Digital Preservation: Recording the Recoding. The Documentary Strategy

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Digital Preservation:Depocas Alain

Autore:

Depocas Alain

Tratto da:

http://www.aec.at/festival2001/texte/depocas_e.html

Titolo originale:

Digital Preservation: Recording the Recoding. The Documentary Strategy


La conservazione del digitale: registrando il ri-codificato.
La strategia documentaria.


Alain Depocas

“Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza? Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?�? T.S. Eliot (1)

Le ipotesi agli esordi sono che i progressivi sforzi di preservare i lavori artistici dei new-media saranno insufficienti senza il supporto di una documentazione strutturata.

La documentazione di entrambi, i lavori stessi ed il contesto nel quale essi evolvono, devono essere visti come fattori fondamentali di conservazione. In effetti, se si tiene conto, ad esempio, dell’immensa volatilità, di certi progetti on-line, è più che probabile che in molti casi questa documentazione sarà presto la sola traccia rimanente del lavoro. Ciò che dà valore reale ad una collezione di arte digitale è la documentazione, il meta-data, la contestualizzazione, ed il garantire lunghi termini di accesso alla documentazione.

Rimane da vedere quale struttura documentaria sia la più appropriata. E’ specialmente importante sperimentare differenti forme di disseminazione di questa documentazione, ad esempio facendo esperimenti con differenti interfacce database. Queste sono alcune delle sfide che il Daniel Langlois Foundation’s Centre per la Ricerca e la Documentazione (CR+D) sta fronteggiando.

Lezioni dal Passato: i Panorami del XIX Secolo

Quasi nulla rimane dei panorami del XIX Secolo, quei grandi dipinti circolari che furono probabilmente proprio la prima tecnologia d’immersione, eccetto le descrizioni e le documentazioni dei testimoni oculari. Gli “oggetti�? di per se stessi sono praticamente tutti scomparsi. Rimangono soltanto pochi esemplari. Ma come possiamo noi, oggi, veramente "sperimentare" un panorama? Semplicemente visitando uno dei resti che ancora esistono, che ci offre meno di quello che potremmo credere. Ciò che è scomparso è l’intero contesto culturale.

Paradossalmente, è principalmente attraverso la documentazione che noi ora possiamo capire ciò che l’effetto panorama ebbe sul pubblico del XIX Sec., e quello che furono i problemi della rappresentazione. L’abilità di comprendere quale fu il panorama nei termini del contesto della rappresentazione a me sembra ugualmente importante oggi almeno quanto i pochi panorami ancora in esistenza. (2)

Naturalmente, come avrete indovinato, c’è un parallelo da tracciare con l’arte odierna dei new-media. E’ abbastanza cercare di preservare l’arte dei new-media, perfino supponendo che l’equipaggiamento compatibile che necessita per accedere ad essi sarà ancora disponibile in futuro? Temo di no. Cosi come i panorami del XIX Sec., “oggetti�? ed “artefatti�? non saranno abbastanza. Noi dovremo anche registrare il contesto. I migliori sforzi per la preservazione saranno insufficienti senza il supporto di una documentazione strutturale.

Naturalmente, il panorama è solo un esempio. Ci sono molti altri casi di totale, o quasi totale, sparizione del media (3). Alcune volte, può essere uno specifico uso della tecnologia che scompare. Qui sto pensando ai lavori ed alle altre attività culturali della French Minitel ad esempio, quelli di Fred Forest ed Orlan, altro esempio. Solo la traccia documentaria di questi utilizzi rimane.

L’importanza e le sfide della documentazione per archiviare e preservare i lavori artistici dei new-media.

Tradizionalmente, la documentazione richiede tre tipi di attività: -Ricerca: localizzare i “data�? rilevanti -Preservazione: perpetuare i “data�? -Disseminazione: rendere i “data�? disponibili Troppo spesso, in pratica, viene tenuto conto solo della prima categoria. Persino oggi, molto poche organizzazioni hanno stabilito politiche reali per gestire documentazione e ricercare conclusioni. Per la maggior parte del tempo, la ricerca è fatta pezzo per pezzo, senza una struttura metodologica precisa, senza nessuna cognizione circa la conservazione del “data�? che permetterebbe al data stesso di essere riusato, ma soprattutto, senza alcuna cognizione circa la disseminazione del data.

Considerando l’importanza crescente di un supporto documentario per le arti che usano le nuove tecnologie, è imperativo che venga fatto un maggiore sforzo occupandosi della ricerca. Una rigida pratica documentaria è tanto più importante finchè le fonti d’informazione sull’arte dei new-media sono relativamente diffuse e non strutturate e tanto volatili quanto i lavori di per se stessi.

Inoltre, occorre compensare il fatto che le organizzazioni che producono le attrezzature fondamentali per la ricerca artistica (periodici, indici di riferimento), nonostante gli intenti e i propositi, non hanno ancora iniziato a prendere in seria considerazione l’attività presente sul Web. Non troverete alcuna menzione di *Rhizome* in *Art Index*, ad esempio. Infatti, l’analisi principale, commentario e perfino la documentazione che concerne l’arte dei new-media, sono sorprendentemente svolti sul Web o su un altro tipo di formato digitale. Comunque, contrariamente a quanto si potrebbe credere, ciò non facilita realmente l’accesso ad essi, almeno non nel lungo termine.

E’ in questo contesto che la “Daniel Langlois Foundation’s CR+D�? sta sviluppando una maggiore collezione di documentazione che copre gli ultimi 40 anni di storia, lavori artistici e pratiche associate con le arti elettroniche e dei media digitali, ed essa renderà queste informazioni accessibili ai ricercatori. La collezione comprende già importanti documentari e collezioni di archivi quali le Images du Futur Documents Collection, Kurisv de Steina e Woody Vasulka Archives, e Collezione di Documnti di Esperimenti di Arte e Tecnologia (E.A.T.). Attraverso molteplici indici incrociati il database di relazione del CR+D linka data circa documenti, soggetti individuali, organizzazioni, eventi, concetti e lavori artistici, così permettendo che le informazioni linkate possano essere viste da una moltitudine di punti di vista. (4)

Documentare l’arte dei New media

Ora, qui ci sono alcune istanze che riguardano la documentazione dell’arte dei new-media. Prim a di tutto, dobbiamo accettare, e perciò tenere conto del fatto che molti lavori elettronici e dei new media sono temporanei.

Archiviando e documentando l’effimero può sembrare un paradosso, ma si presenta questa necessità quando la tecnologia che sta dietro a questo lavoro effimero rende questa pratica possibile.Con l’arrivo delle nuove tecnologie dell’informazione e i media digitali, le nozioni di “museo�?, “libreria�?, “archivio�?, o “centro di documentazione�?, verranno sempre di più raggruppate. Questa convergenza può essere spiegata in parte dal fatto che il modo migliore di conservare i lavori artistici dei new media sarà sempre di più quello di documentarli e di disseminare sia il lavoro e che la sua documentazione. Un’altra ragione per questa convergenza è che, in questo nuovo contesto, i lavori artistici e la loro documentazione sono inseparabili. Essi sono due facce della stessa medaglia.

La sfida presentata dalla documentazione dei lavori artistici dei new media è basata sulla struttura di questa documentazione, per entrambi la fase di acquisizione del “data�? e la fase di disseminazione. Ironicamente, conservare e disseminare questa documentazione di solito pone problemi similari a quelli dei lavori stessi. Dobbiamo documentare quanti più lavori possibili delle attività artistiche che implicano le nuove tecnologie, e trattenere alcune note dell’evoluzione di queste nuove forme di arte.

-Creare una documentazione aperta, collaborativa, vivente e aggiornabile nell’immagine stessa dei new media. -Proporre sentieri e traiettorie da seguire nella struttura del database gestendo questa documentazione. -Ripensando la presentazione e la disseminazione della documentazione sull’arte digitale, creando un laboratorio per testare le nuove interfacce per pubblicare i dati di ricerca.

La documentazione dell’arte dei new media non deve essere una mera illustrazione, ma un’interpretazione, un’attitudine. E per riflettere tale attitudine, la documentazione deve essere basata su una struttura similare a quella dei suoi soggetti. La sfida della documentazione rispetto ad un pezzo strutturato “a rete�?, mascherato da “iperlinks�?, non-lineare per sua natura, mentirebbe nel tentativo di proporre una mappa, un’interfaccia che renda possibile esplorare il lavoro, piuttosto che cercare di “catturare�? il lavoro o contenerlo.

La nuova natura dell’Archivio

Tutto ciò deve essere messo nella prospettiva (considerato alla luce) della nuova natura dell’archivio. In questo testo *L’arte di archiviare*, Geoffrey Batchen afferma che:

L’archivio non sarà a lungo una questione di oggetti distinti (files, libri, lavori artistici, ecc.) archiviati e salvati in specifici posti (librerie, musei, ecc.). Ora l’archivio è anche una continua corrente di dati, senza geografia o contenitore, continuamente trasmessi e perciò senza restrizioni temporali (sempre accessibile “qui e ora�?) (5)

Il web ci costringe a riesaminare che cosa noi intendiamo per “conservare�?, a riconsiderare la definizione del termine “archiviare�?. In questo contesto, dove qualsiasi cosa diventa un archivio, dove l’istantanea accessibilità ad una gigantesca massa di informazioni è diventata possibile, e nel contesto di un mezzo di accessibilità, la definizione di archivio si sposta dalla nozione di accumulazione, di immagazzinare informazione, a quella di navigazione, di collegamenti fra pezzi di informazione, di mappatura, e di abilità nell’identificare informazioni rilevanti. Come il “Wunderblock�?, il famoso blocco parlante di Freud, lo schermo del computer connesso a Internet è virtualmente capace di mostrare gli interi contenuti del web, anche se comunque una pagina alla volta.

Soprattutto un archivio esiste attraverso la sua catalogazione. Questo lo è ancora di più col web. Un documento o un lavoro sul web non esiste realmente se non collega punti ad esso. Esso è l’equivalente di un disegno imbullettato ad un palo telefonico. Il disegno esiste a condizione che qualcuno: -lo passi -dia notizia di esso -lo riconosca come un lavoro Ciò solleva le seguenti questioni: esiste un lavoro sul web senza l’indice che punta ad esso? Noi conserviamo i siti web o gli indici?

Essere ancorato ad esso è comunque una condizione per la sua stessa esistenza. Per rendere esso accessibile ed accedere ad esso, deve essere conservato. Vale la pena ricordare che accedere ad un sito web significa già archiviarlo! Lo archiviamo senza conoscerlo finchè il contenuto dei siti che abbiamo visitato sarà trovato sull’ hard-drive del nostro computer, nella cache. Perciò, l’accesso al sito assicura la sua perpetuazione.

Questo è proprio l’opposto nel mondo analogico, dove la conservazione significa meno accesso al documento originale. Nel mondo digitale, l’informazione è conservata solo attraverso l’interazione. La conservazione e l’impegno per un accesso a lungo termine sono ora inseparabili. Non c’è preservazione senza disseminazione, e la disseminazione è la condizione per la conservazione. Inoltre, su alcuni siti, il contenuto a cui accediamo esiste soltanto nel momento dell’accesso. Perciò, in un certo senso, è l’accesso di per se stesso che permette al contenuto di esistere.

La natura specifica dell’arte dei new media

La questione della natura specifica e la definizione dell’arte dei new media è essenziale per una comprensione dei problemi coinvolti nella sua archiviazione e documentazione. Dipende da come definiamo la loro natura e i metodi, gli strumenti e le conseguenze della loro archiviazione cambiano considerevolmente. Costruire una tipologia dell’arte dei new media potrebbe aiutarci a determinare le condizioni della loro conservazione e a tenere conto della natura dei lavori stessi nelle attività di conservazione e documentazione.

Se, per esempio, scegliamo di parlare di “attività artistiche�?, o anche “attività culturali�?, piuttosto che un lavoro artistico statico, noi scivoliamo da una dinamica di archiviazione ad una dinamica di registrazione.

Molti tipi di new media non possono essere transposti come copie, almeno non nel loro complesso, solo come esempi (l’attualizzazione di uno dei molti stati possibili). Questo, ad esempio, è vero per molti lavori artistici sul web, principalmente quelli che usano l’interattività. In alternativa, se definiamo il web come uno “spazio di comunicazione ed evento�?, lasciamo il regno del circoscritto, stabile oggetto ed entriamo nel regno della mobilità. Se il web è uno spazio, è comunque possibile mapparlo. Ma come possiamo mappare la mobilità? E’ possibile registrandone i percorsi. Se, come Simon Gibbs, sostiene in un testo pubblicato su The Shock of the View (6), un lavoro di web-art non è un oggetto ma un fenomeno, il modo in cui cerchiamo di conservarlo e documentarlo è conformemente alterato.

Se l’arte dei new media può essere effimera, in continuo sviluppo, ciò è se essa è un oggetto transitorio o transitante, perciò per conservarlo e documentarlo dobbiamo addattarlo, ed accettare la sua condizione di essere un oggetto transitante. Negare ciò significa non accettare la sua fondamentale e specifica natura. Comprendere ed afferrare tutte le conseguenze di questo aperto, transitorio aspetto richiede un profondo cambiamento di paradigma.

Diversamente da altre forme di eventi basati sull’espressione artistica come la danza o la musica, la web-art e molti altri tipi di arte dei new media non sono forme d’arte che non lasciano traccia. Esse si trovano in una posizione ibrida, tra gli oggetti artistici fisici, e gli eventi artistici, dei quali l’unica traccia è la loro documentazione, prodotta con mezzi esterni ad essi stessi.

Così, la questione è: come dobbiamo documentare ed archiviare le attività culturali, gli oggetti transizionali, i fenomeni e le traiettorie? Forse un modello può essere trovato nel lavoro di Jean-Luc Godard e nella sua Histoire(s) du Cinema che potrebbero benissimo essere le migliori memorie del cinema…e le quali dimostrano la validità di usare la soggettività come una condizione mnemonica. In questo contesto la domanda potrebbe anche diventare: dobbiamo conservare un film o dobbiamo conservare il cinema?

Infine, la ricerca per la natura specifica dell’arte dei new media, non deve diventare riduttiva. Dobbiamo tenere conto della grande variabilità delle attività artistiche che coinvolgono le nuove tecnologie e la loro capacità di trasformazione. Naturalmente, sono possibili numerose tipologie. Esse servono solo a dimostrare che ci sono molte strategie artistiche di intervento possibili, oguna delle quali coinvolge una specifica strategia di conservazione e documentazione. Attraverso un’esercizio di tipologia, possiamo comprendere che per alcuni tipi di lavoro, il problema della conservazione slitta da il come a il cosa. Ad esempio, con l’arte procedurale, dobbiano collezionare tutti gli oggetti o gli eventi prodotti da tali progetti?

Un’interessante caso storico è quello di Jean-Pierre Balpe e il suo Generatore di Poesie. Presentato nel 1985 all’esibizione Les immateriaux (Gli Immateriali), in mostra al Centro Georges Pompidou di Parigi, il Generatore di Poesie è un programma di computer che produce automaticamente poesie che durano l’intero periodo dell’esibizione. D’ accordo con Balpe, i poemi furono stampati e, dopo l’esposizione, la BPI (Libreria di Pubblica Informazione) del Centro Pompidou chiese all’artista il permesso di conservare il lavoro per la documentazione. Il punto interessante fu che tennero il migliaio di poesie stampate sui tabulati, ma buttarono via il programma del computer stesso che era la cosa che l’artista considerava il lavoro reale.


Alcune proposte di metodologia per la conservazione del digitale

I campi della scienza libraria e di archiviazione hanno già identificato alcuni dei principali problemi relativi alla conservazione dei documenti e degli archivi digitali.Varrebbe la pena prendere ispirazione dalla loro ricerca, poichè la conservazione dei documenti digitali e quella dell’arte digitale hanno molte caratteristiche comuni.

Qui, ad esempio, è un’interessante definizione della conservazione digitale nei termini di ciò che dovrebbe essere conservato: “Conservare contenuti, contesto e struttura, e mantenere la capacità di esporre, collegare e manipolare oggetti digitali.�? (7) E’ probabilmente il secondo aspetto che rappresenta la difficoltà più grande, poichè ciò significa anche conservare l’accessibilità ad una moltitudine di software e sistemi operativi. Di nuovo, d’accordo con Margaret Hedstrom, “spesso sono necessarie complesse e dispendiose trasformazione di oggetti digitali per conservare le materie digitali; cosicchè essi rimangono autentiche rappresentazioni della versione originale e fonti utili per l’analisi e la ricerca.�? (8)In ciò sta il paradosso di conservare i documenti digitali: attraverso l’espressione “trasformazioni�? ed “autentica rappresentazione dell’originale�?.

Fra le altre strategie di archiviazione digitale, il concetto di emulazione (9) e la busta contestuale sta diventando sempre più proposto dagli specialisti della conservazione digitale. Questo concetto è una soluzione potenziale ai problemi della dipendenza dei documenti digitali sul software che occorrono per accedere ad esso. Esso inoltre permette la piena capacità impugnabile del “data�? di essere conservata.

Ciò significa collocare i documenti, lasciandoli nella loro forma originale, in una busta virtuale contentente tutte le istruzioni necessarie per il loro recupero, esposizione e trattamento. La busta conterrebbe le istruzioni che occorrono per collegare il documento alla collezione di emulatori che agirebbero da ponte tra il documento, che può rimanere stabile, ed il costante evolvere del contesto tecnologico. Così, invece di provare indefinitamente a modificare una moltitudine di documenti, gestori di archivi digitali o collezioni, aggiornerebbero semplicemente i loro emulatori.

Un foglio di dati contenente le specifiche chiave di un documento, potrebbe essere incorporato dentro il documento, sotto forma di “metadata�?. In termini di conservazione, ciò permetterebbe compiti tali da individuare documenti che richiedono alcuni generi di “interventi�?.

Il “metadata�? permette che la descrizione del documento sia inclusa nel documento stesso. In questo modo, il documento diventa il proprio biglietto da visita. Ma il pericolo del “metadata�? è che esso può finire essendo grande quanto, o perfino più grande del documento che descrive. Questo è l’effetto aumentato del famoso “cartografo dell’Impero di Borges�?, che nel suo desiderio senza fine di produrre mappe sempre più dettagliate, infine produsse una mappa sulla stessa scala del territorio stesso, un duplicato della realtà, la sua perfetta rappresentazione.

Vale anche la pena valutare i vantaggi offerti da un network di organizzazioni che collezionano e conservano lavori artistici dei new media in accordo con una serie di criteri comuni di conservazione. Questo network potrebbe anche condividere lo sforzo di conservare risorse documentarie considerate importanti nel definire la produzione, la disseminazione ed il contesto ricettivo di questi lavori, e ciò in accordo con norme standardizzate.

Attraverso i suoi programmi di sovvenzione, la Fondazione Daniel Langlois è già coinvolta in importanti progetti che riguardano la conservazione dei lavori digitali e lo sviluppo delle metodologie e delle linee-guida. Fra essi ci sono il “Rhizome’s ArtBase�? (10) e il “Guggenheim’s Variable Media Initiative�? (11).La Fondazione Daniel Langlois quest’anno ha lanciato anche un nuovo programma di sovvenzione per ricercatori in residenza che supporteranno, fra le altre cose, la ricerca sulla questione concettuale, scientifica ed artistica implicita nella conservazione dei lavori artistici digitali o lavori con componenti digitali. La Fondazione Daniel Langlois diventerà anche presto un concreto caso di studio sperimentale che implica l’applicazione di emulazione per la conservazione di un lavoro d’arte con componenti digitali.

Conclusioni

Analizzando le questioni che circondano la conservazione della documentazione digitale in generale, e più specificatamente la documentazione web, ci obbliga a riesaminare un’illusione – un’illusione che fu con maggiore probabilità la base, o almeno la forza trainante dietro il desiderio di conservare ogni cosa, di archiviare ogni cosa, un’illusione dietro cui credemmo di avere il controllo reale sulla documentazione e l’informazione che conteneva.

Messi di fronte all’enormità che il web e la nuova informazione offrono in due aree in particolare – quella della quantità, e quella dell’abilità di conservare ogni cosa – l’archiviatore ora può contare solo sulla nozione di itinerario, di traiettoria. L’archivista non sarà a lungo qualcuno che accumula e conserva, ma qualcuno che aiuterà a forgiare collegamenti (links). di conseguenza, in risposta a questa entità elusiva, il web, e ancora più specificatamente l’attività condotta su di esso o con esso dagli artisti, teoristi e ricercatori, la migliore attitudine da adottare non è di tentare, invano, di serbare ogni cosa, ma piuttosto cercare di trattenere quello che ci frutterà la comprensione.

NOTE
01)T.S. Eliot, Choruses from "the rock�?,1934
02)Una delle migliori fonti d’informazione circa il panorama è Stephan Oettermann’s, “The Panorama: Storia di un mass-media�?, New York, Zone Books, 1997
03)Vedi il “Dead Media Project�? sito web: www.deadmedia.org
04) Per maggiori informazioni circa il CR+D ed accedere al loro database, consultare il seguente sito web: www.fondation-langlois.org/e/CRD/index.html
05) Geoffrey Batchen, "The Art of Archiving" in “Deep Storage: collecting, storing, and archiving in art�?, Munich, Prestel, 1998, p. 46 – 49
06) Sarah Schultz, "Simon Biggs Questions Our Questions [Interview]", “The Shock of the View�?, www.walkerart.org/salons/shockoftheview/sv_intro_biggs.html
07) Margaret Hedstrom, "Digital preservation: a time bomb for Digital Libraries", www.uky.edu/~kiernan/DL/hedstrom.html
08) Idem
09) Per maggiori informazioni circa l’emulazione come strategia di conservazione digitale, vedi Jeff Rothenberg, "Avoiding Technological Quicksand: Finding a Viable Technical Foundation for Digital Preservation", 1998, www.clir.org/pubs/reports/rothenberg/contents.html
10)http://rhizome.org/artbase/
11)www.three.org/z/varia_root/variable_media_initiative.html