Les Immateriaux: differenze tra le versioni

Tratto da EduEDA
Jump to: navigation, search
(Tratto da:)
 
(6 versioni intermedie di 3 utenti non mostrate)
Riga 1: Riga 1:
==Autore:== Jean–Francois Lyotard, Thierry CaputThierry Caput con testi di autori vari.
+
[[Image:Les Immateriaux 1985.jpg|right|frame|Les Immateriaux, 1985, Centro Georges Pompidou di Parigi]]
  
Tratto da:== frammenti dal catalogo “Les Immateriaux‿ del Centro Georges Pompidou di Parigi.
+
==Titolo:==  
 +
Les Immatériaux
  
==Titolo originale:== Les Immateriaux
+
==Autore:==  
  
==Tradotto da:== Alessandro Pasquali
+
Jean–Francois Lyotard, Thierry Caput con testi di autori vari.
  
==Anno:== 1985
+
==Tratto da:==  
 +
frammenti dal catalogo della rassegna "Les Immatériaux" tenutasi al Centre national d'art et de culture Georges Pompidou di Parigi.
  
 +
==Tradotto da:==
 +
Alessandro Pasquali
  
''Alla metà degli anni 80 una grossa mostra al Beaubourg di Parigi, progettata dal filosofo francese Lyotard, noto per aver definito tra i primi il concetto di post-modernità in filosofia ed estetica, si chiama "Les Immatèriaux". La definizione di materia è rimessa in questione dal digitale e si apre un terreno di indagine ancora oggi vivo per ristabilire gli esatti confini dei concetti di materiale e immateriale.
+
==Anno:==
Quella di Lyotard fu una manifestazione di grande impatto culturale avvenuta nel 1985, presso il Centre national d’art et de culture Georges Pompidou, avente come titolo Les immateriaux. Per immaterialie Lyotard intendeva pure irrealtà virtuali: visioni impalpabili di paesaggi, figure, eventi e linguaggi senza materia o corpi fisici, prodotti da strumenti approntati dalle tecno-scienze. Poi, materializzatisi in prodotti di massa sul mercato, è fatale  il loro rovesciamento in strumenti di distruzione di vita.
+
1985
Si trattava di una presa di coscienza, di una denuncia altamente culturale e dimostrativamente scientifica dell’avvenuta fine del Moderno ad opera dell’avvento sulla scena del mondo di una nuova e potente post-modernità, che ormai si respirava nell’aria di tutte le arti e di tutte le risultanze della scienza e della filosofia. Il termine Post-Modern – che pure aveva dato luogo in America e, di rimbalzo, nelle manifestazioni artistiche e culturali europee, a non poche dubitabili interpretazioni costruttive – segnò tuttavia, indubbiamente, il senso di un passaggio d’epoca tale, da individuarvi un’importante e decisiva svolta storica per i destini dell’intero consorzio umano. Tra un nugolo di artisti, di scienziati e di filosofi, il filosofo Jean-François Lyotard (filosofo del post-modernismo) era il principale autore, quale membro della complessa Manifestazione parigina.
+
 
Va quindi tenuto in gran conto il tentativo del filosofo francese, Jean Francois Lyotard, che al 4° piano del Centre Pompidou allestiva una mostra dedicata a "Les Immateriaux" per descrivere la crisi delle forme di possesso e controllo sui materiali della vita quotidiana. In scena, questa volta non era la nostalgia per la città storica, ma il paesaggio suburbano contemporaneo che invadeva sonoramente il grande open space del Beaubourg: ci si muoveva dotati di cuffie che si sintonizzavano di volta in volta sulla fonte sonora più vicina, attraversando zone di brusio, sovrapposizione, improvvisi rapidi silenzi. Come quando, scriveva Lyotard: "..in macchina, per diverse centinaia di chilometri si attraversa una zona di conurbazione...Non si tratta né di città, né di campagna, né di deserto...bisogna regolare più volte il sintonizzatore della macchina, poiché si cambia di continuo la stazione di emissione. Si è dentro una nebulosa, ove i materiali sono stati meta-stabili di un’energia. Le strade, i viali, sono solo facciate. Le informazioni circolano per irradiazioni e interfacce invisibili...".
+
 
"Les Immateriaux", è il nome di questa mostra del 1984 del filosofo francese, Jean-Francis Lyotard avvenuta a Parigi. Nello spazio del Museo furono introdotte le varie forme dell'immateriale: non soltanto la luce, l'energia ed i calcolatori, ma le immagini microscopiche delle fibre chimiche, così come i dati del mercato azionario, come riferimento alle correnti invisibili di soldi e delle merci. L'intenzione della mostra era indicare che la vita di tutti i giorni si basa sempre più sul concetto filosofico e sulla via chimica e fisica della  "dissoluzione della materia". Questo sviluppo, verso "l’essere senza materia" è accelerato tramite la distribuzione crescente dei mezzi digitali: la realtà sempre più è sostituita dai mondi virtuali e dal Cyberspace, in cui le stanze, le cose ed i corpi compaiono soltanto a de-materializzare il senso delle cose e del mondo.''  
+
''Alla metà degli anni 80 una grossa mostra al Beaubourg di Parigi, progettata dal filosofo francese Lyotard, noto per aver definito tra i primi il concetto di post-modernità in filosofia ed estetica, si chiama "Les Immatèriaux". La definizione di materia è rimessa in questione dal digitale e si apre un terreno di indagine ancora oggi vivo per ristabilire gli esatti confini dei concetti di materiale e immateriale.''
 +
''Quella di Lyotard fu una manifestazione di grande impatto culturale avvenuta nel 1985, presso il Centre national d’art et de culture Georges Pompidou, avente come titolo Les immateriaux. Per immaterialie Lyotard intendeva pure irrealtà virtuali: visioni impalpabili di paesaggi, figure, eventi e linguaggi senza materia o corpi fisici, prodotti da strumenti approntati dalle tecno-scienze. Poi, materializzatisi in prodotti di massa sul mercato, è fatale  il loro rovesciamento in strumenti di distruzione di vita.''
 +
''Si trattava di una presa di coscienza, di una denuncia altamente culturale e dimostrativamente scientifica dell’avvenuta fine del Moderno ad opera dell’avvento sulla scena del mondo di una nuova e potente post-modernità, che ormai si respirava nell’aria di tutte le arti e di tutte le risultanze della scienza e della filosofia. Il termine Post-Modern – che pure aveva dato luogo in America e, di rimbalzo, nelle manifestazioni artistiche e culturali europee, a non poche dubitabili interpretazioni costruttive – segnò tuttavia, indubbiamente, il senso di un passaggio d’epoca tale, da individuarvi un’importante e decisiva svolta storica per i destini dell’intero consorzio umano. Tra un nugolo di artisti, di scienziati e di filosofi, il filosofo Jean-François Lyotard (filosofo del post-modernismo) era il principale autore, quale membro della complessa Manifestazione parigina.''
 +
''Va quindi tenuto in gran conto il tentativo del filosofo francese, Jean Francois Lyotard, che al 4° piano del Centre Pompidou allestiva una mostra dedicata a "Les Immateriaux" per descrivere la crisi delle forme di possesso e controllo sui materiali della vita quotidiana. In scena, questa volta non era la nostalgia per la città storica, ma il paesaggio suburbano contemporaneo che invadeva sonoramente il grande open space del Beaubourg: ci si muoveva dotati di cuffie che si sintonizzavano di volta in volta sulla fonte sonora più vicina, attraversando zone di brusio, sovrapposizione, improvvisi rapidi silenzi. Come quando, scriveva Lyotard: "..in macchina, per diverse centinaia di chilometri si attraversa una zona di conurbazione...Non si tratta né di città, né di campagna, né di deserto...bisogna regolare più volte il sintonizzatore della macchina, poiché si cambia di continuo la stazione di emissione. Si è dentro una nebulosa, ove i materiali sono stati meta-stabili di un’energia. Le strade, i viali, sono solo facciate. Le informazioni circolano per irradiazioni e interfacce invisibili...".''
 +
''"Les Immateriaux", è il nome di questa mostra del 1984 del filosofo francese, Jean-Francis Lyotard avvenuta a Parigi. Nello spazio del Museo furono introdotte le varie forme dell'immateriale: non soltanto la luce, l'energia ed i calcolatori, ma le immagini microscopiche delle fibre chimiche, così come i dati del mercato azionario, come riferimento alle correnti invisibili di soldi e delle merci. L'intenzione della mostra era indicare che la vita di tutti i giorni si basa sempre più sul concetto filosofico e sulla via chimica e fisica della  "dissoluzione della materia". Questo sviluppo, verso "l’essere senza materia" è accelerato tramite la distribuzione crescente dei mezzi digitali: la realtà sempre più è sostituita dai mondi virtuali e dal Cyberspace, in cui le stanze, le cose ed i corpi compaiono soltanto a de-materializzare il senso delle cose e del mondo.''  
  
  

Versione attuale delle 23:11, 23 Gen 2015

Les Immateriaux, 1985, Centro Georges Pompidou di Parigi

Titolo:

Les Immatériaux

Autore:

Jean–Francois Lyotard, Thierry Caput con testi di autori vari.

Tratto da:

frammenti dal catalogo della rassegna "Les Immatériaux" tenutasi al Centre national d'art et de culture Georges Pompidou di Parigi.

Tradotto da:

Alessandro Pasquali

Anno:

1985


Alla metà degli anni 80 una grossa mostra al Beaubourg di Parigi, progettata dal filosofo francese Lyotard, noto per aver definito tra i primi il concetto di post-modernità in filosofia ed estetica, si chiama "Les Immatèriaux". La definizione di materia è rimessa in questione dal digitale e si apre un terreno di indagine ancora oggi vivo per ristabilire gli esatti confini dei concetti di materiale e immateriale. Quella di Lyotard fu una manifestazione di grande impatto culturale avvenuta nel 1985, presso il Centre national d’art et de culture Georges Pompidou, avente come titolo Les immateriaux. Per immaterialie Lyotard intendeva pure irrealtà virtuali: visioni impalpabili di paesaggi, figure, eventi e linguaggi senza materia o corpi fisici, prodotti da strumenti approntati dalle tecno-scienze. Poi, materializzatisi in prodotti di massa sul mercato, è fatale il loro rovesciamento in strumenti di distruzione di vita. Si trattava di una presa di coscienza, di una denuncia altamente culturale e dimostrativamente scientifica dell’avvenuta fine del Moderno ad opera dell’avvento sulla scena del mondo di una nuova e potente post-modernità, che ormai si respirava nell’aria di tutte le arti e di tutte le risultanze della scienza e della filosofia. Il termine Post-Modern – che pure aveva dato luogo in America e, di rimbalzo, nelle manifestazioni artistiche e culturali europee, a non poche dubitabili interpretazioni costruttive – segnò tuttavia, indubbiamente, il senso di un passaggio d’epoca tale, da individuarvi un’importante e decisiva svolta storica per i destini dell’intero consorzio umano. Tra un nugolo di artisti, di scienziati e di filosofi, il filosofo Jean-François Lyotard (filosofo del post-modernismo) era il principale autore, quale membro della complessa Manifestazione parigina. Va quindi tenuto in gran conto il tentativo del filosofo francese, Jean Francois Lyotard, che al 4° piano del Centre Pompidou allestiva una mostra dedicata a "Les Immateriaux" per descrivere la crisi delle forme di possesso e controllo sui materiali della vita quotidiana. In scena, questa volta non era la nostalgia per la città storica, ma il paesaggio suburbano contemporaneo che invadeva sonoramente il grande open space del Beaubourg: ci si muoveva dotati di cuffie che si sintonizzavano di volta in volta sulla fonte sonora più vicina, attraversando zone di brusio, sovrapposizione, improvvisi rapidi silenzi. Come quando, scriveva Lyotard: "..in macchina, per diverse centinaia di chilometri si attraversa una zona di conurbazione...Non si tratta né di città, né di campagna, né di deserto...bisogna regolare più volte il sintonizzatore della macchina, poiché si cambia di continuo la stazione di emissione. Si è dentro una nebulosa, ove i materiali sono stati meta-stabili di un’energia. Le strade, i viali, sono solo facciate. Le informazioni circolano per irradiazioni e interfacce invisibili...". "Les Immateriaux", è il nome di questa mostra del 1984 del filosofo francese, Jean-Francis Lyotard avvenuta a Parigi. Nello spazio del Museo furono introdotte le varie forme dell'immateriale: non soltanto la luce, l'energia ed i calcolatori, ma le immagini microscopiche delle fibre chimiche, così come i dati del mercato azionario, come riferimento alle correnti invisibili di soldi e delle merci. L'intenzione della mostra era indicare che la vita di tutti i giorni si basa sempre più sul concetto filosofico e sulla via chimica e fisica della "dissoluzione della materia". Questo sviluppo, verso "l’essere senza materia" è accelerato tramite la distribuzione crescente dei mezzi digitali: la realtà sempre più è sostituita dai mondi virtuali e dal Cyberspace, in cui le stanze, le cose ed i corpi compaiono soltanto a de-materializzare il senso delle cose e del mondo.




LA RAGIONE DELLE PROVE

Cosa abbiamo fatto? Ci eravamo detti non prefazioni, non articoli di professionisti del catalogo. Molto meglio: che l’oggetto da trattare, gli immateriali, sia introdotto con la riflessione, la scrittura. Dunque al posto di un testo fatto scrivere dall’artista noi abbiamo deciso di proporre a una trentina d’autori, di scrittori, di scienziati, di artisti, di filosofi e di linguisti un piccolo vocabolario degli immateriali, cinquanta parole, pregandoli di commentarle a modo loro, però con certi limiti quantitativi.

Si può vedere, il proposito non era di avere un dizionario, che all’inizio a un solo e stesso termine vengono date trenta definizioni differenti. Sono soprattutto queste differenze che ci interessano, la moltiplicazione dei campi semantici di una parola, l’evidenza della complessità dei significati, ciò che costituisce la rivincita della scrittura e del pensiero nella loro battaglia contro i significati stabiliti dalla lingua.

Noi vogliamo così creare uno studio di divergenze e non, come nel caso di un dizionario (o di un catalogo) un museo di consensi. Noi pensavamo di aggiungere all’inquietudine della scrittura in generale, la manifestazione della paura che s’impadronisce dello scrittore quando immerso nella folla dei suoi contemporanei, anche se fosse solo la piccola folla dei suoi colleghi, vede il suo pensiero esposto all’incomprensione, alla malevolenza, o semplicemente allo choc indifferente di incontri fortuiti.

Infatti, questo studio non simbolizza altro che la prova alla quale è sottoposta la scrittura nella società moderna, questa esperienza nella quale Walter Benjamin riunisce i temi sparsi nel pensiero Budeleriano sui temi della strada, della folla, dell’isolamento, della noia e della stupidità del passante.

Che cosa succederebbe, ci chiediamo se il pensiero e la scrittura si trovassero esposti al pericolo d’interferenze bizzarre, non solamente nel loro stato di opera compiuta ma mentre stanno per formarsi, per nascere?

E’ una proprietà temibile dell’elettronica e dell’informatica quella di far accedere da lontano alle intimità più vicine. I nostri ritiri sono affollati di messaggi. Nell’ andata e ritorno dei flussi d’informazione, i muri che ci proteggevano sono diventati le più povere delle interfacce. Il segreto della scrittura, il va e vieni del testo, mentre si sta costruendo, pre-testi, testi di sostegno, brutte copie, cancellature, scarti del pensiero davanti al ben-conosciuto, come anamnesi necessaria per dissipare possibili pregiudizi, - se anche questo fosse esposto a ciò che si chiama la comunicazione, ci siamo chiesti cosa succederebbe?

Potrebbe essere questa la prova che attende la scrittura nell’età postmoderna. Occorreva che lo studio delle divergenze diventasse un laboratorio dei diversi. Dei micro-computers (elaboratori elettronici) muniti di un software di trattamento del testo sarebbero stati messi a disposizione delle nostre trenta vittime (rimaste ormai solo ventisei). Ognuno di loro avrebbe avuto a disposizione presso di se un Olivetti M20: unità centrale, schermo, doppio lettore di dischetto, unità di collegamento con la rete PTT. Al centro Georges Pompidou un Olivetti M24 avrebbe ricevuto le chiamate degli “autori‿ (tre comunicazioni simultanee al massimo) che avrebbero dovuto inviare il loro testo e avrebbero potuto ricevere da esso quelli dei loro compagni. Una memoria centrale ubicata su un disco di grande capacità avrebbe conservato le cinquanta parole e tutti i commenti che avrebbero suscitato.

Abbiamo quindi stabilito ed inviato agli “autori‿ la regola del seguente gioco:

Posta in gioco Facendovi passare dalla scritta grafica all’affissione elettronica, sondare gli effetti delle nuove macchine sulla formazione del pensiero. 1 – Riceverete un elenco di cinquanta parole relative alla problematica della manifestazione Gli Immateriali; 2 – Date la vostra definizione, da 2 a 10 righe al massimo, sulla carta, di alcune di queste parole minimo da 15 a 20; 3 – Le vostre definizioni, così come quelle degli altri autori, saranno prese e memorizzate; 4 – Accederete a questa memoria tramite una macchina a trattamento di testo messa a vostra disposizione per tutta la durata dell’ esperimento; 5 – La vostra macchina è collegata in rete a quelle degli altri autori; 6 – A partire da questa situazione voi potrete: a) Connettervi per qualsiasi motivo, confutare,completare, modulare, ecc…, alle vostre prime definizioni, cf. n°2; b) Collegandovi con gli altri autori, intervenire da una parte sulle loro definizioni e dall’altra sulle loro connessioni, per qualsiasi motivo; 7 – Ci auguriamo, in particolare, che voi commentiate le modifiche che questa situazione porterà nel vostro esperimento di scrittura.

L’esperimento iniziò a Settembre 1984 e terminò a Dicembre. Ciò che voi state per leggere è il risultato grezzo, corretto solamente dei refusi e degli errori dovuti alla trasmissione. Il risultato, trascritto e videotestato su un centro server, può essere consultato al Centro Georges Pompidou e, dall’esterno, sui videotel della rete PTT, durante la durata dell’esposizione. Un post-scriptum alla fine di questo libro trae alcune conclusioni di queste prove subite dalla scrittura.


Jean- Francois Lyotard Thierry Chaput


POST - SCRIPTUM

Ora tocca a noi essere messi alla prova di questi esperimenti. Privilegiati poiché il nostro commento, giungendo alla fine della partita senza essere sottomesso alla “regola del gioco‿, può prendere l’aspetto di una forma di giudizio preso dall’alto o di un rapporto redatto da lontano. Bisognerebbe anche credere, per imputarci il vantaggio del giudice o dell’esperto, che le idee di lontananza, di altezza, di arresto e di fine, l’opposizione del testo e del commentatore , l’esteriorità del giudicante al giudicato, escano intatti dalle Prove.

Ora, ma c’è da dubitarne, si vedrà. Anche la suddivisione non è facile, negli effetti che proveremo ad enumerare, fra ciò che si può attribuire alla situazione creata dalla nostra esperienza e, forse, una condizione generale fatta oggi alla scrittura, o anche semplicemente la sua condizione. Questo sarebbe l’interesse maggiore delle prove, di procurare un ingrandimento con la lente elettronica ed informatica di un’ alterazione ambientale dell’ attività di scrivere, quasi impossibile da fissare e da svelare senza l’artificio della macchina e della regola del gioco.

Se è così, il presente Post-Scriptum non deve essere letto come un giudizio, né come un bilancio, occorre contarlo con il numero dei testi che lo precedono, collocato nel loro stesso modo, ma alla periferia della zona focale che hanno occupato sotto la lente della nostra macchinazione. Questa rivela un turbamento generale e profondo della scrittura. Proviamo a coglierne alcuni aspetti, senza pretendere di analizzarli.


Materia, materiale.

Va da sé che il supporto imposto agli “autori‿ al posto dei mezzi di scrivere consueti ha modificato il loro modo di scrivere. Per molte ragioni,alcune di circostanza (ma la circostanza, lo ripetiamo, è esemplare), almeno un’altra, di principio. Siccome i nostri utilizzatori di macchine non avevano tutti la stessa familiarità con esse, i software sono stati sviluppati con dei “menù‿ e delle istruzioni accessibili ai principianti. Questa prima circostanza, escludendo una complessità più elevata delle operazioni disponibili, ha ostacolato la scrittura dei più esperti.

Lo “stage‿ di formazione che tutti gli “autori‿ hanno dovuto frequentare, destinato a rimediare in parte a questa disparità di competenze, non ha prodotto i frutti attesi. La ragione di questo mezzo fallimento risiede in una costellazione di variabili difficile da controllare: il tempo impiegato da ognuno di loro, le affinità tra istruttori ed apprendisti, la pedagogia (manuale ed esercizi pratici), l’interesse per acquistare questa competenza, l’inibizione davanti alla macchina e il modo di comandarla, ecc…..

Al di là di questi motivi psicosociologici, la circostanza ha un’altra portata: gli “autori‿ si sono trovati per la maggior parte come bambini costretti ad imparare a scrivere per poter appartenere ad una comunità. Nella fattispecie si tratta di una società ridotta, quella che hanno formato, che si era definita con l’accettazione della nostra regola del gioco. Ma questa infantilizzazione locale e provvisoria simboleggiava molto bene la condizione dell’umanità, soprattutto di quella contemporanea; viene dopo la padronanza degli oggetti sempre più complessi che lo sviluppo tecno-scientifico che non aspetta la richiesta degli esseri umani per proseguire e accelerare, lascia dietro di sé. Il ritardo sulla complessità è ormai il nostro lotto di nascita, e l’affinità con il complesso, mentale e materiale, è già e sarà la garanzia della maturità culturale.

E’ inutile dirsi davanti alla macchina: avrei fatto meglio e più presto a scrivere a mano e a spedire per posta. A questo punto si sarebbe dovuto rinunciare alla scrittura stessa, più lenta e più incerta della parola. Non s’impone perché è comoda, ma complessa. Sta agli esseri umani di adattarsi.

Altri impedimenti dovuti al materiale, non hanno mancato d’intralciare la libertà di scrittura dei nostri “autori‿. Per mancanza di tempo, l’ergonomia del sistema non è stata abbastanza migliorata (non era tecnicamente indispensabile essere costretti a ripassare dal “menù‿ ad ogni operazione, ne introdurre vari dischetti nella macchina). Da ciò dipende una certa viscosità nell’utilizzo dei software, aggravata dalla lentezza di trasmissione (30 caratteri/secondo) del materiale periferico utilizzato (i modem). Il sistema di gestione sotto il quale giravano gli M20 (P.COS) non era quello del M24 (MS.DOS.2.0) che serviva da memoria centrale. Da là l’obbligo di costituire i due software, trattamento del testo e comunicazione. E anche l’impossibilità per l’utilizzatore del M20 di disporre della cronologia di arrivo dei testi dei suoi partner registrata sull’orologio del M24. Infine gli informatici dovettero sviluppare un software di comunicazione che, a differenza dei suoi congeneri di tipo messaggistico, non aveva la funzione di fare comunicare fra di loro gli interlocutori, ma di fare connettere i testi gli uni con gli altri. Ciò che, a quanto sembra, non è senza problemi.

Queste circostanze “tecniche‿ meriterebbero da sole un’analisi dettagliata. Accontentiamoci di segnalare una pertinenza comune, quella del tempo perso dall’utilizzatore. La perdita di tempo può derivare dall’incompetenza dell’utilizzatore, come abbiamo già segnalato. Può darsi anche che la tecnologia messa a sua disposizione non sia adatta alla circostanza, o anche che non si adatti ai fini perseguiti dall’esperimento.

In quest’ultimo caso, si tratterebbe di un ritardo del materiale sulla complessità tecnica richiesta dalla nostra regola del gioco. Si potrebbe allora considerare le prove come un prototipo sperimentale. Alla fine proveremo a dare la sua piena forza a quest’ipotesi. Prima di abbandonare l’ispezione del supporto dell’esperimento della scrittura, bisogna rilevare un disturbo, non più particolareggiato, ma costitutivo, che genera nell’atto di scrivere. Con il nome di supporto si vuole designare il materiale sul quale viene scritto un messaggio. Per esempio un foglio di carta. Nel caso delle prove, il materiale sarà lo schermo catodico della macchina dove vengono scritte le righe del testo chiamato. La differenza fra i due non è solo di una sostanza chimica ad un dispositivo elettronico di restituzione. La carta è soltanto un materiale isolabile; lo schermo è in realtà un elemento in un insieme di materiali d’invio, di trasmissione e di restituzione di messaggi. Scrivendo “sullo schermo‿ si pone già il testo nella rete della circolazione, basterà premere il tasto “Invio‿ per raggiungere il suo indirizzo, o “Richiamo‿ perché si possa leggere o rileggere, che i testi dei partner possano essere inscritti nello stesso quadro; ciò rinforza la stessa evidenza: il materiale, supporto della produzione del messaggio, non è indipendente dal materiale che ne assicura la diffusione.

Questa congiunzione della circolazione con la produzione trova delle analogie nell’economia contemporanea, nel sistema monetario internazionale, nell’interesse dei linguisti per la pragmatica degli “atti del linguaggio‿. Lo scrittore-artista, ossia l’artigiano nobilitato, lasciava sui suoi manoscritti le tracce del suo lavoro, cancellature, inserimenti, inserti, che servivano a lui, o ai suoi decodificatori, per essere indirizzati per rifare lo stesso duro percorso che aveva fatto per arrivare al testo, eventualmente per comprenderlo meglio. Posto davanti alla macchina a trattare il suo testo, prova, a torto o a ragione,che questi riferimenti, questa risorsa del trascurato, gli sono sottratti, che deve presentarsi sulla rete “pulito‿, che il suo testo è “preso‿, leggibile a tutti, appena scritto. Allo scoperto gli manca lo spazio intimo.

Destinatario

La sintesi del materiale con la materia che abbiamo segnalato, raddoppia evidentemente nell’incertezza che colpisce l’‿autore‿ posto nella rete telematica. Invia sicuramente i suoi “propri‿ testi e può così prevalersi di esserne responsabile; ma presso di chi o di che? A chi o a che cosa sono indirizzati? Si sa che la destinazione della scrittura crea dei problemi, e questa non è una novità. Si pensa di sbrogliare la matassa distinguendo nei probabili destinatari il reale, l’immaginario, il simbolico: il “bersaglio‿ che mira il fornitore d’informazioni o di show-biz, il suo pubblico; il destinatario dell’opera letteraria, artistica, anche scientifica, “senza il quale sarebbe stata impossibile‿, la ninfa Egeria, il papà, o il destinatario fittizio nelle opere di finzione: infine l’innominabile, la legge se si vuole, che richiede piuttosto di scrivere che di tacere. La distinzione sembra facile tra gli altri, l’altra e l’Altra, è difficile da fare quando si vuole troncare il caso.

In queste prove, la destinazione della scrittura rimane improbabile. Si rivolgerebbe al pubblico se si fosse certi che il risultato del lavoro di molti debba diventare un libro,uno scritto finito, destinato a soddisfare od a suscitare interesse nei lettori, e messo a loro disposizione da una rete di diffusione e di distribuzione. Qui i lettori sono innanzi tutto i co-“autori‿, la prima diffusione è telematica, e nel loro intimo, ognuno degli “autori‿ dubita che il risultato delle loro prove diventi uno scritto finito, pubblicabile, distribuibile, leggibile, interessante per chiunque.

Si rivolge verso i suoi partner, fa di alcuni di loro i suoi interlocutori. Il suo testo può prendere allora la forma di un indirizzo, di una lettera, adottare il modo della corrispondenza. Confortato di trovare qualcuno, nella tessitura allentata e confusa della rete, a cui rispondere e che risponde. Dei settori di corrispondenza s’instaurano nella galassia. Sono però pochi, effimeri, incerti. Più sicura per alcuni “autori‿, sembra la soluzione d’insegnare, che equivale a istituirsi depositario di una conoscenza e decidere che il destinatario sia degno che gli sia trasmessa. Il testo diventa lezione; il genere pedagogico. Ci ritorneremo sopra.

Il rimedio più frequente all’ansia di sapere a chi dare ciò che si è scritto, sembrerebbe di fare se stesso destinatario, come in un diario. Il paradosso è che le pagine-schermo del preteso giornale devono, era la regola del gioco, essere inviate per sequestro alla memoria centrale, che è collettiva, senza che si sappia del resto chi le chiamerà nella rete. L’intimità è così destinata alla pubblicità e in modo aleatorio. Non può quindi che essere finta, deve rendersi interessante. Il pubblico entra nel privato, la singolarità del contenuto si dilegua sotto lo sguardo collettivo.E’ con l’ostentazione della sua forma, del suo tono, che la scrittura può manifestare un’intimità, mostrando che nasconde, senza dire cosa. Riassumendo, le Prove evidenziano un difetto di destinazione che crediamo di esempio. La modernità all’inizio ha tentato di non riconoscerlo perché credeva in uno spazio pubblico, in una comunità di gusto, d’interesse speculativo o cognitivo, di progetto pratico. Se l’esperienza ha rivelato qualche tratto comune, è una sensibilità a ciò che non è comune, alla singolarità, alla differenza. Connessi a una stessa rete, esposti su degli schermi simili, i testi si sforzano con la scrittura, nella rivalità, verso l’incommensurabile. Così forse siamo noi: insieme soli. Noi?


Autore

Se è vero che la provenienza e l’indirizzo dei messaggi tendono a ripiegarsi uno sull’altro, è arbitrario esaminare a parte la prova alla quale è stato sottoposto l’autore in quanto tale. E’ pertanto il proprio statuto, l’autorità, che è più visibilmente provato nelle Prove. Un lamento si fa sentire da una parte all’altra, a volte sordo, a volte stridulo: siamo presi in gioco. Supporti, collegamenti, temi, tempi, tutto ci è imposto, ma ci lasciano liberi di scrivere “ciò che ci piace‿, i contenuti sembrano di poco peso in confronto alla costrizioni che sfruttano la loro produzione. La padronanza dell’autore sul suo scritto sembra illusoria. L’improprietà, l’appropriazione impossibile è irrimediabile. Con essa, un’angoscia per la responsabilità; più profonda ancora per la probità della scrittura. Da questa situazione minacciosa, alcuni “autori‿, forse tutti in alcuni momenti, ne traggono profitto.

“Ebbene giochiamo!‿, si dicono. Da questo rovesciamento risultano dei testi di libera associazione, d’immaginazione vagabonda, di pensieri “per vedere‿ dove l’abbandono consentito dalle regole abituali, che assicurano l’unità di genere, di tono, di tema, dà corso ad una felicità, a “delle felicità‿, di scrittura. La nostra regola del gioco opera come un’assiomatica.

Si ha la nostalgia di una scrittura,di un pensiero che avrebbe la sua ragione di esistere in una esigenza ontologica, ma questo desinserimento libera l’inventiva. Al nobile statuto di autore, alla sua autorità ed alla sua autorizzazione, si sostituiscono i modi familiari del contratto: la responsabilità del contratto è limitata, l’impegno è temporaneo, porta su un prodotto definito, dei ricorsi sono previsti in caso di rottura. Tutti i giochi sono sotto contratto, le nostre Prove, che sono anche sportive, danno un premio al buon giocatore; l’alea vi è inclusa come un rischio da correre.

Questa conversione dell’angoscia in gioia, che è anche uno spostamento del tragico della scrittura in humour, s’inscrive in una tradizione “artificialista‿ in letteratura ed in arte, Raymond Roussel , Marcel Duchamp. La nostra messa in rete telematica la ravviva. La regola del gioco non è stata certamente assunta da tutti e sempre con questo spirito. C’è stato chi la respinta, chi gli ha opposto il silenzio, un’avarizia di scrittura, la collera contro i maestri del gioco, un sospetto mescolato a curiosità verso le “Dame Pompidou‿ (i responsabili dell’operazione qui al centro hanno ricevuto richiesta d’aiuto, domande di spiegazioni, insulti, recriminazioni, per un periodo di due mesi, ininterrottamente). Questi disordini succedono senza dubbio sempre luogo quando bisogna scrivere. La lente crescente della nostra esperienza li ha se non suscitati per lo meno esibiti.

Per ritornare alla situazione contrattuale e alla serietà del gioco, ci sembra che a loro è dovuta la varietà notevole,nel modo o nel tono dei testi assemblati. Le nostre regole trattando solo la pragmatica della scrittura, la sintassi, il lessico,il genere degli scritti rimanevano libere. Ognuno ha seguito la sua strada. I professionisti della scrittura, letterati, filosofi, hanno preso spesso deliberatamente la posizione di scrivere in maniera forte (il conte, il distico, la sentenza, l’osservazione) e di rimanerci. Il procedimento permette di rifarsi un contegno; oppone la sua impassibilità di convenzione ai disordini della rete. L’autore ci si ritrova, firma così la sua opera e l’approva. Ma anche si isola, trascura i suoi destinatari attuali che sono i suoi partner, ha orecchie solo per la consonanza dei suoi testi elettronici con l’insieme dei suoi scritti stampati. Si può così tradire la regola del gioco rispettandola.

Diremo altrettanto, mutatis mutandis, della risoluzione presa da altri,di cultura piuttosto scientifica di attenersi al genere spiegativo. Sembra più modesta e più conforme alla regola del gioco, poiché la collega al senso delle parole proposte e si preoccupa di farsi sentire dall’eventuale destinatario.

Discerniamo pertanto un mezzo per l’autore in sconfitta di restaurare l’immagine di una padronanza almeno didattica. La questione posta dalle prove al destinatario dei testi è dunque stata quella della probità,che è doppia e contraddittoria. La probità nei confronti del contratto istituito dalla regola del gioco è incompatibile con l’approvazione del testo da parte dell’autore, che è anche un’approvazione dell’autore per il testo. Quando queste ultime sono richieste e confermate, è a discapito del contratto, disapprovandolo. Questa contraddizione fa sì che tutto il testo delle Prove è improbabile. Non si saprebbe dire chi ne è l’autore, fra quelli che singolarmente hanno firmato ogni frammento, o della regola di generazione e di diffusione alla quale, bene o male, hanno ubbidito firmandola. Forse è questa, dopo tutto, l’incertezza che pesa su ogni maternità, soprattutto in questi tempi in cui le scienze e le tecnologie obbligano a riscrivere il diritto di proprietà sui bambini e sulle opere.


Scrittura

Non diremo quasi niente qui del referente, della “materia‿ dei testi delle Prove, gli “immateriali‿. Ci importava solo per gli effetti di scrittura che poteva indurre. Era, si sa, circoscritto da un elenco di parole. Ma il commento di queste era lasciato alla fantasia degli “autori‿. Non era richiesto di definire questi termini, come in un lessico o un dizionario, ne di spiegarli, come in un trattato, un’enciclopedia, uno studio sapiente.

Ci si poteva aspettare che il risultato di una tale licenza formasse una specie di puzzle, di patchwork, di collage. Non è proprio così. Ci vediamo piuttosto una specie di raccolta di opinioni relative ad uno stesso insieme di termini, ma scritte in generi e stili eterogenei. Dunque un’antologia doxografica, che sarebbe anche una satira, nel vecchio senso latino di insalata. O, se si preferisce, un volume tratto dalla biblioteca borghese di Babel, una delle opere dove tutto il contenuto della biblioteca è rappresentato in miniatura. Proiezione a scala ridotta della galassia dei messaggi dentro la quale “noi‿ vaghiamo.

Un’ultima parola sulla scrittura, che fa ritorno su ciò che avevamo suggerito a proposito del suo destinatario. Che la messa in comunicazione per mezzo della rete telematica genera o rivela una difficile separazione, che sia dovuta a dei cedimenti, circostanziali o no, delle tecniche, o alla crescente complessità delle condizioni di lavoro, o che al contrario, non fa che rivelare una solitudine e uno spossamento davanti alla scrittura così sentiti, ma anche così costanti di quelli che accompagnano l’attesa della morte, - non possiamo decidere noi.

Noteremo solamente questo: tagliando contro filo, per così dire, nella diversità dei toni, degli stili, dei generi, attraversando le memorie, le immaginazioni, le spiegazioni, le generosità degli “autori‿, si osserva una sorta di linea di divisione delle scritture. L’alternativa che traccia non procede da una dualità delle culture, una tecnoscientifica, l’altra “letteraria‿, che spinge in effetti il testo tanto a favore della nostra esperienza, quanto al suo contrario. No, la linea che riga la nuvola degli scritti la taglia piuttosto al filo della questione: a chi, a cosa è dovuta la scrittura?

Ci sembra che alcuni “autori‿ si servono della scrittura, ed altri al contrario si mettono, si trovano al suo servizio. I primi sono i suoi utilizzatori, i secondi ci sono richiesti. Non è nemmeno sicuro che l’opposizione sia tra delle persone. Sotto lo stesso nome, l’una e l’altra posizione, nel senso forte, possono sopraggiungere in momenti differenti. Si notano dai diversi aspetti che hanno per la parola, la frase, il ritmo, il timbro, l’intensità.

Partendo da questa impressione, ci piacerebbe suggerire la seguente contraddizione: le tecnologie del linguaggio presuppongono che il linguaggio sia uno strumento di comunicazione tra utilizzatori.

La scrittura è quindi destinata alla trasparenza del messaggio, al trasporto dell’informazione senza perdite. Il valore del messaggio si misura dal suo tenore in informazione, e l’informazione è in proporzione inversa alla distribuzione più probabile. Tutto spinge così verso la semplificazione dei linguaggi, l’univocità dei messaggi, l’accessibilità dei codici, per una maggiore comodità degli utilizzatori.

Pertanto, queste stesse tecnologie che sono solo all’inizio, si sforzano e si sforzeranno a fare gioco uguale con la complessità estrema delle lingue naturali, la “polisemia‿ delle frasi che si dicono, la loro infinita potenza di combinazioni, la molteplicità delle vie attraverso le quali trasferiscono il senso dal “destinatore‿ al destinatario. Le macchine del linguaggio dovranno essere più complesse per competere con questi organismi senza uguali, forse i più sofisticati e i più improbabili che siano stati selezionati nel cosmo, che sono i linguaggi premacchine. Il rispetto della loro complessità, l’ascolto di ciò che possono fare, la passione di attualizzare le prestazioni di cui sono capaci ma che restano in potenza, in breve il servizio della scrittura, si rivelano allora, malgrado la loro connotazione di umanesimo in disuso, più profittabili al destino di complessità che è quello della specie umana, che non la richiesta di facile comunicazione.

La scrittura, se si vede come lavoro di complicare tutto forse non è dovuta agli umani, ma questi dovuti a questo compito. Questo sarebbe il vero motivo di queste Prove.


Elisabeth Gad, Jean-Francois Lyotard, Chantal Noel, Nicole Toutcheff, febbraio 1985.


FRAMMENTI

BORI. 049 (5 Ottobre)

Composizione di due movimenti in apparenza antagonisti. Da una parte: trasferimento verso l’astrazione dei sistemi di rappresentazione per costituire dei “dati‿, che non potranno essere sottomessi a delle operazioni intellettuali che per questo secondo movimento abbiano subito una materializzazione elettronica. Dematerialismo dialettico? (VEDERE RISPOSTE GUIL. 101, BALE. 050)


BUCI. 071 (8 Ottobre)

La materia non è più ciò che era ….. sotto l’effetto delle scienze e delle tecniche, essa ha perduto i suoi criteri classici di identificazione: materia solida, materialità dei componenti, spazio e tempo fissi, stabilità dei supporti, realtà in sé conoscibile. Materia–onda, materia–flusso, materia-energia o materia-linguaggio e interazione: la “smaterializzazione‿ non è altro che una parola-programma per costituire “questo materialismo della materia (…) formato dall’enorme pluralità delle materie differenti‿ di cui parlava Bachelard. L’uomo non è più qui il soggetto ma il beneficiario. (VEDERE RISPOSTA BALE. 050)


CASS. 043 (8 Ottobre)

Per la sola virtù dell’uso operativo dedottivo, la materia si smaterializza e la luce si sostantivizza. La teoria approda alle rive delle essenze: essenza invisibile della luce e mistero e di ciò che c’è di non sostanziale nell’oggetto. La notte, è il giorno visto da dietro.


LATO 101 (9 Ottobre)

Non molto tempo fa, si poteva ancora opporre il materiale al logico, la materia allo spirito. La generalizzazione dell’elettronica ha reso tutta la forma spirituale tanto materiale quanto la sua vicina: essa si conta in bytes, essa è informazione, fa parte di un’economia del segno; ma, inversamente, tutti i mestieri dell’immagine, del testo, del segno, sono diventati tutti ugualmente immateriali. Questo luogo comune è esattamente ciò che la vecchia teologia chiamava un “corpo glorioso‿, un intermediario tra il nostro vecchio corpo terreno e il nostro futuro corpo celeste. (VEDERE RISPOSTE GUIL.101, BALE. 050)


PASS. 114 (9 Ottobre)

E’ sicuramente un modo enfatico quello di dire: non si è in un ciclotrone. L’esistenza e il senso non si sottraggono come questo alla materia, semplicemente facendone del materiale più piccolo, più fine, più soft, più post-industriale. Senza contare che, come nel cinema porno, si deve proprio perdere qualcosa rinunciando all’ hard. (VEDERE RISPOSTE GUIL. 101, BALE. 050, PASS. 131)

RECA. 134 (9 Ottobre)


Si è dematerializzato il sintomo clinico, lo si è spiritualizzato con le nozioni di “malattia psicosomatica‿, di “effetto placebo‿, ecc.. Oggi si rimaterializza: si scopre, per esempio, il supporto chimico dell’effetto placebo. Prima si ammetteva la realtà fisica del sintomo, ma gli si attribuiva una causa mentale, non fisica; ora, non si è più così sicuri che la “causa mentale‿ non sia essa stessa un processo fisico come gli altri. Domanda interessante: dopo questo doppio movimento di materializzazione e rimaterializzazione, ci si ritrova al punto di partenza? Io non lo credo. (VEDERE RISPOSTE GUIL.101, BALE. 050)


SPER. 163 (10 Ottobre)

Letteralmente: annientamento. Figurativamente: rimpiazzo di un supporto materiale con un altro, generalmente meno solido o meno palpabile. (VEDERE RISPOSTE GUIL. 101, BALE. 080)


ROSE. 181 (25 Ottobre)

Il materiale impone ai nostri umori la sua debolezza, stanco di obbedire a così tante leggi fisiche. Ma presto noi saremo vendicati da un giustiziere immateriale: L’uccisore Logico. Il materiale è fabbricato in grappoli di esemplari identici. L’uccisore Logico lo ispeziona: lo paralizza, disconnette, imbriglia o sottilizza le copie deboli. Perdura una razza pura (…). (VEDERE RISPOSTA BALE. 050).


GUIL. 101 (16 Dicembrs)

Poca reazione su questa parola che, pertanto, riassume l’essenziale dell’esperienza alla quale siamo stati invitati. Non si potrebbe almeno pretendere che la dematerializzazione non esista? Anche il pensiero implica un supporto materiale, all’altezza della sua produzione: dei connettori elettrici; non è ciò che registrano gli elettro-encefalogrammi? Dematerializzare significherebbe solamente rimpicciolire infinitamente? Non ci sarebbe stata una differenza di grado tra hard-ware e soft-ware? Altro aspetto della dematerializzazione: si accompagna necessariamente a una rimaterializzazione che la rende possibile. Niente soft senza hard-ware. E’ la stessa cosa per il corpo, questo “live-ware‿ che mescola inestricabilmente l’hard e il soft. Può essere per questo che la memoria è incerta e ciò la rende più confortevole di queste memorie artificiali che cancellano repentinamente, irrimediabilmente.