Mostra al Jewish Museum 1970: differenze tra le versioni

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Mostra al Jewish Museum, 1970
 
Mostra al Jewish Museum, 1970
  
'''Documentazione dei progetti di [[Nelson H. Theodore|Theodore H. Nelson]],  [[Architecture Machine Group]] e [[Levine Les|Les Levine]]'''
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'''Documentazione dei progetti di [[Nelson Theodore H.|Theodore Nelson H.]],  [[Architecture Machine Group]] e [[Levine Les|Les Levine]]'''
  
 
== '''Introduzione''' ==
 
== '''Introduzione''' ==
  
Alla mostra ''Software'' del 1970, organizzata da Jack Burnham, i visitatori furono invitati a fare qualcosa di estremamente strano: far funzionare dei computers. L’esibizione introdusse gli artisti in una importante dimensione di calcolo, proprio dal momento in cui si soffriva dei problemi tecnici dello stesso genere di quelli che ancora oggi affliggono coloro che utilizzano ordinariamente il computer. Edward Shanken, uno storico dell’arte dell’Università di Duke, osserva come da molti punti di vista la cosa sia stata : molte delle parole controllate dal computer (un PDP-8) non funzionarono per un mese dopo l’inizio della mostra, i gerbilli che fecero parte della Seek si attaccarono l’un l’altro, un'esibizione al Smithsonian Institution fu cancellata, e la performance provocò una crisi finanziaria per il museo e conseguentemente le dimissioni del direttore Karl Kats. Queste difficoltà non impedirono a Software di avere un’influenza sugli artisti, i tecnologi, i teorici, e il pubblico. Tale influenza venne sentita da una parte attraverso i pezzi messi in risalto – che vanno dai manufatti tecnologici ai pezzi concettuali – dall’altra attraverso la sottostante visione dell’arte che indusse Software a compiere delle scelte fortemente divergenti da quelle già affrontate nelle specializzazioni tecnologiche e nelle esibizioni artistiche che la precedettero.
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Alla mostra ''Software'' del 1970, organizzata da Jack Burnham, i visitatori furono invitati a fare qualcosa di estremamente strano: far funzionare dei computers. L’esibizione introdusse gli artisti in una importante dimensione di calcolo, proprio dal momento in cui si soffriva dei problemi tecnici dello stesso genere di quelli che ancora oggi affliggono coloro che utilizzano ordinariamente il computer. Edward Shanken, uno storico dell’arte dell’Università di Duke, osserva come da molti punti di vista la cosa sia stata "un disastro": molte delle parole controllate dal computer (un PDP-8) non funzionarono per un mese dopo l’inizio della mostra, i gerbilli che fecero parte della Seek si attaccarono l’un l’altro, un'esibizione al Smithsonian Institution fu cancellata, e la performance provocò una crisi finanziaria per il museo e conseguentemente le dimissioni del direttore Karl Kats. Queste difficoltà non impedirono a Software di avere un’influenza sugli artisti, i tecnologi, i teorici, e il pubblico. Tale influenza venne sentita da una parte attraverso i pezzi messi in risalto – che vanno dai manufatti tecnologici ai pezzi concettuali – dall’altra attraverso la sottostante visione dell’arte che indusse Software a compiere delle scelte fortemente divergenti da quelle già affrontate nelle specializzazioni tecnologiche e nelle esibizioni artistiche che la precedettero.
La mostra ebbe un catalogo di Ted Nelson intitolato Labyrinth,che Nelson dichiarò essere il primo ipertesto accessibile al pubblico. Un altro partecipante fu Nicholas Negroponte. L’Architecture Machine Group da lui diretto diede il proprio contributo con Seek (messo in risalto sulla copertina del catalogo di Software), che ospitò il summenzionato violento gerbillo in un ambiente di scatoloni metallici. Questi scatoloni erano così leggeri da essere riassestati dal movimento del gerbillo. Seek reagì alle modificazioni dei gerbilli accatastando gli scatoloni in più versioni derivanti dal movimento del gerbillo, utilizzando un elettromagnete in movimento. Per ciascun gruppo di osservatori i gerbilli e il braccio robotico sembravano dare forma ad un prototipo di circuito cibernetico: vi era un’immagine animata di una macchina che faceva attenzione alle preferenze espresse dai gerbilli e poi completava e dava loro una forma dentro nuove, piacevoli strutture. Altri colsero in Seek l’immagine del lato meno buono dell’interazione uomo-computer e le sue possibilità future. Come Ted Nelson scrisse in  Dream Machines ''“Ricordo di aver osservato ciascun gerbillo mentre stava immobile sulle sue piccole gambe da canguro, sottili come stecchi di fiammifero; di aver visto un grandioso corpo a corpo per risistemare il mondo. I gerbilli sono qualcosa di in scrutabile, ma mi sono reso conto che lui era in sua adorazione, e non si mosse fin quando lo scatolone iniziò a scendere sopra di ''.
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La mostra ebbe un catalogo di Ted Nelson intitolato Labyrinth,che Nelson dichiarò essere il primo ipertesto accessibile al pubblico. Un altro partecipante fu Nicholas Negroponte. L’Architecture Machine Group da lui diretto diede il proprio contributo con Seek (messo in risalto sulla copertina del catalogo di Software), che ospitò il summenzionato violento gerbillo in un ambiente di scatoloni metallici. Questi scatoloni erano così leggeri da essere riassestati dal movimento del gerbillo. Seek reagì alle modificazioni dei gerbilli accatastando gli scatoloni in più versioni derivanti dal movimento del gerbillo, utilizzando un elettromagnete in movimento. Per ciascun gruppo di osservatori i gerbilli e il braccio robotico sembravano dare forma ad un prototipo di circuito cibernetico: vi era un’immagine animata di una macchina che faceva attenzione alle preferenze espresse dai gerbilli e poi completava e dava loro una forma dentro nuove, piacevoli strutture. Altri colsero in Seek l’immagine del lato meno buono dell’interazione uomo-computer e le sue possibilità future. Come Ted Nelson scrisse in  Dream Machines ''"Ricordo di aver osservato ciascun gerbillo mentre stava immobile sulle sue piccole gambe da canguro, sottili come stecchi di fiammifero; di aver visto un grandioso corpo a corpo per risistemare il mondo. I gerbilli sono qualcosa di in scrutabile, ma mi sono reso conto che lui era in sua adorazione, e non si mosse fin quando lo scatolone iniziò a scendere sopra di lui"''.
Altri progetti tecnologici invariabilmente complessi radiotrasmisero poesia su frequenze AM, convertendo le finestre di vetro del museo in casse acustiche di bassa intensità, offrendo anche vari flussi di dati e programmi di computer interattivi via teletype e CRT. Vi fu abbondanza anche di artisti concettuali, a Software. John Baldessari espose Cremation Piece, sotterrando le ceneri dei suoi dipinti nella parete del museo dietro una piastra. La Room Situation: (Proximity) di Vito Acconci comportava “l’accostarsi ad una persona e l’intromettersi nel suo spazio (Acconci individuò un sostituto per fare questa operazione quando lui non era in grado di presenziare). Il catalogo incluse il testo della risposta che Nam June Paik inviò quando venne invitato a partecipare e la descrizione di Alan Kaprow dell’Happening del settembre del ’69; parteciparono anche Hans Haacke e Joseph Kosuth.
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Altri progetti tecnologici invariabilmente complessi radiotrasmisero poesia su frequenze AM, convertendo le finestre di vetro del museo in casse acustiche di bassa intensità, offrendo anche vari flussi di dati e programmi di computer interattivi via teletype e CRT. Vi fu abbondanza anche di artisti concettuali, a Software. John Baldessari espose Cremation Piece, sotterrando le ceneri dei suoi dipinti nella parete del museo dietro una piastra. La Room Situation: (Proximity) di Vito Acconci comportava "l’accostarsi ad una persona e l’intromettersi nel suo spazio personale" (Acconci individuò un sostituto per fare questa operazione quando lui non era in grado di presenziare). Il catalogo incluse il testo della risposta che Nam June Paik inviò quando venne invitato a partecipare e la descrizione di Alan Kaprow dell’Happening del settembre del ’69; parteciparono anche Hans Haacke e Joseph Kosuth.
L’esposizione non riguardò il mettere insieme artisti e tecnologi oppure l’usare nuove tecnologie con fini artistici. Burnham scrisse sul catalogo che, piuttosto, “lo scopo di Software è mettere a fuoco la nostra sensibilità rispetto all’area che più velocemente si sta evolvendo nella nostra cultura: i sistemi di elaborazione delle informazioni e i loro . Egli aggiunse Può non esserlo, probabilmente non lo è, ma la sfera dei computer degli altri dispositivi di telecomunicazione producono arte e lo sappiamo; ma loro, di fatto, saranno inconsapevolmente strumentali per la redifinizione dell’intera area .
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L’esposizione non riguardò il mettere insieme artisti e tecnologi oppure l’usare nuove tecnologie con fini artistici. Burnham scrisse sul catalogo che, piuttosto, "lo scopo di Software è mettere a fuoco la nostra sensibilità rispetto all’area che più velocemente si sta evolvendo nella nostra cultura: i sistemi di elaborazione delle informazioni e i loro congegni". Egli aggiunse "Può non esserlo, probabilmente non lo è, ma la sfera dei computer degli altri dispositivi di telecomunicazione producono arte e lo sappiamo; ma loro, di fatto, saranno inconsapevolmente strumentali per la redifinizione dell’intera area dell’estetica".
Per Shanken, i contributi di Les Levine a Software stabiliscono un ponte per comprendere il compito degli artisti concettuali nella mostra. Shanken fa notare come il System Burn Off di Levine, dando egli stesso corpo a una definizione alquanto idiosincratica della frattura Soft/Hardware, fosse molto restio agli interessi dell’arte concettuale. Fu, come scrive Shanken in Art in the Information Age ,  “una grafica che produsse informazioni (software) sull’informazione prodotta e divulgata dai media (software) sull’arte (hardware). Si offriva una critica del sistema processuale attraverso cui gli oggetti artistici (hardware) vengono trasformati dai media in informazioni sugli oggetti artistici (software). E siccome Levine asserì che la maggior parte dell’arte finisce con l’essere informazione sull’arte, il System Burn Off fu arte come informazione sull’informazione sull’arte, andando ad aggiungere un livello di complessità e riflessività sul ciclo delle trasformazioni nella cultura dei . Fu Levine a suggerire il titolo per Software; i suoi due altri progetti per la mostra prefigurano modelli significativi della recente new media arte, come le performance – orientate e le voyeristiche opere web video.
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Per Shanken, i contributi di Les Levine a Software stabiliscono un ponte per comprendere il compito degli artisti concettuali nella mostra. Shanken fa notare come il System Burn Off di Levine, dando egli stesso corpo a una definizione alquanto idiosincratica della frattura Soft/Hardware, fosse molto restio agli interessi dell’arte concettuale. Fu, come scrive Shanken in Art in the Information Age ,  "una grafica che produsse informazioni (software) sull’informazione prodotta e divulgata dai media (software) sull’arte (hardware). Si offriva una critica del sistema processuale attraverso cui gli oggetti artistici (hardware) vengono trasformati dai media in informazioni sugli oggetti artistici (software). E siccome Levine asserì che la maggior parte dell’arte finisce con l’essere informazione sull’arte, il System Burn Off fu arte come informazione sull’informazione sull’arte, andando ad aggiungere un livello di complessità e riflessività sul ciclo delle trasformazioni nella cultura dei media". Fu Levine a suggerire il titolo per Software; i suoi due altri progetti per la mostra prefigurano modelli significativi della recente new media arte, come le performance – orientate e le voyeristiche opere web video.
L’introduzione di Burnham al catalogo descrisse i criteri di selezione per la mostra. Prima di Software, l’arte del computer così come venne mostrata al Cybernetic Serendipity aveva spesso funzionato per duplicare gli effetti delle forme artistiche precedenti, anche al punto di imitare gli stili dei maestri passati. Lo scopo era generalmente creare un prodotto finito, realizzato mediante gli strumenti del computer. L’importante The Machine as Seen at the End of the Mechanical Age del Museo di Arte Moderna similmente ebbe come finalità la produzione di oggetti finiti, molti dei quali (come il nome suggerisce) furono sculture meccaniche, immagini di macchine o oggetti inerti facenti riferimento a macchine. Burnham tracciò una visione dell’arte new media di gran lunga in linea con come è avvertita oggi, cioè non una celebrazione della tecnologia né una condanna ma una indagine, attraverso l’implementazione, di nuove forme per i processi introdotti nella cultura attraverso il calcolo. Burnham rintracciò gli inizi della comprensione di questi processi nei cibernetici di Norbert Wiener, ma poi comprese che l’opera attuale era andata oltre questa formula, nel modello del software. Burnham scrisse nel catalogo che “molti degli oggetti esposti nella mostra Software affrontano le relazioni concettuali e processuali che, in apparenza, sembrano essere totalmente privi degli usuali simboli artistici. In modo ancora più determinante [Software] fornisce gli strumenti per mezzo dei quali il pubblico può individualmente rispondere alle situazioni programmatiche strutturate dagli . Egli fece notare come “molte delle più belle opere nella mostra Software non sono in alcun modo connesse alle macchine. In un certo senso (esse) rappresentano i programmi degli artisti che hanno scelto non di creare un quadro o una scultura ma di esprimere idee e propositi . Software considerò l’interazione come un qualcosa che si costruiva sopra le idee in divenire e come un qualcosa che emergeva nel mondo attraverso il processo informativo – come rivelato dai numerosi riferimenti di Burnham a [[McLuhan Marshall|Marshall McLuhan]]. Si segnò l’inizio della realizzazione della visione cibernetica di artisti come Roy Ascott e Nam June Paik (anche se, per farlo, si cercò una formula che andasse oltre il cibernetico) e si diede un ampio sguardo all’opera di artisti più tardi come Lynn Hershman.
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L’introduzione di Burnham al catalogo descrisse i criteri di selezione per la mostra. Prima di Software, l’arte del computer così come venne mostrata al Cybernetic Serendipity aveva spesso funzionato per duplicare gli effetti delle forme artistiche precedenti, anche al punto di imitare gli stili dei maestri passati. Lo scopo era generalmente creare un prodotto finito, realizzato mediante gli strumenti del computer. L’importante The Machine as Seen at the End of the Mechanical Age del Museo di Arte Moderna similmente ebbe come finalità la produzione di oggetti finiti, molti dei quali (come il nome suggerisce) furono sculture meccaniche, immagini di macchine o oggetti inerti facenti riferimento a macchine. Burnham tracciò una visione dell’arte new media di gran lunga in linea con come è avvertita oggi, cioè non una celebrazione della tecnologia né una condanna ma una indagine, attraverso l’implementazione, di nuove forme per i processi introdotti nella cultura attraverso il calcolo. Burnham rintracciò gli inizi della comprensione di questi processi nei cibernetici di Norbert Wiener, ma poi comprese che l’opera attuale era andata oltre questa formula, nel modello del software. Burnham scrisse nel catalogo che "molti degli oggetti esposti nella mostra Software affrontano le relazioni concettuali e processuali che, in apparenza, sembrano essere totalmente privi degli usuali simboli artistici. In modo ancora più determinante [Software] fornisce gli strumenti per mezzo dei quali il pubblico può individualmente rispondere alle situazioni programmatiche strutturate dagli artisti". Egli fece notare come "molte delle più belle opere nella mostra Software non sono in alcun modo connesse alle macchine. In un certo senso (esse) rappresentano i programmi degli artisti che hanno scelto non di creare un quadro o una scultura ma di esprimere idee e propositi artistici". Software considerò l’interazione come un qualcosa che si costruiva sopra le idee in divenire e come un qualcosa che emergeva nel mondo attraverso il processo informativo – come rivelato dai numerosi riferimenti di Burnham a [[McLuhan Marshall|Marshall McLuhan]]. Si segnò l’inizio della realizzazione della visione cibernetica di artisti come Roy Ascott e Nam June Paik (anche se, per farlo, si cercò una formula che andasse oltre il cibernetico) e si diede un ampio sguardo all’opera di artisti più tardi come Lynn Hershman.
  
 
== Ned Woodman / Theodor H. Nelson ==
 
== Ned Woodman / Theodor H. Nelson ==
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Le 33 foto della mostra furono originalmente scattate dall’artista nel marzo 1969 durante un’escursione dei critici e della stampa di New York per vedere l’apertura della mostra Earth Works  ad Ithaca, New York.  
 
Le 33 foto della mostra furono originalmente scattate dall’artista nel marzo 1969 durante un’escursione dei critici e della stampa di New York per vedere l’apertura della mostra Earth Works  ad Ithaca, New York.  
Nell’aprile 1969, Les Levine esibì 31.000 fotografie che consistevano in 31 immagini separate e 1.000 copie di ciascuna alla Galleria Phyllis Kind di Chicago. La maggior parte furono casualmente distribuite sul pavimento e coperte con della marmellata; alcune vennero appiccicate al muro con del chewing gum; le restanti furono messe in vendita. “Il software è la programmazione materiale che ciascun sistema usa, cioè in un computer sarebbe il grafico dei flussi dei dati o i sottoprogrammi per il programma del computer. In effetti il software in termini è l’intelligenza mentale richiesta per ogni esperienza. Può anche essere descritta come  la conoscenza richiesta per la performance di ogni mansione o trasmissione di comunicazione. Se si dice è un software. Tutte le attività che non hanno connessione con oggetti o massa materiale sono il risultato di un software. Le stesse immagini sono hardware. Le informazioni su quelle immagini sono software. Tutto il software trasmette il proprio residuale. Il residuale può prendere forma di notizie, pittura, nastri televisivi o tutto ciò che è chiamato . In molti casi un oggetto è di minor valore del software che riguarda quell’oggetto. L’oggetto è la parte terminale di un sistema. Il software è un sistema aperto continuo. L’esperienza di vedere qualcosa di originale non è di maggior valore in una società controllata dal software come ciò che è visto attraverso i contenuti dei media ha maggiore energia ed è un’esperienza più originale. Noi non domandiamo se le cose che accadono alla radio o in tivù sono realmente avvenute. Il fatto che possiamo confrontarle mentalmente attraverso l’elettronica ci è sufficiente per sapere che esistono… Nello stesso modo, la maggior parte dell’arte attualmente prodotta si conclude con una informazione L.L.
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Nell’aprile 1969, Les Levine esibì 31.000 fotografie che consistevano in 31 immagini separate e 1.000 copie di ciascuna alla Galleria Phyllis Kind di Chicago. La maggior parte furono casualmente distribuite sul pavimento e coperte con della marmellata; alcune vennero appiccicate al muro con del chewing gum; le restanti furono messe in vendita. "Il software è la programmazione materiale che ciascun sistema usa, cioè in un computer sarebbe il grafico dei flussi dei dati o i sottoprogrammi per il programma del computer. In effetti il software in termini "reali" è l’intelligenza mentale richiesta per ogni esperienza. Può anche essere descritta come  la conoscenza richiesta per la performance di ogni mansione o trasmissione di comunicazione. Se si dice "Domani pioverà" è un software. Tutte le attività che non hanno connessione con oggetti o massa materiale sono il risultato di un software. Le stesse immagini sono hardware. Le informazioni su quelle immagini sono software. Tutto il software trasmette il proprio residuale. Il residuale può prendere forma di notizie, pittura, nastri televisivi o tutto ciò che è chiamato "media". In molti casi un oggetto è di minor valore del software che riguarda quell’oggetto. L’oggetto è la parte terminale di un sistema. Il software è un sistema aperto continuo. L’esperienza di vedere qualcosa di originale non è di maggior valore in una società controllata dal software come ciò che è visto attraverso i contenuti dei media ha maggiore energia ed è un’esperienza più originale. Noi non domandiamo se le cose che accadono alla radio o in tivù sono realmente avvenute. Il fatto che possiamo confrontarle mentalmente attraverso l’elettronica ci è sufficiente per sapere che esistono… Nello stesso modo, la maggior parte dell’arte attualmente prodotta si conclude con una informazione sull’arte" L.L.
  
 
==== L’artista espone sé stesso elettronicamente ====
 
==== L’artista espone sé stesso elettronicamente ====
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La mostra intitolata '''Software''' del 1970, organizzata da ''Jack Burnham'', ospitò una serie di prodotti artistici pensati e creati in connessione con l’universo informatico. Il capitolo preso in esame tenta di spiegare, descrivendo le opere e riportando il pensiero di alcuni dei protagonisti dell’esposizione, la filosofia e l’atteggiamento che stanno alla base di questo evento.  
 
La mostra intitolata '''Software''' del 1970, organizzata da ''Jack Burnham'', ospitò una serie di prodotti artistici pensati e creati in connessione con l’universo informatico. Il capitolo preso in esame tenta di spiegare, descrivendo le opere e riportando il pensiero di alcuni dei protagonisti dell’esposizione, la filosofia e l’atteggiamento che stanno alla base di questo evento.  
Burnham sostiene che i computer e ogni altro dispositivo informatico sono ''“inconsapevolmente strumentali per la redifinizione dell’intera area ''. Questa consapevolezza sembra supportare l’idea stessa di Software, il cui allestimento, seppur '''' (alcune macchine sono andate in tilt, una performance è saltata con gravi conseguenze finanziarie per il museo che avrebbe dovuto ospitarla,…), ha avuto larga influenza su artisti, tecnologi e pubblico. Inaspettatamente  Burnham sottolinea come molte delle opere più interessanti dell’esposizione non siano collegabili alle strutture informatiche. Software infatti sembra convogliare in sé più le intenzioni artistiche che non il prodotto artistico finito. Più in generale (e in questo sta la modernità operazione ) l’arte dei nuovi media non è una condanna né una celebrazione della tecnologia ma più semplicemente l’indagine di una nuova forma.
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Burnham sostiene che i computer e ogni altro dispositivo informatico sono ''"inconsapevolmente strumentali per la redifinizione dell’intera area dell’estetica"''. Questa consapevolezza sembra supportare l’idea stessa di Software, il cui allestimento, seppur ''"fragile"'' (alcune macchine sono andate in tilt, una performance è saltata con gravi conseguenze finanziarie per il museo che avrebbe dovuto ospitarla,…), ha avuto larga influenza su artisti, tecnologi e pubblico. Inaspettatamente  Burnham sottolinea come molte delle opere più interessanti dell’esposizione non siano collegabili alle strutture informatiche. Software infatti sembra convogliare in sé più le intenzioni artistiche che non il prodotto artistico finito. Più in generale (e in questo sta la modernità dell’"operazione Software") l’arte dei nuovi media non è una condanna né una celebrazione della tecnologia ma più semplicemente l’indagine di una nuova forma.
 
Numerose le espressioni artistiche coinvolte: da quella degli artisti concettuali con '''John Baldessari''' che espose ''Cremation Piece'' alla Room Situation: ''Proximity'' di '''Vito Acconci''',  fino ai progetti più tecnologici (per esempio la radiotrasmissione di poesia utilizzando come casse acustiche le finestre del museo).
 
Numerose le espressioni artistiche coinvolte: da quella degli artisti concettuali con '''John Baldessari''' che espose ''Cremation Piece'' alla Room Situation: ''Proximity'' di '''Vito Acconci''',  fino ai progetti più tecnologici (per esempio la radiotrasmissione di poesia utilizzando come casse acustiche le finestre del museo).
 
In particolare nel capitolo sono prese ad esame alcune tra le più importanti opere presentate, a partire da ''Labyrinth'', il catalogo della stessa mostra, creato da  '''Ned Woodman''' ed edito da '''Theodor H. Nelson'''. Si tratta di un ipertesto formato dalle pagine del catalogo stampato e da altri materiali che l’utente può, attraverso alcuni comandi, visitare. Alla fine il visitatore virtuale può ottenere una stampa del percorso visionato.
 
In particolare nel capitolo sono prese ad esame alcune tra le più importanti opere presentate, a partire da ''Labyrinth'', il catalogo della stessa mostra, creato da  '''Ned Woodman''' ed edito da '''Theodor H. Nelson'''. Si tratta di un ipertesto formato dalle pagine del catalogo stampato e da altri materiali che l’utente può, attraverso alcuni comandi, visitare. Alla fine il visitatore virtuale può ottenere una stampa del percorso visionato.
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Infine sono analizzate le opere di '''Les Levine''' (colui che, peraltro, ha suggerito il titolo della mostra).
 
Infine sono analizzate le opere di '''Les Levine''' (colui che, peraltro, ha suggerito il titolo della mostra).
''System Burn-off X Residual Software'' è un insieme di 31.000 fotografie, una parte delle quali sono provocatoriamente disposte sul pavimento e ricoperte da marmellata, un’altra parte appiccicate al muro con della gomma da masticare, le restanti messe in vendita. Le immagini, per l’autore, corrispondono all’hardware; le informazioni prodotte su quelle immagini sono software. Lo storico dell’arte Edward Shanken, riferendosi a questa creazione, sottolinea come “gli oggetti artistici (hardware) vengono trasformati dai media in informazioni sugli oggetti artistici (software). E siccome Levine asserì che la maggior parte dell’arte finisce con l’essere informazione sull’arte, il System Burn Off fu arte come informazione sull’informazione .
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''System Burn-off X Residual Software'' è un insieme di 31.000 fotografie, una parte delle quali sono provocatoriamente disposte sul pavimento e ricoperte da marmellata, un’altra parte appiccicate al muro con della gomma da masticare, le restanti messe in vendita. Le immagini, per l’autore, corrispondono all’hardware; le informazioni prodotte su quelle immagini sono software. Lo storico dell’arte Edward Shanken, riferendosi a questa creazione, sottolinea come "gli oggetti artistici (hardware) vengono trasformati dai media in informazioni sugli oggetti artistici (software). E siccome Levine asserì che la maggior parte dell’arte finisce con l’essere informazione sull’arte, il System Burn Off fu arte come informazione sull’informazione sull’arte".
 
Les Levine realizza poi A.I.R. attraverso cui un gruppo di televisori manda in onda immagini registrate nel suo studio, con lo scopo di restituire a chi guarda l’ambiente naturale in cui vive l’artista.  
 
Les Levine realizza poi A.I.R. attraverso cui un gruppo di televisori manda in onda immagini registrate nel suo studio, con lo scopo di restituire a chi guarda l’ambiente naturale in cui vive l’artista.  
 
Infine Levine crea Wire Tap: delle casse acustiche trasmettono le conversazioni telefoniche effettuate dall’artista durante il giorno.
 
Infine Levine crea Wire Tap: delle casse acustiche trasmettono le conversazioni telefoniche effettuate dall’artista durante il giorno.
  
  
[[Categoria:Mostra al Jewish Museum]]
 
 
[[Categoria:Testo su Nelson Theodore H.]]
 
[[Categoria:Testo su Nelson Theodore H.]]
 
[[Categoria:Testo su Architecture Machine Group]]
 
[[Categoria:Testo su Architecture Machine Group]]
 
[[Categoria:Testo su Levine Les]]
 
[[Categoria:Testo su Levine Les]]
[[Categoria:1970 d.c]]
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[[Categoria:1970 d.c.]]
[[Categoria:Arte e Scienza]]
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[[Categoria:Arte e scienza]]
[[Categoria:Arte e Tecnologia]]
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[[Categoria:Arte e tecnologia]]
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[[Categoria:Computer art]]

Versione attuale delle 07:55, 9 Ago 2012

Da Software – Tecnologia dell’Informazione Il suo nuovo significato per l’Arte

Mostra al Jewish Museum, 1970

Documentazione dei progetti di Theodore Nelson H., Architecture Machine Group e Les Levine

Introduzione

Alla mostra Software del 1970, organizzata da Jack Burnham, i visitatori furono invitati a fare qualcosa di estremamente strano: far funzionare dei computers. L’esibizione introdusse gli artisti in una importante dimensione di calcolo, proprio dal momento in cui si soffriva dei problemi tecnici dello stesso genere di quelli che ancora oggi affliggono coloro che utilizzano ordinariamente il computer. Edward Shanken, uno storico dell’arte dell’Università di Duke, osserva come da molti punti di vista la cosa sia stata "un disastro": molte delle parole controllate dal computer (un PDP-8) non funzionarono per un mese dopo l’inizio della mostra, i gerbilli che fecero parte della Seek si attaccarono l’un l’altro, un'esibizione al Smithsonian Institution fu cancellata, e la performance provocò una crisi finanziaria per il museo e conseguentemente le dimissioni del direttore Karl Kats. Queste difficoltà non impedirono a Software di avere un’influenza sugli artisti, i tecnologi, i teorici, e il pubblico. Tale influenza venne sentita da una parte attraverso i pezzi messi in risalto – che vanno dai manufatti tecnologici ai pezzi concettuali – dall’altra attraverso la sottostante visione dell’arte che indusse Software a compiere delle scelte fortemente divergenti da quelle già affrontate nelle specializzazioni tecnologiche e nelle esibizioni artistiche che la precedettero. La mostra ebbe un catalogo di Ted Nelson intitolato Labyrinth,che Nelson dichiarò essere il primo ipertesto accessibile al pubblico. Un altro partecipante fu Nicholas Negroponte. L’Architecture Machine Group da lui diretto diede il proprio contributo con Seek (messo in risalto sulla copertina del catalogo di Software), che ospitò il summenzionato violento gerbillo in un ambiente di scatoloni metallici. Questi scatoloni erano così leggeri da essere riassestati dal movimento del gerbillo. Seek reagì alle modificazioni dei gerbilli accatastando gli scatoloni in più versioni derivanti dal movimento del gerbillo, utilizzando un elettromagnete in movimento. Per ciascun gruppo di osservatori i gerbilli e il braccio robotico sembravano dare forma ad un prototipo di circuito cibernetico: vi era un’immagine animata di una macchina che faceva attenzione alle preferenze espresse dai gerbilli e poi completava e dava loro una forma dentro nuove, piacevoli strutture. Altri colsero in Seek l’immagine del lato meno buono dell’interazione uomo-computer e le sue possibilità future. Come Ted Nelson scrisse in Dream Machines "Ricordo di aver osservato ciascun gerbillo mentre stava immobile sulle sue piccole gambe da canguro, sottili come stecchi di fiammifero; di aver visto un grandioso corpo a corpo per risistemare il mondo. I gerbilli sono qualcosa di in scrutabile, ma mi sono reso conto che lui era in sua adorazione, e non si mosse fin quando lo scatolone iniziò a scendere sopra di lui". Altri progetti tecnologici invariabilmente complessi radiotrasmisero poesia su frequenze AM, convertendo le finestre di vetro del museo in casse acustiche di bassa intensità, offrendo anche vari flussi di dati e programmi di computer interattivi via teletype e CRT. Vi fu abbondanza anche di artisti concettuali, a Software. John Baldessari espose Cremation Piece, sotterrando le ceneri dei suoi dipinti nella parete del museo dietro una piastra. La Room Situation: (Proximity) di Vito Acconci comportava "l’accostarsi ad una persona e l’intromettersi nel suo spazio personale" (Acconci individuò un sostituto per fare questa operazione quando lui non era in grado di presenziare). Il catalogo incluse il testo della risposta che Nam June Paik inviò quando venne invitato a partecipare e la descrizione di Alan Kaprow dell’Happening del settembre del ’69; parteciparono anche Hans Haacke e Joseph Kosuth. L’esposizione non riguardò il mettere insieme artisti e tecnologi oppure l’usare nuove tecnologie con fini artistici. Burnham scrisse sul catalogo che, piuttosto, "lo scopo di Software è mettere a fuoco la nostra sensibilità rispetto all’area che più velocemente si sta evolvendo nella nostra cultura: i sistemi di elaborazione delle informazioni e i loro congegni". Egli aggiunse "Può non esserlo, probabilmente non lo è, ma la sfera dei computer degli altri dispositivi di telecomunicazione producono arte e lo sappiamo; ma loro, di fatto, saranno inconsapevolmente strumentali per la redifinizione dell’intera area dell’estetica". Per Shanken, i contributi di Les Levine a Software stabiliscono un ponte per comprendere il compito degli artisti concettuali nella mostra. Shanken fa notare come il System Burn Off di Levine, dando egli stesso corpo a una definizione alquanto idiosincratica della frattura Soft/Hardware, fosse molto restio agli interessi dell’arte concettuale. Fu, come scrive Shanken in Art in the Information Age , "una grafica che produsse informazioni (software) sull’informazione prodotta e divulgata dai media (software) sull’arte (hardware). Si offriva una critica del sistema processuale attraverso cui gli oggetti artistici (hardware) vengono trasformati dai media in informazioni sugli oggetti artistici (software). E siccome Levine asserì che la maggior parte dell’arte finisce con l’essere informazione sull’arte, il System Burn Off fu arte come informazione sull’informazione sull’arte, andando ad aggiungere un livello di complessità e riflessività sul ciclo delle trasformazioni nella cultura dei media". Fu Levine a suggerire il titolo per Software; i suoi due altri progetti per la mostra prefigurano modelli significativi della recente new media arte, come le performance – orientate e le voyeristiche opere web video. L’introduzione di Burnham al catalogo descrisse i criteri di selezione per la mostra. Prima di Software, l’arte del computer così come venne mostrata al Cybernetic Serendipity aveva spesso funzionato per duplicare gli effetti delle forme artistiche precedenti, anche al punto di imitare gli stili dei maestri passati. Lo scopo era generalmente creare un prodotto finito, realizzato mediante gli strumenti del computer. L’importante The Machine as Seen at the End of the Mechanical Age del Museo di Arte Moderna similmente ebbe come finalità la produzione di oggetti finiti, molti dei quali (come il nome suggerisce) furono sculture meccaniche, immagini di macchine o oggetti inerti facenti riferimento a macchine. Burnham tracciò una visione dell’arte new media di gran lunga in linea con come è avvertita oggi, cioè non una celebrazione della tecnologia né una condanna ma una indagine, attraverso l’implementazione, di nuove forme per i processi introdotti nella cultura attraverso il calcolo. Burnham rintracciò gli inizi della comprensione di questi processi nei cibernetici di Norbert Wiener, ma poi comprese che l’opera attuale era andata oltre questa formula, nel modello del software. Burnham scrisse nel catalogo che "molti degli oggetti esposti nella mostra Software affrontano le relazioni concettuali e processuali che, in apparenza, sembrano essere totalmente privi degli usuali simboli artistici. In modo ancora più determinante [Software] fornisce gli strumenti per mezzo dei quali il pubblico può individualmente rispondere alle situazioni programmatiche strutturate dagli artisti". Egli fece notare come "molte delle più belle opere nella mostra Software non sono in alcun modo connesse alle macchine. In un certo senso (esse) rappresentano i programmi degli artisti che hanno scelto non di creare un quadro o una scultura ma di esprimere idee e propositi artistici". Software considerò l’interazione come un qualcosa che si costruiva sopra le idee in divenire e come un qualcosa che emergeva nel mondo attraverso il processo informativo – come rivelato dai numerosi riferimenti di Burnham a Marshall McLuhan. Si segnò l’inizio della realizzazione della visione cibernetica di artisti come Roy Ascott e Nam June Paik (anche se, per farlo, si cercò una formula che andasse oltre il cibernetico) e si diede un ampio sguardo all’opera di artisti più tardi come Lynn Hershman.

Ned Woodman / Theodor H. Nelson

Labyrinth: un catalogo interattivo – 1970

Labyrinth è un ipertesto, o un testo interattivo di sistema di recupero (delle informazioni). Per leggere in questo catalogo interattivo, l’utente siede di fronte ad uno dei numerosi terminali Labyrinth e inizia a leggere. Per leggere oltre ogni sezione, essendo più larga dello schermo, l’utente digita F (forward). Per tornare all’inizio del catalogo, l’utente digita R (return). Per ottenere una sezione collegata come indicato dall’asterisco che appare nel testo, l’utente digita il codice che appare con l’asterisco. Prima di lasciare la mostra, la persona che sta uscendo dal museo può ottenere una stampa di ciò che lei stessa ha selezionato da leggere nel catalogo interattivo, dando il proprio nome ad un attendente della zona della stampa dell’uscita principale. Il sistema del catalogo è stato programmato per PDP-8 da Ned Woodman di Art&Technology,Inc. Interessanti caratteristiche del programma includono l’abilità di estrarre dati da ogni display, una storia dal terminale temporaneo per riconoscere i comandi per andare avanti e indietro, una storia dell’utente permanente che consente una stampa finale. Il catalogo interattivo per software, consistendo in informazioni prese dal catalogo stampato e materiali aggiunti, venne edito da Theodor H. Nelson, il quale sostenne gli ipertesti come una vera e propria forma di scrittura per circa 10 anni. Questa è la prima pubblica dimostrazione di un sistema di ipertesto.

The Architecture Machine Group, MIT

Seek – 1969/70

Seek è un dispositivo di rilevazione/effetto controllato da un piccolo computer generale. In contrasto con un input/output periferico, Seek è un meccanismo che rileva l’ambiente fisico, gli effetti di questo ambiente e alternativamente i tentativi di interazione tra eventi inaspettati e l’ambiente. Seek utilizza scatoloni di giocattoli che si possono impilare, allineare e ordinare. Nello stesso tempo, questi scatoloni formano la costruzione di un ambiente per una piccola colonia di gerbilli che vivono nel mondo tridimensionale di Seek. All’insaputa di Seek, gli animaletti vanno a sbattere contro gli scatoloni, distruggendo le costruzioni e raggiungendo la vetta delle torri. Il risultato è una sostanziale divergenza tra la realtà tridimensionale e le memorie di calcolo che risiedono nella memoria del computer di Seek. Il ruolo di Seek è di affrontare queste inconsistenze. Nel procedimento, Seek esibisce avvisi di una rispondente modalità di funzionamento, visto che le azioni dei gerbilli non sono praticabili e le reazioni di Seek intenzionalmente correggono o amplificano le dislocazioni provocate dai gerbilli. Seek consiste in una struttura di 5X8 piedi, a supporto di un carrello che ha tre dimensioni di libertà. La sua estremità è composta da un elettromagnete, da diversi micro interruttori e da un dispositivo a pressione. Questa protesi elementare è guidata da un computer cieco e maldestro per raccogliere o depositare il carico di ciascun cubo di 2 inch. Il nucleo del sistema è un Interdata Model 3 Computer con 65536 singoli (si/no) bit di memoria, che sono divisi per istruzione e dati. Anche nella sua trivialità e semplicità, metaforicamente Seek va oltre la situazione del mondo reale, dove le macchine non possono rispondere all’imprevedibile natura della gente (gerbilli). Oggi le macchine sono povere per aiutare gli improvvisi cambi del contesto ambientale. Questa mancanza di adattabilità è il problema che Seek affronta nel suo piccolo. Se i computer devono essere nostri amici, devono comprendere le nostre metafore. Se devono dare una risposta ai cambiamenti, imprevedibili, ai bisogni umani contestuali, avranno bisogno di una intelligenza artificiale che può far fronte a complesse contingenze in modo sofisticato (avvicinandosi a queste metafore) più di quanto Seek tratti con elementari incertezze seguendo una moda ingenua. Seek è stato sviluppato e costruito dagli studenti del MIT che compongono una parte dell’Architecture Machine Group, opera di ricerca sponsorizzata dalla Fondazione Ford con il MIT Urban Systems Laboratori. I partecipanti hanno spaziato dal lavoro delle matricole in un Programma di Opportunità di Ricerca per Studenti Universitari, dai disegni dei post-laureati agli elementi della loro ricerca di assistenza. I co-direttori del gruppo sono i Professori Nicholas Negroponte e Leon B. Groisser della facoltà di Architettura e Progettazione. Randy Rettberg e Mike Titelbaum, studenti di Ingegneria Elettronica, in particolare, l’interfaccia e il controllore. Steven Gregory, un laureato in Architettura, ha diretto la programmazione. Steven Peters e Ernest Vincent sono stati i responsabili dell’attuale costruzione del dispositivo. A seguito della mostra Software, Seek tornerà a MIT per essere utilizzato con molte diverse teste smontabili con lo scopo generale di sensore/effetto. Seek diventerà una struttura per esperimenti condotti da studenti in un disegno di aiuto ai computer e in una intelligenza artificiale.

Les Levine

System Burn-off X Residual Software - 1969

Le 33 foto della mostra furono originalmente scattate dall’artista nel marzo 1969 durante un’escursione dei critici e della stampa di New York per vedere l’apertura della mostra Earth Works ad Ithaca, New York. Nell’aprile 1969, Les Levine esibì 31.000 fotografie che consistevano in 31 immagini separate e 1.000 copie di ciascuna alla Galleria Phyllis Kind di Chicago. La maggior parte furono casualmente distribuite sul pavimento e coperte con della marmellata; alcune vennero appiccicate al muro con del chewing gum; le restanti furono messe in vendita. "Il software è la programmazione materiale che ciascun sistema usa, cioè in un computer sarebbe il grafico dei flussi dei dati o i sottoprogrammi per il programma del computer. In effetti il software in termini "reali" è l’intelligenza mentale richiesta per ogni esperienza. Può anche essere descritta come la conoscenza richiesta per la performance di ogni mansione o trasmissione di comunicazione. Se si dice "Domani pioverà" è un software. Tutte le attività che non hanno connessione con oggetti o massa materiale sono il risultato di un software. Le stesse immagini sono hardware. Le informazioni su quelle immagini sono software. Tutto il software trasmette il proprio residuale. Il residuale può prendere forma di notizie, pittura, nastri televisivi o tutto ciò che è chiamato "media". In molti casi un oggetto è di minor valore del software che riguarda quell’oggetto. L’oggetto è la parte terminale di un sistema. Il software è un sistema aperto continuo. L’esperienza di vedere qualcosa di originale non è di maggior valore in una società controllata dal software come ciò che è visto attraverso i contenuti dei media ha maggiore energia ed è un’esperienza più originale. Noi non domandiamo se le cose che accadono alla radio o in tivù sono realmente avvenute. Il fatto che possiamo confrontarle mentalmente attraverso l’elettronica ci è sufficiente per sapere che esistono… Nello stesso modo, la maggior parte dell’arte attualmente prodotta si conclude con una informazione sull’arte" L.L.

L’artista espone sé stesso elettronicamente

(alcune immagini della mostra)

Les Levine A.I.R. 1968-70 A.I.R. fondamentalmente è (un’opera) formata da un gruppo di televisori in un museo che mostra l’attività registrata nel mio studio, esibendo ai visitatori del museo l’artista nel suo ambiente naturale. Le immagini cambiano posizione da monitor a monitor in una base casuale. Credo che questo porti il processo artistico direttamente a contatto con l’ambiente del pubblico e perciò produca una più stretta connessione tra arte e cultura generale.


Les Levine Wire Tap 1969-70 Wire Tap è una serie di casse acustiche, ciascuna della misura di 12x12, e contenenti una serie conversazioni tra me e chiunque mi telefona durante il giorno. La gente ascolterà queste conversazioni passando accanto.


Sintesi

La mostra intitolata Software del 1970, organizzata da Jack Burnham, ospitò una serie di prodotti artistici pensati e creati in connessione con l’universo informatico. Il capitolo preso in esame tenta di spiegare, descrivendo le opere e riportando il pensiero di alcuni dei protagonisti dell’esposizione, la filosofia e l’atteggiamento che stanno alla base di questo evento. Burnham sostiene che i computer e ogni altro dispositivo informatico sono "inconsapevolmente strumentali per la redifinizione dell’intera area dell’estetica". Questa consapevolezza sembra supportare l’idea stessa di Software, il cui allestimento, seppur "fragile" (alcune macchine sono andate in tilt, una performance è saltata con gravi conseguenze finanziarie per il museo che avrebbe dovuto ospitarla,…), ha avuto larga influenza su artisti, tecnologi e pubblico. Inaspettatamente Burnham sottolinea come molte delle opere più interessanti dell’esposizione non siano collegabili alle strutture informatiche. Software infatti sembra convogliare in sé più le intenzioni artistiche che non il prodotto artistico finito. Più in generale (e in questo sta la modernità dell’"operazione Software") l’arte dei nuovi media non è una condanna né una celebrazione della tecnologia ma più semplicemente l’indagine di una nuova forma. Numerose le espressioni artistiche coinvolte: da quella degli artisti concettuali con John Baldessari che espose Cremation Piece alla Room Situation: Proximity di Vito Acconci, fino ai progetti più tecnologici (per esempio la radiotrasmissione di poesia utilizzando come casse acustiche le finestre del museo). In particolare nel capitolo sono prese ad esame alcune tra le più importanti opere presentate, a partire da Labyrinth, il catalogo della stessa mostra, creato da Ned Woodman ed edito da Theodor H. Nelson. Si tratta di un ipertesto formato dalle pagine del catalogo stampato e da altri materiali che l’utente può, attraverso alcuni comandi, visitare. Alla fine il visitatore virtuale può ottenere una stampa del percorso visionato.

Un’altra opera descritta è Seek dell’Architecture Machine Group che unisce un ambiente tridimensionale (composto da scatoloni e sensori) alla presenza dei gerbilli (piccoli roditori del deserto). Il movimento imprevedibile degli animali distrugge le composizioni degli scatoloni, rivelando l’incongruenza tra la realtà virtuale e quella della memoria del computer. Seek, nella sua estrema semplicità, mette in luce quanto il computer, se si vuole che divenga un vero aiuto, debba essere in grado di rilevare ogni più flebile cambiamento d’intenzione dell’uomo, debba intuirne le metafore.

Infine sono analizzate le opere di Les Levine (colui che, peraltro, ha suggerito il titolo della mostra). System Burn-off X Residual Software è un insieme di 31.000 fotografie, una parte delle quali sono provocatoriamente disposte sul pavimento e ricoperte da marmellata, un’altra parte appiccicate al muro con della gomma da masticare, le restanti messe in vendita. Le immagini, per l’autore, corrispondono all’hardware; le informazioni prodotte su quelle immagini sono software. Lo storico dell’arte Edward Shanken, riferendosi a questa creazione, sottolinea come "gli oggetti artistici (hardware) vengono trasformati dai media in informazioni sugli oggetti artistici (software). E siccome Levine asserì che la maggior parte dell’arte finisce con l’essere informazione sull’arte, il System Burn Off fu arte come informazione sull’informazione sull’arte". Les Levine realizza poi A.I.R. attraverso cui un gruppo di televisori manda in onda immagini registrate nel suo studio, con lo scopo di restituire a chi guarda l’ambiente naturale in cui vive l’artista. Infine Levine crea Wire Tap: delle casse acustiche trasmettono le conversazioni telefoniche effettuate dall’artista durante il giorno.