Hacker

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Genere o movimento artistico:

Hacker

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Storia:

La storia dell’hacking è una storia che, cominciata alla fine degli anni ’50, si è sviluppata fino ad oggi in molte forme che hanno in comune: occuparsi di computer, usare il computer per migliorare qualcosa, farlo in modo non convenzionale.

Abbiamo vari tipi di hacker: l’hacker del software, l’hacker dell’hardware, l’hackeraggio sociale, l’hacker art, l’hacktivism, e molte altre. il significato del termine hacktivism emerge per l’azione o reazione di una molteplicità di fattori sociali che sono tra loro inseparabili. Ad esempio, l’importanza delle ricerche svolte nelle università da alcuni scienziati è stata cruciale sia per la creazione dei primi computer che delle reti telematiche. Questa ricerca non avrebbe inoltre avuto la direzione democratica che ha avuto se chi ne progettava le tecnologie non avesse vissuto un clima sociale di collaborazione e condivisione fortemente alimentato dalle aree più utopiche dei movimenti sociali e politici. Queste scoperte non sarebbero state possibili se non grazie alla passione non remunerata e allo sforzo di individui che, oltre a dedicare la loro vita e il loro tempo libero a tali obbiettivi, hanno saputo e dovuto agire attraverso modalità non sempre ortodosse per riuscire a realizzare ciò che altrimenti la politica, la burocrazia o l’economia non avrebbero reso possibile. Inoltre i nuovi media non sarebbero potuti divenire tali se non ci fosse stata un’azione congiunta dei vecchi media per informare e diffonderne le notizie alla collettività. Così come l’attenzione della collettività verso queste informazioni è stata resa possibile grazie alla mediazione da parte dei movimenti sociali che hanno saputo sedurre la comunità con un intenso passaparola intorno alle nuove tecnologie. Molte persone non si sarebbero avvicinate a queste tecnologie se non avessero potuto immaginare che esse potevano essere strumenti di pace o di comunicazione. E probabilmente tali tecnologie non sarebbero mai decollate se qualcuno non avesse iniziato ad investirci capitali per realizzare dei profitti. Molti movimenti, così come molte istituzioni politiche, non si sarebbero mai convinti ad intraprendere un’azione diretta a sviluppare l’uso di queste tecnologie se non fossero stati convinti dal lavoro di ricerca sviluppato non solo dagli scienziati stessi, ma anche da filosofi, sociologi, psicologi e altri intellettuali in genere. E queste tecnologie non sarebbero diventate di massa se la «massa» non avesse trovato conveniente il loro utilizzo, ovvero se qualcuno gli avesse prospettato un loro utilizzo conveniente (come, ad esempio, il fatto che grazie ad una blue box e ad un computer avrebbero potuto effettuare telefonate gratis). Così, lo sviluppo di queste tecnologie non sarebbe stato possibile se lo scambio dei saperi per realizzarle ed usarle non fosse stato inizialmente libero e fortemente collaborativo; dunque libero da costrizioni di carattere giuridico oltre che di tipo economico. Ma ancora l’attenzione della collettività non sarebbe stata sufficiente se non ci fosse stato qualcuno – scrittori, artisti e cantastorie in genere – che non fosse riuscito a fare sognare la gente, non fosse riuscito a produrre un immaginario di seduzione collegato a tali tecnologie. Infine tutto ciò non sarebbe potuto andare avanti se qualcuno non si fosse preso l’onere di trasmettere e insegnare le competenze necessarie agli altri per utilizzare o continuare a svilupparle. Molti altri fattori ancora andrebbero elencati per descrivere la complessità grazie a cui i nuovi media sono potuti emergere e si sono potuti diffondere in maniera tanto vasta e profonda. Ma ciò non ha prodotto necessariamente una situazione migliore per gli individui e per l’umanità nel suo complesso. Lo sviluppo delle nuove forme di lavoro collegate alle nuove tecnologie, ad esempio, presenta ancora notevoli caratteristiche di sfruttamento e di alienazione. L’uso stesso di queste tecnologie implica ancora notevoli difficoltà e aspetti di divario sociale e di alienazione nella comunicazione. In definitiva, i rapporti e le relazioni tra la gente mediati dal computer possono solo in certe condizioni dirsi migliorati. Rispetto a forti valori democratici come l’uguaglianza, la libertà e la fratellanza dei popoli e degli individui è difficile affermare che il mondo sviluppatosi intorno alle nuove tecnologie possa essere considerato un mondo migliore del precedente. Ecco dunque il motivo per cui tra i tanti fattori di complessità sociale elencati sopra vogliamo soffermarci su una parte, significativa, di questa vicenda, per narrare principalmente la storia degli hacktivisti ovvero di coloro i quali nel loro agire hanno sempre avuto e continuano ad avere come obiettivo primario un impegno attivo e consapevole per migliorare qualcosa del mondo attraverso l’uso del computer. E di migliorare le condizioni di libertà, di uguaglianza e di fratellanza tra i popoli attraverso un modello di reti telematiche finalizzato a questi obbiettivi. La storia dell’hacktivism non è dunque la storia di chi ha cercato di trarre un profitto individuale dall’uso delle reti telematiche. Non è la storia di coloro che, approfittando del potere derivatogli o dalle ricchezze o dalla delega ricevuta da altri, hanno fatto in modo che lo sviluppo delle nuove tecnologie non fosse indirizzato verso un modello positivo per l’intera umanità, bensì verso un modello da cui solo una minoranza potesse trarre profitto. L’economia globale, infatti, si è spesso mossa per proteggere interessi particolari nello sviluppo delle nuove tecnologie, anziché gli interessi dell’umanità intera. Vediamo dunque quali sono i valori e gli obbiettivi dell’hacktivism, facendo prima una piccola premessa. L’enunciazione di un valore è un atto simbolico. La realtà è che i valori per essere tali devono essere radicati nelle persone a un livello anche più profondo di quella che è la soglia della consapevolezza. I valori non si trasmettono semplicemente attraverso le parole di un libro, o gli eventi organizzati da un collettivo, bensì attraverso la condivisione di esperienze, comportamenti e relazioni in cui, attraverso il confronto e il dialogo, il nostro essere si trasforma spontaneamente, e spesso inconsapevolmente, in una direzione etica condivisa. Molte delle persone che fanno o hanno fatto hacktivism non lo praticano necessariamente all’interno di una strategia etica che mira al perseguimento di determinati valori. Spesso si fa hacktivism perché «viene naturale farlo». Perché è ciò che ci si sente di fare in una determinata situazione e non perché si aderisca formalmente a un gruppo, a un’area politica o a una strategia dichiarata. Altre volte invece si fa hacktivism teorizzando e contemporaneamente esplicitando i valori di riferimento delle proprie pratiche. Ciò non toglie che l’essere hacktivisti è il frutto di un processo collettivo e culturale che non può avvenire semplicemente attraverso una scelta razionale e che dunque il diffondere un’attitudine verso la ricerca di un mondo migliore è un lento processo che presuppone la condivisione e la partecipazione collettiva ad esperienze e comportamenti che facciano vivere tale etica.. Ma, si diceva prima, l’enunciazione di un valore è un atto simbolico. Vediamo dunque di elencare questi valori simbolici. Alcuni tra i principali valori di riferimento dell’hacktivism sono: – l’uguaglianza – la libertà – la cooperazione – la fratellanza – il rispetto – la lealtà – la pace Questi valori sono il riferimento costante delle pratiche di hacktivismo e degli obbiettivi che esse perseguono. Ogni obiettivo raggiunto da una pratica hacktivist è un passo avanti verso la creazione di culture comunitarie che abbiano come riferimento i valori descritti sopra. Ecco di seguito un elenco degli obiettivi perseguiti: – Fare comunità – Garantire la privacy – Distribuire le risorse – Difendere e/o organizzare i diritti Questi obbiettivi vengono perseguiti attraverso pratiche che affrontano tematiche determinate e che fanno uso di un immaginario e di parole d’ordine. Inoltre tali pratiche, perseguendo questi obbiettivi, entrano in conflitto con alcuni aspetti dei modelli sociali in cui si inseriscono. Molto spesso luoghi, progetti o eventi, così come l’agire di alcuni soggetti (individui o gruppi), sono divenuti punti di riferimento per queste pratiche, e lo stesso è accaduto anche a fonti di riferimento condivise come libri, opere multimediali, articoli, video e musiche. I principi dell’etica hacker concretamente praticati dai singoli e dai collettivi hanno nel tempo assunto la forma di rivendicazioni esplicite che gli hacktivisti considerano obiettivi irrinunciabili nell’abbattimento dei confini della frontiera elettronica. Stiamo parlando dei diritti digitali, cioè di quell’insieme di aspirazioni, prassi conoscitive, attitudini e comportamenti considerati fondanti l’agire comunicativo delle comunità elettroniche eticamente orientate. Perciò, anche se non sempre essi costituiscono un blocco unico e omogeneo di rivendicazioni, per la stretta connessione che li unisce – i «confini» tra un diritto digitale e l’altro sono sottili, le aree interessate da uno si incrociano e si sovrappongono a quelle di un altro – proveremo a sintetizzarli e a illustrarli consapevoli di tutti i limiti che una trattazione di questo tipo comporta. Nell’ambito delle comunità elettroniche i principali diritti correlati all’uso dei Media Interattivi sono considerati: Il diritto alla cooperazione, che riguarda una concezione della rete basata su rapporti di interscambio orizzontale secondo un modello di relazioni paritetico e rizomatico. Un diritto che implica la possibilità di realizzare un tipo di comunicazione libera e aperta, capace di accrescere le conoscenze collettive e la cultura di ognuno. Il diritto alla privacy e all’anonimato. La privacy, inizialmente correlata al concetto di soglia e di tranquillità domestica, è stata a lungo considerata come il diritto di essere lasciati soli. L’avvento della rete e di altri strumenti informatici ha modificato totalmente il senso e la portata di questo concetto-guida per il fatto che oggi questo diritto è in pericolo ogni volta che usiamo bancomat, carte di credito, smart cards, codice fiscale, patenti di guida o tessere del supermercato, ogni volta che entriamo in Internet, ogni volta che abbiamo a che fare con gli uffici pubblici, e con qualsiasi apparato in grado di tenere traccia e registrare i nostri comportamenti. Per questo le comunità elettroniche rivendicano l’uso di strumenti adeguati per proteggersi da tali intrusioni nella propria vita, pubblica e privata, con adeguati sistemi di cifratura e anonimizzazione dei dati. Ugualmente, poiché un atteggiamento poliziesco da parte di istituzioni e imprese sovente minaccia il diritto all’anonimato – i dati personali, anziché essere richiesti in caso di reato o a fronte di specifiche esigenze degli interessati, vengono richiesti come precauzione verso quanti potrebbero, forse, nascondersi per compiere chissà quali delitti – si fa sempre più diffusa l’esigenza di tutelare le proprie interazioni attraverso anonymous remailers, crittazione a doppia chiave pubblica, e altri sistemi di anonimizzazione. Il diritto alla libertà di copia è una rivendicazione che coinvolge direttamente la libertà d’informazione e di espressione, perché le leggi sul copyright e sui brevetti limitano direttamente la circolazione di notizie e scoperte vincolandole a criteri di carattere economico e inoltre perché limitando la circolazione di informazioni – ciò vale soprattutto nel caso della scrittura software – viene limitata la possibilità stessa di conoscere i media che ciascuno utilizza per esprimersi. La battaglia contro il copyright, il cui raggio d’azione spazia dalla musica all’editoria, fino alle biotecnologie alimentari e farmaceutiche, ha però un nuovo orizzonte nella diffusione di beni, merci e servizi di carattere libero e gratuito che godono di particolari tutele sotto specifiche licenze (la Gpl, General Public Licence, la Fdl, Free Documentation Licence ed altre). Il diritto all’accesso si articola su diversi piani e include il problema concreto dei costi del materiale e delle connessioni. Sotto questo aspetto gli hacktivisti considerano che devono essere garantiti ad ognuno alcuni requisiti per poter parlare di reale diritto d’accesso: 1. La possibilità di acquisire l’hardware e il software necessario per utilizzare gli strumenti della comunicazione digitale. 2. L’accesso a connessioni che permettano effettivamente di accedere a tutta l’informazione esistente in rete e di comunicare con tutti coloro che utilizzano la rete senza essere penalizzati da una connessione lenta o da una limitazione all’accesso delle risorse in rete. 3. La disponibilità di hardware e di software adeguati a fruire di tutte le risorse presenti in rete. 4. L’accesso alla formazione necessaria per riuscire a sfruttare tutte le risorse degli strumenti della comunicazione digitale. Per diritto alla formazione, in particolare, si intende la necessità di avviare corsi e iniziative atte a migliorare l’alfabetizzazione informatica degli utenti in quanto la conoscenza di questi mezzi sta diventando una discriminante sia per quanto riguarda l’accesso alle informazioni e alla comunicazione che l’ingresso nel mondo del lavoro. Per questo è considerato importante ribaltare la tendenza in atto a fornire software sempre più «amichevoli» che non favoriscono la possibilità di comprenderli e di usarli nel modo che è più consono alle modalità cognitive e agli scopi degli individui. Complementare a questa rivendicazione è la volontà, attraverso una adeguata formazione, di conoscere e scrivere software che non limitino o controllino l’agire in rete e interfacce che garantiscano un’accessibilità reale ad ognuno senza penalizzazioni derivanti dal ceto, dalla razza, dal sesso, da handicap o altro. Il diritto all’informazione contrasta con ogni forma di censura, istituzionale, tecnica o commerciale. In questa prospettiva il mezzo digitale va tutelato da ogni controllo indesiderato e considerato soggetto solo alla responsabilità individuale di chi lo utilizza. Questo diritto può concretamente dispiegarsi solo quando sia garantito l’accesso a una molteplicità di fonti informative e la possibilità di generarne di nuove senza limitazioni di sorta per poter affermare una reale libertà di espressione. La rivoluzione tecnologica ci circonda sempre più e il critico culturale americano Mark Dery nel suo libro “velocità di fuga‿ ci parla di Cyberculture: reti, realtà virtuali, protesi, uso massiccio del computer. Così si è innovato il modo di suonare, recitare, fare sesso, filosofare, usare il proprio corpo.

In inglese “to hack‿ significa tagliuzzare fare a pezzi, quindi un hacker sembrerebbe qualcuno che fa a pezzi qualche cosa. La parola hacker in realtà ha più di un significato differente, per esempio è hacker una persona che si diletta ad esplorare nel dettaglio i sistemi programmabili e ad estendere le loro capacità, l’esatto contrario della maggior parte degli utenti che preferiscono imparare solamente lo stretto necessario, è hacker chi programma con entusiasmo o chi si diletta a programmare piuttosto che semplicemente teorizzare sulla programmazione, è hacker una persona che è capace di programmare velocemente, infine è hacker un esperto in una materia qualsiasi. Niente di lontanamente simile al significato che viene attribuito normalmente a questo termine, un significato che viene deprecato è proprio quello di colui che cerca di ottenere delle informazioni scardinando password, reti e sistemi. Il termine più gusto per questo tipo di individui è cracker. Come si può vedere il termine hacker non è necessariamente legato al mondo della pirateria informatica e dei computer, infatti una persona particolarmente abile ed esperta in una data materia può essere definita hacker. L’essere hacker infatti è più di una filosofia, una cultura, un modo di pensare e di vivere. Un vero hakcer non si definisce mai tale, ma di solito è definito così dagli altri. Si sente molto spesso dire che ci sono differenti categorie di hacker in giro e queste categorie sono: Wannabe Lamer, è la categoria di hacker più divertenti. Si possono trovare in rete hacker di questo tipo praticamente ovunque in quanto gli stessi chiedono continuamente, ed in pubblico vari tipi di aiuto. Potete vedere alcune chicche postate da elementi di questo tipo sul sito

http://www.insecure.org/nmap/index.html

Script Kiddie (ragazzo degli script) sono culturalmente avanzati, ma non li vorreste per proteggere il vostro sistema. In genere chiamano ogni giorno l’indirizzo

http://www.rootshell.be

o seguono le mailing list su BugTraq da dove prelevano gli ultimi exploit e tool. A volte sono persino capaci di entrare nei sistemi ed urlarlo a mari e monti. The “37337 K-rAd iRC #hack 0 – day exploitz‿ guy (il ragazzo “cool‿ che va sul canale #hack di iRC e dice di avere gli exploit in tempo 0) sono in genere i tipi che darebbero qualunque cosa per diventare famosi. Sono pronti ad utilizzare mezzi brutali per arrivare dove vogliono. Non è il genere di hacker che esplora, ma piuttosto che utilizza quanto è già disponibile. I Cracker, il termine cracker in origine era inteso nei confronti di quella persona che rimuoveva le protezioni dai programmi commerciali, è attualmente utilizzata per descrivere gli hacker “violenti‿, quegli hacker che sono ben felici di divenire un incubo nella vita dei system administrator, cancellando file e creando danni permanenti e irreparabili al sistema. Ethical Hacker (l’hacker etico) entrano, hackerano il vostro sistema, sono cattivelli, impertinenti, curiosi, ma molto spesso entreranno nel vostro sistema lo esploreranno e ve lo faranno persino sapere, inviandovi mail di report o suggerimenti quando avranno terminato la loro esplorazione. Hanno una conoscenza estremamente ampia dei sistemi operativi. Non lo fanno per trarne profitto o per cercare fama, nulla di simile. La passione li guida, seguono un’etica pacifista. Se vi capita la fortuna di averne uno nel vostro computer non cacciatelo via approfittatene per apprendere i buchi della vostra rete. Quiet, paranoid, skilled hacker, (l’hacker taciturno, paranoico, specializzato) abbiatene paura è il tipo di hacker più pericoloso. Ciò significa che vi cancellerà file o cose del genere, ma essendo un hacker paranoico sarà difficilissimo rilevare la sua presenza. Rimarrà sui vostri sistemi per un periodo di tempo lunghissimo, senza fare nulla di grave o spiacevole, lo esplorerà con calma, ma sarà attirato solo da quanto può rappresentare un qualche interesse per lui, non lo fa per raggiungere una fama ma solo per se stesso per la sua esperienza. È capace e competente su più tipi di sistema operativo: esplorerà ma non perderà tempo ad impressionare nessuno. Se rilevate la sua presenza (cosa molto improbabile) sparirà immediatamente. Cyber –Warrior (il cyber guerriero): è un mercenario. Ha acquisito capacità elevate negli anni. Si vende al miglior offerente, ma rifiuta alcune richieste. Difficilmente attaccherà la multinazionale, molto più probabilmente attaccherà il vostro Server Provider, l’università locale o l’anagrafe. Lo fa per soldi è intelligente e naturalmente non lascia mai tracce. Industrial Spy (la spia industriale, spionaggio industriale) Soldi, lo fa solo per soldi. Altamente capace, con moltissima esperienza è molto pericoloso se ricerca del materiale confidenziale. In questa categoria fanno parte sfortunatamente molti “inside‿ vale a dire le persone che accedono illegalmente ad informazioni sensibili, all’interno della loro stessa azienda per uso personale. Government Agent (l’agente governativo) Politica e soldi sono le motivazioni delle loro gesta. La combinazione peggiore in questi casi. In genere sono persone con un buon background hacker. Non c’è bisogno di aggiungere altro basta dire politica e soldi per capire il tipo di hacker che abbiamo di fronte, un personaggio senza scrupoli. Rimane comunque il fatto che dire chi siano in realtà gli hacker è difficile a dirsi. E la risposta dipende molto da chi la da, per governi e grandi software, gli hacker sono solo una varinte tecnologica dei delinquenti comuni, infatti li definiscono erroneamente Pirati Informatici. Ma per buona parte del popolo dei programmatori, dei ricercatori, degli internauti della prima ora sono al contrario gli interpreti dello spirito autentico della telematica. La storia degli hacker comincia con le creazioni di modellini ferroviari. Verso la fine degli anni ‘50 infatti un gruppo di studenti del famoso MIT (Massachusset Institute of Tecnology) fondò il TMRC (Teach Model Railroad Club) un club dove venivano costruiti modellini di treni. Ma non solo, si progettava una rete in miniatura perfettamente funzionante. Man mano che il sistema andava avanti diventava sempre più complesso: occorreva trovare i pezzi, per far funzionare apparecchiature completamente diverse tra loro, controllare l’intera rete etc… È nel MIT che venne utilizzato per la prima volta il termine hacker. Questi studenti che formavano il nucleo del Laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT, erano quindi degli Hacker. Il loro motto era “Information wants to be free‿ ossia le informazioni devono essere libere, possiamo perciò datare l’inizio della cultura hacker intorno al 1961. Nel 1969 (anno di nascita di Arpanet) un hacker chiamato Ken thompson inventò il sistema operativo Unix e qualche tempo più tardi un altro hacker, Dennis Ritchie progettò ed implementò il linguaggio di programmazione C su un sistema operativo Unix. Nel 1974 Unix venne installato su numerose macchine di tipologie differenti. Nel 1977 fu fondata la Apple ed il suo progresso fu fulminante nacque una nuova generazione di hacker che utilizzavano il linguaggio Basic. Nel 1980 si contavano tre culture hacker simili ma basate su diverse tecnologie: la cultura di Arpanet, sposata al linguaggio di programmazione Lips, il popolo di Unix ed il linguaggio C. Nel 1982 un gruppo di hacker dell’università di Berkeley fondò la Sun Microsystem. Nel 1984 Unix divenne un prodotto commerciale. Nel 1985 un altro famoso hacker di nome Richard M. Stallman fondò la FSF (Free Software Foundation). Nel 1985 per distinguersi e difendersi dal cattivo uso giornalistico del termine "hacker" attorno al 1985 viene coniato dagli hacker il termine "cracker" con la seguente definizione: <<Colui che distrugge la sicurezza di un sistema>> Nel 1990 per la prima volta ogni singolo hacker poteva disporre di macchine con una potenza di calcolo paragonabile alle workstation del decennio precedente. Nel 1991 un’hacker dell’università di Helsinki, di nome Linus Torvalds, iniziò a sviluppare un Kernel Unix Libero, utilizzabile su sistemi 386 usando gli strumenti di sviluppo forniti da FSF. Questo nuovo Unix prese in definitiva il nome di Linux (che ha tuttora). Nel 1995 ad oggi gli hacker si concentrarono sullo sviluppo di Linux e sulla diffusione di Internet, questa evoluzione ha portato la cultura hacker ad essere rispettata in quanto tale anche se ancora oggi la gente si confonde sul significato di hacker. Stando così le cose possiamo considerare gli hacker dei vandali e dei criminali che distruggono i sistemi altrui oppure delle persone che hanno contribuito notevolmente allo sviluppo di sitemi liberi?.

Tratto da http://www.hackerart.org/storia/hacktivism.htm "Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete" di Tommaso Tozzi e Arturo Di Corinto

Poetica:

Il significato del termine hacker è legato alla storia dell'hacking, una storia che, cominciata alla fine degli anni Cinquanta, si è sviluppata fino ad oggi con una tale varietà di sfaccettature che un denominatore comune può essere trovato forse solo incrociando tre fattori: occuparsi di computer, usare il computer per migliorare qualcosa, farlo in modo non convenzionale. Ma dire ciò è naturalmente vago. Ecco perché al termine hacker viene costantemente aggiunto qualcosa e si ottiene dunque l'hacker del software, l'hacker dell'hardware, l'hackeraggio sociale, l'hacker art, l'hacktivism, e molte altre combinazioni ancora. (da Hacktivism di A. Di Corinto e T. Tozzi)


Opere:

Hackerart http://www.hackerart.org/index.html,

Wikiartpedia http://www.ecn.org/wikiartpedia/index.php/Wikiartpedia

Correlazioni:

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