I Nuovi media da Borges all'html

Tratto da EduEDA
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Autore: Lev Manovich

Tratto da: The New Media Reader, edited by Noah Wardrip-Fruin and Nick Montfort, The MIT Press, forthcoming 2002

Titolo Originale: New Media from Borges to HTML

Traduzione di:

Anno: 2002


NUOVI MEDIA DA BORGES ALL'HTML



LEV MANOVICH BREVE STORIA ISTITUZIONALE DEL SETTORE DEI NEW MEDIA

La comparsa di “The new media reader” è una pietra miliare nella storia di un nuovo settore, che solo alcuni anni fa era considerato un underground culturale.

Prima di intraprendere la sfida di definire cosa siano realmente i nuovi media, come anche di discutere i particolari contribuiti che questo volume da alle risposte a tali domande, mi piacerebbe descrivere sommariamente la storia del settore a beneficio di coloro i quali vi si avvicinano per la prima volta. Se si guarda ad alcuni settori culturali moderni dal punto di vista sociologico misurando la loro posizione attraverso il numero e l’importanza delle istituzioni culturali ad essi dedicati come mostre, festival, pubblicazioni, conferenze, possiamo affermare che nel caso dei new media (intesi come attività artistiche basate sull’uso del computer) sono passati circa dieci anni affinché si trasformassero da periferia culturale a forma artistica convenzionale. Nonostante SIGGRAPH negli USA e ART ELECTRONICA CENTER in Austria, hanno fatto da centri annuali di incontro per artisti che lavorano con il computer dagli anni ’70, il settore dei nuovi media ha iniziato a prendere forma solo alla fine degli anni 80. In questo periodo in Europa sono state fondate nuove istituzioni che si occupano del supporto e della produzione dei nuovi media: ZKM a Karlsruhe (1989), New Media Institute a Francoforte (1990) e ISEA (Inter-società per le arti elettroniche) in Olanda. (Jeffrey Shaw è stato nominato direttore del settore del ZKM che si occupa di media mentre l’Istituto di Francoforte è diretto da Peter Weibel). Nel 1990 anche il Centro d’Intercomunicazione di Tokyo ha iniziato la sua attività sull’arte dei nuovi media.

Durante gli anni ’90, Europa e Giappone sono stati i posti migliori per vedere questo tipo di lavori e per partecipare a discussioni di livello elevato in questo campo. Festival come ISEA, ARS ELECTRONICA e DEAF sono stati luoghi obbligatori di pellegrinaggio per artisti d’installazioni interattive, musicisti e coreografi che lavorano al computer, esperti di media, critici e a partire dagli anni ’90 “net artisti”.

Come è avvenuto spesso nel XX secolo, alcuni paesi sono stati i primi ad occuparsi in modo critico di tecnologie messe a punto e usate negli USA. Esistono diverse ragioni per spiegare questo fenomeno. In primo luogo la velocità con cui queste tecnologie sono assimilate negli Stati Uniti le rende invisibili tutto d’un colpo: diventano infatti parte integrante della vita quotidiana e non sembrano pertanto richiedere grande riflessione. La più lenta rapidità di assimilazione e i più alti costi coinvolti danno ad altri paesi più tempo per riflettere sulle nuove tecnologie, come nel caso dei nuovi media internet negli anni ’90. Nel caso di Internet negli USA è diventato un luogo comune alla fine degli anni ’90 come il telefono, mentre in Europa Internet rimane ancora un fenomeno su cui riflettere sia per ragioni economiche (negli USA gli abbonati pagano una tariffa base mensile molto bassa mentre in Europa si paga al minuto), sia per ragioni culturali (un’attitudine più scettica verso le nuove tecnologie in molti paesi europei rallenta la loro assimilazione). Così quando nei primi anni ’90 la Fondazione Soros istituì centri d’arte contemporanea nell’Europa dell’Est, diede loro saggiamente l’autorizzazione a concentrare l’attenzione sull’arte dei nuovi media sia per sostenere i giovani artisti che avevano difficoltà ad evitare la più affermata “art mafia” in questi paesi sia per avvicinare l’opinione pubblica ad Internet. In secondo luogo possiamo spiegare il lento impegno degli USA con i nuovi media durante gli anni ’90 con il minimo livello di sostegno pubblico per le arti in questi paesi. In Giappone, Europa, Australia i festival per i media e le arti dei nuovi media come quelli che sono stati ricordati prima, commissioni per artisti che si occupano di tali lavori, cataloghi di esibizioni e altre attività culturali del genere sono state fondate dai governi. Negli usa la mancanza di fondi pubblici ha lasciato solo due gruppi culturali che potrebbero economicamente sostenere lavori creativi nel settore dei nuovi media: la cultura commerciale di massa guidata da cliché di mercato e la cultura artistica di massa (per esempio il mercato dell’arte). Per diverse ragioni nessuno di questi due gruppi vorrebbe sostenere i nuovi media né incoraggiare discorsi intellettuali a riguardo. Uno dei due, la cultura commerciale (cioè una forma di cultura indirizzata ad un pubblico di masssa) ha giocato un ruolo più progressivo nell’adozione e sperimentazione dei nuovi media, anche se per ovvie ragioni il contenuto dei prodotti commerciali dei nuovi media ha avuto limiti severi. Tuttavia senza cultura commerciale non avremmo giochi per il computer che usano intelligenze artificiali, multimedia basati sul network (inclusi vari web plug-in che hanno reso possibile la distribuzione di musica, immagini in movimento e ambientazioni in 3-D sul web), sofisticati modelli in 3D, strumenti di animazione e presentazione, siti web basati su data-base, cd-rom, DVD, altri formati per la raccolta dati e molte altre forme di nuovi media e tecnologie avanzate. Negli anni ’90 il mondo artistico degli USA si è dimostrato la forza culturale più conservatrice nella società contemporanea, restando indietro rispetto al resto delle istituzioni culturali e sociali che si occupano delle tecnologie dei nuovi media. (Negli anni ’90 una battuta di moda ai festival dei nuovi media era che un pezzo dei nuovi media ha bisogno di due interfacce: una per coloro che si occupano di arte e una per tutti gli altri). Questa resistenza è comprensibile dato il fatto che la logica del mondo artistico e quella dei nuovi media sono esattamente opposte. La prima è basata sull’idea romantica di “paternità” che assume un singolo autore, la nozione di oggetto artistico unico e il controllo della distribuzione degli oggetti che ha luogo in una serie di posti esclusivi come gallerie, aste, musei. La seconda privilegia l’esistenza di copie potenzialmente numerose, un numero infinito di stati della stessa opera, “paternità” in collaborazione, una distribuzione per mezzo di network (che bypassa i canali di distribuzione del settore artistico). In più l’esibizione dei nuovi media richiede un livello di sofisticazione tecnica e un equipaggiamento di computer che né i musei statunitensi né le gallerie sono stati in grado di fornire negli anni ’90.

Al contrario in Europa fondi statali e regionali hanno consentito non solo l’allestimento di sofisticate esibizioni ma anche lo sviluppo completo di una nuova forma d’arte: l’installazione interattiva di computer. E’ vero che dopo molti anni dalla sua esistenza l’universo artistico degli USA ha imparato ad usare e ha pienamente adattato la video-installazione ma le video-installazioni richiedono un equipaggiamento standardizzato e non hanno bisogno di costante monitoraggio. Non è invece il caso delle installazioni interattive né di pezzi web. Mentre in Europa negli anni ’90 sono fiorite forme di installazione interattive che richiedono sofisticati equipaggiamenti, il mondo artistico degli USA ha preso la più semplice via d’uscita concentrandosi sulla net art ad esempio pezzi web la cui esibizione non richiede molte risorse a parte un computer preconfezionato ed una connessione alla rete. Questa situazione è iniziata ad evolversi sempre più velocemente alla fine degli anni ’90. Finalmente varie istituzioni culturali degli USA hanno iniziato a prestare attenzione ai nuovi media. Le prime furono le istituzioni scolastiche. Intorno al 1995 Università e scuole d’arte, in particolare sulla costa ovest, hanno creato programmi sull’arte dei nuovi media e sul design e hanno sviluppato posizioni critiche in materia. All’inizio del 2000 ogni università o scuola d’arte della costa ovest aveva programmi universitari e non sui nuovi media. Alcuni anni più tardi musei come il Walk Art Center hanno iniziato ad organizzare esibizioni on-line e hanno iniziato a commissionare progetti on.line. Nel 2000 la Whitney Biennal ha inserito uno spazio dedicato alla “net art” (anche se a livello concettuale la sua presentazione era distante molti anni dalla presentazione dei nuovi media in luoghi come “Ars Electronica Center” a Linz, l’ “Intercomunication Center” a Tokyo o “ZKM” in Germania. Infine nel 2001 sia il “Whitney Museum” di New York, sia il museo di Arte Moderna di San Francisco (SFMOMA) hanno organizzato ampie esibizioni di ricerca e studio dell’arte dei nuovi media. A ciò si aggiunge un costante fiorire di conferenze e seminari organizzati in roccaforti dell’Accademia Amricana come l’Istituto per gli studi Avanzati a Princenton; associazioni nei nuovi media iniziate da prestigiose società di finanziamento come la Fondazione Rockfeller o il “Social Science Reserch Council” (entrambe iniziate nel 2001); serie di libri sui nuovi media pubblicati da stampa così autorevole come quella del MIT.

Quello che dieci anni fa era considerato un underground culturale ha acquistato il pieno titolo di settore artistico e accademico; ciò che è emerso da concrete interazioni di artisti individuali ha preso forma, è maturato e ha acquisito forme istituzionali. Paradossalmente nello stesso momento in cui il settore dei nuovi media ha iniziato a maturare (fine degli anni ’90) la sua più profonda ragione di esistenza ha iniziato ad essere minacciata. Se adesso tutti gli artisti, senza badare al loro media preferito, usano anche regolarmente i computer digitali per creare, modificare e produrre opere abbiamo bisogno di avere un settore specifico che riguarda l’arte dei nuovi media. Dal momento che i media digitali e network stanno diventando rapidamente onnipresenti nella nostra società e dato che la maggior parte degli artisti hanno iniziato ad usare abitualmente questi nuovi media, questo campo sta affrontando il pericolo di diventare un ghetto i cui partecipanti si troverebbero uniti dal loro feticismo della più moderna tecnologia di computer, piuttosto che da questioni più profonde ideali, concettuali ed estetiche; una specie di club locale di entusiasti per le foto. Personalmente penso che l’esistenza di un campo separato dei nuovi media adesso e in futuro abbia una ragione valida di esistere, ma richiede comunque una giustificazione.


PROGETTAZIONE SOFTWARE E ARTE MODERNA: PROGETTI PARALLELI

Dieci anni dopo la comparsa delle prime istituzioni culturali focalizzate sui nuovi media, il campo è maturato e consolidato, ma che cos’è esattamente un nuovo media? E che cos’è la nuova media-art? Sorprendentemente queste questioni non sono facilmente spiegabili. Il libro che avete tra le mani, fornisce delle risposte molto interessanti a queste domande. Inoltre spiega i fondamenti di questo nuovo campo dei media, nel processo di ridefinirlo lo definisce come un modo molto produttivo. In breve, questo libro non è solo una mappa dei settori che già esistono, ma anche degli interventi in essi.

Attraverso le particolari selezioni e le loro contrapposizioni, questo libro ridefinisce il nuovo media come tendenze parallele nell’arte moderna e nella tecnologia computerizzata dopo la seconda guerra mondiale. Anche se l’editore di questa antologia potrebbe non essere d’accordo con questa mossa, mi piacerebbe sostenere che eventualmente questo parallelismo potrebbe cambiare la relazione tra arte e tecnologia. Negli ultimi decenni del XX secolo, l’uso moderno del computer, della tecnologia di rete hanno materializzato certi processi chiave dell’arte moderna che si erano sviluppati contemporaneamente.

Nel processo di materializzazione le tecnologie hanno superato l’arte. Non soltanto le nuove tecnologie di programmazione dei computer, interfaccia grafica uomo-computer, ipertesto, multimedia, reti (basate su tecnologia con cavo o senza cavo) hanno permesso la realizzazione delle idee che sono dietro ai progetti degli artisti e, inoltre, hanno esteso questi molto oltre quanto l’artista aveva originariamente immaginato.
Come risultato queste tecnologie, a loro volta, sono diventate i più grandi lavori d’arte di oggi. Il più grande ipertesto è il Web stesso perché è più complicato, dinamico di qualsiasi romanzo che potrebbe essere stato scritto da un singolo scrittore, perfino da James Joyce. Il più grande lavoro interattivo è l’interazione uomo-computer, il fatto che l’operatore possa facilmente cambiare qualsiasi cosa appaia nel suo schermo, nel processo che cambia lo stato interno del computer, o perfino comandando la realtà al di fuori da esso.
La più grande avanguardia dei film è un software come Final Cut Pro oppure After Effect che contengono le possibilità di combinare insieme migliaia di tracce separate in un singolo filmato e nel contempo, creando numerose relazioni tra queste tracce differenti, sviluppa l’idea d’avanguardia di un film come una visualizzazione astratta.
Conseguentemente un’idea d’avanguardia.

Questo significa che gli scienziati del computer che inventarono queste tecnologie J.C. Licklider, Douglas Engelbart, Ivan Sutherland, Ted Nelson, Seymor Papert, Tim Berners-Lee, e altri sono gli artisti importanti del nostro tempo, forse i soli artisti veramente importanti e che saranno ricordati per questo periodo storico.
Per provare l’esistenza di parallelismi storici, New Media Reader posiziona sistematicamente vicino l’uno all’altro i testi chiave dell’arte moderna, che articolano alcune idee e testi chiave di scienziati moderni del computer, che articolano idee simili in relazione alla progettazione di software e hardware. Perciò, troviamo vicina l’una all’altra la storia scritta da George Borges (1941) e l’articolo di Vannevar Bush (1945) entrambi contenenti l’idea di iniziali strutture ad albero come un modo migliore di organizzare i dati e rappresentare l’esperienza umana(1).

Il parallelismo, tra testi di scienziati e artisti, implica non soltanto le idee contenute nei testi, ma anche la forma dei testi. Nel XX secolo gli artisti presentavano le loro idee tipicamente o scrivendo manifesti o creando opere d’arte. Nel caso degli scienziati del computer noi abbiamo articoli teorici che sviluppano piani per progettare software particolari e/o hardware oppure articoli più descrittivi circa prototipi già creati o sistemi già operanti. Strutturalmente i manifesti corrispondono ai programmi teorici degli scienziati dei computer, mentre lavori d’arte completati corrispondono a prototipi o sistemi progettati da scienziati, per vedere se le loro idee funzionano, per dimostrare queste idee a colleghi, sponsor e clienti. Conseguentemente New Media Reader in gran parte consiste di questi due tipi di testi: sia presentazioni teoriche di nuove idee che speculazioni circa progetti o tipi di progetti che potrebbero seguire di conseguenza; o la descrizione di progetti già realizzati.

Le istituzioni di cultura moderna, responsabili di decidere che cosa deve essere considerato memoria culturale e che cosa non lo è, sono sempre in ritardo. Potrebbero essere necessari alcuni decenni, anche di più, per un nuovo settore che sta dando un contributo importante alla cultura moderna, per far sì che appaia in un museo, in un libro o venga registrato come un soggetto culturale. In generale, la nostra storia culturale ufficiale tende a privilegiare l’arte (sottointesa in senso romantico come prodotti e artisti individuali) rispetto alla cultura industriale di massa. Per esempio, mentre i progettisti di moderna grafica industriale hanno un certo livello di visibilità culturale, i loro nomi, con l’eccezione di pochi contemporanei celebri disegnatori come Bruce Mau e Philip Stark sono generalmente non così noti come i nomi di artisti o scrittori “leggeri” di fiction.

Alcuni esempi di settori chiave contemporanei, che al momento non hanno avuto quanto gli spetta, sono i video musicali, cinematografici, i progettisti di set e i progettisti industriali. Ma nessun settore culturale rimane meno riconosciuto che la scienza dei computer e in particolare il suo ramo specifico di interazione uomo-computer, o HCI (chiamato anche interfaccia uomo-computer, o HCI).
E’ ormai tempo che trattiamo le persone che hanno articolato le idee fondamentali dell’interazione uomo-computer come i più importanti artisti moderni. Non soltanto hanno inventato nuovi modi di rappresentare ogni dato (perciò, di conseguenza, tutte le informazioni che hanno a che fare con la cultura, per esempio l’esperienza umana nel mondo e le rappresentazioni simboliche di questa esperienza), ma essi hanno anche radicalmente ridefinito le nostre interazioni con tutta la vecchia cultura. Come una finestra di un browser del Web sostituisce lo schermo di un cinema, lo spazio di un museo, di un cd player, di un libro, e una libreria, la nuova situazione manifesta se stessa: tutta la cultura, passata e presente, è stata filtrata attraverso un computer con la sua particolare interfaccia uomo-computer. L’interfaccia uomo-computer viene ad agire come una nuova forma attraverso la quale la vecchia forma di produzione culturale è stata mediata.

New Media Reader contiene articoli essenziali di alcuni progettisti di interfaccia e software per computer, da Engelbart a Berners-Lee. Perciò, dal mio punto di vista questo libro non è soltanto l’antologia di nuovi media, ma anche un esempio di una radicale nuova storia della cultura moderna, una anticipazione del futuro, quando più persone riconosceranno che la vera innovazione culturale degli ultimi decenni del ventesimo secolo erano i progettisti di interfaccia, i progettisti di videogiochi, i registi di video musicali e i DJ – invece di pittori, cineasti o scrittori di fiction i cui campi rimangono relativamente stabili durante questo periodo storico.


CHE COS'E' NEW MEDIA: OTTO PROPOSIZIONI

Avendo discusso la particolare prospettiva adottata da New Media Reader, in relazione al largo contesto culturale, possiamo collocare i nuovi media all’interno degli sviluppi paralleli nell’arte moderna e nell’informatica: voglio andare attraverso altri possibili concetti dei nuovi media e della loro storia (includendo alcune proposte dell’autore in altre pubblicazioni). Qui abbiamo sette risposte; senza dubbio, molte altre possono essere inventate se lo si desidera.


1.New media in opposizione alla cybercultura

Per cominciare, possiamo distinguere tra nuovi media e cybercultura. Dal mio punto di vista essi rappresentano due distinti settori di ricerca. Io definirei come cybercultura lo studio di diversi fenomeni sociali associati con Internet e altre nuove forme di reti di comunicazione. Esempi di che cosa includono gli studi sulla cybercultura sono le comunità online, i giochi di ruolo online che coinvolgono molti giocatori, i problemi di identità online, la sociologia e la etnografia nell’uso della posta elettronica, l’utilizzo di telefoni cellulari in comunità diverse; i problemi di genere e etnia nell’uso di Internet; e quanto altro(2). Notate che l’enfasi cade sui fenomeni sociali: la cybercultura non tratta direttamente con gli oggetti resi possibili dalle tecnologie di comunicazione della rete. Lo studio di questi oggetti è il settore dei nuovi media. In aggiunta, il nuovo media si occupa di oggetti culturali e paradigmi creati da tutte le forme dell’informatica e non solo dalla rete. Per riassumere: la cybercultura è focalizzata sul sociale e sulla rete di comunicazione; il nuovo media è focalizzato sulla cultura e sull’informatica.


2.Nuovi media come tecnologia computerizzata usata come una piattaforma di distribuzione.

Che cosa sono questi nuovi oggetti culturali? Assodato che l’informatica è ora usata nel maggior numero dei settori di produzione culturale, dall’editoria e pubblicità alla produzione cinematografica e architettura, come possiamo distinguere l’area di cultura che specificatamente deve la sua esistenza all’informatica? Nel mio “The Language of New Media” inizio la discussione sui nuovi media richiamando la sua definizione così come può essere dedotta dal modo in cui il termine è usato dalla stampa più diffusa: i nuovi media sono gli oggetti culturali che usano le tecnologie digitali dei computer per la propria diffusione ed esposizione.
Di conseguenza Internet, il Web, il multimedia, i videogiochi, i CD-ROM e DVD, la Realtà Virtuale, e tutti gli effetti speciali generati dai computer cadono sotto i nuovi media. Altri prodotti culturali che usano l’informatica per la produzione e conservazione, ma non per la distribuzione finale – televisione, programmi, lungometraggi, riviste, libri e altri pubblicazioni su carta, ecc. - non sono nuovi media. Il problema con questa definizione è in tre aspetti. Prima di tutto, è una definizione che deve essere rivista a distanza di pochi anni, non appena una parte della cultura viene a utilizzare la tecnologia informatica per la distribuzione (per esempio, il cambiamento dalla televisione analogica a quella digitale; il cambiamento dalla proiezione su pellicola alla proiezione digitale di lungometraggi al cinema: libri elettronici e quant’altro).

In secondo luogo, possiamo sospettare che eventualmente il maggior numero di forme culturali useranno la distribuzione digitale, e quindi il termine(3) nuovo media, definito in questo contesto, perderà ogni specificità. In terzo luogo, questa definizione non ci dice niente circa i possibili effetti della distribuzione informatizzata, sull’estetica di quanto è distribuito. In altre parole il Web, la multimedialità, i videogiochi, i CD-ROM e la Realtà Virtuale hanno tutti qualcosa in comune perché sono fruibili per mezzo di un computer? Solo se la risposta è almeno in parte positiva, ha senso pensare ai nuovi media come a una utile categoria teorica.


3.Nuovi media come dati digitali controllati da software.

Il linguaggio dei nuovi media è basato sull’assunzione che, in realtà, tutti gli oggetti culturali che contano sulla rappresentazione digitale e la diffusione informatizzata si spartiscono un numero di qualità comuni. Nel libro ho articolato un numero dei principi dei nuovi media: rappresentazioni numeriche, modularità, automazione, variabilità e transcodifica.

Ritengo che nessun oggetto culturale informatizzato sarà necessariamente strutturato in accordo con questi principi. Piuttosto, queste sono tendenze di una cultura che si va informatizzando, che gradualmente manifesterà se stessa sempre di più. Per esempio, il principio della variabilità definisce che un prodotto culturale dei nuovi media può esistere potenzialmente in un numero infinito di differenti stati. Oggi gli esempi di variabilità sono i siti commerciali nel Web programmati per ottimizzare le pagine Web per ogni utente. O la possibilità di creare per i DJ nuovi missaggi utilizzando registrazioni già esistenti; oggi il principio di variabilità si può anche applicare a un film digitale che esisterà in versioni multiple.

Io deduco questi principi, o tendenze, dal “basic-fact” o rappresentazioni digitali dei media. Il nuovo media è ridotto ai dati digitali che possono essere manipolati da software come qualsiasi altro dato. Questo permette di automatizzare molte operazioni dei media, di generare versioni multiple degli stessi oggetti, ecc. Per esempio, una volta che una immagine è rappresentata come matrice numerica, essa può essere manipolata o perfino generata automaticamente facendo girare numerosi algoritmi, come mettere a fuoco, modificare il colore, cambiare il contrasto, ecc.
Più in generale, estendendo quanto ho proposto nel mio libro, potrei dire che i due modi principali, in questi modelli di realtà al computer attraverso strutture di dati e algoritmi può anche essere applicata al media una volta che è rappresentato in forma digitale. In altre parole, dato che il nuovo media è un dato digitale controllato da particolari software culturali, ha senso pensare a ogni nuovo prodotto dei media in termini di particolari strutture di dati e/o particolari algoritmi da esso incorporati(4). Qui ci sono degli esempi di strutture di dati: una immagine può essere ricordata come uno scenario bidimensionale (x.y), mentre un film può essere ricordata come uno scenario tridimensionale (x y z). Pensando ai media digitali in termini di algoritmi, scopriamo che molti di questi algoritmi possono essere applicati a dei media (come ad esempio copia, taglia, incolla, comprimi, trova, fondi, unisci) mentre alcuni conservano caratteristiche specifiche da media. Per esempio, si può facilmente effettuare la ricerca di una particolare stringa di testo in un testo, ma non di un particolare oggetto in una immagine. Al contrario, è possibile comporre un insieme immagini in movimento ma non di testi differenti. Queste differenze hanno a che fare con diverse logiche della semiotica nei differenti media nella nostra cultura; per esempio, noi siamo pronti a leggere praticamente ciascuna immagine o un insieme di immagini come significativo, mentre perché una stringa di testo sia significativa chiediamo siano rispettate le regole grammaticali. In altre parole, la lingua ha a priori una struttura (una frase è costituita da parole composte da fonemi, e così via) per esempio cerca, unisci, sostituisci, indicizza, mentre la rappresentazione digitale di immagini non è essa stessa in grado di permette l’automazione di operazioni semantiche.


4. New media come l’Insieme tra l’esistenza di convenzioni culturali e convenzioni di software.

Un particolare tipo di media è costituito da dati gestiti da software, noi possiamo aspettarci che eventualmente esso ubbidirà completamente ai principi della modularità, variabilità, e automazione. Comunque, in pratica questi processi possono richiedere lunghi periodi di tempo ed essi non procedono in modo lineare, piuttosto assistiamo ad uno sviluppo ineguale. Per esempio, oggi alcuni media sono già totalmente automatizzati, mentre in altri casi questa automazione fatica ad esistere, senza pensare che dal punto di vista tecnologico essa può essere facilmente codificata.
Prendiamo come esempio una produzione contemporanea di film di Hollywood. Logicamente noi potremmo aspettarci qualcosa come il seguente scenario. Un singolo spettatore riceve una versione personalizzata del film che prende in considerazione le sue preferenze precedenti, le preferenze correnti, e il profilo di mercato. Il film è completamente assemblato, in un attimo, per mezzo di software di IA che usano schemi predefiniti. Il software inoltre genera, ancora personaggi virtuali, dialoghi e set (questo permette di piazzare il prodotto facilmente) che sono generati da un potente database.

La realtà oggi è leggermente differente: il software è usato in alcune aree della produzione di film, ma non in altre. Mentre alcune visioni possono essere create usando animazione al computer, il cinema si basa ancora intorno al sistema delle star i cui compensi ammontano ad una larga percentuale del budget di un film. Nello stesso modo la sceneggiatura (e infinite riscritture) è ancora considerata prodotto peculiare dell’uomo. In breve, il computer è escluso dalle decisioni creative chiave, ed è delegato alla parte tecnica.
Se noi guardiamo ad un altro tipo di media contemporaneo – i videogiochi - scopriremo che essi seguono i principi di automazione in modo molto più avanzato del cinema.

I personaggi dei giochi sono modellati in 3D; essi si muovono e parlano sotto il controllo di un software. Il software decide anche che cosa succede dopo nel gioco, generando nuovi personaggi, spazi e scenari in risposta ai comportamenti del giocatore. Non è difficile capire perché l’automazione nei giochi al computer è molto più avanzata che nel cinema. I giochi al computer sono una delle poche forme culturali originarie del computer, cominciarono come programmi particolari per computer (prima di essere costituiti da complesse produzioni multimediali come accade oggi) – piuttosto che essere un medium consolidato (come il cinema) il quale sta ora lentamente sottostando alla informatizzazione.

Dato che i principi di modularità, automazione, variabilità e transcodifica sono tendenze che si manifestano in modo lento e non uniforme, c’è una strada precisa per descrivere i nuovi media, come esistono oggi? “The Language of New Media” analizza il linguaggio dei nuovi media contemporanei (o, diciamolo in altre parole, il principale nuovo media) come il mix (possiamo anche usare le software-metafore di “morph” o “composite”) tra due differenti set di forze culturali, o convenzioni culturali: da una parte, le convenzioni di forme culturali già mature (come una pagina, un frame rettagolare, un punto di vista mobile) e, d’altra parte, le convenzioni dei software e, in particolare, di HCI, come si sono sviluppati fino ad ora. Fatemi illustrare questa idea con due esempi. Nella moderna cultura della visione una rappresentazione fedele in una immagine era qualcosa di fissato, piuttosto che qualcosa con cui interagire. Un’immagine era anche un campo di rappresentazione continua, per esempio una singola scena.

Negli anni ’80 GUI ridefinì una immagine come una figura-sfondo in opposizione tra una non interattiva, sfondo passivo (tipicamente un desktop – in genere un desktop modello-base) e icone attive e hyperlink (come le icone di documenti e applicazioni che appaiono sul desktop). Il trattamento di immagini simboliche nei nuovi media rappresentano un mix tra queste due molto diverse convenzioni. Una immagine conserva le proprie funzioni simboliche mentre allo stesso tempo è considerata come un insieme di immagini attive.
Questo è lo standard di convenzioni nei multimedia interattivi, videogiochi o pagine web. Così, mentre sul piano della visione una immagine appare ancora come un singolo elemento, in effetti essa è suddivisa in un numero di regioni con hyperlink connessi a queste regioni, così operando un “clic” su una regione si apre una nuova pagina, o riparte la vicenda del gioco, ecc.
Questo esempio illustra come una convenzione di HCI è superimposta (in questo caso, entrambi metaforico e letterale, come un produttore mette dei punti caldi di collegamento su una immagine esistente) su una vecchia convenzione rappresentativa. Un altro modo di pensare a questo è di dire che una tecnica normalmente usata per il controllo e i data management è mischiata con una tecnica di rappresentazione immaginaria e narrazione immaginaria. Utilizzerò un altro esempio per illustrare i processi opposti: come una convenzione culturale normalmente usata per la rappresentazione immaginaria e la narrazione è sovraimposta su tecniche software di trattamento dei dati e presentazione. L’idea culturale, in questo esempio, è il modello di camera mobile preso a prestito dal cinema. In “The Language New Media” analizzo come diventò una interfaccia generica usata per accedere a qualsiasi tipo di dati.

In origine si sviluppò come parte di tecnologia grafica di computer a 3D per una applicazione come il design supportato dal computer, il simulatore di volo e la cinematografia, che si servirono del computer durante gli anni ‘80 e ’90; il modello della camera diventò parte integrante dell’idea di interfaccia come finestre a scorrimento o per operazioni quali copia incolla. Diventò un modo accettato per interagire con tutti i dati che sono rappresentati in tre dimensioni, che nella cultura informatica significa alla lettera tutto e niente: i risultati di una simulazione fisica, un sito archeologico, il progetto di una nuova molecola, dati statistici, la struttura di una rete di computer ecc. Mentre la cultura informatica è sempre più un attacco globale a tutte le rappresentazioni ed esperienze, queste diventano soggette alla particolare grammatica dell’accesso dei dati della videocamera. Zoomare, inclinare, fare risaltare e carrellare: noi usiamo queste operazioni per interagire con gli spazi dei dati, modelli, oggetti e corpi(5).

Riassumendo i nuovi media possono essere intesi come il mix tra le più vecchie idee culturali per la rappresentazione di dati, accesso e manipolazione e le più nuove convenzioni di rappresentazione di dati, accesso e manipolazione. I vecchi dati sono rappresentazioni di realtà visuali e esperienze umane, per esempio, immagini, testi, e racconti video e/o audio, che noi normalmente capiamo per mezzo della cultura. Il nuovo dato è un dato numerico.
Come risultato di questo mix, otteniamo strani ibridi come immagini-mappe su cui fare clic, aree di dati finanziari navigabili, icone animate con Quick Time (che era definito come il formato per presentare dei dati basati sul tempo, ma che in pratica è usato esclusivamente per video digitali), un genere di brevi video di cultura informatica e quant’altro. Come si può ben vedere, questo particolare approccio ai nuovi media presuppone l’esistenza di particolari estetiche storiche che oggi caratterizzano i nuovi media, o “nuovi media originari”.(Noi possiamo anche chiamarla l’”estetica della cultura dell’informazione originaria”). Questa estetica risulta dalla convergenza di particolari forze culturali storiche: già esistenti nella cultura convenzionale e di particolari forze culturali storiche di HCI. Perciò, non potrebbe essere esistita in passato ed è poco probabile che stia senza cambiare per un lungo tempo. Ma possiamo anche definire i nuovi media in base ad una via opposta: come specifiche caratteristiche estetiche che tendono a riapparire ad un livello iniziale di sviluppo di ogni nuovo moderno media e tecnologie di telecomunicazione.


5.Nuovi media come l’estetica che accompagna lo stadio iniziale di ogni nuovo moderno media e tecnologia di comunicazione

Piuttosto che riservare il termine nuovo media in riferimento all’uso culturale dei computer correnti e tecnologie di rete basate sull’informatica, alcuni autori hanno suggerito che ogni moderno media e tecnologia di comunicazione passi attraverso il suo “livello di nuovo media”. In altre parole, ad un certo punto la fotografia, il telefono, il cinema, la televisione divennero ognuno dei “nuovi media”.

Questa prospettiva dà nuove direzioni ai nostri sforzi di ricerca: piuttosto che la difficoltà a identificare che cos’è unico circa le funzioni digitali dei computer, come creazione e distribuzione dei media e dispositivi delle telecomunicazioni, noi possiamo invece cercare tecniche estetiche certe e tropi ideologici che accompagnano ogni nuovo media moderno e ogni tecnologia di telecomunicazione nello stadio iniziale e nella sua introduzione e diffusione. Qui ci sono pochi esempi di tali tropi ideologici: la nuova tecnologia terrà conto di una “migliore democrazia”, ci fornirà un migliore accesso al “reale” (fornendo “maggiore immediatezza” e/o la possibilità “di rappresentare ciò che prima non poteva essere rappresentato”), essa contribuirà all’”erosione dei valori morali”, distruggerà la “naturale relazione tra uomo e lavoro” tramite “l’eliminazione delle distanze” tra l’osservatore e l’osservato.

E qui ci sono due esempi di strategie estetiche che sembrano accompagnare spesso la comparsa di un nuovo media e di una tecnologia della telecomunicazione (non eccezionalmente, queste strategie estetiche sono direttamente connesse ai tropi ideologici che ho appena menzionato). A metà degli anni ‘90 un numero di cineasti cominciò a usare camere digitali economiche (DV) per creare film caratterizzati da uno stile documentaristico (per esempio, Timecode – Celebrazioni – Mifune). Piuttosto che azioni di vita come un materiale grezzo che deve essere rimaneggiato in post-produzione, questi cineasti diedero maggiore importanza all’autenticità delle performance degli attori. Le piccole dimensioni dell’attrezzatura DV permette al cineasta di essere letteralmente dentro l’azione nel suo svolgersi. In aggiunta con l’adottare un più intimo approccio filmico, un operatore può fare riprese per una durata inera di 60 o 120 minuti, DVD come opposto allo standard dei dieci minuti della pellicola. Questo dà al cineasta e agli attori maggiore libertà di improvvisare su un tema, piuttosto che essere costretto nelle brevi inquadrature dei copioni del cinema tradizionale (infatti la durata del Timecode corrisponde esattamente con la lunghezza dello standard DV tape).

Queste strategie estetiche per rappresentare il reale, che in un primo momento possono apparire essere uniche della rivoluzione digitale nel cinema, in effetti non lo sono. Lo stile di riprese del DV ha un predecessore in un movimento di ripresa internazionale che iniziò alla fine degli anni ‘50 e durò per tutti gli anni ‘60. Chiamato cinema diretto, candid cinema, cinema incontrollato, cinema di osservazione, o “cinema verité”, coinvolse anche i cineasti nell’uso di equipaggiamenti più leggeri e mobili (in confronto a ciò che era disponibile prima). Come i DV realisti di oggi, negli anni ‘60 le proposte del cinema diretto evitavano riprese e copioni imposti, preferendo lasciare che gli eventi si sviluppassero naturalmente. Sia allora come adesso i cineasti usavano nuove tecnologie di ripresa per ribellarsi alle convenzioni del cinema esistente, che era percepito come artificiale. Sia allora che adesso, la parola chiave di questa rivolta era la stessa: immediatezza.

Il mio secondo esempio di simili strategie estetiche tratta dello sviluppo della tecnologia di immagini in movimento, che attraversarono il diciannovesimo secolo e dello sviluppo delle tecnologie digitali di immagini in movimento visualizzate sul desktop di un computer durante gli anni ‘90.

Nella prima parte degli anni ‘90, mentre il graduale sviluppo dei computer aumentava velocemente, i progettisti di CD-ROM sono stati capaci di andare dal formato per mostrare diapositive alla sovrapposizione di piccoli elementi in movimento sullo sfondo statico e fino ad incorniciare completamente immagini in movimento. Questa evoluzione ripeté lo sviluppo del diciannovesimo secolo: dalle sequenze di immagini statiche (presentazione dei vetri della lanterna magica) ai soggetti in movimento su sfondi statici (per esempio, nel Praxinoscope teatro di Reybaud) al totale movimento (cinematografo di Lumière). Inoltre, l’introduzione di QuickTime per mezzo di Apple nel 1991 può essere paragonata all’introduzione del Cinetoscopio nel 1892: entrambi erano usati per presentare brevi cicli, entrambi erano caratterizzati da immagini pressappoco della misura di due per tre centimetri, entrambi erano utilizzati per visioni private piuttosto che per esibizioni collettive. Culturalmente, le due tecnologie hanno anche un funzionamento simile: come l’ultima tecnologia “marvel”. Nei primi anni degli anni ’90 del XIX secolo, il pubblico patrocinò i salotti del cinemascope dove le macchine con obiettivo si mostrarono come l’ultima invenzione – minuscole fotografie in movimento sistemate in brevi cicli; esattamente cento anni dopo, gli utenti di computer furono egualmente affascinati con minuscoli video di QuickTime che trasformarono il computer, per quanto imperfetto, in un proiettore di film. Alla fine, le prime proiezioni del 1895 di Lumière, che provocarono uno shock al pubblico con le enormi immagini in movimento, trovarono il loro parallelo nei titoli CD-ROM del ’95 in cui le immagini in movimento finalmente riempirono l’intero schermo del computer (per esempio, nel videogioco Jonny Mnemonic, basato sul film con lo stesso titolo). Perciò, esattamente cento anni dopo che il cinema era ufficialmente “nato”, esso fu reinventato sullo schermo di un computer. Per quanto interessanti, questi due esempi illustrano anche i limiti del pensiero circa i nuovi media in termini di strategie estetiche storicamente ricorrenti e tropi ideologici. Mentre i tropi ideologici veramente sembrano riapparire piuttosto regolarmente, molte strategie estetiche possono riapparire solo due o tre volte. Inoltre, alcune strategie e/o tropi possono già essere radicati nella prima parte del diciannovesimo secolo, mentre altri fanno la loro prima comparsa solo molto più recentemente(6). Per fare in modo che questo approccio sia veramente utile sarebbe insufficiente nominare semplicemente le strategie e i tropi e registrare i momenti della loro comparsa; invece, noi dovremmo sviluppare una analisi più esauriente che metta in relazione la storia della tecnologia con la storia sociale, la storia politica ed economica e del periodo moderno. Fino ad ora le mie definizioni dei nuovi media sono state centrate sulla tecnologia; le prossime tre definizioni considereranno i nuovi media come materiale rimodellato, o codifica di tendenze prettamente culturali, come idee piuttosto che tecnologie.


6. Nuovi media come la più veloce esecuzione di algoritmi in precedenza eseguiti manualmente o attraverso altre tecnologie.

Un moderno computer digitale è una macchina programmabile. Questo significa semplicemente che lo stesso computer può eseguire differenti algoritmi. Un algoritmo è una sequenza di passi che hanno bisogno di essere seguiti per portare a termine un compito. I computer digitali permettono di eseguire più algoritmi molto facilmente, comunque principalmente un algoritmo, siccome è appena una sequenza di semplici passi, può anche essere eseguito dall’uomo, sebbene molto più lentamente. Per esempio, un uomo può organizzare “file” in un ordine particolare, o contare il numero di parole in un testo, o tagliare una parte di una immagine e incollarla in una differente posizione.

Questa presa di coscienza ci dà un nuovo modo per pensare sia all’informatica, in generale, che ai nuovi media, in particolare, come a un potente acceleratore di diverse tecniche manuali che sono già tutte esistite. Considerare, per esempio, le abilità del computer per rappresentare oggetti in prospettiva lineare e rappresentazioni animate. Quando spostate il vostro personaggio attraverso lo scenario in un videogioco in cui le persone si sparano (come Quake), o quando spostate il vostro punto di vista intorno ad un modello di architettura a 3D, un computer ricalcola le visualizzazioni prospettiche per tutti gli oggetti nel quadro molte volte per ogni secondo (nel caso dei desktop degli attuali hardware, i frame rates di 80 frames al secondo non sono insoliti). Ma noi dovremmo ricordare che l’algoritmo stesso era codificato durante il Rinascimento in Italia, e che, prima che i computer digitali arrivassero (circa cinquecento anni dopo) esso era eseguito per mezzo di manuensi.

Nello stesso modo, dietro a molte altre tecniche dei nuovi media c’è un algoritmo che, prima di essere informatizzato, era eseguito a mano. Naturalmente, poichè l’arte ha sempre coinvolto delle semplici tecnologie persino per fare delle incisioni sulla pietra, ciò che voglio indicare attraverso la manualità è che l’uomo è sistematicamente andato esso stesso attraverso ogni passo di un algoritmo, allo stesso modo come se esso fosse aiutato da delle immagini che hanno funzione di strumenti. Consideriamo, per esempio, un’altra tecnica dei nuovi media molto diffusa: fare una composizione da differenti fotografie. Subito dopo l’invenzione della fotografia, alcuni fotografi del diciannovesimo secolo, come Henry Peach Robinson e Oscar G. Reijlander (LM1), crearono già omogenee “combination prints” mettendo insieme fotografie multiple. Questo modo di pensare ai nuovi media, mentre li sottrae al pensiero che li considera pura tecnologia, pone molti altri problemi.
Sostanzialmente, l’accelerazione dell’esecuzione di un algoritmo, per mezzo della codificazione di questo algoritmo in un software, non lascia le cose semplicemente come stanno. Il punto fondamentale della dialettica è che un sostanziale cambiamento in quantità (per esempio, nell’accelerazione di esecuzione in questo caso) portò in primo piano l’emergere di aspetti qualitativi del nuovo fenomeno. L’esempio dell’automazione di prospettive lineari è un caso in questione. Clamorosamente, l’accelerare l’esecuzione di un algoritmo di prospettiva fa divenire possibile l’esistenza di tecniche di rappresentazione prima inesistenti: movimenti omogenei attraverso uno spazio in prospettiva. In altre parole, non otteniamo solo disegni in prospettiva prodotti velocemente, ma anche filmati prodotti dal computer e grafica interattiva al computer.

I cambiamenti tecnologici nella storia di “combination prints” illustrano anche le dialettiche culturali di trasformazioni di quantità in qualità. Nel diciannovesimo secolo, stampe assemblate con particolare cura rappresentavano una eccezione piuttosto che la norma. Nel ventesimo secolo, le nuove tecnologie fotografiche rendono possibile il fotomontaggio che rapidamente diventa una delle tecniche di rappresentazione base della moderna cultura della visione. E ultimamente l’arrivo della fotografia digitale attraverso software come Photoshop, scanner e camere digitali alla fine degli anni ‘80 e negli anni ‘90 non solo rese il fotomontaggio molto più onnipresente di prima, ma anche ne alterò fondamentalmente le sue caratteristiche visive. Al posto della grafica e della composizione “hard-edge” di cui sono pionieri Moholy-Nagy e Rodchenko abbiamo composizioni di multi-immagini omogenee che usano trasparenze, effetti sfocati, modificazioni del colore e altre manipolazioni digitali facilmente disponibili e che spesso incorporano la tipografia che è assoggettata alle stesse manipolazioni (perciò nella cultura figurativa post-Photoshop il modello diventa un sottoinsieme di una immagine basata su foto). Per vedere questo rilevante cambiamento, è sufficiente confrontare un tipico video musicale del 1985 con un tipico video musicale del 1995: in dieci anni, l’estetica del fotomontaggio ha subito un cambiamento fondamentale.
Alla fine, pensando ai nuovi media, come acceleratori di algoritmi che precedentemente erano eseguiti a mano mette in primo piano l’uso di computer per l’esecuzione veloce di algoritmi, ma ignora di essi altre due essenziali usi: la comunicazione in rete in tempo reale e il controllo in tempo reale. Le capacità di interagire o controllare dati localizzati in remoto in tempo reale, di comunicare con altre persone esistenti in tempo reale, e il controllo di diverse tecnologie (sensori, motori, altri computer) in tempo reale costituisce le vere fondamenta della nostra società dell’informazione – comunicazioni telefoniche, Internet, reti finanziarie, controllo industriale, uso di micro controlli in numerose macchine e dispositivi moderni, e quant’altro. Essi rendono possibili molte forme di arte e cultura dei nuovi media: arte in rete interattiva, installazioni informatiche interattive, multimedia interattivi, videogiochi, musica sintetizzata in tempo reale.

Mentre la generazione di media in tempo non reale e la manipolazione computer digitali possono essere l’accelerazione di tecniche artistiche esistenti in precedenza, la rete e il controllo in tempo reale sembrano costituire qualitativamente il nuovo fenomeno. Quando usiamo Photoshop per combinare rapidamente insieme delle fotografie, o quando componiamo un testo usando un Microsoft Word, noi semplicemente facciamo più rapidamente ciò che prima facevamo completamente manualmente o assistiti da alcune tecnologie (come una macchina da scrivere). Comunque, nei casi quando un computer interpreta o sintetizza la parola umana in tempo reale, con programmi di modifica basati su input in tempo reale o controlla altri congegni, sempre in tempo reale, fa qualcosa che semplicemente non poteva essere fatto prima. Così, mentre è importante ricordare che, ad un certo livello, un moderno computer digitale è appena un calcolatore più veloce, noi non possiamo ignorare la sua altra identità: quella di un congegno di controllo cibernetico. Messo questo in modo diverso, mentre la teoria dei nuovi media dovrebbe pagare tributi ad Alan Turing, non bisognerebbe dimenticare l’altro suo padre concettuale: Norbert Weiner.


7.New media come la codifica di moderne avanguardie; nuovi media e metamedia.

L’approccio ai nuovi media appena discusso non può avere maggiore rilevanza, rispetto ad altri periodi culturali particolari, come la nascita di algoritmi, che sono eventualmente codificati in software per computer. Nel mio articolo “Avant-garde as Software” io avevo proposto che, di fatto, per i nuovi media, nessun periodo è più rilevante degli anni ’20 (più precisamente, gli anni tra il 1915 e il 1928)(7). Durante questo periodo gli artisti d’avanguardia e i progettisti hanno inventato un intero nuovo set di linguaggi visivi e spaziali e tecniche di comunicazione che noi usiamo ancora oggi.

In accordo con la mia ipotesi, con i nuovi media, negli anni ‘20, le tecniche di comunicazione acquisirono un nuovo status. Perciò il nuovo media rappresenta un nuovo stadio delle avanguardie. Le tecniche inventate dai “Left artists” degli anni ‘20 divennero impresse nei comandi e nelle metafore delle interfacce dei software per computer. In breve, le avanguardie visive divennero materializzate in un computer. Tutte le strategie sviluppate per svegliare il pubblico da un’esistenza di sogno della società borghese (progettazione costruttivista, nuova tipografia, avanguardie cinematografiche e montaggio di film, sceneggiatura, fotomontaggio, ecc.) ora definiscono la prassi fondamentale di una società post industriale: la interazione con un computer. Per esempio, le strategie di avanguardie di collage riemersero come un comando “copia e incolla”, l’operazione più elementare che uno può svolgere su dati al computer. In un altro esempio, le finestre dinamiche, i menu a discesa, e tutte le pagine HTML permettono a un utente del computer di lavorare simultaneamente, praticamente con un illimitato numero di informazioni nonostante la limitata superficie dello schermo. Questa strategia può essere tracciata dall’uso di Lissitzky’s di riquadri muovibili nella sua esibizione di design del 1926 per l’Internazionale esibizione di arte di Dresden.
La codifica delle tecniche di avanguardia degli anni ‘20 nel software, non significa che i nuovi media estesero semplicemente le tecniche già esistenti qualitativamente. Così com’è il caso del fenomeno della computazione in tempo reale, che ho discusso prima, il ricalcare l’eredità dell’avanguardia degli anni ‘20 rivela inoltre un cambio qualitativo. La moderna avanguardia era preoccupata di filtrare la realtà visibile in modi nuovi, gli artisti erano interessati di rappresentare la realtà esterna rileggendola nel più alto numero di modi possibili. Naturalmente alcuni artisti già cominciarono a reagire all’emergere all’ambiente dei media, facendo collage e montaggi fotografici consistenti in ritagli di giornali fotografie esistenti, pezzi di poster, ecc. Naturalmente queste pratiche di usare media esistenti non erano ancora centrali. Ma alcuni decenni dopo essi diventeranno il primo piano della produzione culturale. Per dirla in un altro modo, dopo un secolo e mezzo di cultura mediale, i già esistenti media record divennero materia prima per la produzione culturale basata su software a la pratica artistica.
Molti decenni di produzione analogica risultarono in un grande archivio mediatico, ed è il contenuto di questo archivio, programmi televisivi, film, registrazioni, audio, ecc., che diventò i dati che vennero trattati, riarticolati, estratti e compressi, da software digitali invece di utilizzare materia prima reale.
Nel mio articolo formulo questo come segue. Il nuovo media in effetti rappresenta la nuova avanguardia, e le sue innovazioni sono così radicali almeno quanto l’innovazione formale degli anni ‘20. Ma se cerchiamo queste innovazioni nel regno delle forme, noi non le troveremo in questa tradizionale area di evoluzione culturale.

Per le nuove avanguardie è radicalmente differente da quelle vecchie:

1 – Le vecchie avanguardie dei media degli anni ‘20 emersero con nuove forme, nuovi modi di rappresentare la realtà e nuovi modi di vedere il mondo. L’avanguardia del nuovo media riguarda nuovi modi di accesso e manipolazione di informazioni. Le sue tecniche sono ipermedia, database, motori di ricerca, estrazione di dati, elaboratore di immagini, visualizzazione, e simulazione.

2 – La nuova avanguardia non si è occupata a lungo di vedere o rappresentare il mondo in modi nuovi, ma piuttosto di avere accesso e utilizzare in modi nuovi i media precedentemente accumulati. Questo rispetto ai nuovi media è post-media o meta-media, sia se usa il vecchio media sia se usa il materiale originale. Il mio concetto di “meta-media” è relativo ad una nozione molto familiare del postmodernismo, il riconoscimento che attraverso gli anni ‘80 la cultura si occupò molto di riciclare contenuti, idiomi e stili già esistenti piuttosto che la creazione geniale di nuovi. Ciò che io vorrei sottolineare (e quanto credo che i teorici del postmodernismo negli anni ’80 non hanno evidenziato abbastanza) è il ruolo chiave giocato attraverso i fattori materiali nei cambiamenti delle estetiche postmoderniste: l’accumulazione di un enorme patrimonio mediatico e l’arrivo di nuovi strumenti elettronici digitali che hanno permesso un facilissimo accesso e una manipolazione di questo patrimonio. Questo è un altro esempio di quantità che cambiano in qualità nella storia dei media: la graduale accumulazione di dati e la graduale automazione della gestione dei media e di tecniche manipolative ridicodificò gli estetici modernisti in un vero postmodernismo estetico molto diverso.


8. Nuovi media come articolazioni parallele di idee simili dopo la Seconda guerra mondiale e la moderna computazione

Insieme agli anni ’20, noi possiamo ricordare altri periodi culturali che generarono idee e sensibilità particolari relative ai nuovi media. Negli anni ‘80 un numero di scrittori guardarono alla connessione tra il Barocco e le sensibilità post-moderne. Assodato lo stretto collegamento tra il post-modernismo e i nuovi media, di cui ho appena discusso brevemente, sarebbe logico se il parallelo tra Barocco e nuovi media potesse anche essere affermato(8). Questo può, invece, essere anche contraddetto con il fatto che in molti modi diversi il nuovo media ritorna come una logica culturale premoderna del diciottesimo secolo: vedi per esempio, il parallelismo tra le comunità di lettori del diciottesimo secolo, che erano anche scrittori, e i partecipanti dei newsgroup in Internet e le mailing list, i quali sono anche entrambi lettori e scrittori.
Nel ventesimo secolo, insieme agli anni ‘20, che per me rappresentano il picco culturale di questo secolo (perché durante questo periodo le più radicali nuove tecniche estetiche furono prototipizzate più che in ogni altro periodo, della stessa durata), il secondo picco culturale degli anni ‘60 sembra anche contenere molti geni del nuovo media. Un numero di scrittori, come Soke Dinka, hanno sostenuto che la successiva arte interattiva al computer (anni ‘80) sviluppa le idee già contenute nella nuova arte degli anni ‘60 (happenings, performances, installation): la partecipazione attiva del pubblico, un artwork come un processo che si sviluppa nel tempo piuttosto che un oggetto statico, un artwork come un sistema aperto(9) . Questa connessione ha più significati, quando ricordiamo che alcune delle figure più influenti nell’arte dei media (Jeffrey, Shaw, Roy Ascott) hanno avviato la loro carriera artistica negli anni ‘60 e, solo più tardi, si sono spostati verso le tecnologie informatiche e di rete.
Per esempio, alla fine degli anni ‘60 Jeffrey Shaw stava lavorando su una struttura gonfiabile che era abbastanza grande per contenere all’interno un piccolo pubblico, per il progetto di un film e una performance; qualcosa che egli più tardi rifece in molte delle sue installazioni di RV, e allo stesso livello direttamente nel progetto EVE(10). C’è un altro progetto estetico degli anni ‘60 che può essere anche collegato ai nuovi media, non solo concettualmente ma anche esteticamente, a partire dagli artisti che inseguirono questo progetto con i computer (come Manfred Mohr), conosciuti come artisti minimalisti, che durante lo stesso decennio lo perseguirono manualmente (il più notevole, Sol LeWitt)(11). Questo progetto può essere chiamato “combinatorio”(12). Esso si sviluppò creando immagini e/o oggetti attraverso la variazione sistematica di un singolo parametro o attraverso la creazione sistematica di tutte le possibili combinazioni di un piccolo numero di elementi(13).<br> “Combinatorio” nell’arte al computer e nell’arte minimalista degli anni ‘60 fu all’avanguardia della creazione di immagini notevolmente simili e strutture spaziali; esso illustra bene che l’algoritmo, questa parte essenziale dei nuovi media, non dipende dalla tecnologia, ma può essere eseguito dall’uomo.


QUATTRO DECADI DI NEW MEDIA

Insieme a quelli che ho già menzionato, esistono altre connessioni tra l’immaginazione culturale degli anni ’60 e i nuovi media. Analogamente ad un’altra recente importante antologia sui nuovi media (XXX Multimedia from Wagner to XXX), New Media Reader contiene un numero di importanti affinità concettuali sulla logica della tecnologica computazionale: Allan Kaprow, William Borrows; “Oulipo movement (i cui membri perseguirono progetti combinatori in relazione alla letteratura), Nam June Paik e altri”.
Il cambiamento di Reader presenta il più ampio e aggiornato insieme di testi culturali degli anni ’60, le cui idee, in particolare, echeggiano gli sviluppi nell’informatica nello stesso periodo. Sebbene la moderna computazione abbia molti padri e madri concettuali, da Leibnitz a Ada Lovelace, e la sua storia precedente ricopra molti secoli, io vorrei sostenere che il paradigma, che ancora definisce la nostra comprensione e l’uso dell’informatica, fu definito negli anni ’60. Durante gli anni ’60, ai principi dell’uso delle interfacce della moderna grafica interattiva (GUI) furono date chiare articolazioni (sebbene la codifica pratica e perfezionata di queste idee si ebbe più tardi, negli anni ‘70 a Xerox Parc). Gli articoli di Licklider, Sutherland, Nelson, e Engelbart dagli anni ’60 in poi, compresi nel Reader, sono i documenti essenziali del nostro tempo; un giorno gli storici della cultura li potrebbero porre sulla stessa scala di importanza dei testi di Marx, Freud e Saussure. (Altre chiavi di sviluppo che presero spazio negli anni ’60 e l’inizio degli anni ‘70 furono Internet, Unix e la programmazione orientata sugli oggetti. Un numero di altre essenziali idee di moderna computazione, come le reti stesse, l’uso di computer per controllo in tempo reale, e il display grafico interattivo si realizzarono prima della seconda parte degli anni ‘40 e la prima parte degli anni ‘50)(14) . La prima parte del Reader ci porta alla fine degli anni ‘70; in questo periodo i principi chiave della moderna computazione e GUI furono già praticamente codificati e ridefiniti attraverso gli sviluppi a Xerox Parc; essi non erano, però, già commercialmente disponibili per i consumatori. La seconda parte di Reader “Media Manipulation, Media design” copre l’ultima parte degli anni ‘70 e degli anni ‘80. Durante questo periodo Macintosh (messo in circolazione nel 1984) diffonde GUI; inoltre, con una semplice immagine e programmi di disegno che enfatizzanti, divulgò il nuovo ruolo del computer come strumento creativo; esso era, finalmente, il primo computer non costoso che offriva un display “bit-mapped”. I computer di Atari resero possibile la manipolazione di suoni informatizzata; i videogiochi raggiunsero un nuovo livello di popolarità, il cinema cominciò ad usare i computer per gli effetti speciali (Tron realizzato da Disney nel 1982 conteneva diciassette minuti di 3D di scene generate dal computer); verso la fine esatta del decennio, Photoshop, che può essere chiamato il software applicativo chiave del post-modernismo, fu finalmente realizzato. Tutti questi sviluppi degli anni ‘80 crearono un nuovo insieme di ruoli per un computer digitale moderno: un manipolatore di media esistenti (Photoshop), un sintetizzatore di media (effetti speciali dei film, software per i suoni), e un nuovo medium (o piuttosto, un insieme di nuovi media); riassumendo: i videogiochi.
New Media Reader raccoglie gli articoli essenziali di scienziati del computer dagli anni ‘80 che articolano le idee che sono dietro questi nuovi ruoli del computer (Bolt, Snheiderman, Laurel e altri). Quando l’informatica lasciò il rigido ambito militare, governativo, universitario e dei grandi affari e cominciò ad entrare nella società, gli intellettuali iniziarono a pensare ai suoi effetti, ed è appropriato che New Media Reader riproponga anche le esposizioni teoriche chiave dagli anni ‘80 (Turkle, Haraway). Io farei notare qui che gli intellettuali europei reagirono contro la computerizzazione prima di quelli americani: sia The Post-Modern Condition (1979) di Lyotard che Simulacra and Simulations di Baudrillard contengono dettagliate discussioni di informatica, qualcosa che i loro ammiratori americani degli anni ‘80 non sembrarono notare.
L’ultima parte di Reader “Revolution, Resistance, and the Web’s Arrival” contiene testi intrecciati di informatici, ricercatori sociali, intellettuali, e critici dalla fine degli anni ‘80 in poi; ci fa anche entrare nella prima parte degli anni ’90, quando la nascita del web ridefinì l’informatica ancora una volta. Negli anni ‘80 gradualmente divenne visibile il nuovo ruolo del computer, come un manipolatore di media e come interfaccia di media. Circa gli sviluppi che furono codificati negli anni ‘90 nel termine “nuovo media”, negli anni ‘90 fu portato in primo piano un altro ruolo di un computer digitale (che era già presente dalla fine degli ‘40): quello di base per reti multimediali in tempo reale, disponibili non solo per ricercatori selezionati e militari (come era stato per decenni), ma per milioni di persone.
Negli anni ‘60 possiamo trovare forti connessioni concettuali tra la computazione e le arti radicali di quel periodo, con l’eccezione di Ted Nelson (il padre concettuale dell’ipertesto), un non informatico, il quale applicò direttamente le idee radicali della progettazione al computer del tempo. Infatti, queste idee ebbero un duro effetto nel settore, ma esso fu ritardato fino agli anni ’70, quando Alan Kay e i suoi colleghi alla Xerox Parc perseguirono l’idea della workstation di un personal computer destinata al singolo individuo, piuttosto che alla grande organizzazione. Alla fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90, comunque, noi sembriamo cercare un differente tipo di parallelismo tra cambiamenti sociali e progettazione al computer. Sebbene concettualmente senza nesso, acquista significato che la fine della guerra fredda e la progettazione del web prendono spazio esattamente nello stesso tempo. La prima pose fine alla separazione del mondo in parti separate chiuse facendolo diventare un unico sistema globale; la seconda mise in connessione i computer del mondo in una unica rete. L’inizio del Web (per esempio prima di essere dominato dai grandi portali commerciali verso la fine degli anni ‘90), un sistema implementato in modo radicalmente orizzontale, un modello non gerarchico di esistenze umane in cui nessuna idea, nessuna ideologia e nessun sistema di valori può dominare gli altri, fornì così una perfetta metafora alla nuova sensibilità post guerra fredda.
La nascita degli studi sui nuovi media come settore testimonia il riconoscimento dei ruoli culturali chiave dei computer digitali e dei computer che consentono il collegamento in rete nella nostra società globale. Per un settore ai suoi primi passi, siamo veramente felici di avere un rapporto completo delle sue origini, come si è provveduto con New Media Reader. Credo che i suoi lettori vorrebbero continuare a pensare alle idee dei singoli testi e alle infinite connessioni che possono essere trovate tra differenti testi per molti anni a venire.


Note

1 Più sottile ma ugualmente convincente è la relazione tra Panopticism di Michel Foucault che viene dal suo libro Discipline and Punish (1975) e Personal Dynamic Media  di Alan Kay e Adele Goldberg (1997). Negli anni ’60 e ’70 il modello prevalente di uso del computer era “time sharing XXX”. Esso era come Panopticum, in modo simile, esso coinvolgeva un singolo computer centralizzato con terminali connessi con esso e, perciò, era concettualmente simile a una cella di un singolo prigioniero connesso attraverso le linee di un luogo nella torre centrale in Panopticum. Alla fine degli anni ’60, l’informatico Alan Kay diede inizio ad una idea radicalmente differente di una postazione di lavoro informatica personale, un dispositivo piccolo e mobile che egli chiamò Dynabook. Questa idea fu realizzata solo nel 1984 con l’introduzione di Macintosh. (Non è accidentale che la famosa Apple commerciale – diretta da Ridley Scott il quale due anni dopo fece Blade Runner – invochi esplicitamente le immagini  Orvelliane come società dell’imprigionamento e del controllo, con Macinthos che porta laliberazione degli utenti imprigionati dai vecchi paradigmi di computer).
2 Per un buon esempio di paradigma di cybercultura, vedi online Resource Center for Cyberculture Studies (www.otal.umd.edu/%7Erccs/).
3 Lev Manovich, The Language of New Media (Cambridge, Mass.: The MIT Press, 2001)
4 Io non voglio riferirmi qui alle attuali strutture di dati e algoritmi che possono essere usate da particolari software piuttosto, sto pensando a loro in un modo più astratto: qual è la struttura  di un prodotto culturale e che tipo di operazioni esso consente per gli utenti.
5 Manovich, The Language of  New Media, 80.
6 Io credo che gli stessi problemi applicati alla molto interessante teoria sulla archeologia dei media di  Erkki Huhtamo la quale è chiusa all’approccio presentato qui e che sostiene  lo studio di tropi che accompagnano la storia della moderna tecnologia dei media, entrambe le une che erano realizzate e le altre che erano solo immaginate. 
7 Lev Manovich “Avant-Gard as Software”, in Ostranenie, edito da Stephen Kovats (Frankfurt e New York: Campus Verlag, 1999). Reperibile online http://www.manovich.net/. (Le citazioni successive sono prese dal testo online).
8 Norman Klein sta attualmente completando un libro intitolato From Vatican to Las Vegas: A History of Special Effets che discute in dettaglio le connessioni tra il modo in cui è trattato lo spazio nel Barocco e nella cybercultura. 
9 Vedi per esempio Söke Dinkla, “From Participation to Interaction: Towards the Origins of Interactive Art”, in Clicking In: Hots Links to a Digital Culture, edito da Lynn Herhman Leeson (Seattle: Bay Press, 1996).
10 Jeffrey Shaw, ed., Jeffrey Shaw – A user’s Manual (DAP, 1997).
11 Per Manfred  Mohr, vedi http://www.emohr.com/.
12 Frank Dietrich ha usato il termine “combinatorio” per parlare circa una particolare direzione dei primi artefatti al computer degli anni ’60. Vedi Frank Dietrich, “Visual Intelligence: The First Decade of  Computer Art”, (Computer Graphics, 1985).
13 E’ interessante che Sol LeWitt era abile nel produrre “lavori con le mani” che spesso consistevano in più sistematiche variazioni degli stessi elementi come simili lavori fatti da altri artisti che usavano i computer. In altre parole, possiamo dire che Sol LeWitt era di sicuro migliore nell’esecuzione  di algoritmi minimalisti che i computer al tempo stesso.
14 Seel Paul N. Edwards, The Closed World: Computers and the Politics of  Discourse in Cold War America, reprint edition (The MIT Press, 1997).