casa, andare a scuola, sopportare la tortura di cinque ore di lezione e così via. In tale contesto, i cui contorni di crisi investono non solo più i rampolli della borghesia ed i figli dei droghieri, ma gli stessi ragazzi delle famiglie operaie, Deleuze e Guattari, dichiarano provocatoriamente che anche la schizoanalisi non serve a nulla, non avendo nulla da interpretare. E precisarono: «... il solo problema è come funziona, con intensità, flussi, procedimenti, oggetti parziali, tutte cose che non vogliono dire nulla. Noi pensiamo la stessa cosa del nostro libro. Si tratta di sapere se funziona e come, e per chi. E' lui stesso una macchina.» (1) Dietro ad espressioni siffatte, che dicono ben poco, si nasconde però una strategia precisa. Deleuze e Guattari intendono sorprendere, a ripetizione sparano a mitraglia sul desiderio come "natura", come interiore risvegliato dai sensi. Non c'è psiche, non c'è vita che produce i desideri, ma è il desiderio che produce la vita. Il desiderio è prodotto dalla macchina desiderante. Attraverso la macchina il desiderio produce sé stesso e produce il reale. E questo ancor prima che intervenga una qualsiasi rappresentazione. I confini della macchina non coincidono affatto con quelli del corpo. Lo attraversano, lo tagliano, o possono innescarlo, perfino, in unità più complesse. In parole ancora più estreme: il desiderio come corrente di flussi germinali disfa l'unità dell'organismo, diviene desiderio antitotalitario per definizione. Agisce sul corpo scomponendolo e ricomponendolo. In tale contesto la schizofrenia è il contrario della psicoanalisi perché oppone la sua molecolarità ai tentativi di rappresentazione molare e antropomorfica della libido. La quale non è prodotta dal dentro, ma dal fuori. Il desiderio non ha un'identità e non reca una firma. E' prima del soggetto, di ogni soggetto. Ma, esso stesso, il desiderio, non è un punto di forza, un cardine produttore di eventi e di azioni. Nomade e slegato, è solo il piano di intersezioni di linee plurime, di immanenti flussi anarchici di energia. Una macchina, certo, ma una macchina strana, capace di assorbire ogni sorta di carburante, di masticare e rielaborare tutte le molecole dell'universo. Per sua natura è schizofrenico, « e l'inconscio è fisica, è la materia stessa [...] Non pretendiamo neppure resuscitare la vecchia questione di una psicologia individuale e di una psicologia collettiva, e dall'anteriorità dell'una o dell'altra; questa questione, così si presenta in Psicologia delle masse ed analisi dell'io rimane tutta quanta irretita nell'Edipo.» (1) L'opposizione alla teoria ed alla pratica psiconalitica della schizoanalisi è così definibile come microfisica della produttività contro un inconscio puramente rappresentativo. Deleuze e Guattari dichiarano che « il solo soggetto è il desiderio stesso» (1), macchina che non conosce entropie perchè disperde internamente per riprodurre di nuovo, rilanciare, rinviare e postporre. Non ha altro scopo che il selfenjoyment. Ciò porta a chiedersi che ne è allora del soggetto, chi siamo noi, se non oggetti seriali attraversati da campi di forze eterogenee. E la risposta viene ancor prima che da Deleuze, da un'osservazione di Foucault, che aveva detto che "non c'è soggetto, ma solo una produzione di soggettività". Per Deleuze e Guattari, la soggettività non è prodotta ma da produrre "quando il momento è venuto, proprio perché non c'è soggetto". (2) Un soggetto così pensato non esiste dall'inizio, non è il dato da cui partire. Appartiene al regime della produzione, è un residuo della produzione stessa. Se questi sono i punti di maggiore interesse del lavoro, occorre peraltro rimarcare quanto Deleuze e Guattari operino contro le tradizioni ed i saperi: contro la psicoanalisi, contro lo strutturalismo antropologico di Lévi-Strauss, contro la versione lacaniana della psicologia, contro lo stesso meccanicismo delle scienze fisiche e naturali. Ad esempio: «Il meccanicismo non ha compreso più del vitalismo la natura della macchina desiderante, e la duplice necessità di introdurre tanto la produzione del desiderio quanto il desiderio nella meccanica.» note: (1) Deleuze e Guattari - L'Anti-Edipo / Capitalismo e schizofrenia - Einaudi 1975 (2) Gilles Deleuze - Un portrait de Foucault in Pourparlers, Minuit, Parigi 1990


Secondo le tesi di Guattari la rivoluzione, intesa come abbattimento del capitalismo, non riguarda lo Stato, le leggi, la produzione, i rapporti tra le classi, il ruolo delle masse, le lotte operaie, ma deve sconvolgere e rinnovare tutti gli aspetti della realtà - inconscio, percezione, produzione, arte, scienza, politica... - combattendo le «enunciazioni individuate» e trasformandole in fenomeni collettivi. Ciò che caratterizza il capitalismo, come sistema oppressivo e di sfruttamento, è la compartimentazione; cioè la rottura delle comunicazioni tra i vari mondi della realtà, che è separazione dei ruoli, divisione del lavoro, fino alle specializzazioni, da cui sono tenuti rigidamente separati «i registri del discorso scientifico, del discorso politico, di quello artistico, ecc...» L'alternativa, la creatività, la società nuova si realizzano dunque nel riconoscimento e nel rispetto di quelle che Guattari definisce le concatenazioni tra i molteplici momenti e significati del vivere, tra inconscio e percezione, tra lavoro e cultura, intrecci spontanei, soffocati dalle «formazioni oppressive del potere», micce che accendono la lotta per «nuovi spazi di libertà». La «rivoluzione molecolare», di conseguenza, è quella che scoppia e si sviluppa su tutti i registri, come scrive l'autore nella prefazione all'edizione italiana: «In sostanza, ipotesi di una rivoluzione molecolare che avrebbe luogo sincronicamente su tutti i registri, quelli del rapporto con il tempo, con il cosmo, con le parole, con i suoni, con le carezze, con le cose di tutti i giorni, con i progetti più pazzi, più audaci. Ricerca di una regolazione sociale che non sarebbe più fondata sulla Legge sadica, la Legge perversa del Capitale, del Burocrate, del Portavoce di professione, del Giudice pubblico e del Giudice intimo». In questo libro, tale ipotesi scorre appunto dalla lotta di classe al cinema, dal nuovo fascismo alla semiotica, dall'antipsichiatria a Radio Alice. «In tutto questo - scrive provocatoriamente Guattari - non c'è niente di costruttivo», se non la forza spontanea del movimento, che si forma una competenza «strada facendo».


Bibliografia

Scrisse molti libri tra cui "Psychanalyse et trasver-salité", "Rhizome", "La révo-lution moleculaire", "L’inco-scient machinique", "Les années d’hiver" e "Chaos-osmos". Testi tradotti in italiano: "La rivoluzione molecolare" (Einaudi 1978) e, scritti insieme a Deleuze "L’antiedipo" (Einaudi 1975) e "Mille piani" (1980) .

Webliografia

http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/crono/2003-10/delgat.htm http://www.geagea.com/01indi/01_05.htm http://www.fondazionebaruchello.com/comune/dolce/guat.htm http://www.einaudi.it/einaudi/ita/catalogo/risultato_cat.jsp?ricerca=1&cognome=guattari