Questions Our Questions: differenze tra le versioni

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Revisione 17:23, 17 Giu 2006

Autore: Simon Biggs

Tratto da: http://www.walkerart.org/archive/A/B753910B5457DE9A6167.htm

Titolo originale: Questions Our Questions

Traduzione di:

Anno:

Questions Our Questions

Sarah Schultz Direttore Associato dei Programmi Pubblici


Shock: In che modo il linguaggio aiuta od ostacola la nostra comprensione dell’opera digitale?


Shock: Laddove il net-work (lavoro cui si può accedere tramite internet) ed il virtuale sono presi in considerazione, tendiamo a coprire categorie e definizioni esistenti – oggetti, interpretazioni, spazi. Questo rappresenta un ostacolo alla comprensione o all’apprezzamento dell’opera?



SB: Sì e no (si veda quanto detto sopra).


SB: Tutto e niente. Rimanendo focalizzati sulle questioni precedentemente sollevate, ciò che è nuovo è che abbiamo sviluppato questo mezzo (il computer e le sue tecnologie affini) che permette il linguaggio, che è una tecnologia umana fondamentale (così fondamentale che Foucault, per esempio, guarda all’individuo umano come più o meno un esempio di linguaggio ed al collettivo come al campo del linguaggio in generale), per operare senza coinvolgimento umano. Questo è quanto, qualcosa che è stato visto come intrinsecamente umano è stato separato dall’uomo. Noi abbiamo una tecnologia che permette il linguaggio, sia le sue istanze che le sue potenzialità di creare più istanze, per fluttuare libera nelle sue origini, chiamando in questione non solo che cosa sia il linguaggio ma anche che cosa sia l’essere uomo. Questo non è, comunque, del tutto nuovo. La stampa, in larga parte, ha raggiunto il medesimo risultato, almeno laddove le istanze del linguaggio (attività linguistiche) erano ricomprese. Dunque, ciò che dovrebbe essere nuovo è che ora abbiamo un sistema di scrittura che può scrivere se stesso; un mezzo che definisce se stesso.


SB: Mi chiedo se si guadagni qualcosa nel fare un distinguo tra il reale ed il virtuale. Ritengo che questa sia una falsa dialettica. A me sembra, tenendo conto di tutto ciò che è stato precedentemente affermato, che il reale è virtuale ed il virtuale è reale. Ciò che qui si sta indirizzando è lo spazio in cui l’uomo raggiunge l’essenza, ed il modo in cui le tecnologie che permettono ciò che abbiamo creato sono andate oltre all’abilitare noi, fino ad abilitare loro stesse, così che lo stesso spazio dell’essere viene riformato.


SB: Come già detto, utilizzare metafore storiche come quelle a cui si fa riferimento in questa domanda è utile ma allo stesso tempo crea confusione. La domanda si indirizza sulla natura del mezzo (che non è primariamente né necessariamente un mezzo artistico) o all’arte che può essere praticata attraverso quel mezzo? Se si riferisce alla prima, allora dovrebbe essere allargata fino ad includere la dematerializzazione della cultura e dell’individuo in generale. Se si riferisce alla seconda dovrebbe essere diretta non all’uso diretto della tecnologia, ma al perché particolari artisti hanno scelto di utilizzare questo mezzo per fini artistici.

Shock: In che modo l’oggetto virtuale espande o sovverte, o entrambe le cose, le sue potenzialità per essere visto, sperimentato o collezionato?



SB: L’arte (qualunque tipo di arte) non ha bisogno di niente. Comunque, gli artisti hanno bisogno di molte cose (principalmente soldi, come chiunque altro). Con la pratica socioeconomica attuale, il museo è un’istituzione preposta (in parte) alla salvaguardia della pratica artistica. Comunque, non è il solo a svolgere questo ruolo; i programmi pubblici, il settore delle gallerie commerciali, etc., esistono anch’essi per raggiungere questo fine. Gli artisti scelgono il modello economico che ritengono essere il più adatto per soddisfare le loro esigenze materiali ed aiutarli a rivolgersi ad un pubblico. Dato che l’arte digitale tende all’effimero ed all’immateriale, gli artisti digitali si fronteggiano con problemi particolari. Per esempio, poiché il lavoro per collezionare e conservare è molto difficile (infatti, gran parte di questo non può essere mantenuto nemmeno per un breve periodo di tempo), è difficile venderne un pezzo come manufatto. Piuttosto, deve essere venduto come un fenomeno, un’esperienza. In questo senso, gran parte dell’arte digitale (sebbene potrebbe consistere principalmente in immagini o testi) è una performance. Da questa prospettiva, è chiaro che gli artisti digitali hanno bisogno di musei, che come gruppo di persone non sono legate ad un modello di profitti e perdite. I musei non possono solo finanziare parzialmente un tale lavoro ma devono conferirgli uno status su cui far leva per ricevere finanziamenti da altre fonti. Dal canto loro, i musei hanno bisogno dell’arte digitale in quanto sperano di essere visti come rappresentativi dell’ampiezza di vedute della pratica artistica odierna, e di come l’uso che gli artisti fanno dei computer è parte di quella.



Shock: In che modo ci si aspetta che il pubblico sperimenti un oggetto virtuale? Cioè, ci si aspetta che lo veda in un museo, a casa propria, in un monitor a 15’’, ecc.?


Shock: Qualcuno spende del tempo per vedere – sperimentare i network?

SB: Buona domanda. Ci sarebbe bisogno di fare un’indagine statistica generale sul punto. Dopodiché conosceremo la risposta.

Shock: Il pubblico spende del tempo guardare – sperimentare un’opera digitale nei musei o nelle gallerie? (il tempo medio che un visitatore dedica ad un’opera d’arte in una galleria è spesso misurato in secondi).


Shock: Quando un artista crea un oggetto virtuale (spazio\performance) che cosa ha creato? È questa un’attività estetica diversa dal creare veri e propri oggetti?


Shock: Quali sono le opportunità artistiche e gli ostacoli in cui ci si imbatte quando si lavora con forme nascenti e primitive di una tecnologia?

SB: Si veda quanto detto altrove. Posso elencare tutte le altre rispetto a quelle già viste?

Shock: In che modo l’ambiente virtuale mette in dubbio la nostra idea di chi sia un artista ed in che modo gli artisti lavorino?

SB: ancora, si veda quanto detto altrove.

Shock: In che modo l’opera virtuale (o net-work) si differenzia dalle altre pratiche di arte digitale?

SB: Idem.