Mohr Manfred

Tratto da EduEDA
Jump to: navigation, search
Mohr.jpg











==Titolo== Mohr Manfred


Biografia

Manfred Mohr (nato nel 1938 a Pforzheim, Germania) comincia come un “action painter” e musicista jazz fintanto che non si avvicina al computer. Il nuovo mezzo gli fa capire che il suo vero interesse è il Costruttivismo. Lavora per venti anni a Parigi in cui realizza uno studio e dal 1971 lavora anche a New York. Il suo primo lavoro al computer è stato una naturale transizione dai suoi dipinti, e dall’influenza musicale che si nota nel ritmo e nella ripetizione. Questa graduale esplorazione ha dato modo ad una coerente serie di lavori di condurlo alle proiezioni fratturare di “hypercubes” a n dimensioni. I lavori di Mohr sono collezionati al Centre Pompidou di Parigi; il Joseph Albers Museum; il Ludwig Museum di Cologne; Museum of Concrete Art di Ingolstadt, Germania; il Kunstmuseum Stuttgart; Musée d’Art Contemporain e Musée des Beaux-Arts di Montreal; il Stedelijk Museum; Musée de l’Elysée di Losanna; e molti altri. Mohr ha avuto numerose mostre personali sia in musei che in gallerie in New York, Zurigo, Cologne, Parigi, Amsterdam, Stoccarda, Berlino, Montreal, San Paolo, e Seoul. Ha anche partecipato a esibizioni di gruppo alla Galleria Leo Castelli ed al Museum of Modern Art di New York. Mohr ha ricevuto un New York Foundation per l’Arts Fellowship, un Golden Nica dall’Ars Electronica ed il Camille Graesser-Preis a Zurigo. Nel 1994, una monografia sul suo lavoro è stata pubblicata dalla Waser Verlag in Svizzera.

Sito web


Poetica

Manfred Mohr ha spiegato che l’origine della sua arte è “l’invenzione e lo sviluppo sistematico di segni bi-dimensionali”. Il computer è il mezzo perfetto per le sue indagini concettuali ed inizia a sperimentarlo dal 1969. In quel anno assieme ad un gruppo di altri dieci elementi, incluso Hervé Huitric, fonda il seminario “Art et Information” all’Università Di Vincenne a Parigi. Il loro interesse primario è di esplorare le potenzialità del computer come mezzo artistico vitale (o autosufficiente). Solo due anni dopo si ha la prima mostra personale di computer grafica di Mohr all’A-R-C (Arte, Ricerca, Confronto), sezione del museo d’arte moderna della città di Parigi, che è stata la prima mostra di computer art organizzata da un museo dedicata ad un solo artista. Come parte dell’installazione, Mohr ha esibito un computer ed un plotter in modo che i visitatori potessero vedere come le macchine eseguivano i suoi disegni. Questa mostra ha richiamato l’attenzione e la curiosità di visitatori giovani e vecchi e le loro impressioni sono state raccolte in un questionario che l’artista ha appeso sul muro della galleria: “Che cosa pensi dell’arte fatta con un computer?” Mohr crea tutta la sua arte attraverso uscite dirette dal plotter e con l’assistenza del computer. La sua tavolozza è limitata al bianco e nero in modo che il colore non ostruisca il contenuto del suo vocabolario minimalista, esclusivo e lineare. Dal 1973 gli elementi base del suo linguaggio artistico diventano costantemente sistemi di cubi. La semplice combinazione di segni dimostra il suo interesse per i risultati propri dei processi di calcolo del computer più che per i risultati formali dell’opera nel senso tradizionale. Per Mohr la cosa fondamentale non sono le grafiche isolate, bensì l’insieme delle relazioni probabilistiche che si manifestano in una serie di costruzioni e strutture estetiche. L’artista esprime la consapevolezza di una contraddizione di base: “il paradosso del mio lavoro generativo è che il modo della forma (form-wise) è minimalista ed il modo del contenuto (content-wise) è massimalista”. La capacità del computer di stimolare la sua immaginazione risulta in quello che Mohr chiama “pensiero visivo ad alta velocità”. Le sue composizioni iniziano con la semplice forma di un cubo, tuttavia, è apparentemente in grado di generare delle variazioni infinite della sua forma fondamentale attraverso l’uso di diversi programmi, ciascuno dei quali prende il cubo come punto di partenza e poi lo trasforma distorcendo le sue linee in molte configurazioni diverse. A dispetto delle restrizioni che Mohr si è auto-imposto, le forme cubiche prodotte dai suoi programmi sono enormemente varie in composizione e stile. In aggiunta al suo puntellamento filosofico, c’è necessariamente, in tutto il suo lavoro, una base matematica rigorosa che non gioca un ruolo costrittivo dell’interesse visivo. A partire dal 1999 il lavoro di Mohr va verso l’incorporazione del colore, egli stesso ci spiega il motivo di questo nuovo elemento nella sua opera: “Dopo aver lavorato per più di tre decadi in bianco e nero, il mio nuovo lavoro “workphase space.color” include il colore. L’aumento costante della complessità nel mio lavoro mi ha forzato a riconsiderare l’uso del sistema binario del bianco e nero per trovare un’espressione visuale più adeguata. L’aggiunta del colore al mio lavoro descrive le relazioni spaziali che esistono tra le forme, non si basa su nessuna teoria del colore. I colori devono considerarsi come elementi posti a caso, dimostrando con la loro differenziazione la complessità e l’ambiguità spaziale essenziali nel mio lavoro. Il mio nuovo lavoro si plasma come immagini ad iniezione di inchiostro”. “Workphase space.color” si basa sugli “ hypercube” a sei dimensioni. È interessante osservare che solo per ragioni aleatorie ogni forma acquisisce un determinato colore. Al computer si concede la decisione non solo dei volumi, delle disposizioni, delle prospettive e delle forme, ma anche di un elemento, non tanto proprio del mezzo processuale, come il colore. Mohr crede che il lavoro di creazione concordi con gli algoritmi, ossia con l’insieme di regole operative che permettono di effettuare un calcolo. Esaminando le sue opere l’artista afferma che in esse scopre costanti sintattiche elementari in cui si trovano linee sinuose, rette o angoli che seguono movimenti di retrocessione e di avanzamento orizzontale sia verso l’alto e verso il basso. L’artista usa il computer per realizzare tutte le rappresentazioni possibili dei propri algoritmi.


Opere

  • P-300B, 1980
Mohr1.jpg

P-300B rappresenta i contorni della superficie di un poligono e P-304B le linee interne. “Per ciascun esempio dal plotter nel P-304B, le posizioni dei quadranti sinistro superiore e destro superiore sono costanti, e le posizioni degli altri due quadranti è stata determinata dal girare il quadrante superiore sinistro di 5° in senso orario ed il quadrante superiore destro di 5° in senso antiorario. Ciascun disegno del poligono rappresenta solo una delle possibili rotazioni del cubo. Mohr utilizza le incomparabili capacità del computer di generare rapidamente composizioni multiple.









  • P-304B, 1980
Mohr2.jpg















  • Scratch Code Portfolio (detail), 1974-76
    Mohr3.jpg

L’illusione di cubi a 3D è evocate proiettando un set di 12 linee diritte sul piano da disegno 2D. Mohr dissolve il 3D togliendo via consecutivamente parti del bordo dei cubi ed osserva l’apparire di nuove, bidimensionali icone. In oltre introduce rotazione e trasformazioni dei cubi per creare ambiguità ed instabilità visiva. La dinamica di questo processo e la sua invenzione visiva sono esplorate sistematicamente, e ciascun risultato è disegnato come parte di un gruppo di immagini rappresentando il set completo delle combinazioni. Mohr scrive: “Dal 1973, nella mia ricerca, mi sono concentrato sul fratturare la simmetria di un cubo (compresi anche, dal 1978, gli ipercubi n-dimensionali), usando la struttura del cubo come un “sistema”, un “alfabeto”. La turbativa o disgregazione della simmetria è la generatrice basilare delle nuove costruzioni e relazioni”.








Bibliografia

  • Cynthia Goodman (1987), Digital Visions Computers and Art, New York, Harry N. Abrams.


Webliografia