Peotta Claudio: differenze tra le versioni

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Negli anni cinquanta divennero famosi i dipinti 'action painting', realizzati nel corso di alcuni esperimenti sulle capacità espressive intenzionali delle scimmie, dello scimpanze Congo, che arrivarono anche alla gloria dell'esposizione in galleria (si dice che tra i suoi 'collezionisti' ci fosse anche Picasso). E' evidente come l'episodio abbia il proprio sottinteso nella mitologia dell'espressività istintiva del genio che, a partire dal romanticismo, regola la nostra concezione dell'attività artistica, assunta come rottura delle regole e avventura nell'inesplorato della forma. Una sorta di condizione di "animalità" che caratterizza l'artista, nodo tra istintività e sincerità.
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Non è quindi casuale che Claudio Peotta abbia scelto una iconografia bestiale per la sua personale avventura nel territorio al confine tra l'immagine e l'informe.
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Le immagini, i ritratti di quadrumani, hanno una esattezza e una puntualità di origine platealmente fotografica (sottolineata anche dalla scelta del bianco e nero), che trova la propria matrice nell'esperienza della pittura iperrealista degli anni settanta. E proprio come in quella pittura, la banalità apparentemente inespressiva della rappresentazione, invece di essere un espediente di seduzione fiduciaria rivolto all'osservatore (è il modello di rappresentazione al quale siamo ormai, più che abituati, assuefatti), diventa una sorta di trabocchetto teso alla nostra confidenza nella veridicità di quanto vediamo. Il dato retorico-validativo della tipologia fotografica di raffigurazione viene infatti corroso e criticato da Peotta all'interno della raffigurazione stessa, ottenuta attraverso un processo pittorico di trattenuta violenza informale, dove i singoli brani di pittura si disfano contraddicendo la possibile referenza mimetica del segno.
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Avviene qualcosa di simile a quello che avveniva in una vignetta americana degli anni cinquanta, irridente verso i pittori dell'espressionismo astratto: la casualità del dripping alla fine si risolveva in un ritratto di donna. Come se la forza della pittura avesse la meglio sulla pervasività del modello iconografico corrente, rivendicando il proprio diritto a inventare il proprio statuto di esistenza. In fondo, anche al cinema, prima o poi Cita si fa beffe di Tarzan.
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Titolo:

Claudio Peotta (mostra)

Autore:

Mostra personale di Claudio Peotta a cura di Francesco Galluzzi, testi di Francesco Galluzzi e Marcello Faletra.

Anno:

2008

Luogo:

Palermo

Sito web:

Descrizione:

Negli anni cinquanta divennero famosi i dipinti 'action painting', realizzati nel corso di alcuni esperimenti sulle capacità espressive intenzionali delle scimmie, dello scimpanze Congo, che arrivarono anche alla gloria dell'esposizione in galleria (si dice che tra i suoi 'collezionisti' ci fosse anche Picasso). E' evidente come l'episodio abbia il proprio sottinteso nella mitologia dell'espressività istintiva del genio che, a partire dal romanticismo, regola la nostra concezione dell'attività artistica, assunta come rottura delle regole e avventura nell'inesplorato della forma. Una sorta di condizione di "animalità" che caratterizza l'artista, nodo tra istintività e sincerità.

Non è quindi casuale che Claudio Peotta abbia scelto una iconografia bestiale per la sua personale avventura nel territorio al confine tra l'immagine e l'informe.

Le immagini, i ritratti di quadrumani, hanno una esattezza e una puntualità di origine platealmente fotografica (sottolineata anche dalla scelta del bianco e nero), che trova la propria matrice nell'esperienza della pittura iperrealista degli anni settanta. E proprio come in quella pittura, la banalità apparentemente inespressiva della rappresentazione, invece di essere un espediente di seduzione fiduciaria rivolto all'osservatore (è il modello di rappresentazione al quale siamo ormai, più che abituati, assuefatti), diventa una sorta di trabocchetto teso alla nostra confidenza nella veridicità di quanto vediamo. Il dato retorico-validativo della tipologia fotografica di raffigurazione viene infatti corroso e criticato da Peotta all'interno della raffigurazione stessa, ottenuta attraverso un processo pittorico di trattenuta violenza informale, dove i singoli brani di pittura si disfano contraddicendo la possibile referenza mimetica del segno.

Avviene qualcosa di simile a quello che avveniva in una vignetta americana degli anni cinquanta, irridente verso i pittori dell'espressionismo astratto: la casualità del dripping alla fine si risolveva in un ritratto di donna. Come se la forza della pittura avesse la meglio sulla pervasività del modello iconografico corrente, rivendicando il proprio diritto a inventare il proprio statuto di esistenza. In fondo, anche al cinema, prima o poi Cita si fa beffe di Tarzan.

Beh! Claudio, spero che ti piaccia (ne abbiamo parlato tanto di questo testo). Quando vengo a trovarti me lo dici...

Collezione:

Genere artistico di riferimento:

Arte contemporanea, mostra personale.

Bibliografia:

Webliografia: